Biblioteca Multimediale Marxista
O.N. 20 Luglio 1921
Poche parole schematiche sulla marcia verso destra della socialdemocrazia in
Italia.
In ripetute sue proclamazioni ufficiali il Partito socialista si è mosso
su di un terreno nettamente "pacifista", per quanto riguarda i metodi
di lotta che il proletariato deve adottare, ossia ha fatto proprio il punto
di vista dei turatiani: disarmo degli odi, degli spiriti e delle mani, lotta
con le armi civili (ossia incruente) della propaganda e della discussione, condanna
dell'uso della violenza armata non solo per l'offensiva ma altresì per
la difesa del proletariato. Questo vuol dire che il partito socialista, se non
è ancora integralmente d'accordo col punto di vista di Turati in quanto
questi giunge fino ad ammettere la "collaborazione di Governo" colla
borghesia condivide però i suoi metodi legalitari e socialdemocratici.
Sono, è vero, due distinte questioni. Chi ammette la collaborazione borghese
è contro le direttive rivoluzionarie dei comunisti, ma lo è anche
chi, senza pur giungere a tanto, nega l'uso concreto della violenza nella lotta
di classe, chiudendosi così nei limiti tattici dell'uso dei mezzi che
offrono le istituzioni borghesi. Basta questo, per la critica comunista, e per
le esperienze della storia rivoluzionaria, per concludere che si giungerà
fatalmente alla rinunzia alla rivoluzione, e alla complicità con la controrivoluzione.
Vediamo perché le cose italiane stanno riconfermando questo.
Quale è il fondamento di principio del "socialpacifismo"? E'
desso il cristiano, il tolstoiano "tu non ucciderai"; "tu porgerai
l'altra guancia all'offensore"? Evviva! Se a queste fisime credessero i
socialdemocratici, sarebbero certo meno pericolosi, ma anche più sciocchi
di quello che sono.
Non uccidere il fascista, non rispondere alle sue provocazioni, è una
parola d'ordine contingente che discende da altro principio generale che non
sia quello eternamente morale ora ricordato. Quale esso è dunque?
Proviamo a confrontare se la socialdemocrazia ha "sempre" condannata
la violenza in senso assoluto, perché violenza. Turati, banditore, come
abbiamo notato, al suo partito di quella parola d'ordine di passività.
Ricordiamo il suo pensiero e il suo linguaggio quando la violenza delle armi
dell'esercito austriaco dilagava sul territorio italiano, nell'ottobre del 1917,
dopo la rotta di Caporetto. Diceva egli ai soldati italiani: non uccidete, gettate
le armi, non usate la violenza contro la violenza? Egli diceva l'opposto; egli
esaltava e santificava la resistenza armata e violenta delle truppe italiane
sul Grappa. Quando noi avanzavamo la tesi rivoluzionaria della negazione della
difesa nazionale, egli prestandoci per comodità polemica una motivazione
"tolstoiana" ( mentre noi partivamo dalla parola d'ordine "le
armi dei proletari non contro altri proletari, ma contro il nemico di classe,
contro il nemico interno") definiva un simile criterio "idiota e nefando".
Deve esistere una continuità logica tra queste due posizioni prese dal
"socialpacifismo" dinanzi alle due diverse situazioni della invasione
nemica e del brigantaggio fascista. E non è difficile fissarla.
Il socialdemocratico, il socialpacifista, non è contro la violenza in
generale. Egli riconosce una funzione storica e sociale alla violenza. Nega
egli forse la necessità di arrestare e se occorre di uccidere il delinquente
comune, l'aggressore da strada maestra? No, certo. A tali casi egli paragona
la invasione militare, ma si rifiuta di paragonare l'offensiva "civile"
della guardie bianche. Dove la distinzione che lo guida?
Il socialpacifista non lo dice ma lo diremo noi. La distinzione riposa sulla
considerazione della "funzione del potere statale costituito". E la
distinzione è semplicissima. Se la violenza è adoperata dal potere
statale, per sua volontà, per sua disposizione, essa è legittima.
Legittima, dunque, e santa la difesa armata e sanguinosissima sul Grappa, poiché
è lo Stato che la sanziona, la chiede, la organizza e la ordina. Ma illegittima
la difesa contro il fascismo, perché essa è di iniziativa estrastatale,
estralegale.
Contro il fascismo non bisogna difendersi, ma non perché ciò disarmerà
il fascismo - crediamo di non dover mai giungere a trattare Turati da vecchio
rimbambito! - bensì perché, nella mentalità socialpacifista
è allo Stato che tocca la repressione della violenza fascista, interpretata
come anch'essa estrastatale ed estralegale.
Continuando a seguire il raziocinio e la politica socialpacifista. Questo orientamento
equivale a sottoscrivere un principio squisitamente borghese, un principio contro
il quale "ha parlato il socialismo marxista tutte le volte che ha parlato,
anche per bocca di Filippo Turati". Il principio che, da quando esista
- per fatto di violenza pur "santa" sebbene si svolgesse contro lo
"Stato costituito" di altri tempi - lo Stato democratico e parlamentare,
è chiuso il periodo delle violenze tra privati, gruppi e classi della
società, e lo Stato esiste per trattare queste iniziative di violenza
alla stregua di azioni antisociali.
Questa logica linea teorica vede una sua parallela nella odierna politica, e
nella fatale politica di domani del Partito Socialista italiano.
Esso ha lanciato la parola d'ordine del disarmo e della non resistenza al fascismo.
Il fascismo non ha disarmato. Il P.S.I. ha lanciata la parola d'ordine del ricorso
ai mezzi civili e legalitari dell'azione elettorale. Notevoli forze del proletariato
lo hanno seguito. Il fascismo non ha disarmato.
Il Partito Socialista si rifiuta di porsi dal punto di vista comunistico secondo
cui il fascismo non è che un altro aspetto della violenza statale borghese
contrapposta alla fatale violenza rivoluzionaria del proletariato come "ultima
ratio" difensiva e controffensiva. Il Partito Socialista persegue uno stagnamento
della situazione entro il ritorno "alla vita normale" che gli lasci
continuare la tradizionale opera pacifica a cui è foggiata la sua struttura.
Non essendo a questo scopo stata sufficiente la politica del disarmo e l'affermazione
elettorale, il Partito Socialista è condotto alle trattative dirette
con i dirigenti del fascismo. Che queste falliscano oggi non vuol dir nulla.
Il solo abbordarle, dopo aver già spontaneamente proclamata la ufficiale
desistenza dalla lotta armata, vuol dire mettersi sul terreno di altre concessioni
che sono la logica conseguenza della fatale premessa "socialpacifista".
Vuol dire proporre un patto del genere: noi abbiamo disarmato: disarmi il fascismo
su questo terreno di reciproco impegno; ogni repressione di private violenze
passerà, ritornerà (tutto l'ardore del sospiro idiota e nefando
socialdemocratico si tende verso questo illusorio "ritorno") al legittimo
suo attore: lo Stato. Si è anche detto, ed è logico, ed è
verosimile, che i contraenti si impegnerebbero - se non sarà il fatto
di oggi sarà il fatto di domani - alla denunzia dei violenti contro la
legalità, da qualunque parte siano.
Consegnare allo Stato ogni "amministrazione della violenza" non è
solo riconoscere un principio squisitamente borghese. Il riconoscere un principio
che è "falso" deve condurre ad altre conseguenze. Poiché
è invece "vero" che lo Stato amministra la violenza ad uso
e consumo della borghesia, che il fascismo non è che un aspetto di questa
violenza, l'aspetto controffensivo, che anticipa l'attacco al proletariato offensore
rivoluzionario di domani (troppo la politica borghese darebbe ragione alla critica
rivoluzionaria comunista se scoprendo le sue batterie si servisse delle forze
ufficiali statali per intraprendere la suprema battaglia di classe prima che
l'iniziativa di audaci avanguardie proletarie l'abbia scatenata), il fascismo
non disarmerà che il giorno che gli risulti di aver disarmato, da ogni
velleità offensiva contro lo Stato costituito, contro le istituzioni
borghesi l'intero proletariato. La offerta del movimento dei bianchi alla socialdemocrazia
sarà dunque questa: per avere la garanzia che non vi saranno attentati
delle masse proletarie al legittimo potere statale, poiché a questo potere
voi riconoscete la funzione di compensazione della vita sociale e di repressione
di ogni iniziativa illegale di minoranze, prendete il timone dello Stato, partecipate
al governo borghese
Il corrente "buon senso" socialdemocratico vede questa situazione
sotto una altra luce. Esso carezza la illusione cretina di prendere in tutto
o in parte le redini dello Stato, per debellare la guardia regia e le forze
statali ufficiali la "illegalità" incivile del fascismo!! Ma
sia che il fascismo ceda il campo perché soddisfatto di aver condotto
al risultato di trasformare un partito di azione rivoluzionaria proletaria in
un partito di Governo nell'orbita delle istituzioni, sia che il fascismo sia
soppresso con atti di forza da questo governo (ipotesi che passiamo per "data
e non certa") una altra tappa del suo cammino dovrà la socialdemocrazia
percorrere. Raggiunta, attraverso i patti col fascismo, o attraverso la collaborazione
ministeriale, questa situazione di gerente dello Stato e quindi della violenza
legittimamente amministrata dal potere statale, che cosa farà essa quando
"i comunisti continueranno a predicare ed impiegare la violenza per l'attacco
rivoluzionario al potere dello Stato"?
Una cosa semplicissima: in principio, condannerà questa violenza rivoluzionaria,
ma non parlerà di non resistenza ad essa, come sembrerebbe discendere
dal suo pseudo cristianesimo della fase attuale, bensì concluderà
logicamente che lo Stato ha il diritto e il dovere di soffocarla.
In pratica: passerà alla guardia regia l'ordine di mitragliare il proletariato,
ossia quelli che per essa saranno in tale epoca i briganti antisociali che negano
la benefica funzione del governo "operaio".
Non ad altro sbocco saranno condotti quelli che sono partiti dal rinnegare l'uso
illegale e antistatale della violenza come mezzo fondamentale della lotta proletaria.
Non altra via ha percorso Noske.
Lo indicano la critica marxista e la realtà drammatica che viviamo oggi,
in Italia.
20 Luglio 1921