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LO STATO IMPERIALISTA
DELLE MULTINAZIONALI


 

a - È necessario innanzitutto fissare alcuni criteri metodologici che stanno alla base della determinazione del concetto di Stato Imperialista.
Cominciamo perciò col dire che non crediamo che la sostanza del capitalismo, cioè le sue contraddizioni specifiche, si sia modificata nel corso di questo secolo. Si è modificata invece la forma e cioè il modo in cui queste contraddizioni tendono a manifestarsi storicamente.
Per spiegarci meglio accenniamo alla divergenza tra Lenin e Bucharin a proposito della natura del capitalismo. A Bucharin che sosteneva che l'imperialismo era un fenomeno completamente nuovo rispetto al capitalismo della libera concorrenza, Lenin così rispondeva: « L'imperialismo è una sovrastruttura del capitalismo », cioè alla base dell'imperialismo stanno le stesse contraddizioni del capitalismo: la sostanza è rimasta immutata, solo la forma si è modificata (da "capitalismo privato" a "capitalismo monopolistico di Stato" dalla "libera concorrenza" alla "concorrenza tra monopoli"...).
Il problema per Lenin non era cioè quello di un superamento delle categorie fondamentali dell'analisi marxista, ma di una loro ridefinizione formale (storico-politica) alla luce della nuova realtà.
Parafrasando Lenin, anche noi possiamo dire che: "l'imperialismo delle multinazionali è una sovrastruttura dell'imperialismo" e che, quindi, il nostro compito non è quello di buttare a mare le categorie dell'analisi leninista ("Stato nazione", "catena imperialista", "anello debole"...), ma di riconsiderare la forma e, quindi, esplicitarla, che esse assumono nella presente fase politica.
Stesso discorso è da fare per le categorie "partito" e "dittatura del proletariato", la nostra riconsiderazione teorico-pratica del Partito comunista combattente non è infatti altro che la riproduzione della sostanza dell'esperienza leninista, e dei suoi sviluppi con la rivoluzione cinese, nella fase attuale. Per questo ci definiamo "marxisti-leninisti".
b - Lo Stato Imperialista delle Multinazionali è la sovrastruttura istituzionale "nazionale" corrispondente alla fase dell'imperialismo delle multinazionali. Suoi caratteri essenziali sono: formazione di un personale politico imperialista; rigida centralizzazione delle strutture statali sotto il controllo dell'Esecutivo; riformismo ed annientamento come forme integrate della medesima funzione: la controrivoluzione preventiva.

Formazione di un personale politico imperialista

Con lo sviluppo anche nella nostra area, a partire dalla metà degli anni '50 (dopo il '57 con la massiccia penetrazione del capitale multinazionale USA e con il contemporaneo sviluppo del nostro capitale nazionale su scala internazionale), di una struttura economica multinazionale, viene formandosi all'interno della borghesia una frazione di borghesia imperialista.
Definiamo borghesia imperialista "interna" quella frazione della classe borghese integrata nel sistema imperialista mondiale, espressione del capitale monopolistico multinazionale ed elemento trainante del processo di ristrutturazione imperialista della nostra area economica e delle relative sovrastrutture politiche e istituzionali.
Nello stesso periodo gli strumenti istituzionali sovranazionali (FMI, CEE, NATO), mediante i quali la borghesia imperialista vuole imporre la sua strategia globale, acquistano forza ed assumono un grado di potere tale da subordinare e funzionalizzare a sé gli "stati nazionali" che in questo processo sono così costretti a ridefinirsi nelle loro strutture interne.
Questi Stati, ristrutturandosi, si predispongono a svolgere due ruoli fondamentali:
— Cinghia di trasmissione degli interessi economici-strategici globali dell'imperialismo dominante;
— "Normalizzazione dell'area", vale a dire organizzazione della controrivoluzione preventiva al fine di annichilire ogni "velleità" rivoluzionaria.
Naturalmente queste funzioni, negli anelli economicamente più deboli e politicamente più instabili, diventano decisive e perciò vengono portate avanti dalla borghesia imperialista "interna" utilizzando le pratiche e i modelli repressivi più avanzati già operanti negli anelli più forti e sotto la supervisione dei centri del comando sovranazionale.
« Lo Stato-nazione diventa cinghia di trasmissione del capitale internazionale organizzato contro il popolo. Lo Stato-costituzionale borghese, nel suo processo di evoluzione contraddittoria tra socializzazione della produzione e concentrazione internazionale del capitale deve essere dissolto e sostituito dallo Stato-forte o dalla democrazia armata ». (Croissant)
Come tutti i processi storici anche questo cammina sulle gambe degli uomini.
L'emergere della borghesia imperialista "interna" come frazione dominante della borghesia, ha così un'altra conseguenza: l'affermarsi nelle articolazioni vitali del potere di un personale economico-politico-militare che è la più diretta espressione dei suoi interessi.
Questa nuova burocrazia efficiente, intercambiabile, "europea" non viene più selezionata, qualificata dalle vecchie scuole di partito, ma direttamente dai Centri di formazione quadri, dalle Fondazioni, dalle Fabbriche dei cervelli predisposte allo scopo dalle grandi multinazionali.
Condizione imprescindibile della sua funzione è una presenza egemone negli apparati di dominio che compongono lo Stato o che comunque articolano la sua azione e cioè i fondamentali centri del potere: Governo, Banca d'Italia, Confindustria, Mass-media... Suo compito specifico è invece quello di ricercare e rendere operanti le mediazioni più equilibrate, cioè meno contraddittorie, tra gli interessi capitalistici dominanti e quelli particolari dell'area.
Si capisce subito che l'affermarsi della borghesia imperialista e del suo personale non è un processo lineare. infatti questa nuova burocrazia è tutt'ora in lotta per occupare i punti chiave dello Stato e quand'è il caso, scalzare dalle posizioni strategiche quegli uomini che esprimono interessi conflittuali e cioè propri delle altre frazioni della borghesia.
Nella nostra area vediamo, ad esempio, come in questi anni si sia venuto formando un personale politico strettamente legato ai circoli imperialistici, il quale, pur concentrandosi in un partito (DC), è presente in modo egemone in tutti gli altri partiti del cosiddetto "arco costituzionale" (certamente dal PSI al MSI) e tende a far valere la sua presenza in tutti i fondamentali centri del potere.
Vediamo anche che la vittoria di questo personale e naturalmente della frazione di borghesia che lo esprime, non è assolutamente un processo privo di contraddizioni, ma una lotta micidiale tra squali borghesi.
L'affermazione degli interessi complessivi dell'imperialismo passa dunque per una fase transitoria in cui le varie forze borghesi si scontrano e coesistono, rappresentando un elemento interno della crisi dello Stato. E però, questa crisi, che travaglia lo Stato, non spinge assolutamente verso la sua disgregazione, bensì alla sua ristrutturazione: Questa tendenza crisi-ristrutturazione, mostra che la contraddizione principale del movimento rivoluzionario è quella che lo oppone immediatamente al sistema di potere imperialista su scala mondiale.
Affrontare questa contraddizione significa quindi muoversi sul terreno della guerra di classe di lunga durata.
Forza centrale e strategica della gestione imperialista dello Stato, in Italia, è la Democrazia Cristiana. In questa chiave va letto il durissimo scontro in corso al suo interno e il cosiddetto processo di "rinnovamento". La crisi di identità che la DC sta attraversando, in modo particolare dal giugno '75, è determinata da due processi concomitanti: la crisi-ristrutturazione della strategia mondiale degli Stati imperialistici da un lato, e dall'altro la richiesta di potere del proletariato italiano in vario modo espressa dalle sue componenti politiche sia revisioniste che rivoluzionarie.
Nel quadro dell'unità strategica degli stati imperialisti le maggiori potenze alla testa della catena gerarchica richiedono alla DC di funzionare da polo politico nazionale della controrivoluzione, ma essa, così com'è attualmente strutturata risulta in larga misura inadatta allo scopo. Dunque si deve rinnovare e ciò vuol dire che deve ridefinirsi chiaramente come filiale nazionale efficiente della più grande multinazionale del crimine che l'umanità abbia mai conosciuto.
Solo da una DC ridefinita nel senso sopraindicato potrà venire la riconversione dello Stato-nazione in anello efficiente della catena imperialista e cioè potranno essere imposte le feroci politiche economiche e le profonde trasformazioni istituzionali in funzione apertamente repressiva, richieste dai partner della catena.
Il filo a piombo di tutta la complessa operazione è dunque la politica estera degli USA, della RFT e dei fondamentali centri motori dell'imperialismo (FMI, CEE, NATO...) nel senso che la politica “interna” di cui la DC deve farsi promotrice non può essere che una funzione diretta della politica "estera" di quei paesi e di quei centri.
Del resto non bisogna dimenticare che anche il Capitale è conscio del carattere non più ciclico delle proprie contraddizioni; che il suo fine è quello di sopravvivere all'interno di questa fase del suo sviluppo. Le teorie sulla "crescita zero" sono state scoperte dalla scienza borghese ormai da qualche tempo. L'irrisolvibilità delle contraddizioni nella sfera economica porta alla ricerca di una "indipendenza" dell'assetto politico-sociale tramite il potenziamento dell'apparato di dominio che si configura come "guerra preventiva" controrivoluzionaria. Vale a dire: lo stato diviene "soggetto della politica", come affermano i compagni della RAF. Ma, in questo non bisogna vedere il tentativo di annientare le contraddizioni sociali secondo il meccanismo repressione-passaggio ad una nuova fase di sviluppo, bensì il loro contenimento attraverso l'annientamento di ogni progetto di ricomposizione del conflitto di classe su un programma antagonista.
Nelle aspirazioni la legge dello sviluppo diseguale dovrebbe ridimensionare le ripercussioni dell'intensità del conflitto sociale in certe aree della catena imperialista (come l'Italia) con la riduzione del suo peso economico.
In questa prospettiva l'uso dei meccanismi deflattivi, se da un lato non porta segni di ripresa, dall'altro dovrebbe servire a circoscrivere l'attacco alle condizioni economico-sociali di una minor quota della popolazione, la meno privilegiata.
Anche la lotta armata, in questo quadro, dovrebbe venire ghettizzata, confinata, come fenomeno endemico, espressione spontanea dell'emarginazione, per esempio, lotta che non veda, oltre gli apparati civili nazionali (produttivi, amministrativi, partitico-istituzionali), quelli di guerra preventiva imperialistica.
Dice Schmidt: « Tra l'anarchia e la reazione c'è un ampio spazio per qualcosa di ponderato » spiegando a proposito di Italia, Giappone, Germania che «in nessun posto del mondo libero, dopo gli anni '30 e '40, il logorio della morale e dell'autorità è stato così grande come in questi tre Paesi... ci vuole molto tempo affinché questi valori possano ridiventare credibili ».

Rigida centralizzazione delle strutture Statali sotto il controllo dell'Esecutivo

La rigida centralizzazione dei centri vitali dello Stato nelle mani della borghesia imperialista attraverso la burocrazia è condizione necessaria per la sua ristrutturazione: solo così, infatti, è possibile controllare le tensioni particolari dell'area e risolverle, subordinandole, all'interno del piano imperialistico globale. Per questo nei vari Stati-nazione assistiamo allo svuotamento progressivo del potere del Parlamento e al rafforzamento di quello dell'Esecutivo.
Negli Stati-costituzionali borghesi, infatti il Parlamento istituzionalmente è la sede in cui dovrebbe, mediante la "lotta" tra i partiti, affermarsi la sintesi dei vari interessi particolari dell'area di cui questi partiti sono l'espressione; ma come tale esso risulterebbe poco "governabile" dall'imperialismo e quindi strumento inefficiente per la realizzazione della sua politica.
L'Esecutivo invece, nella misura in cui è direttamente controllato e formato da personale politico imperialista, è in grado di assolvere molto più efficacemente a questo compito.
Assistiamo così ad un capovolgimento dei ruoli: lo Stato non è più come nella tradizione liberai-democratica espressione dei vari partiti, ma ora sono i partiti ad essere "espressione" dello Stato; e l'Esecutivo non è più l'espressione politica dei rapporti di forza interni al Parlamento, ma lo strumento "straniero" degli interessi della borghesia imperialista nell'area nazionale. È lo Stato cioè che ora usa i partiti, li rivitalizza attraverso il finanziamento pubblico e se ne serve per mobilitare e organizzare le masse intorno alla sua politica.
Con l'affermazione dello Stato imperialista si compie quindi fino in fondo il processo di statalizzazione della società e come ha scritto Ulrike Meinhof:
« ... nella completa compenetrazione di tutti i rapporti dell'imperialismo attraverso il mercato e del processo di statalizzazione della società, attraverso gli apparati statali repressivi ed ideologici non esiste nessun luogo e nessun tempo dove tu potresti dire di qui io parto ».
Ma, nello stesso tempo, proprio il carattere globale, totalizzante e totalitario di questo dominio, crea una frattura insanabile tra "apparati" e "società civile" e l'uno e l'altra si ergono contrapposti nei loro interessi antagonistici. Così dal lato delle lotte proletarie la statalizzazione della società costituisce, suo malgrado, un potente fattore di unificazione e semplificando le mediazioni, anche di accentuazione del loro carattere rivoluzionario e antimperialista.

Nello Stato-imperialista riformismo e annientamento sono forme integrate della medesima funzione, la controrivoluzione preventiva

Poiché con la formazione dello Stato imperialista il carattere antagonistico della contraddizione di classe si svela fino in fondo, acuito inoltre dalla contraddizione tra interesse globale dell'imperialismo e interessi particolari dell'area (contraddizione interimperialistica), le forme e gli strumenti del dominio devono necessariamente rafforzarsi e raffinarsi al massimo grado. Istruito dalle lotte presenti e passate dei popoli su scala planetaria, consapevole della sua debolezza strategica e della forza tattica che l'enorme apparato gli conferisce, l'imperialismo delle multinazionali punta all'unico obbiettivo che può prolungargli la sopravvivenza: prevenire ed annientare la rivoluzione prima che essa possa dispiegarsi in tutta la sua potenza e mobilitare tutte le sue forze nel progetto strategico vitale: la controrivoluzione preventiva.
Con il riformismo, le piccole concessioni alle "aristocrazie" metropolitane, cerca di bloccare la lotta proletaria prima che raggiunga il livello di guardia, per recuperarla, rinserrandola poi all'interno del suo "sviluppo"; contemporaneamente, pacificate le retrovie, passa all'annientamento di quella parte di proletariato che non può "comprare" né rinserrare nel suo sviluppo.
Il riformismo non è mai separato dall'annientamento. Non è un'altra cosa. Il riformismo non è una politica della classe operaia, ma una politica dello stato imperialista contro il proletariato metropolitano.
Lo Stato imperialista delle multinazionali si presenta quindi come una struttura riformistico-repressiva altamente integrata e centralizzata. Da una parte abbiamo gli strumenti pacifici il cui scopo è assicurare il consenso delle masse: partiti istituzionali, sindacati, mass-media... Dall'altra gli strumenti militari il cui fine è l'annientamento: nuclei speciali, tribunali speciali, carceri speciali e cioè forze per la repressione generalizzata. Entrambi sono parti coesistenti e funzionali della stessa politica. Entrambi sono forme di uno stesso Stato.
Insomma Santillo è il gemello di Lama!
Questa coesistenza delle funzioni riformistico-repressive subisce poi, a seconda delle fasi del ciclo economico, delle modificazioni di qualità di una certa importanza, ma non tali da intaccare la sostanza dello Stato imperialista.
Così nella fase di espansione economica, lo Stato imperialista mostra soprattutto il volto umano e pacifico del riformismo che però nasconde denti di acciaio. In questa fase regna la pace, ma si tratta di una "pace armata". Al contrario, nella fase di crisi economica appaiono soprattutto le armi e il rapporto Stato-società si militarizza sempre più. Non per questo lo Stato imperialista rinuncia all'uso del riformismo. Solo che ora esso, avendo perduto la sua base materiale si trasforma in "pura ideologia" e tende ad assumere la funzione di "controllore delle masse", di "polizia antiproletaria".
In questa fase lo scontro tra rivoluzione e controrivoluzione si fa sempre più generalizzato e si entra così in una nuova fase: la guerra!
Il processo di controrivoluzione preventiva che caratterizza il movimento della borghesia imperialista in questa fase impone alle forze rivoluzionarie una nuova elaborazione della strategia per la presa del potere e quindi anche dei principi e delle forme organizzative.
Non avendosi più una fase politica separata da quella militare perché nello Stato imperialista riforma e annientamento sono coesistenti e funzionali, l'unica possibilità di praticare il terreno politico dello scontro si dà con il fucile in mano.
La strategia insurrezionalista di derivazione terzinternazionalista esce dalla storia e fa il suo ingresso la guerriglia, la guerra di classe di lunga durata.
Nella fase che abbiamo definito di "pace armata" (e cioè nella fase di espansione del ciclo in cui è prevalente l'uso degli strumenti riformistici su quelli più apertamente repressivi) dal lato delle forze rivoluzionarie prevale la tattica della propaganda armata mentre nella fase della "guerra" (e cioè nella fase di crisi del ciclo in cui diventano prevalenti gli strumenti di repressione e annientamento dei comportamenti antagonistici della classe) dal lato delle forze rivoluzionarie prevale la pratica della guerra civile rivoluzionaria.

Lo Stato imperialista delle multinazionali non è fascista né socialdemocratico

Nel passaggio dalla pace armata alla guerra si fa sempre più diretto e generalizzato lo scontro rivoluzione-controrivoluzione, ma non si ha però, come alcuni sostengono, una trasformazione dello Stato democratico in Stato fascista. Ci troviamo invece sempre in presenza di uno Stato che, ristrutturandosi, ha subito delle modificazioni nel peso specifico dei suoi componenti fondamentali: prima gli strumenti pacifico-riformisti avevano il predominio sugli strumenti militari-repressivi, ora invece l'annientamento predomina e subordina a sé la funzione riformista.
Fascismo e socialdemocrazia sono state forme politiche oscillanti che il potere della borghesia ha assunto nella fase del capitalismo monopolistico nazionale. Possiamo aggiungere ancora, semplificando al massimo, che fascismo e socialdemocrazia si sono, nella storia, reciprocamente esclusi. Nello stato imperialista invece, la sostanza di queste forme politiche coesiste, dando luogo ad un "regime" originale che perciò non è fascista né socialdemocratico, ma rappresenta un superamento dialettico di entrambe.
Alcuni definiscono la fase di transizione dalla pace armata alla guerra come processo di fascistizzazione e la forma politica dello Stato in questa fase come "nuovo fascismo".
Queste due categorie, anche se colgono alcuni aspetti del fenomeno, non riescono però a scavare in profondità e introducono così notevoli elementi di confusione.
Innanzitutto il fascismo non è un fenomeno metastorico (cioè al di fuori della storia), ma rappresenta la forma assunta dallo Stato borghese in una data fase di sviluppo delle forze produttive (capitalismo monopolistico a base nazionale) e come tale presenta specificità non riscontrabili nello Stato imperialista delle multinazionali.
Dello Stato fascista, lo Stato imperialista recupera, perfezionandolo e mistificandolo, tutto l'apparato della controrivoluzione preventiva, scartandone però tutto il bagaglio angustamente nazionalistico (esasperata coscienza nazionale, autarchia).
C'è inoltre un altro aspetto da tener presente: il fascismo ha dovuto conquistare dall'"esterno" il vecchio Stato liberale, rimodellandolo poi sul suo progetto strategico; ora invece la conquista degli apparati da parte del personale politico della borghesia imperialista procede esclusivamente per "linee interne". Lo Stato imperialista non è dunque fascista.
Il concetto di fascistizzazione appare non solo riduttivo ma anche falsante nella misura in cui non ci consente di cogliere il nuovo carattere della "violenza concentrata" né il rapporto organico che essa stringe con le pratiche di integrazione riformista.
Altri in questa fase di transizione credono di scorgere una tendenza alla trasformazione dello Stato in senso socialdemocratico e si chiedono se la socialdemocrazia rappresenti o meno la via d'uscita alla crisi imperialistica e, più precisamente, se il PCI si accinga o meno a fare il suo ingresso nell'area di potere. Questo quesito ne contiene in sé un altro, cioè se il PCI sia o meno un partito socialdemocratico.
Tra socialdemocrazia e riformismo moderno le differenze sono numerose ed alcune di fondo. La socialdemocrazia è un fenomeno tipico di quelle fasi dello sviluppo capitalistico in cui le crisi seguono ancora un andamento ciclico: uscendo dai periodi di depressione, il capitalismo può, ricorrendo ad una politica riformista, "corrompere gli strati di aristocrazia operaia" che costituisca no la base di massa della socialdemocrazia storica.
In altre parole, la possibilità di una ripresa produttiva consente alla borghesia un margine di contrattazione reale con la "destra operaia": ciò provoca, tra gli altri effetti, l'integrazione dei gruppi dirigenti dei partiti riformisti all'interno del blocco sociale che detiene il potere. L'alleanza tra borghesia e riformismo è dunque di natura sociale, oltre che politica: i socialdemocratici e gli "operai professionali" si schierano a fianco del padrone perché con esso hanno interessi reali comuni (la ripresa dell'accumulazione e la ristrutturazione produttiva) e perché ambiscono a diventare essi stessi padroni con fondate possibilità di riuscire a divenirlo. Inoltre, le particolari caratteristiche dello Stato in questa fase della storia del capitalismo facilitano l'ingresso della socialdemocrazia in quel governo che è da sempre l'anticamera del potere: lo Stato, ancora relativamente autonomo dall'economia, giustifica in qualche misura l'illusione che sia possibile la sua conquista ed il suo utilizzo da parte della classe operaia.
Questi dati oggi non si danno più. La crisi del sistema imperialista non è prevedibile che sfoci in una ripresa dell'accumulazione, sia perché l'economia è entrata in una fase di stagnazione da cui si risolleverà solo con la guerra per una diversa ripartizione dei mercati, sia perché le politiche economiche adottate dagli stati tendono a restringere, anziché ad ampliare, la base produttiva. Mancano di conseguenza, tanto le basi strutturali (natura e andamento della crisi) quanto quelle soggettive (politiche dei governi e degli stati) per rendere possibile l'integrazione dei revisionisti in un blocco sociale che persegua una politica di tipo riformistico. O meglio: è ancora possibile che i revisionisti (il loro gruppo dirigente) siano temporaneamente ospitati all'interno del Governo, ma è escluso che esistano le condizioni per integrare strati di aristocrazia operaia o di ceti medi all'interno di un blocco di potere incaricato di gestire un tipo di sviluppo che non si può più dare, stante il carattere imperialistico e multinazionale del capitalismo della nostra epoca. Che cosa, infatti, possono concedere i capitalisti all'operaio professionale in cambio della sua collaborazione se non la cassa integrazione, licenziamenti, aumento dello sfruttamento e progressiva ma costante riduzione del potere d'acquisto dei salari? E comunque, al di là delle contropartite materiali, in quale ipotesi di sviluppo possono essere coinvolte, anche soltanto ideologicamente, quelle fasce di aristocrazie operaie che hanno ormai esaurito il loro potenziale progressista dal punto di vista del capitale?
L'assenza delle condizioni strutturali per la formazione di un nuovo blocco sociale di potere non esclude tutte le caratteristiche di questo rapporto che, d'altra parte, dipendono dalla situazione di classe, oltre che dal livello delle forze produttive.
Se a pagare il prezzo dell'ascesa al potere della socialdemocrazia storica furono prima di tutto i contadini, dal momento che la ripresa dell'accumulazione avveniva a scapito della campagna, oggi il rapporto preferenziale della borghesia imperialista con i revisionisti si fonda sull'individuazione del "proletariato emarginato" come variabile di cui è indispensabile detenere il controllo.
In altre parole, l'operaio professionale « dovrebbe diventare, simultaneamente, un vero e proprio soldato della produzione e funzionare come poliziotto sia nei confronti dei compagni di lavoro, sia soprattutto nei confronti della massa dei proletari marginalizzati della grande metropoli ».
Per tutti questi motivi è inevitabile che la politica dei revisionisti perda progressivamente tutti i propri tratti riformistici per assumerne di apertamente repressivi: da progressiva, la funzione del PCI diventa così, di fatto ed indipendentemente dalla volontà dei suoi militanti, conservatrice, finalizzata com'è ad esercitare un rigido controllo sul mercato del lavoro e ad organizzare il consenso attorno ad un progetto di sviluppo economico e sociale che, essendo per la natura dell'imperialismo, incapace di mobilitare e coinvolgere le masse (com'era riuscito a fare ad esempio il fascismo), costringerà sempre di più i revisionisti a ricorrere a strumenti coercitivi e ad imporre forzatamente il consenso, anziché a sollecitarlo e ad interpretarlo.
Questo avverrà perché, se l'imperialismo è capitalismo in putrefazione non si dà ulteriore sviluppo delle forze produttive senza sconvolgimento dei rapporti di produzione corrispondenti, ciò significa che la necessità di mantenerli inalterati si dovrà scontrare con la volontà di modificarli e che i partiti riformisti di tradizione operaia, da strumenti per la pace sociale si trasformeranno in altrettanti strumenti per la guerra civile.
In questo senso è possibile sostenere che i revisionisti sono al servizio dello Stato imperialista delle multinazionali e che la contraddizione con il revisionismo moderno, oltre ad essere antagonistica, va affrontata anche sul piano militare. Già oggi grazie alla mediazione dei revisionisti, la militarizzazione si estende dalla fabbrica al quartiere, ai rapporti interpersonali, alle famiglie, in una catena di rapporti sociali gerarchizzati e violenti, dominati dalle leggi di una società repressiva che l'imperialismo vorrebbe sempre più simile ad un lager di milioni di produttori.
Va tenuto presente, inoltre che, una delle ragioni per cui l'alleanza con il revisionismo moderno è auspicabile per la borghesia, consiste nella possibilità di penetrare più agevolmente nei mercati dell'Est europeo.
Oltre che dei progetti politici delle multinazionali nel loro complesso, il PCI è anche e soprattutto al servizio dello Stato imperialista in quanto imprenditore esso stesso: in questo caso il ruolo del PCI cessa di essere puramente subalterno, per divenire attivo, assumendo i caratteri riformistici di una ipotesi evoluzionistica e gradualistica di transizione al socialismo. La duplicità della funzione e della natura del PCI (da una parte, funzione poliziesca e natura conservatrice; dall'altra, funzione razionalizzatrice e natura riformistica) è probabile stia al fondo dei suoi successi elettorali e della sua "tenuta" in presenza di una lotta di classe che tocca i livelli sempre crescenti di maturità.
Se nei confronti dei monopoli e delle multinazionali l'atteggiamento del PCI è indiretto e passa attraverso la mediazione dello Stato, nei confronti dello Stato considerato come capitalista esso stesso, il punto di vista dei revisionisti ha più di un fenomeno teorico e trova giustificazione nel rilievo particolare che ha assunto (già durante il fascismo) e seguita ad assumere l'intervento dello Stato nell'economia italiana.
Alla base delle valutazioni del PCI sta « il recupero delle analisi di Engels e di Lenin sulla natura ambivalente del capitalismo di Stato, cioè è visto da un lato, come punto di massimo sviluppo del capitale e, dall'altro, come punto di sua massima contraddizione (sul quale incidere politicamente), in quanto espressione di una acutizzazione della contraddizione di fondo tra il carattere sempre più sociale della produzione capitalistica e il carattere privato dell'appropriazione del plusvalore ». Da ciò, « una sorta di ottimismo sulla possibilità di ‘uso’ immediato degli strumenti di intervento statale e in particolare dell'impresa pubblica per fini diversi da quelli per cui sono nati ».
Muovendo da questi presupposti teorici che ignorano non soltanto i rapporti tra Stato e multinazionali (al punto che i revisionisti giungono a favoleggiare un'alleanza fra classe operaia ed impresa pubblica in funzione antimonopolistica) ma persino gli interessi diretti che lo Stato, in quanto imprenditore, ha nella sfera della produzione, è conseguente che riformismo e repressione divengano facce di una stessa medaglia e che il PCI si riveli uno strumento, più o meno decisivo o più o meno accessorio, di divisione della classe operaia, di controllo del mercato del lavoro, di organizzazione del consenso e di repressione dell'autonomia proletaria e della rivoluzione.
All'interno del partito revisionista vive perciò anche una ambiguità tra due tendenze: una che potremmo definire impropriamente "ala sinistra della socialdemocrazia" la quale ha fatto proprio con l'accettazione della NATO anche il sistema di valori occidentali; l'altra che si ispira al "capitalismo di Stato" e che vede il "compromesso" come primo passo tattico in questa direzione. Ciò comporta che il legame tra il partito revisionista e il socialimperialismo sovietico viene a dipendere dalla posizione di maggior forza della seconda corrente rispetto alla prima.
A livello europeo l'ultrarevisionismo cerca di porsi come forza autonoma, forza egemonizzante rispetto ad un'area politica che vede accomunati cani e porci della sinistra della socialdemocrazia, passando per i "vari eurocomunismi" per arrivare alle false incitazioni leniniste tipo Portogallo. Esso si pone nei confronti dell'imperialismo come forza interna-esterna, per questo ispira diffidenza a Carter e ai suoi vassalli europei, i quali sarebbero pure tentati di usarlo, ambiziosamente, in funzione catalizzante del "dissenso" nei paesi dell'Est; ma per il momento resta comunque un'arma a doppio taglio.
L'unica carta che l'ultrarevisionismo pareva avesse in mano, essere cioè garante della "pacificazione" dell'area meridionale del-l'Europa, ha perso gran parte del suo valore in seguito allo sviluppo dei movimenti autonomisti di liberazione (ETA, IRA), alla crescita di forme di guerriglia metropolitana (RAF, NAPAP, BR) e alla crescita generalizzata dei movimenti autonomi di massa.
L'unità dell'eurocomunismo (dall'agente della CIA, Carrillo al fratello scemo di De Gaulle, Marchais) è l'unità dell'opportunismo: è l'unità dei rinnegati del marxismo-leninismo, del tradimento delle aspirazioni di emancipazione della classe operaia.

La ristrutturazione industriale

Di pari passo alla riorganizzazione dell'apparato politico militare, la ristrutturazione dell'apparato economico marcia sulla strategia dei grandi gruppi multinazionali che hanno come obbiettivo primo quello di riassestare i meccanismi di accumulazione del capitale ormai entrati profondamente in crisi, aumentare i propri profitti, instaurare nuovi livelli di sfruttamento e di controllo sul-la classe operaia e nuove forme di dominio sui popoli dei paesi in via di sviluppo, porre il socialimperialismo in posizione di inferiorità e di debolezza.
Per ottenere ciò le multinazionali sono oggi costrette al disperato tentativo di sviluppare i propri mezzi di produzione e la propria base produttiva in due modi principali: il primo è quello di sviluppare su basi tecnologiche più avanzate i propri sistemi di produzione e le produzioni stesse (quindi quelle ad alta intensità di capitale); ciò che dovrebbe permettere loro di ridurre i costi di produzione ed elevare i profitti ed instaurare nuove forme di controllo sulla classe operaia, tende ad approfondire del capitalismo multinazionale, proprio perché in tal modo, nelle metropoli industriali, le forze produttive vengono costantemente compresse. In sostanza, il dilagare della disoccupazione, che è la conseguenza prima della crisi economica è ormai diventato un dato struttura-le e progressivo, sia perché la crisi economica tende sempre più ad aggravarsi e si continua ad assistere alla costante chiusura di interi stabilimenti, sia perché l'aggiornamento tecnologico e la riorganizzazione del ciclo produttivo dentro le fabbriche non porta allo sviluppo di nuova occupazione, ma ad un aumento dello sfruttamento e all'espulsione costante e progressiva di operai.
Proprio per queste ragioni, la contraddizione tra proletariato metropolitano e borghesia imperialista tende ad acutizzarsi e ma-turano sempre più le condizioni di sviluppo della guerra civile.
Il secondo modo che è conseguente al primo, è quello del-l'esportazione delle tecnologie e delle produzioni più arretrate (che sono per lo più ad alta intensità di manodopera) nei paesi in via di sviluppo dove ancora sono convenienti, perché qui le multinazionali trovano ancora forza-lavoro a basso costo; se ciò è un mezzo che dovrebbe tendere ad accrescere i profitti delle multinazionali e rappresentare lo strumento fondamentale per la penetrazione e per la costruzione del dominio imperialista sui popoli del terzo mondo, porta con sé il suo aspetto contraddittorio, infatti esso si scontra con le lotte di liberazione dei popoli che sempre più riducono la possibilità delle multinazionali di spadroneggiare tranquillamente nei vari paesi, aumentando dunque l'estensione delle contraddizioni che attanagliano in crisi mortale la borghesia imperialista.
Anche nel nostro paese, dunque, la ristrutturazione economica avviene all'interno della rigida divisione delle aree di produzione e di mercato, attuata a livello internazionale dalle centrali imperialiste, sotto le direttrici e il controllo degli organi sovranazionali (in specifico il FMI, la CEE).
Essa marcia su quattro direttrici principali!
— Sviluppo e ristrutturazione prioritaria dei nuovi settori trainanti a tecnologia più avanzata e cioè, secondo i piani di setto-re della CEE e in base a quanto stabilito nella "legge di riconversione industriale" essi sono: il nucleare nel campo energetico; gli acciai speciali, nel campo siderurgico; l'informatica nel campo del-l'elettronica, e ancora la chimica, la cantieristica, le fibre.
— In tutti gli altri settori si ha un generale adeguamento tecnologico, soprattutto attraverso lo sviluppo delle lavorazioni a più alta intensità di capitale: ciò avviene con il massiccio insediamento di sistemi di produzione con macchine superautomatizzate, con l'uso dei robot, con l'enorme utilizzo dell'elettronica (macchine a controllo numerico, cervelli elettronici) nel programmare e controllare automaticamente interi processi produttivi che prima richiedevano decine di operai.
— Sviluppo del settore bellico nel quale in termini strategici, la produzione si espanderà scopre più (il che non vuol dire nuova occupazione), poiché come abbiamo già detto l'imperialismo da un lato si sta preparando alla terza guerra mondiale e dall'altro si trova già impegnato nell'affrontare lo scontro di classe che sempre più si intensifica e si estende nelle sue metropoli. Per questo tutte le fabbriche di produzione bellica hanno una prospettiva di si-cura espansione sia per quanto riguarda le produzioni pesanti (aerei, navi da guerra, ecc.), sia per quelle produzioni in funzioni di antiguerriglia: dalle armi, alle molteplici e sofisticate attrezzature elettroniche (cervelli elettronici per l'immagazzinamento dei dati; nuovi sistemi di trasmissione per CC e PS, sistemi di controllo con fotocellule, tv a circuito chiuso, ecc.), alle jeep, ai mezzi blindati.
— Riconversione di tutta la piccola e media industria in funzione delle multinazionali e addirittura aggregazione di più fabbri-che che vanno a formare interi settori produttivi dei grandi gruppi industriali. Gli esempi sono molti: la Fiat, quando ha iniziato la sua ristrutturazione e selezione alle fabbriche e fabbrichette che lavorano per lei; d'altro canto la stessa holding delle macchine utensili della Fiat (CO.MA.U.) è stata costituita centralizzando sotto un'unica direzione le migliori piccole e medie fabbriche che producono nel settore.
Su questa linea di ristrutturazione i grandi gruppi multinazionali (siano essi con base nazionale che straniera) tendono a superare le proprie contraddizioni politiche e ad accordarsi nella spartizione dei profitti derivanti dai vari settori di produzione. t ovvio che gli sconti per accaparrarsi il controllo di maggiori quantità di settori produttivi non verranno mai eliminati, ma s tratta, alme-no in questa fase, di contraddizioni secondarie unificate su un unico progetto strategico: quello imperialista.
Non ha più senso dunque parlare di contraddizioni di fondo tra l'industria privata e quella pubblica (PP SS) come blaterano il PCI e i sindacati per imbastire le loro demagogiche strategie economiche. L'esempio più limpido di ciò si è avuto con la spartizione della torta nucleare che ha fatto definire "pace nucleare" l'accordo raggiunto tra Fiat e Finmeccanica. Infatti il confronto si pone oggi tra multinazionali che hanno gli stessi interessi, sia economici che politici, poiché tanto per le fabbriche private che per quelle a Partecipazione Statale, gli obbiettivi della ristrutturazione, sia tattici che strategici sono i medesimi.
La disoccupazione. la mobilità forsennata della manodopera non specializzata, l'aumento della produttività e quindi dello sfrutta-mento, la militarizzazione delle fabbriche sono le conseguenze logiche di questo criminale progetto che vengono fatte pesantemente pagare alla classe operaia.
Le strutture che nel nostro paese hanno il compito di dirigere e di gestire il progetto di ristrutturazione dell'apparato economico sono l'esecutivo attraverso il CIPI (Comitato Interministeriale per Ia Politica Industriale) e la Confindustria.
Nel CIPI sono presenti i ministeri economici (Industria, PP SS, Tesoro, Finanze, Cassa del Mezzogiorno) e il presidente della Banca 'd'Italia. Questo organismo riconferma una delle tendenze fondamentali nella ristrutturazione imperialista dello Stato, cioè quella della massima unificazione dei centri di direzione del potere; questa tendenza punta ad evitare le contraddizioni, per quanto secondarie, che spesso si verificano tra i vari ministeri, e dare quindi all'esecutivo più compattezza e più decisione nello svolgere la sua funzione a servizio delle multinazionali. II CIPI ha quindi il compito di dirigere e applicare a livello nazionale le linee della ristrutturazione economica decise dagli organi di dominio sovranazionale, sintetizzando ad un livello superiore i poteri decisionali oggi spezzettati tra i vari ministeri del governo.
La Confindustria, come l'esecutivo, è una diretta articolazione degli organi dell'imperialismo però con una funzione diversa: men-tre l'esecutivo applica le linee di ristrutturazione economica decise dalle centrali imperialiste, la Confindustria è diventata di fatto centro di iniziativa padronale che elabora le linee politiche del-la ristrutturazione imperialista nel settore economico per poi pro-
porle al governo e ai sindacati. Per questo essa rappresenta la men-te tecnica e il garante politico al servizio delle multinazionali.
Per adeguarsi alle nuove esigenze poste dallo sviluppo dell'imperialismo, la Confindustria ha iniziato da tempo una profonda ristrutturazione sia politica che organizzativa che ha avuto come tappa fondamentale quella della costruzione al suo interno di una unità politica sulla linea della borghesia multinazionale, questo obbiettivo, lanciato nel '70 con il famoso rapporto Pirelli, è stato sancito nel '74 con la presidenza Agnelli ed ha trovato la sua continuità con l'attuale presidenza Carli. Quest'ultimo, pochi mesi dopo il suo insediamento, ha prontamente proposto di unificare Ia Confindustria con l'Intersind (che rappresenta le PP SS) e la Confapi (che rappresenta una parte delle piccole imprese) proprio perché "non esistono più fondamentali contraddizioni politiche che giustifichino questa divisione" tra padroni; un primo passo su questa strada è già stato fatto: Confindustria e Intersind tratte-ranno col sindacato allo stesso tavolo il problema delle festività infrasettimanali abolite con l'accordo del gennaio '77.
Su questa linea la Conf. ha superato il suo vecchio ruolo di "sindacato dei padroni privati" per diventare la struttura che, articolando le direttrici di politica economica delle multinazionali, è capace di unificare sotto di sé le divisioni tra piccoli e grandi padroni, tra industria pubblica e privata, nella programmazione del-l'economia sul terreno nazionale in tutti i suoi settori. Essa è in-fatti la struttura che ha il compito di fare proposte e programmi su tutti i principali problemi di ristrutturazione economica e politica. L'altra funzione fondamentale che la Conf. ha all'interno dello Stato imperialista delle multinazionali è quella di procedere alla costruzione del personale dirigente adeguato a gestire la ristrutturazione del processo produttivo. Rispetto a ciò la Conf. sta sviluppando intensamente la formazione quadri a tutti i livelli attraverso apposite scuole e corsi di formazione, e in parallelo sta procedendo alla attivizzazione di uffici e centri studi vecchi e nuovi; l'obbiettivo è quello di omogeneizzare tutto il personale dirigente sulla linea politica delle multinazionali, trasformare tutti i padroni e i dirigenti delle industrie in managers che facciano propri i valori dell'efficientismo e dell'imprenditorialità, fornire loro strumenti politici e tecnici per essere preparati a gestire adeguatamente la ristrutturazione economica dello Stato Imperialista delle Multinazionali.
Se la DC è l'asse portante dell'iniziativa globale dell'imperialismo del nostro paese, la Confindustria rappresenta l'asse portante dell'iniziativa imperialista nella ristrutturazione dell'apparato economico.