Biblioteca Multimediale Marxista


Lo Stato non è la Patria


 


Lettera di Michail Bakunin indirizzata ai compagni anarchici italiani

La gioventù mazziniano-garibaldina non s’era mai posta questa domanda:Che rappresenta effettivamente un tale Stato italiano pel popolo? Perché mai deve amarlo e tutto a lui sacrificare? Quando si faceva questa domanda a Mazzini - e ciò non accadeva che raramente, tanto sembrava semplice e facile - egli rispondeva con gran parole: <<Patria donata da Dio!Santa missione storica! Culto delle tombe!Ricordo solenne dei martiri! Lungo e glorioso sviluppo delle tradizioni! Roma antica! Roma dei papi! Gregorio VIII! Dante! Savonarola! Roma del popolo!>>. Tutto ciò era così nebuloso, così bello, e nel medesimo tempo sì assurdo, da essere sufficiente per abbagliare e stordire i giovani spiriti, più adatti d’altronde all’entusiasmo e alla fede che alla ragione e alla critica. E la gioventù italiana, mentre si faceva uccidere per questa Patria astratta, malediceva la brutalità e il materialismo delle masse, dei contadini in particolare, che mai si son mostrati disposti al sacrificio per la grandezza e per l’indipendenza di questa Patria politica, dello Stato.
Se la gioventù si fosse data la briga di riflettere avrebbe capito, e forse da lungo tempo, che l’indifferenza ben netta delle masse popolari pel destino dello Stato italiano non solo non è un disonore per esse, ma prova, al contrario, d’una intelligenza istintiva che fa comprendere come questo Stato unitario e centralizzato sia, per sua natura, a loro estraneo, ostile, e proficuo solo, per le classi privilegiate di cui garantisce, a lor danno, il dominio e la ricchezza. La prosperità dello Stato è la miseria della nazione reale, del popolo; la grandezza e la potenza dello Stato è la schiavitù del popolo. Il popolo è il nemico naturale e legittimo dello Stato; e sebbene si sottometta - troppo sovente, ahimè - alle autorità, ogni forma di autorità gli è odiosa.
Lo Stato non è la Patria; è l’astrazione, la finzione metafisica, mistica, politica, giuridica della Patria; ma si tratta di un amore naturale, reale; il patriottismo del popolo non è un’idea, ma un fatto; e il patriottismo politico, l’amore dello Stato, non è la giusta espressione di questo fatto, ma un’espressione snaturata per mezzo d’una menzognera astrazione, sempre a profitto di una minoranza che sfrutta. La Patria, la nazionalità, come l’individualità è un fatto naturale e sociale, fisiologico e storico al tempo stesso; non è un principio. Non si può definire principio umano che quello che è universale, comune a tutti gli uomini; ma la nazionalità li separa: non è, dunque, un principio. Principio è, invece, il rispetto che ognuno deve avere pei fatti naturali, reali o sociali. E la nazionalità, come l’individualità, è uno di questi fatti. Dobbiamo, dunque rispettarla. Violarla è un misfatto e , per parlare il linguaggio di Mazzini, diviene un sacro principio ogni volta che è minacciata e violata. Ed è per questo ch’io mi sento sempre e francamente il patriota di tutte le patrie oppresse. La Patria rappresenta il diritto incontestabile e sacro di tutti gli uomini, associazioni, comuni, regioni, nazioni, di vivere, pensare, volere, agire a loro modo e questo modo è sempre il risultato incontestabile di un lungo sviluppo storico.
Patria e nazionalità
Lo Stato non è la Patria; è l’astrazione, la finzione metafisica, mistica, politica, giuridica della Patria;ma si tratta di un’amore naturale, reale; il patriottismo del popolo non è un’idea, ma un fatto; e il patriottismo politico, l’amore dello Stato, non è la giusta espressione di questo fatto, ma un’espressione snaturata per mezzo d’una menzognera astrazione, sempre a profitto di una minoranza che sfrutta. La Patria, la nazionalità, come l’individualità è un fatto naturale e sociale, fisiologico e storico al tempo stesso; non è un principio. Non si può definire principio umano che quello che è universale, comune a tutti gli uomini; ma la nazionalità li separa: non è, dunque, un principio. Principo è, invece, il rispetto che ognuno deve avere pei fatti naturali, reali o sociali. E la nazionalità, come l’individualità, è uno di questi fatti. Dobbiamo, dunque rispettarla. Violarla è un misfatto e, per parlare il linguaggio di Mazzini, diviene un sacro principio ogni volta che è minacciata e violata. Ed è per questo ch’io mi sento sempre e francamente il patriota di tutte le patrie oppresse.
L’essenza della nazionalità. La Patria rappresenta il diritto incontestabile e sacro di tutti gli uomini, associazioni, comuni, regioni, nazioni, di vivere, pensare, volere, agire a loro modo e questo modo è sempre il risultato incontestabile di un lungo sviluppo storico. Pertanto, noi ci inchiniamo innanzi alla tradizione e alla storia; o meglio la rispettiamo, e non perché ci si presenta come astrazione elevata a metafisica, giuridicamente e politicamente per intellettuali e professori del passato, bensì perché essa ha incorporato di fatto la carne e il sangue, i pensieri reali e le volontà delle popolazioni. Se si parla di una certa regione - il canton Ticino (in Svizzera) per esempio - essa apparterrebbe evidentemente alla famiglia italiana: la sua lingua, i suoi costumi e le sue particolarità sono identiche a quelli della popolazione della Lombardia e, di conseguenza, dovrebbe passare a far parte dello Stato Italiano unificato.
Crediamo che si tratta di una conclusione radicalmente falsa. Se esistesse realmente una sostanziale identità tra il canton Ticino e la Lombardia, non ci sarebbe dubbio alcuno che il Ticino si unirebbe spontaneamente alla Lombardia. Ma non è così, e se non si sente il grande desiderio di farlo, ciò dimostra semplicemente che la Storia reale - quella in vigore generazione dopo generazione nella vita reale del popolo del canton Ticino, è la dimostrazione della sua contrarietà all’unione con la Lombardia - è cosa completamente distinta dalla storia iscritta nei libri.
D’altra parte, bisogna dire che la storia reale degli individui e dei popoli non solo procede verso uno sviluppo positivo, bensì molto spesso verso la negazione del suo passato e per la ribellione contro di esso; e questo è il diritto della esistenza, l’inalienabile diritto di questa generazione, la garanzia della sua libertà.
La nazionalità e la solidarietà universale. Non c’è niente di più assurdo e al tempo stesso più dannoso e mortifero per il popolo che erigere il principio fittizio della nazionalità come ideale di tutte le aspirazioni popolari. La nazionalità non è un principio umano universale. E’ un fatto storico e locale che, come tutti i fatti reali e innocui, ha diritto ad esigere la sua generale accettazione. Ogni popolo fino alla più piccola unità etnica o tradizionale possiede le proprie caratteristiche, il suo specifico modo di esistenza, la sua maniera di parlare, di sentire, di pensare, e di agire; e questa idiosincrasia costituisce l’essenza della nazionalità, risultato di tutta la vita storica e sommatoria totale delle condizioni vitali di questo popolo.
Ogni popolo, come ogni persona è quello che è, e per questo ha un diritto ad essere se stesso. In questo consistono quelli chiamati diritti nazionali. Però se un popolo e una persona esistono di fatto in una determinata forma, non ne consegue che l’uno e l’altro abbiano il diritto ad elevare la nazionalità in un caso e l’individualità nell’altro, come principi specifici, e nemmeno si debba passare la vita discutendo sopra la questione. Al contrario, quanto meno pensano a se stessi e più acquisiscono valori umani universali, più si rivitalizzano e più si caricano di sentimento, tanto la nazionalità quanto l’individualità. La responsabilità storica di tutta la nazione. La dignità di tutta la nazione, come dell’individuo, deve consistere fondamentalmente nel fatto che ognuno accetta la piena responsabilità delle sue azioni, senza cercare di colpevolizzare altri. Non sono molto stupide le lamentele lacrimose di un fanciullo che protesta perchè qualcuno lo ha corrotto e condotto nella cattiva strada? E quello che è improprio nel caso di un ragazzo lo è certamente anche nel caso di una nazione, cui lo stesso sentimento di autostima dovrebbe impedire qualunque intento di imputare ad altri la colpa dei propri errori.
Patriottismo e giustizia universale. Ognuno di noi dovrebbe elevarsi sopra questo patriottismo piccolo e meschino, per il quale, il proprio paese è il centro del mondo, e che considera grande una nazione quando è temuta dai suoi vicini. Dobbiamo porre la giustizia umana universale sopra tutti gli interessi nazionali e abbandonare una volta per tutte il falso principio della nazionalità, inventato recentemente dai despoti della Francia, Prussica e Russia per schiacciare il supremo principio della libertà. La nazionalità non è un principio, è un diritto legittimo come l’individualità. Ogni nazione, grande o piccola ha l’indiscutibile e medesimo diritto ad esistere, a vivere in accordo con la propria natura. Questo diritto è semplicemente il corollario del principio generale della libertà. Tutti quelli che desiderano sinceramente la pace e la giustizia internazionale devono rinunciare una volta per sempre a quello che si chiama la gloria, il potere la grandezza della Patria, a tutti gli interessi egoisti e vani del patriottismo.
Sulla scuola
I preti di tutte le chiese, lungi dal sacrificarsi al gregge confidato alle loro cure, lo hanno sempre sacrificato, sfruttato e mantenuto al livello di mandria, in parte per soddisfare le loro passioni personali, ed in parte per servire l’onnipotenza della Chiesa. Le stesse condizioni, le stesse cause producono sempre gli stessi effetti. Lo stesso accadrà dunque per i professori della Scuola moderna, divinamente ispirati e patentati dallo Stato. Diverranno necessariamente, alcuni senza saperlo, altri con piena conoscenza di causa, gli insegnanti della dottrina del sacrificio popolare alla potenza dello Stato e a profitto delle classi privilegiate. Occorrerà dunque eliminare dalla società ogni insegnamento ed abolire tutte le scuole? Tutt’altro. E’ necessario anzi diffondere a piene mani l’istruzione nelle masse, e trasformare tutte le chiese, tutti questi templi dedicati alla gloria di Dio e all’asservimento degli uomini, in altrettante scuole d’emancipazione umana. Ma, anzitutto, intendiamoci: le scuole propriamente dette, in una società normale, fondata sulla uguaglianza e sul rispetto della libertà umana, dovranno esistere solo per i fanciulli e non già per gli adulti, e, perché esse diventino scuole di emancipazione non di servitù, bisognerà eliminare, prima di tutto, questa finzione di Dio, l’oppressore eterno e assoluto; e bisognerà fondare tutta l’educazione dei fanciulli e la loro istruzione sullo sviluppo scientifico della ragione, non su quello della fede; sullo sviluppo della dignità e dell’indipendenza personale, non su quello della pietà e dell’obbedienza; sul culto della verità e della giustizia, e prima di tutto sul rispetto umano, che deve sostituire in tutto e ovunque il culto divino. Il principio dell’autorità, nell’educazione dei fanciulli, costituisce il punto di partenza naturale; esso è legittimo, necessario, allorché è applicato ai fanciulli in tenera età, allorché la loro intelligenza non è ancora in alcun modo sviluppata; ma appena lo sviluppo di ogni cosa, e per conseguenza anche dell’educazione, comporta la negazione successiva dei punti di partenza, questo principio deve ridursi gradualmente a misura che avanzano l’educazione el’istruzione, per far posto alla libertà che ascende. Qualsiasi educazione razionale non è in fondo che la eliminazione progressiva dell’autorità a profitto della libertà giacché lo scopo finale dell’educazione dev’essere quello di formare degli uomini liberi e pieni di rispetto e d’amore per la libertà altrui. Così il primo giorno della vita di scuola, se la scuola prende i fanciulli di tenera età, quando essi cominciano appena a balbettare qualche parola, deve essere il giorno dell’autorità più severa e dell’assenza quasi completa della libertà; ma il suo ultimo giorno deve essere quello della più grande libertà e dell’abolizione assoluta di ogni traccia del principio animale o divino dell’autorità. Il principio d’autorità, applicato agli uomini che hanno sorpassato o raggiunto la maggiore età, diventa una mostruosità, una negazione intellettuale e morale. Sventuratamente, i governi paternalistici hanno lasciato marcire le masse popolari in una così profonda ignoranza, che sarà necessario fondare delle scuole non solamente per i figli del popolo, ma per il popolo stesso. Da queste scuole dovranno essere assolutamente bandite le più piccole applicazioni o manifestazioni del principio di autorità. Non saranno più scuole, saranno accademie popolari in cui non ci sarà più questione né di scolari, né di maestri, dove il popolo verrà liberamente a prendere, se lo trova necessario, un insegnamento libero, e nelle quali, ricco della sua esperienza, potrà insegnare, a sua volta, molte cose ai professori che gli apportano cognizioni che egli non ha. Questo sarà dunque un insegnamento scambievole, un atto di fraternità intellettuale tra la gioventù istruita e il popolo.
Michele Bakunin