Biblioteca Multimediale Marxista


Comitato politico ENEL e Collettivo lavoratori e studenti del Policlinico


 

Compagni del Manifesto,

la fase della stretta organizzativa è cominciata; le scadenze dell'organizzazione sono davanti a noi; abbiamo anzi spinto perché questo processo fosse accelerato in rapporto ai nuovi dati della situazione politica. Ma la strada imboccata non è più quella giusta. Nostro compito di militanti è la denuncia dell'errore o la pressione per correggerlo. Toccato il punto più alto della spontaneità, le lotte debbono esprimere livelli sempre più alti di autonomia. E' questa la promessa per uscire dal cerchio del riformismo e spezzare il vincolo delle istituzioni che ne sono il supporto. E queste sono premesse per un ciclo di lotte sganciate dalle condizioni poste dalle esigenze dello sviluppo capitalistico, ma anche conseguenze necessarie di queste lotte. E' per ciò che l'autonomia dev'essere organizzata: alternativa di massa al movimento istituzionalizzato.Compagni, non c'è risposta alla crisi senza la scelta dell'autonomia; scelta soggettiva della crisi è scelta dell'autonomia, è lotta organizzata alla strategia produttivistica delle istituzioni tradizionali della classe. E non c'è costruzione del partito senza questa premessa dell'autonomia, senza questo movimento alternativo da cui escono avanguardie e militanti. Ma la strada imboccata non è più questa. Dopo il convegno nazionale di Milano, la liquidazione dell'obiettivo dei comitati politici, quali espressioni dell'autonomia organizzata, alternativa alle strutture del movimento sindacale, è il primo passo su una strada segnata da una serie di cedimenti obbligati. Scelta soggettiva della crisi, volontà cioè di cavalcarla, non si accorda con una politica equivoca sull'alternativa di movimento. E' così che si mette in moto una catena di azioni-reazioni, che spingono, da un lato, sempre più verso una politica d'alleanza con le strutture istituzionali di movimento o, dall'altro, portano all'impossibilità di premere sulla crisi per uno sbocco di regime e di puntare subito ai contratti del '72 con una linea di radicalizzazione delle lotte del '69. La piattaforma di Rimini è il primo segno macroscopico del cedimento in atto. All'interno di questo cedimento, che esprime una difficoltà di alternativa, spunta allora necessariamente l'esigenza di costruire lo spazio per un movimento d'opinione: la battaglia sul fanfascismo assume questa valenza arretrata - e il raduno nazionale di Milano ne è un segno -, apre la strada al neo-frontismo, mette dunque un'ipoteca sulla piattaforma di lotta contrattuale, precipita verso l'obiettivo elettorale del '73. Senza un'alternativa di autonomia dalle istituzioni e - solo perciò - dal ciclo capitalistico, il percorso verso l'istituzionalizzazione dell'organizzazione e verso lo scadimento parlamentaristico è obbligatorio. Dobbiamo respingere e battere questa prospettiva. L' uso principale della nostra organizzazione, dalla primitiva scelta fatta per tenere in piedi il giornale, deve spostarsi oggi non sulle campagne d'opinione, come ieri quella sul fanfascismo e domani certamente sulle elezioni, ma sulla costruzione del terreno necessario per impostare il problema stesso del partito: il terreno dell'organizzazione (alternativa) dell'autonomia operaia. Ma questo cedimento è diventato possibile perché è il partito stesso che si preconfigura già ora, nel suo primo embrione organizzativo, come direzione elitaria: centralismo (democratico) anziché centralizzazione dal basso; impossibilità di un uso politico costruttivo del dissenso e dell'organizzazione di tendenze; uso coercitivo del giornale; sostanziale identificazione della direzione nazionale con la redazione e il gruppo parlamentare. Senza movimento autonomo di classe, neppure costruzione corretta del partito. C'è un errore politico grave nella pretesa di puntare al partito muovendo dal terreno delle organizzazioni tradizionali del movimento ed equivocando sull'autonomia. C'è incomprensione sostanziale della scelta extraistituzionale. E ci accusano invece di astratto ideologismo. Compagni, non possiamo spacciare per realismo politico un errore teorico e strategico atto soltanto a mascherare il cedimento in atto di fronte alle difficoltà politiche del movimento e soprattutto la paura isterica di un isolamento minoritario (ma gli errori non ci portarono proprio a questo isolamento? a coprire il vuoto del PSIUP?). Compagni, noi vogliamo lottare nell'organizzazione. Dobbiamo, però, denunciare che i normali canali del dibattito si sono chiusi: direzione nazionale e redazione hanno fatto blocco su una linea che non esprime la volontà di ampia parte della base. La gestione politica dell'organizzazione è in loro pugno ed il dissenso è solo formale o di fatto esterno. Noi vogliamo batterci ancora per un'ipotesi politico-organizzativa che parta dall'autonomia operaia, ma non crediamo al partito del Manifesto e non intendiamo restare dentro un'organizzazione a costo di una scelta opportunistica. Per questo, compagni, organizziamo il dissenso, diamoci scadenze organizzate di lotta interna sulla piattaforma dell'autonomia operaia e di una nuova organizzazione di partito fondata sulla centralizzazione dal basso. Portiamo questa battaglia ai centri nazionali, portiamola al convegno nazionale costituente dell'organizzazione.

Febbraio '72

MILITANTI ROMANI DEL MANIFESTO

PROLETARI DELL'AUTONOMIA OPERAIA


[...] Quali sono le conclusioni?

Primo, rifiutiamo qualsiasi giudizio del commissario sulla nostra più o meno appartenenza al Manifesto, questo giudizio spetta alla base militante, al "corpo" del Manifesto, esso c'è, è sempre esistito, è sovrano, e comunque queste cose vanno sempre decise all'interno di una discussione plenaria e politica (a chi fosse attratto dalle chiacchiere di note suffragette che albergano nella redazione, a supporto delle chiacchiere più politiche dei dirigenti nazionali, ricordiamo che Milani non ha voluto incontrarsi con i compagni del Manifesto che lavorano nel Comitato Politico ENEL, voleva un incontro preliminare con due di noi che abbiamo rifiutato; i militanti del Manifesto di Roma sanno bene che i militanti del Manifesto nel Comitato Politico non sono due).

Secondo, rifiutiamo qualsiasi autocritica per le posizioni assunte da noi nella "questione" Castelnuovo e nella manifestazione del 3 febbraio, per le cose scritte sopra; siamo d'accordo con il documento presentato a voi dai compagni della FIAT Grottarossa, sia nella forma che nella sostanza, aggiungendo che, di documenti ne scriveremo ancora degli altri in cui arriveremo anche a modificare le precedenti impostazioni, ma resteranno fisse e costanti le valutazioni sull'area politica da rappresentare, sulla costruzione degli strumenti dell'autonomia operaia, sulla collocazione, il ruolo, il metodo del sindacato, sulla struttura interna, sulle istituzioni.

Per cui, anche se a noi sembra chiaro - per il tipo di rapporto che abbiamo sempre avuto con l'area militante e con la base sociale - che in un'organizzazione rivoluzionaria a fare l'autocritica sarebbero stati proprio il gruppo di potere insediatosi nel direttivo e i vari "marescialli" nelle situazioni decentrate, vigendo però la volontà di questo gruppo di potere che ha ammassato in poche mani giornale, organizzazione e parlamentari, non resta altro per tutte le cose scritte che autoescluderci dal "corpo" organizzato del Manifesto; una ulteriore nostra permanenza, oltre a rappresentare una posizione opportunista, vi fornirebbe una comoda copertura a sinistra. Concludendo, invitiamo la base militante in buona fede a prestare debite attenzioni a quanto avviene oggi all'interno del Manifesto e a smettere di fare da supporto ai burocrati e ai falsi parolai, del resto sempre molto timidi rispetto ai capi carismatici; a smascherare sino in fondo, senza ambiguità, questi "dirigenti" e la linea che questi impongono, per sbatterli giù dalle loro poltrone e avviarli a una pratica di lavoro che da molto tempo hanno perso in funzione della cooptata carica di dirigente per alcuni, per altri acquisita per il diritto "divino" di rappresentare o aver rappresentato le istituzioni. I compagni ricordino che il Manifesto non è l'ultima frontiera, anche se a malincuore e con difficoltà si riesce a staccarsi dal gruppo costruito insieme, ma quello che ci interessa è un bene superiore, è l'abbattimento del sistema mediante la costruzione di un partito che diriga l'apertura di un processo rivoluzionario, questo significa che ovunque siamo è necessario, doveroso, possibile, iniziare di nuovo, anche in pochi, non importa, non contano le quantità, l'aggregazione spicciola, conta il programma, il rapporto corretto con le masse, la direzione politica realizzata da reali dirigenti del movimento.

Per ultimo due cose.

Uno, la possibilità di trovare la "sede" in cui poter dibattere queste cose insieme, e tutte le altre al di fuori di un settarismo che potrebbe nascere a dismisura rispetto a questi tempi politici, per un confronto critico delle posizioni, in funzione di giusto rapporto con le masse.

Due, che la nostra "non appartenenza" al Manifesto venga resa pubblica e motivata sul giornale, riservandoci una dichiarazione successiva o lettera da pubblicare in proposito.

Saluti comunisti.

Marzo 1972

Ex-militanti del Manifesto nel C.P. Enel

(seguono 12 firme)