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Per IMPERIALISMO DELLE MULTINAZIONALI intendiamo la fase dell'imperialismo 
  in cui domina il capitale monopolistico multinazionale.
  Il monopolio multiproduttivo-multinazionale, cioè grandi trust, con aziende 
  in vari paesi e investimenti in diversi settori, è ora l'elemento strutturale 
  dominante e la base fondamentale dei movimenti del capitale, non è più 
  quindi l'area nazionale, ma l'area capitalistica nel suo complesso.
  Se l'elemento costitutivo fondamentale dell'imperialismo è stato sin 
  dal suo sorgere il capitale monopolistico, è però solo con la 
  seconda guerra mondiale che si ha il definitivo affermarsi in tutta l'area capitalistica 
  del capitale monopolistico multinazionale. I grandi gruppi monopolistici possono 
  ora superare definitivamente i loro confini nazionali per spaziare liberamente 
  su tutta l'area e la struttura multinazionale diviene fattore necessario ed 
  indispensabile per ogni ulteriore sviluppo. È infatti grazie ad essa 
  che si possono sfruttare pienamente i diversi saggi di profitto presenti nell'area 
  e realizzare così quegli enormi soprapprofitti che sono il dato caratteristico 
  dell'accumulazione nella fase imperialista.
  La "multinazionalità" quindi non è semplicemente internazionalizzazione 
  del mercato capitalistico, ma internazionalizzazione del capitale nella sua 
  totalità! strutture produttive, mercato, rapporti di proprietà 
  ecc.
  Questo processo di internazionalizzazione del capitale determina all'interno 
  del fronte borghese la dominanza della BORGHESIA IMPERIALISTA, espressione di 
  classe del capitale monopolistico multinazionale e parallelamente al suo affermarsi 
  vanno consolidandosi anche i suoi strumenti istituzionali di mediazione e di 
  dominio (Trilateral, Stato Imperialista delle Multinazionali, FMI, CEE,...),
  Dominanza del capitale multinazionale e della borghesia imperialista, non significa 
  però che ogni capitale è in questa fase un capitale multinazionale, 
  ma che ogni altra forma capitalistica, sia essa nazionale o non monopolistica, 
  va ora analizzata nei suoi rapporti di dipendenza organica dal capitale multinazionale: 
  sono i movimenti del capitale multinazionale che determinano in ultima istanza 
  i movimenti di tutti gli altri capitali. Non si ha quindi il superamento delle 
  contraddizioni all'interno del fronte borghese, ma il loro riproporsi sotto 
  forme diverse: ora la contraddizione intercapitalistica principale non è 
  più tra capitali nazionali (quindi tra aree nazionali e borghesie nazionali), 
  ma tra grandi gruppi multinazionali (quindi percorrono verticalmente la borghesia 
  imperialista).
  Con questo non si vuoi negare l'esistenza anche di contraddizioni tra le varie 
  "nazioni " capitalistiche o tra capitale monopolistico e capitale 
  non monopolistico, ma pensiamo che queste contraddizioni siano essenzialmente 
  il riflesso di contraddizioni ben più profonde tra gruppi multinazionali. 
  Le varie aree nazionali infatti sopravvivono ora come retroterra delle multinazionali: 
  per ogni multinazionale, l'area nazionale in cui è nata e si è 
  sviluppata, diventa il suo "punto di forza", la zona in cui essa gode 
  di un monopolio quasi incontrastato. Quando parliamo di multinazionali infatti 
  sottintendiamo sempre "multinazionali con polo nazionale", e per questo 
  usiamo le espressioni, a prima vista contraddittorie, "multinazionali americane, 
  tedesche, ecc.".
  Il capitale non monopolistico, dipendendo organicamente da quello monopolistico, 
  vive certamente con esso in unità contraddittoria, ma non può 
  avere ovviamente la possibilità e la forza materiale di dar luogo ad 
  una espressione politica di queste contraddizioni sotto forma di rottura del 
  fronte imperialista. L'imperialismo delle multinazionali si presenta perciò 
  come un sistema di dominio globale in cui i vari "capitalismi nazionali" 
  sono semplicemente sue articolazioni organiche, e le diverse "aree nazionali" 
  sussistono come espressione geografica della divisione internazionale del lavoro 
  da esso determinata.
  Possiamo quindi trarre una prima considerazione. In ogni area nazionale il proletariato 
  non si trova a fare i conti con la sua "borghesia nazionale" ma con 
  l'articolazione locale della borghesia imperialista. Questo conferisce, anche 
  nelle metropoli, alla lotta di classe del proletariato il carattere di lotta 
  antimperialista e quindi, più in generale la GUERRA DI CLASSE RIVOLUZIONARIA.
  Nelle metropoli è immediatamente anche GUERRA DI LIBERAZIONE ANTIMPERIALISTICA, 
  GUERRA DI LUNGA DURATA.
  La catena imperialista resta comunque caratterizzata, come abbiamo visto, dal 
  suo sviluppo ineguale, che si manifesta in ogni suo anello attraverso la specificità 
  della sua formazione economico sociale (rapporto tra capitale multinazionale 
  dominante e capitale multinazionale del "polo", fra capitale monopolistico 
  e non monopolistico. tra borghesia imperialista "interna" e proletariato) 
  per cui la lotta di classe pur in questa sua omogeneità strategica di 
  contenuto e di prospettiva, si presenta ancora con forme specifiche e tempi 
  propria seconda delle diverse aree nazionali.
L'imperialismo è guerra
L'attuale crisi economica che coinvolge il sistema imperialistico nel suo complesso 
  è crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale rispetto all'intera 
  area capitalistica occidentale. Il mezzo con cui l'imperialismo ha sempre storicamente 
  risolto le sue periodiche crisi di sovrapproduzione è stata la guerra. 
  Infatti la guerra permette innanzi tutto alle potenze imperialiste vincitrici 
  di allargare la loro base produttiva a scapito di quelle sconfitte, ma soprattutto 
  guerra significa distruzione di capitali, merci, e forza lavoro, quindi possibilità 
  di ripresa del ciclo economico per un periodo di tempo abbastanza lungo.
  All'imperialismo in questa fase si ripropone quindi il dramma ricorrente della 
  produzione capitalistica: ampliare la sua area per poter ampliare la sua base 
  produttiva.
  Infatti rimanere ancora "ristretto" nell'area occidentale, significa 
  per l'imperialismo accumulare contraddizioni sempre più laceranti: la 
  concentrazione dei capitali cresce in modo accelerato, il saggio di profitto 
  raggiunge valori bassissimi, la base produttiva diviene sempre più ristretta, 
  la disoccupazione aumenta paurosamente. A brevi e apparenti momenti di ripresa 
  seguono inevitabilmente fasi recessive sempre più gravi e si determina 
  così di fatto un processo di crisi permanente (lo svolgersi della crisi 
  in questi ultimi anni lo dimostra ampiamente).
  Si pone perciò all'imperialismo la necessità sempre più 
  impellente di allargare la sua area. Ma questo allargamento può avvenire 
  solo a spese del Social-Imperialismo (URSS e paesi del Patto di Varsavia) e 
  conduce quindi inevitabilmente allo scontro diretto USA-URSS.
  Gli scontri parziali per "interposte persone" a cui stiamo assistendo 
  in Medio Oriente, Africa non sono che i primi passi di questo processo.
  È questa quindi la prospettiva storica che il capitale monopolistico 
  multinazionale pone in questa fase a se stesso e al movimento rivoluzionario. 
  All'interno di questa prospettiva storica la posizione del proletariato non 
  può che oggettivamente porsi come urto frontale e decisivo con il dominio 
  imperialista e la sua diretta tattica non può che essere fissata da questa 
  stessa prospettiva storica: o guerra di classe nella metropoli imperialista 
  o terza guerra imperialista mondiale.
  Le varie potenze imperialiste infatti non possono farsi guerra se non hanno 
  il proprio retroterra "pacificato e solidale" per poter così 
  sostenere la durezza dello scontro. Si potrebbero fare molti esempi di guerre 
  interimperialistiche che si sono concluse appena si è presentato anche 
  solo il pericolo della rivoluzione comunista e i diversi imperialismi, che prima 
  si mostravano acerrimi nemici, si sono uniti contro il proletariato insorto 
  in armi. Ne bastino due: la Comune di Parigi e la Rivoluzione d'Ottobre.
  Ecco la lezione che Marx trae dalla Comune:
  « ... che dopo la guerra più sconvolgente dei tempi moderni, il 
  vinto ed il vincitore fraternizzino per massacrare in comune il proletariato, 
  questo fatto senza precedenti prova, non come pensa Bismarck lo schiacciamento 
  definitivo di una nuova società al suo sorgere, ma la decomposizione 
  completa della vecchia società borghese. Il più alto slancio di 
  eroismo di cui la vecchia società è ancora capace è la 
  guerra nazionale: ed è ora dimostrato che questa è una semplice 
  mistificazione dei vari governi, la quale tende a ritardare e ad affossare la 
  lotta delle classi e viene messa da parte non appena questa lotta di classe 
  divampa in guerra civile ». '
  Inoltre nella crisi che precede la guerra i rapporti di forza sono strategicamente 
  favorevoli alla rivoluzione proletaria. La crisi infatti genera contraddizioni 
  sociali fortissime che determinano uno scontro di classe violentissimo, e nella 
  misura in cui questo scontro di classe si approfondisce e si sviluppa trasformandosi 
  in Guerra di Classe, la borghesia non può porsi sul terreno della guerra 
  imperialista: la crisi diviene così irreversibile, acuendo contemporaneamente 
  ancor più il processo di guerra civile in atto.
  È questa la dialettica che potrà inchiodare lo sviluppo capitalistico.
  Possiamo perciò formulare la seguente generalizzazione: nella crisi la 
  parola d'ordine della borghesia è "bloccare il processo di guerra 
  civile trasformandolo in guerra imperialista e sconfiggere così la rivoluzione"; 
  quella dei comunisti deve necessariamente essere: "sviluppare il processo 
  di guerra civile in atto ed impedire così la guerra imperialista".