Biblioteca Multimediale Marxista


 

Opuscolo N° 19

estratto dagli atti del processo "Ruffilli"

 


 

 


CAPITOLO PRIMO
LA “FASE DUE” DELLA MANOVRA DI POLITICA ECONOMICA DEL GOVERNO, IL COSTO DEL LAVORO, E LA RISPOSTA OPERAIA.

Il 1983 era terminato nel migliore dei modi. Per Bettino Craxi ed suo governo, l'approvazione della legge finanziaria entro la fine dell'anno, costituiva indubbiamente un successo politico. Certo, si era resa necessaria l'istituzione della cosiddetta “sessione di bilancio”, cioè un periodo determinato di tempo in cui il lavoro parlamentare è esclusivamente dedito alla discussione ed approvazione del bilancio dello stato e della legge finanziaria, in più il 1983 aveva regalato al primo presidente del consiglio socialista un'opposizione costruttiva(1). Ma alla fin fine nulla toglieva al governo Craxi il merito di essere il primo dopo molti anni in grado di evitare il ricorso all'esercizio provvisorio di bilancio. Televisione e stampa di regime plaudono estasiati al trionfo della “volontà politica” delle forze di maggioranza, quando questa esiste, si dice, è possibile fare di questo e d'altro. Dopo la raffica di tagli alle spese sociali contenuta nel testo di legge, Craxi non rinuncia a fare un ultimo regalo agli italiani: il 28 dicembre con un “tocco di classe” il governo aumenta la benzina.
Conclusa la “fase uno”, è ora il momento di occuparsi della “fase due”. Il nodo cruciale della “fase due” della manovra di politica economica del governo è, naturalmente, il costo del lavoro. Bisogna abbassarlo. La sede opportuna per raggiungere questo obiettivo è già stata istituita un anno fa, all’atto della firma dell’accordo del 22 gennaio '83 tra governo, sindacati e confindustria; l’articolo 7 del testo recita infatti: "... alla fine di ciascun anno il governo e le parti s’incontreranno per verificare l’andamento dell'inflazione rispetto al tasso d’inflazione programmato e per valutare le misure di compensazione nel caso di scostamento”. Che, aumentati i prezzi e tariffe, solo il costo del lavoro non abbia valicato la fatidica soglia del 13% durante il 1983, non sembra impensierire oltre il necessario la borghesia italiana, bisogna diminuire il costo del lavoro. Anzi, per parlare più chiaramente, bisogna tagliare la scala mobile (2). Viene fissata una data, il 12 gennaio, e in vista delle consultazioni inizia la schermaglia. Apre le ostilità 1o “enfant prodige” della DC, il ministro del tesoro Goria: c’è un buco, dice, nel disavanzo di stato preventivato dalla legge finanziaria appena approvata, e si tratterebbe di 10MILA MILIARDI o forse di più! Si da la stura ad una tragica farsa che vorrebbe il governo diviso tra “ottimisti” e “pessimisti”, balenando come saette cifre ogni ora diverse, il partito di Spadolini diffonde un documento in cui si rileva che l'azione prevista dagli accordi di governo "... è ancora tutta da realizzare" e che è necessario “... un accordo che consenta di riportare gli aumenti salariali medi nell’84 entro il limite del 10% anche opportune modifiche del meccanismo della scala mobile”. Non ci vuole molto a capire cosa sta succedendo: approssimandosi l'inizio della trattativa Governo Imprenditori-Sindacati, DC e PRI, lo “asse di destra” della maggioranza, ci tengono a far sapere chiaramente che non accetteranno alcuna contropartita fiscale alla diminuzione dei salari: questi ultimi devono essere diminuiti e basta!
Le casse dello stato sono già abbastanza vuote per i fatti loro e non c'è proprio bisogno di “chiedere” sgravi fiscali e progetti per l’aumento dell'occupazione. Lo stato “assistenziale”, come si dice adesso, è morto e sepolto, Craxi, De Michelis ed il piduista Longo (che, senza il senso del ridicolo, occupa il ministero del bilanciò) se lo mettano in testa.
La sfrontatezza ed il cinismo del governo sono tali che ( ....... )
“... Questo è bene saperlo in partenza, lo sappiano i sindacati e lo sappiano i colleghi ministri che tratteranno. Su questo punto é bene che ognuno prenda le proprie responsabilità. Io le mie le prenderò sino in fondo". Visentini è notoriamente un “galantuomo” anzi egli fa parte di quella terna di "galantuomini" (Visentini, Martinazzoli e Scalfaro) che è un po’ il fiore all'occhiello dì un governo composto da lazzaroni di ogni specie. Ma risulta un “galantuomo” un po’ particolare, al nostro modo di vedere, assai più vicino alla specie dei volgari grassatori da strada, questo ministro che fa pesare un montagna di tasse soltanto sui proletari e che non rispetta i patti sottoscritti dai governi precedenti. Del resto, gli altri due “galantuomini” sono rispettivamente, il responsabile delle galere italiane, dove sono ammassate più di 40mila persone in condizioni schifose ed un ministro dell’interno che, per sua stessa ammissione, si richiama all’esempio dell’assassino Mario Scelba.
Frattanto, il 7 gennaio si è rifatto vivo il professor Gino Giugni che, nonostante abbia avuto una discussione un po’ particolare con la nostra organizzazione, proprio non riesce a tacere. Sempre su “Repubblica” egli tra l'altro scrive: “... si può affermare che le proposte correnti di contenimento della scala mobile sono tutte e nessuna adatte allo scopo. Modifiche del valore punto, come vennero decise un anno fa; rallentamenti e sospensioni della cadenza; predeterminazione degli scatti: ognuna di queste soluzioni può raggiungere lo scopo sopra delineato; ma alla condizione che non sia intesa come definitiva. Essa non dovrà porre impedimenti a nuove e diverse manovre in tempi successivi...” Il “padre dello statuto dei lavoratori” neo-eletto senatore nelle file craxiane, non dimostra il minimo ritegno: si decurti il salario dei lavoratori ma, per favore, non si creda di farlo una volta per tutte!! Dobbiamo al contrario istituire riunioni periodiche nelle quali valutare eventuali "ritocchi" da apportare alla busta paga. E chi ha orecchie da intendere, intenda! Dall'altra parte, si fa per dire, le orecchie le hanno e le hanno anche molto lunghe. Benvenuto, sposata la tesi cislina della predeterminazione dei punti di contingenza, l’8 gennaio propone di far scattare solo sei punti nel corso dell'84 e cioè, a fronte di una previsione ottimistica di 12 scatti per il prossimo anno, praticamente propone di dimezzare la scala mobile, vedremo più avanti che questa è anche la posizione della Confindustria.
In questo momento la classe operaia ha altro da fare che stare a guardare questo rivoltante spettacolo. Lunedì 9 gennaio, all'Alfa dì Arese, in un'assemblea a cui partecipano il 97% degli operai, si decidono iniziative di lotta contro la cassa integrazione a zero ore per 500 impiegati e quella a rotazione per 3000 operai. Gli operai di Arese si trovano soli di fronte al padrone, dopo il tradimento di Pomigliano d'Arco dove il sindacato ha sottoscritto un accordo capestro che divide la classe operaia Alfa in 2 tronconi, quella di Pomigliano contro quella di Arese. I sindacalisti fanno fatica a contenere la rabbia operala; vengono decisi scioperi, rallentamenti della cadenza, dimostrazioni all'Intersind.
Giovedì 12 gennaio scioperano gli operai del gruppo Italisider. A Napoli i lavoratori di Bagnoli bloccano le strade con striscioni e cartelli e si dirigono alla sede dell'Intersind. Qui trovano la polizia del “galantuomo” Scalfaro che senza tante galanterie, carica manganellando all’impazzata.
In ritardo un giorno sulla data fissata, il 13 gennaio, si aprono con grande pompa le consultazioni governo sindacati imprenditori. L’inizio della trattativa è stato preceduto da raffiche di dichiarazioni rilasciate da un infaticabile De Michelis che, per l'occasione, ha assunto la tattica dello “ottimismo ad oltranza". De Michelis (che è conosciuto dai lavoratori di tutta Italia per aver girato le fabbriche, quando era ministro delle Partecipazioni Statali, ad annunciare licenziamenti e cassa integrazione con espressioni beate quanto ebeti) parla di “grande occasione”; ritiene “folle” lasciarsela sfuggire; verosimilmente si riferisce all'occasione di fregare, ancora una voltai, gli operai. Al tavolo della trattativa c’è solo tanto fumo: si parla e straparla di occupazione, di prezzi e tariffe, di agevolazioni fiscali, ma l'unico punto fermo resta la necessità “ineluttabile” di diminuire il costo del lavoro.
I veri giochi, sì comincia a capire, si fanno altrove. Il medesimo giorno in cui inizia la trattativa la DC boccia il disegno di legge governativo sui cosiddetti “bacini di crisi”, motivando il gesto con il fatto che: “... una legge del genere non risolverebbe nulla, anzi creerebbe nuove contraddizioni e nuovi squilibri nell'apparato produttivo italiano”. Il senso della manovra è chiarissimo: si tratta di un altro colpo a quella parte della coalizione governativa ché vorrebbe “addolcire” la pillola che la classe operaia deve ingoiare. L'effetto è duplice: da una parte alcune misure previste nel disegno di legge, come i prepensionamenti nella siderurgia, diventano moneta di scambio al tavolo della trattativa sul costo del lavoro; dall’altra si fa un altro favore ai grandi gruppi industriali che, dati i loro progetti di ristrutturazione dei cosiddetti “fattori di produzione” (leggi licenziamenti e maggior sfruttamento in fabbrica), mostrano una decisa insofferenza per qualsiasi regolamentazione della loro attività. In pratica, in questo modo, la DC consegna alla massacrante logica del mercato capitalistico migliaia e migliaia di lavoratori.
La risposta della classe operaia é immediata il giorno dopo. Sabato 14 gennaio a Verbania, gli operai della Montefibre e della Cartiera Prealpina bloccano alcune strade cittadine e la statale 34 del lago Maggiore dando fuoco a copertoni e casette di legno. Per spegnere gli incendi dovranno intervenire i pompieri. L'area di Verbania dopo aver registrato nell'ultimo anno la perdita di 2.600 posti di lavoro, doveva rientrare nei “bacini di crisi” e, neanche una settimana dopo, nel corso di una visita a Genava città disastrata dalla crisi e dalla ristrutturazione industriale Ciriaco De Mita dichiara con impagabile faccia tosta: “Bacini di crisi? Non so cosa siano" (3).

Mentre a Roma si fanno solo chiacchiere, gli operai della siderurgia pubblica, che sono in costante mobilitazione da più di una settimana si fanno sentire ancora una volta: il 17 gennaio a Napoli, Genova e Taranto i lavoratori scioperano per opporsi alle decisioni CEE sugli stabilimenti italiani. A Napoli, dove gli operai hanno assaggiato le mazzate di Scalfaro neanche una settimana prima, si paralizza il traffico bloccando con pesanti automezzi le vie di accesso al centro cittadino.
Il 19 gennaio è un giorno importante: la Confindustria va da De Michelis ad esporre la sua posizione. I padroni, bontà loro, rimandano ogni decisione sulla "riforma strutturale del salario" e si accontentano di dimezzare la scala mobile (già decurtata dalla "vittoria sindacale" del 22 gennaio ‘83) per due anni! Merloni, preso dalla foga, se la fa sotto: vuole la diminuzione secca del costo del denaro e modifiche verticali dei meccanismi che regolano il mercato del lavoro; in pratica, non gli basta vincere, vuole stravincere su tutta la linea! Sarà possibile? Benvenuto dice di si visto che è perfettamente d’accordo sul dimezzamento della scala mobile (la “predeterminazione drastica” come la chiama lui) ed in più ha il tacito assenso di Carniti e Del Turco. Solo i comunisti della CGIL storcono la bocca insistendo sulla loro proposta: blocco per sei mesi di salari e prezzi, la proposta ipocrita avanzata per mascherare il fatto che si è a rimorchio dei socialisti, prigionieri dell’aberrante logica corporativa autoritaria sancita il 2 gennaio '83 nell'accordo che Lama stesso ha definito una "vittoria". Ma il 19 gennaio è un giorno importante anche per quello che succede fuori Roma: arriva il primo serio avvertimento per i vertici delle organizzazioni sindacali. A Milano l36 consigli di fabbrica della città e della provincia si riuniscono sottoscrivendo un documento dai toni estremamente chiari: intitolato “perché difendiamo la scala mobile”, il comunicato diffida ufficialmente le segreterie confederali “dall’intraprendere ulteriori iniziative che abbiano come obiettivo la riduzione della scala mobile e il blocco dei salari” e pone all'ordine de giorno "la programmazione di iniziative di lotta" con l’obiettivo di difendere la scala mobile, il salario, l’occupazione".
Per tutta risposta il 21 gennaio l'esecutivo della CGIL si dichiara disposto a prendere in considerazione il rallentamento dei salari (quindi si abbandona, la proposta precedente dì blocco contemporaneo dei salari e prezzi) in cambio di mutamenti nell’atteggiamento del governo. Al solito la CGIL da tristemente un colpo al cerchio e un colpo alla botte con il chiaro intento di salvare la faccia di fronte ai lavoratori, preparando, al contempo, le condizioni per un accordo con il governo e i padroni. Le opinioni degli operai, evidentemente, fanno fatica ad arrivare nei palazzi romani, ma si fanno ben sentire a Torino lo stesso giorno in cui la CGIL decide di apprestarsi a fregare ancora una volta i lavoratori. Gianni De Michelis giunto nella città per partecipare ad un convegno pubblico organizzato dalla regione, viene accolto da un folto numero di cassa integrati e disoccupati che, alzando verso di lui le bollette della luce da pagare e i tesserino dell'ufficio di collocamento, gli impediscono di parlare cacciandolo via.
Nei giorni seguenti si ricava la netta impressione che nel paese sia no in corso due avvenimenti sociali assolutamente indipendenti, incommensurabili tra loro: da una parte procedono, defatiganti, le trattative romane; dall’altra cresce l'opposizione e la mobilitazione operaia nelle fabbriche e nei posti di lavoro di tutta Italia.
A Roma i sindacalisti passano da una umiliazione all'altra: no del governo all'imposta patrimoniale, no ad una lotta reale contro l'evasione fiscale, scordarsi la tassazione dei BOT; la Confindustria pone il veto sul blocco dei prezzi che, anche a volerlo, è unanimemente riconosciuto come impossibile. Nonostante le facce di bronzo di Benvenuto e Carniti continuino a rilasciare dichiarazioni soddisfatte, per la classe operaia sarebbe una vera Caporetto. Nelle fabbriche si dicono poche cose e molto chiare: interrompete le trattative e venite a sentire cosa ne pensiamo della riduzione della scala mobile! La pressione delle fabbriche cresce giorno su giorno e a questo punto si inscena la pietosa contrattazione dei vertici CGIL, CISL e UIL sulla questione delle consultazioni di base. La CGIL le vorrebbe, pressata com'è da un (...) operaia crescente, la CISL e la UIL non ci pensano nemmeno: la direzione presa è infatti sconfessata finanche da alcuni segretari regionali e sulla infima rappresentatività UIL in fabbrica ci sono pochi dubbi, e Benvenuto lo sa bene. Si arriva ad un grottesco compromesso venerdì 3 febbraio: continua la ricerca di una posizione unitaria nella federazione e solo in seguito si procederà ad una consultazione della base.
Da questo momento in poi gli avvenimenti si susseguono senza più soluzione di continuità: a Milano i consigli di fabbrica preparano uno sciopero generale cittadino con l'adesione sin da subito della Baggina, Alfa, Pirelli, Breda, Magneti Marelli, Italtel, Nuova Innocenti, GTE, Carlo Erba, Philips e 0M. All'OM si è già svolto lo sciopero di un'ora contro il governo. A Torino la ripresa della combattività operaia è netta: il consiglio di fabbrica di Miratori è il primo a muoversi: al centro della mobilitazione e della discussione c'è il rifiuto di concedere ancora tagli salariali ai padroni e al governo.
Nei vertici delle organizzazioni sindacali la protesta di massa che si sviluppa nei posti di lavoro rimbalza con violenza creando spaccature profonde. I militanti del PCI della CGIL non se la sentono di suicidarsi insieme a Benvenuto, Carniti e Del Turco comprendendo che un altro tradimento del genere di quello consumato il 22 gennaio non sarebbe perdonato dalla classe operaia. Una lunga serie di riunioni tra militanti del PCI e del PSI della CGIL, tra CGIL, CISL e UIL, tra sindacati e De Michelis non porta a nulla; la mobilitazione di classe ha imposto a ciascuno di compiere le sue scelte e così il direttivo unitario che si svolge il 7 febbraio si chiude con una spaccatura: tutti gridano all'unità ma è chiaro che ognuno se ne sta andando per conto proprio, chi più chi meno influenzato da partiti di governo e non: chi più chi meno spaventato dalla contestazione. Il giorno dopo ci sarà lo sciopero generale milanese, convocato dai consigli di fabbrica. Lo sciopero è convocato per decisione di 250 consigli di fabbrica e, pur non avendo l'appoggio di nessuna delle tre Confederazioni, riesce splendidamente. Da P.zza San Babila muove un lungo corteo che, con alla testa lo striscione della Pirelli Bicocca, si dirige verso la Prefettura per arrivare all’ASSOLOMBARDA. Allo sciopero aderiscono, insieme alla classe operaia delle maggiori fabbriche meccaniche chimiche e tessili, gli alimentaristi, i lavoratori dell'edilizia, del commercio, della sanità dello stato e del parastato. La protesta è rivolta contro il governo:
"LA CLASSE OPERAIA LO GRIDA IN CORO, CI AVETE ROTTO COL COSTO DEL LAVORO". E contro i vertici delle organizzazioni sindacali: “L’UNITA’ DEL SINDACATO C'E’ IN FABBRICA TRA I LAVORATORI”. In piazza ci sono 70.000 lavoratori. Assemblee si svolgono a Torino, Genova e Brescia, dove il consiglio di fabbrica della OM FIAT, la più grossa azienda bresciana, ha convocato per venerdì 10 febbraio i consigli delle più rappresentative fabbriche italiane. Di fronte a questi avvenienti, ad una classe operaia che rivendica in pieno l'autonomia delle proprie decisioni e dei propri interessi, i partiti il governo e i padroni non perdono tempo: viene fissato per giovedì 9 febbraio il "vertice" tra i segretari dei cinque partiti della maggioranza che, guarda caso, viene "preparato" due giorni prima da una riunione De Mita Spadolini che si conclude con il riscontro di “significativi punti di convergenza”. La Confindustria, un giorno prima del vertice pentapartito, tiene il suo direttorio, al termine del quale il vice direttore generale Paolo Annibaldi chiede ufficialmente a nome dei padroni una iniziativa autonoma dell’esecutivo. Sull’incontro politico incombe anche la commissione ISTAT per il calcolo della scala mobile che dovrebbe riunirsi a giorni; a febbraio dovrebbero scattare, quattro o cinque punti di contingenza, mandando in malora la “fase 2” della manovra governativa. Ma, chissà come mai, la commissione tarda inspiegabilmente a convocarsi...
Il vertice dei segretari della maggioranza si tiene nel pieno delle polemiche scoppiate sulle nomine lottizzate della radio e della televisione di stato, sul condono edilizio (legge per furfanti fatta da furfanti) e sui franchi tiratori. Ma è quasi esclusivamente del costo del lavoro che si parla: al termine della riunione Spadolini ricorda la necessità di frenare la spesa pubblica e un Zanone, insolitamente brutale, ricorda: “non c’è nessuna contropartita da dare ai sindacati il beneficio sta tutto nel rallentamento dell'inflazione che la riduzione del costo del lavoro comporterebbe”... Solo Claudio Martelli vice segretario dì Craxi va oltre, e ai giornalisti richiama espressamente gli accordi dì governo, nei quali si è contemplata la “politica dei redditi” e, in modo esplicito, il contenimento della scala mobile. Se non si otterrà il consenso delle parti sociali, dice questo orribile sottoprodotto di una già misera classe politica, l'esecutivo sarà chiamato ad attuare il programma di maggioranza. Detto altrimenti, esso agirà di forza. Sul piano pratico, visto che il ministro De Michelis ha fatto fiasco, da domani Craxi tratterà direttamente con i sindacati ed i padroni. I dirigenti confederali si presentano da Craxi in piena schizofrenia politica: non sono riusciti ad accordarsi su nulla, e in più lo sciopero milanese ha aumentato i risentimenti reciproci. Carniti e Benvenuto accusano Lama di essere il promotore delle agitazioni, Lama si difende sdegnato, novello epigono del classico furbino, "né aderire né sabotare". In realtà, mentre un giorno prima all'0M di Brescia i consigli di fabbrica delle maggiori aziende italiane hanno ribadito con forza la loro contrarietà a qualsiasi accordo con un governo affamato di solidi salari, non solo CISL e UIL ma anche la CGIL continuano a salire le scale di palazzo Chigi, sede del manipolo di farabutti che fa capo a Craxi. E' chiaro che Lama, Trentin e Garavini (questi tre “eroi” che hanno tradito la classe operaia solo un anno fa, il 22 gennaio ‘83, per non parlare dell'esito del contratto dei metalmeccanici) vogliono dimostrare al “paese” ma a chi visto che gli operai la loro l'hanno detta? la buona volontà e il “senso di responsabilità” dei sindacalisti del PCI.
Sabato 11 febbraio inizia la fase finale della trattativa. Come antipasto c'é l’ennesimo, sfrontato rinvio della commissione ISTAT che dovrebbe calcolare i punti di contingenza da conteggiare nella prossima busta paga. I padroni, graziosamente, non si presentano, dichiarando di attendere l'esito della trattativa. Il responsabile CISL, pur presente, spiega che: “... secondo noi non era opportuno avviare l'esame dell’andamento dell’indice trimestrale del costo della vita...”. A palazzo Chigi il “primo presidente del consiglio socialista” presenta ai padroni e sindacati un testo d’accordo ultimativo, da prendere o lasciare. Facendo molto fumo su occupazione, lotta all'evasione fiscale e controllo di prezzi e tariffe, Craxi (affiancato dal ministro fiasco De Michelis) non cambia di una virgola l’impostazione di fondo del governo sottoponendo ai suoi interlocutori un documento per i lavoratori, ennesima truffa ai danni del proletariato: bisogna diminuire la scala mobile per potersi così agganciare alla ripresa economica che, pare certo, imperversa in tutto il mondo. La Confindustria fa finta di puntare i piedi: è delusa dalle restrizioni paventate da Craxi sul mercato del lavoro. Da un anno a questa parte infatti, i padroni sì sono abituati ad avere completa mano libera nelle assunzioni (per la precisione ancora una volta dallo “storico” accordo del 22 gennaio, sottoscritto dal governo, dalla confindustria e dalla CGIL, CISL, UIL). In verità, si fa la voce grossa solo per mascherare la vittoria vicina; e poi, in fatto di mercato del lavoro, il padrone sa bene come sbrigarsela alla faccia dei famosi "lacci e laccioli". CISL e UIL accettano senza riserva; Carniti e Benvenuto (il gatto e la volpe o l'avvoltoio e la iena?) sono pronti a "cantare vittoria" una volta di più sulla pelle di milioni di lavoratori. La CGIL è ormai completamente spaccata: Del Turco, strigliato a dovere da Craxi, è per l'accordo; i militanti del PCI che controllano la stragrande maggioranza della confederazione, sono contrari. Ennesima "pausa di riflessione" e finalmente, lunedì 13 febbraio, arriva la risposta della CGIL: la maggiore confederazione italiana non firmerà l’accordo. “Ora la parola è al governo” titolano tra il baldanzoso e il preoccupato i quotidiani del giorno dopo.
E il governo la parola ce l'ha. Al termine di una giornata fitta di consultazioni tra politici, industriali e sindacati e contrassegnata da dimostrazioni di protesta operaia in tutta Italia, si riunisce il consiglio dei ministri, opportunamente "preparato" da quella sorta di direttorio dell'esecutivo che è il consiglio di gabinetto. La situazione è oltremodo chiara e decantata: la CISL, e la UIL promettono sostegno ad una iniziativa autonoma del governo, la componente craxiana della CGIL (anche se imbrigliata dalle decisioni della maggioranza) sposa il medesimo indirizzo; la confindustria divisa tra "falchi" e “colombe”, si risolve infine per un assenso politico ad eventuali manovre unilaterali del governo. Si crea così un blocco politico sociale, relativamente compatto, che vede con favore una prova di forza di netta impronta classista antiproletaria da parte dell'esecutivo.
Naturalmente bisognerà commisurare le decisioni (e su questo c’è senz’altro diversità di vedute) ad una proposta operaia e proletaria che, nella sola giornata “cruciale” per il governo, porta in piazza più di 40.000 persone a Firenze, fa scioperare Rivalta e Mirafiori nonché i ferrovieri romani, gli operai milanesi e bolognesi; ma ciò che conta è che la grande borghesia italiana non si preoccupa di far cadere la mistificazione del "patto sociale", che ancora aveva funzionato il 22 gennaio, pur di assestare un altro decisivo colpo al proletariato.
Fedele al suo ruolino di marcia, la borghesia procede imperterrita sulla strada che dovrebbe, condurla ad una rinnovata ed autoritaria capacità di gestione della società italiana.
A notte fonda, tra il 14 e il 15 febbraio, il consiglio dei ministri vara il decreto legge. La scala mobile scatterà nell'84 per 9 punti, a fronte dei 12 previsti (ma ripetiamo è una previsione ottimistica a fatta ad uso e consumo dei padroni); la riduzione secca e d’autorità del salario sarebbe controbilanciata, secondo le brutte facce di palazzo Chigi, dal controllo di qualche tariffa, dal blocco dell'equo canone per un anno (rispetto al quale, attenzione, c’è all’esame del parlamento un disegno di legge governativo che ne prevede la completa liberalizzazione!) e da una politica fiscale più rigorosa garantita dal grande borghese Visentini!
Mentre il decreto governativo è il fatto del giorno, e si leva un ruffiano coro di plauso all'azione "responsabile" di Craxi e del suo gabinetto, si comincia a capire - ancorché a mistificare e sminuirne quale sia la cosa più importante che sta succedendo in Italia: milioni di lavoratori ne hanno piene le scatole, gli operai, insieme ai lavoratori dei servizi, agli statali, ai disoccupati ed anche agli studenti, riempiono le strade e le piazze di tutta Italia, interrompono il lavoro negli stabilimenti, bloccano le stazioni, organizzano enormi manifestazioni di massa contro il “decreto truffa” governativo. E lo fanno in autonomia da partiti sindacati e istituzioni di sorta.
Già il 13 febbraio a Pomigliano d'Arco si sciopera per due ore, effettuando una manifestazione per il centro cittadino nel corso della quale si stampa qualche schiaffone sulla faccia dei sindacalisti craxiani della CGIL e della UIL. A Bologna sfila un corteo sino al municipio dove si richiede l'immediata sospensione della trattativa allora in corso. Assemblee si tengono in Piemonte, in Umbria, in Toscana e in Sicilia. Il 14, come abbiamo già detto, sciopera tutta la Toscana e a Firenze sfilano 40.000 persone, il traffico ferroviario è completamente bloccato, sciopera anche la stragrande maggioranza dei ferrovieri romani, si fermano molte fabbriche a Milano, Bologna e Torino con in testa la FIAT Rivalta e Mirafiori.
Martedì 15 gennaio il giorno seguente il “decreto truffa” l'Italia è praticamente bloccata. Scioperi, manifestazioni e blocchi stradali, ferroviari e negli aeroporti si succedono un po’ dappertutto, ci si mobilita a Milano, Torino, Genova, Porto Marghera, Roma, Napoli, Salerno, Taranto, Brindisi e Palermo. A Milano sono 50.000 in piazza e ad esprimere lo stato d'animo degli operai nei confronti dei vertici sindacali si scagliano pietre e uova marce contro la sede milanese della UIL. A Pozzuoli gli operai, senza farsi troppi problemi, entrano nella sede della CISL, e strigliano a dovere qualche incauto bonzo. La Liguria è tutta mobilitata: a Genova lo sciopero programmato della siderurgia si trasforma in una imponente manifestazione di più di 20.000 lavoratori contro il governo: dimostrazioni e scioperi di protesta si effettuano a Santa Margherita, a Savona, a Vado Ligure, a La Spezia.
A Roma un coordinamento di 70 consigli di fabbrica guida la protesta in un corteo che supera le 20.000 presenze, il traffico è comple tamente paralizzato e, se non bastasse, gli aeroportuali bloccano Fiumicino. In Piemonte la classe operaia torna sulle strade a manifestare: a Orbassano, nella Val di Susa e nella Val Chisone, nel novarese a Borgaro, a Borgomanero, a Ovado e a Casale i lavoratori sono in piazza; a Torino scioperano i chimici, i tessili, i metalmeccanici e i ferrovieri. A Napoli gli operai della Italsider formano un corteo che, partito dalla fabbrica, raccoglie strada facendo i ferrovieri e gli altri metalmeccanici della zona, al capo opposto della città i lavoratori della zona di Pomigliano hanno bloccato l’autostrada con barriere di pneumatici in fiamme.
Un resoconto dettagliato di tutti gli episodi di questi giorni è praticamente impossibile, dato che in lotta c'è tutta la classe operaia italiana, unita solidamente con il proletariato dei servizi, con i lavoratori statali e parastatali, con gli studenti ed ì disoccupati.
Il 16 febbraio dì nuovo manifestazioni in tutta Italia: a Torino, Genova, Trieste, Napoli, Bari, Taranto e Palermo. A Bari si blocca la stazione a Taranto nuovo corteo; si sciopera a Rivalta, a Mirafiori e alla Lancia di Chivasso; a Palermo gli edili si scontrano con la polizia di Scalfaro alla quale, evidentemente, cominciano a prudere le mani. A Trieste gli operai fischiano Liverani (UIL) e riescono a rendere la pariglia a qualche sparso sindacalista di professione. Il 17 sciopero generale a Bologna con oltre 100.000 in piazza. A Napoli sciopero di 4 ore con un corteo di 50.000 persone, si sciopera in Calabria, in Umbria, in tutta la Toscana e a Brescia. E' praticamente bloccato il traffico ferroviario in tutta la penisola. Tanto per dare la dimensione della lotta proletaria, solo durante questa giornata (che è la quarta di protesta di massa) sfilano per le strade e le piazze del nostro paese più di 250.000 fra uomini e donne.
Il 19 ancora molte stazioni sono bloccate ed assemblee si tengono in tutta Italia. Nei gironi seguenti continua l’agitazione operaia nelle ferrovie che sono in preda al disordine più completo. La borghesia grida allo scandalo e Signorile (esponente della “sinistra” socialista, ex avversario di Craxi, ora servo fedele dell’onnipotente segretario del PSI) da bravo ministro dei trasporti richiama i sindacati alla "autoregolamentazione", mentre si diffondono le richieste di limitare per legge il diritto allo sciopero. A Roma lo sciopero generale cittadino convocato da 70 consigli di fabbrica per mercoledì 22 riscontra una adesione massiccia: in piazza sono senz'altro più di 100.000 a rappresentare ì1 proletariato della capitale.
Ci troviamo costretti ad interrompere qui questa stringata cronaca delle lotte proletarie non perché esse siano concluse, ma, anzi, si sta imponendo all’ordine del giorno l'eventualità di uno sciopero generale (non a caso osteggiato dagli stessi militanti del PCI e della CGIL), ma semplicemente perché stiamo scrivendo e necessariamente dobbiamo porre un punto fermo, seppur arbitrario.
Come reagisce la classe politica italiana a quella che, indiscutibilmente, è la più grande dimostrazione di forza e dì determinazione operaia e proletaria da molti anni a questa parte? In primo luogo ne riduce le caratteristiche sociali a semplici manifestazioni del gioco interno al sistema del partiti, negando ipocritamente che i partiti stessi sono stati messi con le spalle al muro da una risposta operaia certamente inaspettata. Così il PSI accusa il PCI di essere dietro gli scioperi definiti spontanei tra virgolette. Il PCI promette una opposizione durissima e, per bocca del suo stesso segretario politico, propone ... un governo "diverso", ponte verso una “alternativa democratica”, che, a sua volta, dovrebbe preparare la benedetta alternativa di sinistra!(4).
Nel sindacato è guerra totale. Scambi di accuse reciproche si accumulano giorno dopo giorno: la più temuta è sicuramente quella di essere influenzati dai partiti, e se la lanciano fragorosamente l’uno contro l'altro i maggiori dirigenti delle organizzazioni sindacali. Lama rilascia una meschina intervista nella quale, alla domanda se la CGIL abbia abbandonato il riformismo, significativamente risponde: “ma lo sanno che cosa è un sindacato veramente riformista? ... io lo so cos'è il riformismo, io il riformismo ce l'ho nel sangue”(5) Sul versante opposto, si fa per dire, Agnelli loda il governo, che, “ ... si è mosso là dove gli altri non erano stati in grado” e De Mita, che per essere democristiano è sempre molto franco nelle sue dichiarazioni, tiene un discorso che, iniziato con “consentitemi questa piccola rivincita nei confronti del sindacato”, si mantiene su toni del genere seguente: “... ora dovete riconoscere che la pantomima, creata nel ‘77, secondo cui la contrattazione delle parti potesse sostituire la decisione politica, è naufragata”.
E' uno spettacolo indecoroso. Mentre le piazze sono piene di gente che protesta contro l'ennesima truffa governativa, partiti e sindacati si ostinano a ( ... ) questo enorme fatto sociale agli assorbenti meccanismi fisiologici di assestamento del potere borghese italiano.
In mezzo a tutta questa “bagarre”, ove ciascuno strepita ed urla per far finta di essere sorpreso e dispiaciuto dell'accaduta, calma e imperturbabile come le bronzee leggi della storia, venerdì 17 febbraio si riunisce la commissione ISTAT sulla scala mobile, sinora latitante, con le spalle coperte dal decreto del primo presidente del consiglio socialista.
Fin qui la cronaca.


NOTE
(1) - L’opposizione “costruttiva” del PCI nei confronti della legge finanziaria governativa, altro non è che una definizione eufemistica, coniata per mistificare il misero, ennesimo baratto consumato nelle aule di Montecitorio e palazzo Madama: i parlamentari di Berlinguer consentono l'approvazione in tempo di record del testo di legge (che prevede tagli su tutto il fronte delle spese destinate alle esigenze sociali) in cambio della rinuncia da parte del governo a ridurre le quote monetarie a disposizione dei comuni, delle provincie e delle regioni, che sono in buona parte controllate dal PCI. In altre parole: soldi, dei proletari, in cambio di soldi per il PCI! Del resto, in questo partito c'è chi teorizza esplicitamente, ed applaudito dalle altre forze borghesi, una linea di questo tipo facendone una bandiera “dell'alternativa”. Giorgio Napolitano pubblica all’inizio dell'anno su “l’unità" un articolo nel quale sprona il partito nella direzione di un riformismo, come dire? ... “maturo” ...
(2) - E’ noto che “il costo del lavoro”, questa ambigua e indeterminata categoria dell'economia politica borghese, non ha affatto una relazione di identità con il salario operaio, ossia con il prezzo della merce forza lavoro. In tal modo però l'uso di una terminologia imprecisa, di per sé apologetica del sistema di relazioni sociali del capitalismo, è propria del pensiero economico borghese, consente di sbandierare il presunto aumento del "costo del lavoro" persino in presenza di una riduzione del salario reale degli operai. In pratica, poi, la riduzione del “costo del lavoro” si palesa per quello che è: un attacco al salario tout court.
3) - Qualche parola in più su De Mita. Il suo modo di far politica risulta da una curiosa sovrapposizione di schemi tardo liberistici (assai vicini alle idee della Thatcher, di Reagan e dei famigerati "Chicago boys'"). Nella tradizionale immagine clientelare truffaldina della DC sebbene la sua ascesa nel partito sia infatti intrecciata con le cosche meridionali più sfacciate in fatto di mazzette e ruberie, egli ha inequivocabilmente legato le sue ultime fortune politiche ad una precisa scelta di campo: quella di rappresentare l'insofferenza della grande borghesia nei confronti di un partito alle volte troppo lento nell'esprimere svolte sostanziali all'andamento generale della società italiana. Il “rinnovamento” della DC coinciderebbe allora, nel progetto di De Mita, con la costruzione di un moderno partito conservatore di massa in grado di concretizzare quelle scelte politiche non più dilazionabili in un contesto di crisi economica e politica come l'attuale. Non sfuggiranno a nessuno le difficoltà politiche dì un simile disegno, che incontra resistenze di ogni tipo all’interno di un partito dalle caratteristiche sociali complicate come la DC (e l'esito della consultazione elettorale del 26 giugno lo dimostra), ma si tratta di una contraddizione reale, che appartiene realmente al più generale processo di assestamento del potere borghese italiano in questo critico periodo. Da questo punto di vista Ciriaco De Mita è molto più di tanti altri colleghi dì partito “figlio del suo tempo”.
(4) Vien fatto di domandarsi con chi Berlinguer vorrebbe costituire un governo "diverso". Forse con il sosia fallito della Thatcher, senatore Giovanni Spadolini? 0 forse con quella immaginaria parte della DC, rappresentativa di forze "popolari"? Qui si vede la bancarotta totale del revisionismo berlingueriano che, orfano del "compromesso storico" è portato irresistibilmente a riformulare, da una pretesa angolatura di "sinistra" la medesima proposta. In ogni caso risulta particolarmente disgustosa questa uscita, se collocata nella situazione concreta dello scontro sociale in atto nel paese.
5) E’ vero, Lama il riformismo ce l'ha nel sangue. Non a caso nel PCI sostiene la posizione di Napolitano ed è sempre stato il capo in testa di ogni svolta di destra avvenuta nella CGIL. La linea sancita all’EUR da lui patrocinata clamorosamente, è solo l’esempio più eclatante in una carriera politica svoltasi all'insegna della più bieca sottomissione alla logica sociale capitalistica. Ma questo gli operai, che non sono fessi come il Lama crede, lo hanno capito bene da molto tempo.
CAPITOLO SECONDO
IL SIGNIFICATO POLITICO DELLA LOTTA DELLA CLASSE OPERAIA CONTRO IL GOVERNO CRAXI E IL SUO “DECRETO TRUFFA”. LE PROSPETTIVE PER L’ORGANIZZAZIONE DI CLASSE.

Già l’accordo del 22 gennaio aveva suscitato una forte opposizione della CO, conducendo nelle piazze a manifestare apertamente il proprio dissenso nei confronti dell'intesa governo sindacati imprenditori. Le consultazioni condotte in fabbrica avevano poi dimostrato clamorosamente l’ostilità degli operai verso la pericolosa logica corporativa che era alla base della trattativa e del suo esito. Incuranti di questo fatto, sprezzanti delle opinioni dei lavoratori, i vertici delle organizzazioni sindacali si sono ripresentati di fronte al governo e ai padroni in questo inizio di anno ben disposti a proseguire in quella scellerata corsa al massacro delle conquiste operaie che ormai da qualche anno caratterizza con tutta evidenza la linea CGIL, CISL e UIL.
Infatti tutto l'andamento di quest’ultima trattativa dimostra ampiamente che anche le componenti PCI della CGIL sono disposte a trovare una mediazione col governo e con i padroni se non si fosse trovata di fronte ad una volontà di lotta operaia impossibile da recuperare. Se ancora non si fosse convinti di ciò, prova a posteriori ne è che tutta la CGIL (compresi i signori "eroi" Lama, Trentin e Garavini) si incontra con il ministro fiasco De Michelis per risolvere insieme la questione del contenimento dei prezzi e delle tariffe, riconoscendo DI FATTO il "decreto truffa" contro cui, a parole, tanto i si è combattuto. A COSA SERVE, CHIEDIAMO NOI, NON FIRMARE UN ACCORDO QUANDO POI SI CONTRIBUISCE A METTERNE IN PRATICA GLI ELEMENTI?
E' ben vero però, che una valutazione di questo genere può risultare riduttiva qualora non si tenga presente, più da vicino, l’atteggiamento del PCI. Questo partito accettò l'accordo del 22 gennaio CHE, NON CI STANCHEREMO MAI DI RIPETERLO, E' IL PRECEDENTE CHE HA PREPARATO IN TUTTO E PER TUTTO GLI ULTIMI AVVENIMENTI. Per sporche ragioni di potere relative alle giunte locali ed alle probabili elezioni anticipate, e per altrettanto sporche ragioni di potere, ha deciso di utilizzare la lotta degli operai al fine di punzecchiare un pochino Craxi ed il suo governo. L'anno scorso, di fatti, si era appena costituito il classico governo di transizione verso le elezioni anticipate capeggiato da un redivivo Fanfani, ed al PCI era assolutamente necessario mantenere buone relazioni con Craxi e la sua banda. In una situazione di rottura PCI PSI con quale coraggio Berlinguer avrebbe potuto parlare di “alternativa democratica”?. Il PSI inoltre premeva con il solito ricatto delle giunte locali minacciando di trasformare una buona parte di quelle di "sinistra" in giunte pentapartite.
Pressato da queste esigenze, il PCI diede disinvolto il beneplacito al tradimento del 22 gennaio, arrivando addirittura a definirlo “una vittoria”.
Ma gli schieramenti dei partiti al seguito delle elezioni col successivo governo Craxi, lungi dal rappresentare un "ponte" verso la cooptazione del PCI nel governo, hanno sospinto sempre più ai margini i revisionisti in ogni decisione importante (politica economica, missili, Libano) utilizzandoli al massimo come “servi sciocchi” in qualche sporadica occasione. Per questi motivi, oltre che naturalmente per lo sviluppo dì una mobilitazione di massa con pochi precedenti, il PCI ha deciso di farsi forza della lotta proletaria. Per questo, nonostante lo stato d'animo delle masse sia più che chiaro, il PCI avanza bizantine proposte di governi "diversi" strizzando l’occhio al grasso elefante Spadolini. Esemplificativo di tutto ciò è senz'altro il modo con cui il PCI cerca di spaventare gli altri partiti borghesi, solo il nostro partito, strombazzano pomposamente i pompieri delle Botteghe Oscure può garantire la pace sociale; solo noi possiamo far finire le agitazioni operaie che impediscono la puntualità dei treni e la produzione nelle fabbriche. L'OBIETTIVO DEL PCI NON E' LA DIFESA DEGLI INTERESSI DEL PROLETARIATO (quante volte i revisionisti hanno dimostrato di venderli per un piatto di lenticchie?) BENSI’ LA PACE SOCIALE CON BERLINGUER AL GOVERNO.
Lasciamo da parte le interminabili beghe che impegnano i partiti borghesi nei loro risibili caroselli, è la notevole sostanza di fondo dell'attuale scontro sociale che va colta se si vogliono individuare le prospettive possibili che si aprono per il proletariato in questa importante e quanto mai critica congiuntura.
DA QUESTO PUNTO DI VISTA, LA VALUTAZIONE GENERALE CHE SI DEVE DARE DI QUESTO CICLO DI LOTTE E’ CHE SI TRATTA DELLA PIÙ GRANDE E CONSAPEVOLE OPPOSIZIONE DI MASSA AL REAZIONARIO DISEGNO BORGHESE DI GESTIONE AUTORITARIA DELL’ECONOMIA E, IN GENERALE, DELL’INTERA SOCIETÀ.
Le smaccate tendenze corporative da molto tempo presenti nel sindacato non sono certo un fattore isolato nel quadro politico e sociale odierno. Il (corporativismo) neocontrattualismo sbandierato come una scoperta "scientifica" dai vertici delle organizzazioni sindacali, è soltanto l’estrema propaggine della nascente sensibilità borghese al richiamo dell'autorità, della “decisione” operata indipendentemente dal consenso sociale conseguibile (1). La lotta operaia di questi giorni ha perciò il fondamentale merito di aver fatto cadere il velo che ricopriva con l’ipocrita messa in scena del "patto sociale" le scelte di fondo compiute dalla BI italiana, DIMOSTRANDO, AL CONTEMPO CHE ESISTE UN VASTO FRONTE DI CLASSE DISPOSTO A CONTRASTARLE E COMBATTERLE.
Sarà utile soffermarsi per qualche riga sulla questione del "patto sociale". La nostra 0, colpendo il 3 maggio 1983 il prof. Gino Giugni, aveva inteso attaccare uno degli artefici materiali dell'accordo del 22 gennaio, inserendosi così sul terreno della lotta di avanguardia contro il disegno reazionario che quest'impresa prefigurava. Nel comunicato erano esposte le ragioni e le implicazioni di quell’iniziativa combattente, affermavamo tra l'altro che il patto sociale, sancito il 22 gennaio, permetteva in realtà “IL VARO DI LICENZIAMENTI DI MASSA, IL GOVERNO ANCORA PIÙ’ RIGIDO DEL MERCATO DELLA FORZA LAVORO, LA COMPRESSIONE SINO ALL'INVEROSIMILE DELLE SPESE SOCIALI E DEI MECCANISMI DI RECUPERO SALARIALE SULL’INFLAZIONE”, mettevamo altresì in guardia che ingenuamente si ostinava a considerare quegli accordi come un fatto isolato, scollato dalla più generale risposta che la borghesia tentava e tenta di dare alla profonda crisi economica, politica e sociale in cui ormai da tempo versa il nostro paese. I fatti ci hanno dato ragione: nell’anno che è trascorso vari, significativi avvenimenti hanno confermato il nostro punto di vista. Dal contratto dei lavoratori metalmeccanici alla decisione CEE e governativa sugli impianti siderurgici, dagli aumenti continui dei prezzi e delle tariffe più importanti, alle leggi finanziarie che tagliano senza pietà i fondi destinati alle spese sociali, si è svolto in quest’anno un crescere continuo della pressione governativa e padronale, sulle condizioni materiali di esistenza del proletariato. E' aumentata la sordità e l’arroganza dei dirigenti sindacali nei confronti degli operai, si è usato ed abusato di decreti legge per frodare nei più svariati modi coloro che vivono del proprio lavoro, il governo Craxi si è rivelato per quello che è: un branco di ladri al servizio dei padroni, preoccupato unicamente di favorire la ristrutturazione selvaggia dell'apparato produttivo italiano. Tutto ciò, tutta l’indignazione e la volontà di lotta che questi gravi episodi hanno ingenerato nel proletariato si sono concentrate e condensate nel fortissimo movimento di lotta operaia iniziato a febbraio, mandando così in frantumi qualsiasi ulteriore velleità di mistificazione del conflitto sociale. In poche parole, la logica stessa che era alla base degli accordi del 22 gennaio ha portato alla dissoluzione del “patto sociale”, che si è rivelato una manovra di netta impronta classista e, suo malgrado, un incentivo per lo sviluppo della lotta tra le classi (2).
La lotta di massa contro la riedizione del "patto sociale" si è diretta però non solo contro il governo, ma anche contro le direzioni burocratiche e borghesi dei sindacati; o meglio: il movimento operaio, per poter realmente lottare contro il governo e i padroni doveva necessariamente scrollarsi di dosso la nauseante tutela dei vertici delle confederazioni. Il corso della trattativa ha confermato una volta di più quello che GLI OPERAI SAPEVANO GIÀ DA TEMPO: CHE LE DIREZIONI DEI SINDACATI SONO STRUTTURE IN MANO AI PARTITI E CHE FUNZIONANO COME MERI STRUMENTI DI CONTROLLO E IMBONIMENTO DELLE MASSE. Gli avvenimenti stessi di queste ultime settimane testimoniano ampiamente che non è possibile una dura lotta dei lavoratori contro i governi borghesi senza che ci si liberi al contempo degli strumenti di controllo che la borghesia esibisce sin dentro il movimento operaio. Come non vedere infatti l'enorme esplosione di energia proletaria che la “rottura” sindacale ha permesso, COME NEGARE CHE LA SCONFESSIONE DELL’APPARATO DEL SINDACATO, LUNGI DAL COSTITUIRE UN IMPEDIMENTO DELLA LOTTA ORGANIZZATA E CONSAPEVOLE, SI E’ TRAMUTATO IN UN POTENTE FATTORE DI MOBILITAZIONE DI MASSA? In verità la "rottura sindacale" è solo la manifestazione più appariscente delle contraddizioni che la lotta operaia ha aperto in quelle istituzioni borghesi che sono, considerate nel loro complesso, i sindacati; la divisione dei vertici sindacali, in quanto incrina la compattezza e la solidità di questi strumenti di controllo delle masse, rappresenta un successo per la lotta di classe proletaria.
Anche considerando solo alcuni dei tratti caratteristici del movimento operaio di queste settimane si deve riconoscere che l'opposizione profonda espressa dalla classe operaia al governo e al suo “decreto truffa” aveva come condizione imprenscindibile la sconfessione radicale dell'operato del sindacato e un chiarimento militante sulla sostanza dell’unità di classe. Come ognuno può vedere, siamo in presenza di una mobilitazione realmente di massa, eccezionalmente prolungata e consapevole, in grado di dotarsi dell’organizzazione necessaria e di praticare forme di lotta - blocco delle stazioni, degli aeroporti, cortei interni con “spazzolate”, strigliate ad invisi sindacalisti, etc - capace, infine di fungere da perno per la lotta di tutto il proletariato, unendo in un fronte compatto i lavoratori dei servizi, del commercio, gli statali, i disoccupati e gli studenti. Siamo seri: quando mai hanno Carniti e Benvenuto permesso un simile movimento? Il massimo che da sempre concedono agli operai è di svolgere “ordinate manifestazioni”, immancabilmente concludentesi sotto il palco del pompiere di turno (4).
Per concludere, è molto significativo (e sarebbe anche divertente se non si trattasse di una questione molto seria per il proletariato) il dibattito sulla cosiddetta “unità sindacale” che si sta svolgendo tra il quadro dirigente delle tre confederazioni. Si straparla di unità, si ritiene necessario ricostruirne una! Sia pur modificata, federazione unitaria. Ma di che federazione si tratta? Quale unità si vuole ricostruire? Con tutta chiarezza l’unità che Lama, Carniti e Benvenuto ricercano è quella che gli permetterà di nuovo di controllare la classe operaia, E’ QUELLA CHE GLI PERMETTERÀ DI CONTINUARE AD OFFRIRE I LORO SERVIZI AI SEGRETARI DEI PARTITI NEI QUALI MILITANO, E' QUELLA CHE GIÀ GLI PERMETTE, NONOSTANTE TUTTA LA FARSA INSCENATA, DI SEDERE INSIEME DAVANTI AL MINISTRO FIASCO DE MICHELIS PER ACCORDARSI SULL’APPLICAZIONE DEL “DECRETO TRUFFA" GOVERNATIVO.
Il bisogno prepotente di unità che cresce e si afferma nella classe operaia è cosa assolutamente diversa e contrapposta a quel fetido alito che si spande dai palazzi romani giù, giù fin nelle fabbriche. La “unità” delle direzioni sindacali deve essere combattuta dalla classe operaia mentre, al contrario, bisogna risolutamente sviluppare la solidarietà esistente (di classe) nelle fabbriche e nei posti di lavoro. L’UNITA' CHE SI FONDA SULLA VOLONTÀ DI LOTTA AL GOVERNO ED AI PADRONI. QUEST’UNITA’ E' L'UNICA VERAMENTE IN GRADO DI RAPPRESENTARE LE ESIGENZE E LE OPINIONI DEI LAVORATORI.
La domanda che ogni avanguardia di classe si sta ponendo, l'interrogativo che ogni operaio e proletario conseguente, partecipe del movimento di queste settimane si trova di fronte è: quali prospettive si aprono per il movimento operaio italiano? Quali obiettivi, organizzativi e politici, devono essere posti all'ordine del giorno dal proletariato cosciente? Innanzi tutto, ogni trionfalismo di maniera va bandito dalla seria discussione che si sta sviluppando nel movimento di classe, la strada da percorrere è ancora molto lunga, ed in più le istituzioni borghesi (che governano alle strutture dirigenti dei sindacati) lavorano a pieno ritmo per spezzare l'onda imponente della lotta di massa, con il preciso obiettivo di ridurla ai termini di una manifestazione fisiologica del sistema dei partiti borghesi. Ma le lotte della classe operaia, sviluppatesi in questo inizio di anno consentono sicuramente di mettere all’ordine del giorno alcuni obiettivi organizzativi e politici validi per tutto il proletariato italiano ed, in primo luogo, per il proletariato di fabbrica.
Una delle ragioni principali dello sviluppo della lotta operaia è stata, come abbiamo cercato di spiegare sin qui, la capacità del proletariato di fabbrica dì rigettare l'ipoteca sindacale, ed insieme con essa l’intera logica autoritaria e corporativa alla base del cosiddetto "patto sociale" sancito il 22 gennaio '83. Questo enorme fatto politico ha avuto un riscontro organizzativo preciso nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro contribuendo a far crescere negli operai e nei proletari la consapevolezza della necessità di UN’ORGANIZZAZIONE DI MASSA REALE, SOTTRATTA ALL’INFLUENZA BUROCRATICA E CONCILIATRICE DEI VERTICI DELLE CONFEDERAZIONI. Si sono creati coordinamenti di fabbriche al di fuori dei Consigli Unitari di Zona, centinaia di consigli di fabbrica si sono riuniti assumendosi direttamente la responsabilità di decisioni importanti quali la convocazione di scioperi generali, cittadini, si è rimessa in moto la discussione operaia a lungo costretta a un'esistenza sotterranea dallo strapotere padronale e dallo schifoso servilismo sindacale, il proletariato ha ritrovato la fiducia nell'impegno militante e non episodico, i1 solo che garantisce il raggiungimento di obiettavi politici rilevanti. Questa spinta all'organizzazione di classe non deve essere lasciata cadere: L’INDICAZIONE GENERALE VALIDA PER TUTTO IL PROLETARIATO, E' ALLORA QUELLA DI CONSOLIDARE LE FORME DI ORGANIZZAZIONE SCATURITE DALLA LOTTA PROLETARIA CONVALIDANDO QUEI LEGAMI DI SOLIDARIETÀ DI CLASSE SVILUPPATISI IN CONTRAPPOSIZIONE ALL’INDIRIZZO BUROCRATICO E CONCILIATORE DEL SINDACATO. Ogni avanguardia di lotta, ogni proletario ed operaio conseguente deve impegnarsi in questo lavoro, deve spendere tutte le proprie energie nell'estensione dell'unità di classe su basi organizzative realmente capaci di rappresentare gli interessi dei lavoratori. LOTTA ORGANIZZAZIONE LOTTA E’ IL PRINCIPIO CHE DOBBIAMO TENERE PRESENTE!
La lotta di classe produce organizzazione e questa, a sua volta, è un potente mezzo di sviluppo di ulteriore lotta, poiché concentra energie e le riutilizza in modo consapevole nello scenario sociale. Ma è l’esistenza di obiettivi reali, DI OBIETTIVI POLITICI COMUNI A TUTTA LA CLASSE LAVORATRICE, quella che garantisce lo svolgimento positivo di quest’essenziale processo. Si considerino le caratteristiche principali delle lotte operaie di cui ci si occupa in questo opuscolo: LA LORO AMPIEZZA E LA LORO FORZA SONO DIRETTAMENTE PROPORZIONALI AL CONTENUTO POLITICO CHE NE E' ALLE FONDAMENTA. L’opposizione generale alla manovra di politica economica del governo si diffonde in ogni fabbrica, in ogni posto di lavoro, sulle strade e sulle piazze d'Italia; essa sola è in grado di travalicare gli interessi settoriali delle singole fabbriche spezzando la logica infernale che vuole il movimento del proletariato frazionato in mille rivoli, incapace di contrapporsi efficacemente ad una borghesia forte della ristrutturazione selvaggia passata in fabbrica e di un esercito industriale di riserva accresciuto e bisognoso di vendere la propria forza lavoro. Non vi è dubbio che la classe operaia italiana ha subito un attacco estremamente pesante da parte del padronato e dei suoi servizievoli governi; in questi ultimi anni il movimento operaio è stato progressivamente sospinto sulla difensiva e molte delle sue conquiste principali si sono dissolte una dopo l’altra, quasi dimostrare che nella lotta di classe nulla può essere dato per scontato e definitivo. Le fabbriche martoriate dallo sviluppo delle tecniche capitalistiche di sfruttamento e dalla ristrutturazione tecnologica, hanno conosciuto una espulsione massiccia di lavoratori, perdendo i loro collegamenti e ripiegandosi nella ricerca di singole soluzioni per singoli problemi. L'ultimo ciclo di lotte conferma che oggi, più ancora che negli anni passati, è proprio la DIMENSIONE PRATICA della lotta di classe quella che consente al proletariato di opporsi con successo a dei governi e a un padronato sempre più determinati nelle loro scelte reazionarie ed antiproletarie; LA LOTTA POLITICA DEL PROLETARIATO, LA MOBILITAZIONE DI MASSA INTORNO AD UN PRECISO PROGRAMMA POLITICO, RAPPRESENTANO LA DIREZIONE GIUSTA DA PRENDERE PER IL MOVIMENTO DI CLASSE NEL NOSTRO PAESE(5).
In questo senso, un’indicazione politica generale, valida per tutto il proletariato, è quella di ESTENDERE LA MOBILITAZIONE DI MASSA E DI AVANGUARDIA SU QUESTA PAROLA D'ORDINE: NO AL “DECRETO TRUFFA” ED ALLA POLITICA ECONOMICA DEL GOVERNO CRAXI! E' questa parola d'ordine che ha guidato il potente ciclo di lotte operaie e proletarie iniziato a febbraio, su questi obiettivi politici la classe operaia ha ritrovato un’unità reale e militante in grado di oltrepassare i limiti angusti della singola fabbrica.
Il quadro dei problemi che questo cielo di lotte ha posto all'attenzione generale delle avanguardie di classe non sarebbe completo senza un esame delle possibili deviazioni che il movimento operaio è suscettibile di patire nella complicata situazione attuale. In linea di massima due sono i pericoli da tenere in debita considerazione: il pericolo dell'opportunismo e dell’egemonia dì destra sulla classe operaia e le sue lotte; quello di una deviazione di natura estremistica e piccolo borghese, incapace di considerare dovutamente l'importanza della questione dell'unità di classe. Dei due, il primo pericolo è sicuramente il più evidente ed il più attuale, quindi deve essere combattuto con maggiore energia.
Ci siamo soffermati a lungo sulle posizioni del PCI e della CGIL non certo per vezzo “antirevisionista” ma proprio perché uno dei più grossi equivoci di questi giorni è quello sul ruolo svolto realmente dai sindacalisti del PCI e dal loro partito negli avvenimenti in corso: va contrastata e smascherata con tutti i mezzi, con tutte le forze la filistea posizione che vorrebbe Lama, Trentin, Garavini come gli “alfieri” della protesta proletaria. In realtà, e crediamo di aver fornito sufficienti elementi di giudizio per tutti a questo proposito, il PCI e i suoi sindacalisti sono montati in groppa al cavallo proletario perché hanno capito benissimo che non si poteva più mettergli le briglie; essi hanno appoggiato SINO AD UN CERTO PUNTO, la protesta operaia per poter così meglio incanalarla nel cosiddetto “alveo istituzionale”, ridotta a puntello dei loro meschini giochi politici. SI’, NOI, LE BRIGATE ROSSE, accusiamo pubblicamente il PCI di aver cavalcato la lotta della classe operaia e, a conferma di quanto diciamo, elenchiamo, tra i tanti, tre fatti precisi: 1° Berlinguer, mentre le piazze d’Italia erano piene di operai che protestavano contro le scelte di un governo borghese, propone un governo "diverso", da costituirsi presumibilmente con Spadolini, con Craxi e con qualche “tecnico” raccattato nei peggiori covi borghesi; 2° Trentin siede tranquillo davanti al ministro fiasco De Michelis per applicare il concetto di “decreto-truffa”; 3° i sindacalisti del PCI osteggiano e boicottano spudoratamente la proposta di uno sciopero generale politico contro il governo. CHI E' CHE CONVOCA LE LOTTE DEGLI OPERAI? CHI STRUMENTALIZZA LE OPINIONI DEI LAVORATORI? Crediamo che la risposta a questo sia scontata. Nel movimento operaio va allora combattuta una dura lotta contro tutte le tendenze di destra, convergenti tra di loro nel voler rincanalare sotto la direzione sindacale, e in primo luogo sotto la direzione dei militanti del PCI della CGIL, la consapevole e radicale opposizione antigovernativa espressa dalla classe operaia. E' una lotta che deve essere condotta con decisione e che non deve risparmiare tutte quelle forze che, come DP e la sedicente “sinistra sindacale”, prigioniere di una logica assai affine al minoritarismo gruppista, si propongono come unico fine quello di sfruttare le esplosioni di rabbia proletaria per guadagnare un seggio in più al parlamento o al direttivo confederale.
D'altro canto, sono ugualmente pericolose anche se molto meno delle tendenze di destra, tutti quegli atteggiamenti estremistici i quali, per criticare il sindacato o il PCI, finiscono per perdere di vista la questione dell’unita dì classe ed i grandi problemi del movimento operaio italiano. L’esistenza di simili posizioni è forse un portato necessario e a suo modo inconsapevole, della pesante influenza revisionista che da molti anni sì esercita sulle lotte della classe operaia; ma ciò non toglie che la maturità delle avanguardie di classe non si misuri solo sul piano del loro impegno antiopportunista ed antirevisionista, ma anche e soprattutto sulla capacità di avere presente chiaramente l’interesse generale del proletariato nella dinamica complessiva dello scontro sociale.(6)
Le prospettive per l'organizzazione di classe dunque sono positive. La lotta politica della classe operaia contro il governo Craxi ed il suo "decreto truffa", ha aperto notevoli spazi al lavoro delle avanguardie operaie e proletarie nel movimento antagonista.
CONSOLIDARE LE FORME DI ORGANIZZAZIONE REALE E DI MASSA SCATURITE DALLA LOTTA PROLETARIA IN CONTRAPPOSIZIONE ALL'INDIRIZZO BUROCRATICO E CONCILIATORE DEL SINDACATO. ESTENDERE LA MOBILITAZIONE DI MASSA E DI AVANGUARDIA PER LOTTARE CONTRO IL “DECRETO TRUFFA” E LA POLITICA ECONOMICA DEL GOVERNO CRAXI. QUESTI SONO I COMPITI POLITICI CHE L’AVANGUARDIA DI CLASSE DEVE AVER PRESENTI, ECCO LA PROSPETTIVA CONCRETA PER IL MOVIMENTO OPERAIO ITALIANO!

NOTE
1) Il problema non è di sigle, G. Agnelli in una conferenza tenuta il 21 gennaio al council of foreign relations di New York davanti ad "anime belle" della schiatta di David Rockfeller, Artur Schlesinger, Zhignew Brezinsky, afferma: “'il dilemma di ogni paese è quello di decidere tra due cure: l'austerità neoconservatrice (come USA ed Inghilterra) e il rigore socialista (Francia e Svezia) entrambe difficili”. L'avvocato si ritiene sconfortato che il difetto dell'Italia sia quello di non risolversi né per l’una né per l'altra. Il primo presidente del consiglio socialista ha tentato di proporgli che anche qui si può fare qualcosa.
2) Vi è senz'altro nella borghesia una ritrosia, per cosi dire, strutturale ad ammettere la sostanza classista della società moderna. Nel primo periodo storico di esistenza del capitalismo questa ritrosia si manifesta, alternativamente, come demonizzazione della lotta di classe - attribuita all’agitazione irresponsabile dei cosiddetti ”mestatori” - o, come negazione assoluta aprioristica della divisione profonda di interessi che percorre l'intera società. L'oscillazione tra questi due atteggiamenti è dovuta, naturalmente, alla situazione concreta che la classe dominante si trova di fronte. La società capitalistica moderna, al contrario, cresce e si sviluppa sulla consapevolezza (per altro necessariamente frammentaria ed ideologica) degli aspetti contraddittori che stanno alla base della sua dinamica evolutiva. Così, in quanto persino nell'economia politica borghese ci si trova costretti ad assumere come dato di fatto inoppugnabile l'andamento ciclico dell’economia capitalistica, intanto si sviluppano apparati di mediazione e di incorporazione aventi l'esplicito fine di contenere all'interno della logica della classe dominante il complesso sociale. Sotto questo aspetto, non ultimo è il ruolo svolto da organizzazioni e da partiti operai, per tutta una serie di motivi recuperati completamente all’ottica della società borghese. Nelle forme più avanzate di democrazia borghese la capacità mistificatoria della sostanza irrevocabilmente conflittuale della società è assai sviluppata esistendo una quantità di istituti positivi nei quali trova rappresentanza, opportunamente distorto e snaturato, l’interesse della classe proletaria. Si tratta, ovviamente di una integrazione conflittuale soggetta a fortune diverse a seconda dei periodi particolari che si attraversano: in definitiva, risulta ostico per chiunque negare del tutto la lotta di classe la cui evidenza si ripresenta caparbia sulla scena sociale magari quando si sta per cantar vittoria. Ma, di fatto, la dislocazione della lotta tra le classi dal piano dello scontro esplicito a quello del confronto tra rappresentanze istituzionalizzate, consente ed ha consentito alla borghesia di assorbire, talvolta sussultando, anche le spinte più violente. Si tratta come si capisce, di una questione di fondamentale importanza per la politica rivoluzionaria leninista dei giorni nostri.
3) Una prova, seppure indiretta, delle nostre affermazioni ci proviene proprio dall’atteggiamento della grande borghesia industriale di fronte ai problemi dell'unità sindacale. I padroni, che hanno approfittato del clima non idilliaco presente nella Federazione Unitaria e che pure non nascondono il proprio compiacimento per la divisione esistente tra i dirigenti sindacali, si interrogano preoccupati sul futuro delle "relazioni industriali" e sulle possibilità di sviluppo della lotta operaia, la quale, sfuggita di mano a persone nonostante tutto "responsabili" come Lama, Carniti e Benvenuto, potrebbe addirittura mettere in forse tutte le conquiste capitalistiche degli ultimi anni.
4) E' esattamente per questi motivi che oggi non solo Benvenuto e Carniti ma lo stesso Lama si ritrae inorridito dalle forme di lotta più efficaci messe in atto dalla classe operaia. Egli, come i suoi colleghi non può sopportare il benché minimo spostamento da quella illegalità sempre invocata e difesa nei momenti critici della lotta di classe. Non si creda infine che sia passata inosservata la relazione che esiste tra le condanne degli scioperi ferroviari formulate dai dirigenti sindacali, il richiamo alla “autoregolamentazione” degli scioperi fatto dal servo di Craxi, ministro dei trasporti Signorile, ed il prurito crescente nelle mani della polizia di Scalfaro.
5) Negli ultimi anni, all'interno del movimento rivoluzionario italiano, si è combattuta una dura battaglia teorica e pratica a proposito dei temi della centralità operaia, della politica rivoluzionaria e del partito del proletariato. La nostra organizzazione, in questo cruciale scontro di idee e di pratiche militanti, ha difeso il marxismo e il leninismo contro ogni sorta dì immediatismo e di estremismo piccolo borghese. In particolare il fronte leninista si è trovato a fronteggiare posizioni che, tanto sconsiderate quanto spocchiose, arrivavano a negare ogni valore alla dimensione politica della lotta di classe del proletariato. Il terreno della pratica che da sempre è l'unico sul quale sono costrette a verificarsi ideologie e posizioni politiche le più varie, ha operato come discriminante essenziale anche in questa aspra battaglia politica: l'immediatismo piccolo borghese non soltanto risulta completamente cancellato dalla scena politica, ma, tanto più significativamente, dichiara in modo esplicito la sua bancarotta attraverso dissociazioni, “ripensamenti”, scioperi della fame concordati con vescovi e via dicendo. La nostra organizzazione pur in una situazione obiettivamente difficile, continua a lottare e combattere proprio perché al centro della sua attività vi sono i cardini politici del marxismo leninismo: l'esigenza irrevocabile del partito rivoluzionario del proletariato, la necessità della direzione politica cosciente sul movimento di classe, la centralità della classe operaia nel processo generale della rivoluzione proletaria. La chiara dimensione politica assunta dall'ultimo ciclo di lotte operaie è, in quest'ottica, una delle migliori conferme per il nostro punto di vista.
6) La tendenza ad esaltare e, nel medesimo tempo, ghettizzare ì comportamenti operai e proletari più radicali è un "male antico" del movimento rivoluzionario italiano, a cui, per un certo periodo, non si sono sottratte le stesse Brigate Rosse. Il problema naturalmente non è quello di negare il significato che rivestono certe situazioni di avanguardia nel movimento complessivo di classe ma quello di darne una valutazione, per così dire, obiettiva, cioè dimensionata alla loro reale incidenza sociale generale.

CAPITOLO TERZO
LA SITUAZIONE POLITICA GENERALE ITALIANA ED I COMPITI DEL PROLETARIATO.

1° Brevi cenni sulla crisi capitalistica attuale.
Da oltre un decennio perdura nel mondo capitalistico la più profonda crisi economica che le società industriali abbiano conosciuto dal dopoguerra. Brevi ed effimeri intermezzi espansivi non hanno rotto la sostanziale unità di un periodo storico contrassegnato dalla CRISI GENERALE del modo di produzione capitalistico: la crisi delle forme di accumulazione assunte dal capitale su scala internazionale in quest'ultimo quarantennio ha investito, sia pur con intensità diverse, ogni settore produttivo ed ogni nazione (1). Gli effetti dì questa crisi si sono manifestati nei più differenti ambiti della società: dalla sfera politica a quella militare, dall'ideologia alla religione, ogni campo ha risentito notevolmente delle contraddizioni apertesi nella base economica; ogni attività di una qualche importanza sociale si è dovuta misurare con i ristretti margini di movimento stabiliti dalla recessione della produzione capitalistica.
CERTAMENTE, CRISI DI QUESTE PROPORZIONI SONO STATE SUPERATE DAL CAPITALISMO. MA LO SONO STATE A PREZZO DI ENORMI DISTRUZIONI DI FORZA PRODUTTIVA SOCIALE, DI GRANDI RIPARTIZIONI DI MERCATI INTERNAZIONALI E DI SPAVENTOSI SALTI NEL PROCESSO DI SVILUPPO DELLA CONCENTRAZIONE E DELLA CENTRALIZZAZIONE DEL CAPITALE. Nella storia PER COME SI E' REALMENTE SVOLTA (2) il momento decisivo, il LUOGO CONCRETO in cui trova condensazione la spinta obiettiva e propria del modo di produzione capitalistico a superare le contraddizioni (spostandole, per cosi dire, più in là) è costituito dalla guerra diretta tra gli imperialismi, che ha consentito e consente di stravolgere completamente l'assetto economico, politico e sociale precedente e ponendo al contempo le basi strutturali per un nuovo ciclo espansivo.
La guerra imperialistica, naturalmente, è risultato materiale che scaturisce dall’incrociarsi contemporaneo di molti interessi e di molte tendenze, contingenti e necessarie. I grandi gruppi monopolistici e finanziari, la loro competizione sugli stati nazionali per influenzare in modo decisivo le scelte governative, trovano respiro e nuove prospettive nella produzione bellica legandosi strettamente alle caste militari. Le classi politiche si fanno progressivamente sensibili a questi richiami, sviluppando le loro attività in direzione di una maggior aggressività sia in campo interno che in campo estero. Si crea un clima ideologico e culturale improntato allo sciovinismo, al culto del militarismo e dell'uso risolutore della forza; la crisi morale della società borghese tocca le sue punte più avanzate. Tutti questi elementi, che si sovrappongono tra di loro influenzandosi reciprocamente, concorrono a determinare la situazione in cui, occasionalmente, si produce il CASUS BELLI, ma quest'ultimo, appunto, é soltanto l’accidente inevitabile che permette l'intero svolgimento delle contraddizioni sociali nel loro contenuto. Insomma, ALLA BASE DELLA COMPETIZIONE TRA LE NAZIONI STA IL CONTENUTO ANTAGONISTICO DELLE RELAZIONI SOCIALI CAPITALISTICHE; E’ LA CRISI GENERALE DEL MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO CHE GENERA LA GUERRA. Le caratteristiche principali dell'attuale scenario internazionale confermano questo punto di vista. La ristrutturazione generale delle economie dei paesi capitalistici avanzati si accompagna ad ad una marcata definizione in senso aggressivo e reazionario degli indirizzi politici della borghesia. I milioni di licenziamenti, lo sviluppo della tecnologia e la intensificazione dello sfruttamento marciano di pari passo con le scelte politiche sempre più pericolose, con ripetuti confronti militari in varie regioni del globo che approssimano via via lo scontro diretto tra imperialismi. La politica economica e la politica estera degli USA di Reagan sono, da questo punto di vista, soltanto il lato più evidente di un processo COMPLESSIVO che, in forme specifiche e conformi alle particolari situazioni regionali, INTERESSA TUTTO IL MONDO CAPITALISTICO AVANZATO.
E' quindi di queste tendenze complessive che si deve tener conto, volendo cominciare qualsiasi discorso sulla situazione politica generale italiana.

2° La situazione italiana.

La grande borghesia del nostro paese, la BORGHESIA IMPERIALISTA nostrana, è consapevole ormai da tempo della necessità di imprimere svolte assai nette all'andamento generale della società italiana. E' questo, un bisogno che la classe dominante inizia ad avvertire acutamente in seguito alle lotte operaie e proletarie del 68/69 e che cresce e si rafforza nella coscienza borghese durante il corso degli anni '70, contrassegnati dall'approfondirsi della crisi del modello di sviluppo economico specificamente italiano e dell'insorgere contemporaneo di un potente movimento proletario la cui natura avanzata è costituita dalla esistenza di un vero e proprio MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO ARMATO. L'Italia perde a vista d'occhio la posizione internazionale che si era faticosamente riconquistata nell'immediato dopoguerra: in un mondo profondamente segnato dal bipolarismo USA-URSS e, nel campo occidentale, dalle cosiddette locomotive (USA e RFT), l'instabile realtà del nostro paese viene irresistibilmente sospinta ai margini dell'ambito delle divisioni strategiche e di un difficile sviluppo economico.
La possibilità di invertire questa tendenza risulta sostanzialmente impraticabile, per la borghesia, durante tutto il corso degli anni '70: l'intrinseca debolezza della economia italiana (soggetta più di altre alle fluttuazioni dei cicli internazionali) ed un particolare quadro politico, connaturalmente frazionato ed instabile, non permettono risposte di UNA CERTA GENERALITA' (3) ad una situazione sociale sentita come assai pericolosa dalle classi dirigenti. L'unico serio tentativo di risolvere la "questione italiana", quello della cooptazione del PCI nella maggioranza governativa in funzione di controllo delle masse, esce dalla storia insieme al suo massimo ideatore ed artefice: tra il 16 marzo e il 9 maggio 1978, LE BR CATTURANO E GIUSTIZIANO ALDO MORO, ASSESTANDO COSÌ IL COLPO POLITICO DECISIVO A QUEL TOTALIZZANTE DISEGNO DI CHIUSURA DEGLI SPAZI DI OPPOSIZIONE SOCIALE CHE GIA AVEVA SUSCITATO UN ESTESO. MOVIMENTO DI PROTESTA PROLETARIA. CULMINATO NELLE LOTTE DI MASSA DEL '77. Tuttavia, l'aggravarsi progressivo della crisi economica nazionale ed internazionale ed il deterioramento delle relazioni tra gli stati in campo mondiale, ingenerano nella borghesia italiana una insofferenza sempre più accentuata verso una situazione in cui i rapporti di forza complessivi tra le classi non permettono una gestione della società, ed in primo luogo dell'economia, confacente alle rigide regole imposte dalla crisi capitalistica. Pertanto una serie di esperienze economiche politiche repressive accumulate sino a quel punto in nodo frammentario ed episodico, subiscono all'inizio degli anni '80, una sensibile accelerazione determinando così un ricompattamento obiettivo e generale dei più importanti settori borghesi su linee di politica interna ed estera schiettamente reazionarie ed antiproletarie. Le Forze Rivoluzionarie specialmente le Organizzazioni Combattenti si presentano impreparate a questo cruciale appuntamento: l'inizio degli anni ' 80 le trova sostanzialmente incapaci di compiere il salto dalla giovinezza alla maturità politica ed esploderanno in modo dirompente tutte quelle contraddizioni teoriche e politiche irrisolte per un'intera fase. (4)
La FIAT di Giovani Agnelli. come da manuale, da il “la” ai punti di rivincita padronali spedendo 24.000 lettere di licenziamento (preparate dagli ormai famosi 61 licenziamenti politici del '79) agli operai della casa torinese. E' l'inizio di una brusca velocificazione nel processo, iniziato già da tempo, della ristrutturazione industriale. Tutto il capitale italiano, privato e di stato, si impegna in un'impresa -non ancora conclusa- il cui obiettivo è un'enorme SALTO DI COMPOSIZIONE ORGANICA e la cui condizione è rappresentata, in termini pratici, da centinaia di migliaia di licenziamenti, dall'uso massiccio della cassa integrazione dal mutamento totale della organizzazione del lavoro in fabbrica al fine di aumentare a dismisura lo sfruttamento. Nel campo politico, tradizionalmente sonnolento, alcune cose sono sensibilmente mutate: il PSI di Bettino Craxi, arrivato alla fine del processo di liberazione dal populismo nenniano e demartiniano, si rivela un agile e moderno partito borghese, incline a spostare alcuni degli indirizzi politici prevalenti nella grande borghesia. Giovanni Spadolini nel PRI, sviluppa in modo esplicito e disinvolto le basi reazionarie del lamalfismo, proponendosi come l' "alter ego" nostrano di Reagan e Thatcher. La dc, dopo un travaglio interminabile protrattosi dal 16 marzo '78, trova finalmente una fragile e relativa unità sotto la guida di De Mita, che la inchioda con inopinata decisione al carro dei grandi gruppi monopolistici e finanziari. Al lato opposto si fa per dire! i revisionisti perdono ogni prospettiva di impegno governativo riducendosi ad una ipocrita proposta, la "alternativa democratica" che comunque non li ostacolerà nel rendersi disponibili per qualunque compromesso pur di ottenere uno straccio di ministero. Si compone insomma, un quadro politico che, pur nei sussulti propri di una classe politica truffaldina priva del cosiddetto “senso dello stato” è disposta ad ogni sorta di intrighi pur di punzecchiarsi al suo interno, CONSENTE DI OPERARE SVOLTE SOSTANZIALI E NON PIU' DILAZIONABILI SUL TERRENO POLITICO e di porre all'ordine del giorno questioni del genere della riforma istituzionale, della riduzione del'. costo del lavoro mediante il taglio netto della scala mobile, della riforma strutturale del salario, dell'installazione dei missili nucleari NATO nel nostro territorio e dell’impegno in due missioni militari in medio oriente al di. fuori dell'egida ONU.
L'accelerazione del movimento nella sfera economica e politica permette graduali assestamenti in senso reazionario nei più svariati campi delle relazioni sociali. Sotto la conduzione Lagorio del ministero della difesa, si inizia una grottesca quanto eloquente rivalutazione dei militari e in primo luogo dei CC; Forlani (in quel momento presidente del consiglio) arriva a definire i carabinieri "la parte migliore della nazione" ammettendo così implicitamente che l'Italia è una repubblica fondata sugli...sbirri!
A cosa serve questa fanfara? a cosa servono i Dalla Chiesa i Capuzzo e ora gli Angioni è presto detto: L' ITALIA SI STA CONQUISTANDO "UN NUOVO RUOLO NELLA NATO E NEL MEDITERRANEO" A PREZZO DI UNO SCELLERATO PROTAGONISMO NEGLI AMBIENTI ATLANTICI, DI SONORI AUMENTI DELLE SPESE MILITARI, DI UNA POLITICA ESTERA INDECENTE PRONA AI VOLERI USA.
Il mondo della cosiddetta "cultura", come è normale che sia, si fa velocemente interprete del mutato corso delle cose, abbandonando gioiosamente in blocco anche gli ultimi ricordi di già ambigue posizioni pseudo marxiste; giungono a compimento miseri "itinerari intellettuali", esplode l'ennesima noiosissima "crisi del marxismo': l'intera intellettualità di professione italiana è pervasa da un genuino fremito reazionario ed individualistico. L'interezza dei mezzi di comunicazione di massa segue docile la medesima parabola. Wojtyla, il papa della NATO, regala al mondo alcune tra 1e più notevoli sceneggiate in fatto di religione: impegnato con tutto se stesso a pestare in continuazione i calli di Jaruzelsky, il "successore di Pietro" non disdegna di avere come ospite alla sua incoronazione il generale Videla, assassino di decine di migliaia di argentini e, in un viaggio rimasto tristemente famoso, stringe calorosamente le mani dei crudeli tiranni del centro america, rampognando al contempo i1 sentimento democratico popolare nicaraguense.
Sul fronte della repressione interna, sbirri e magistrati non perdono tempo: i "pentiti", cioè traditori prezzolati, consentono campagne di ARRESTI DI MASSA che in poco più di due anni porteranno in galera alcune migliaia di militanti comunisti e di avanguardie proletarie. I1 1982 sancirà anche l'inizio dell'uso sistematico e programmato della TORTURA negli interrogatori di polizia, mentre nelle carceri di massima sicurezza si applica il famigerato art.90. Questo enorme "repulisti", tra le altre cose, stravolge completamente la conformazione del diritto penale italiano, modificandolo strutturalmente in senso premiale ed aprioristicamente punitivo.
Beninteso: qui non si tratta di un movimento unico e concertato fin nei minimi particolari da qualche "intelligenza superiore". In realtà queste critiche modificazioni della società italiana non avvengono in modo piano e lineare, ma risultano dallo scontro e dall'incrocio di molteplici interessi, capaci di trovare di volta in volta punti di convergenza concreta, e perciò MEDIATA. In più: tutto ciò viene spezzato, interrotto, commisurato all'esistenza di un forte MOVIMENTO PROLETARIO che, nonostante le sconfitte subite e la gabbia impostagli dalle gabbie delle rappresentanze istituzionali, non ha intenzione di abbassare 1a testa di fronte alla rinnovata protervia borghese. Ne risulta quindi, un processo fortemente contraddittorio intimamente segnato dalle particolarità italiane e, soprattutto, dall'esito incerto. In sostanza, il movimento complessivo di una società è sempre e comunque determinato dalla LOTTA DI CLASSE: dalla lotta tra le varie frazioni di una medesima classe e, innanzi tutto, dalla lotta tra le due principali classi in cui si divide la società stessa. Perdere però di vista il senso concreto di un simile, fondamentale, assunto porta diritti sul terreno di una concezione metafisica e, di per se, reazionaria della realtà.
Ma ciò non toglie che, fatta salva 1'importanza dello studio delle particolarità di un fenomeno, è la sostanza generale che va ricavata dall'analisi, anche dettagliata, della realtà attuale del nostro paese.
E’ da questo punto di vista, si deve riconoscere che, il movimento generale della società italiana, nelle sue varie componenti., E' SEMPRE PIU' INFLUENZATO DALLA PRECISA LOGICA DELIA CRISI CAPITALISTICA E DELLE DIRETTIVE GUERRAFONDAIE DELL'IMPERIALISMO NORD AMERICANO.

3° Il governo Craxi.

Dunque, la politica economica, la politica interna e quella estera della borghesia italiana evolvono pronunciatamente in senso reazionario ed antiproletario. Come abbiamo vista si tratta del RISCONTRO NAZIONALE di un movimento ben più generale, che trova le sue ragioni ultime nelle caratteristiche profonde della crisi capitalistica attuale. Posto ciò, è necessario scendere sul piano degli avvenimenti concreti se si vuole concretamente individuare il terreno dello scontro obbligato tra la borghesia e il proletariato in questa congiuntura. E in questo senso sarà utile interrogarsi sulla natura del governo Craxi, prendendo in esame le novità riscontrabili nell'attività dell'esecutivo.
All'indomani delle elezioni del 26 giugno '83, i partiti dell'unica maggioranza parlamentare credibile, quella del cosiddetto "pentapartito" si trovano di fronte a problemi molto seri: la sconfitta clamorosa della DC di De Mita faceva escludere senz'altro una candidatura democristiana alla presidenza del coniglio su un programma esplicitamente conservatore; tuttavia la questione del costo del lavoro e quella dei missili nucleari presentano un collo di bottiglia da attraversare obbligatoriamente per chiunque aspirasse alla poltrona di palazzo Chigi. Di più, il prossimo governo avrebbe dovuto occuparsi della "riforma istituzionale", del risanamento complessivo dell'economia, della "moralizzazione" della vita pubblica. In sostanza tutti i partiti della presuntiva maggioranza erano, chi più chi meno, perfettamente consapevoli del fatto che alcune importanti decisioni non potevano esser procrastinate oltre, una crisi di gestione del delicato processo di allineamento della società italiana sui livelli economici e politici stabiliti dalla crisi capitalistica internazionale. Soprattutto, la questione di politica economica e quella dei missili lasciavano presumere una forte opposizione proletaria e popolare, ascrivendo così al preventivo del futuro governo - al posto di una relativa ricerca di un relativo consenso - UN PERIODO DI ASPRO E NETTO SCONTRO SOCIALE.
Molte esigenze, tra loro diverse e finanche contrapposte, convergono allora sulla designazione di Craxi, La DC, intenta a leccarsi le ferite, sceglie di logorare l'immagine del segretario del PSI in una avventura governativa con scarse prospettive di consenso popolare. Nello stesso tempo, nel partito di maggioranza relativa si penserà (? peserà) che la guida socialista del governo possa ammorbidire 1'opposizione del PCI e, di riflesso, LA ASSAI PIU' TEMUTA OPPOSIZIONE DI CLASSE. Craxi, anche se con qualche perplessità, non può non accettare l'incarico, lavora sin dal '76 per sedersi a palazzo Chigi, creandosi alle spalle, con metodi assolutamente banditeschi, una cricca di delinquenti di professione "il partito del presidente". La prima poltrona del governo poi, sarebbe l'occasione per agitare con più forza quell'idea di "riforma istituzionale" che è il vero cavallo di battaglia di Bettino Craxi, la proposta politica che meglio evidenzia il disinvolto autoritarismo caratterizzante i1 pensiero e 1'operato del segretario del. PSI.
In ogni caso Craxi primo ministro nulla concede alle tremebonde speranze dei revisionisti del PCI: dal gioco post elettorale esce sconfitta una volta di più l' "alternativa" di berlinguer; in realtà, a parte qualche rara simpatia raccontata qua e la, la grande borghesia italiana non considera credibile quel blocco di ceti medi a sfondo moralistico che sarebbe per 1’”alternativa democratica” dei frustrati di Botteghe Oscure. Di ben altro ha bisogno sul terreno politico, un capitalismo che ha riscoperto il gusto di licenziare, di comandare a bacchetta in fabbrica, e guarda un pò, di produrre armi per i militari non più da barzelletta; la borghesia cioè ha bisogno DI UN GOVERNO FONDATO SU UN PROGRAMMA COME QUELLO CHE SI INSEGNA A RISPETTARE IL "PRIMO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SOCIALISTA". Taglio delle, spese sociali, taglio della scala mobile, missili a Comiso, truppe a Beyrut, il tutto completato da una "riforma istituzionale" il cui vero scopo è. di scostare ancora di più 1'operato dei governi dal controllo parlamentare (5). ECCO IL PROGRAMMA DEL GOVERNO CRAXI, ECCO CHIARITA LA NATURA DELL'ATTUALE COALIZIONE GOVERNATIVA !
Il programma del governo Craxi è senza meno il biglietto da visita più nitido, la testimonianza più eloquente del disegno reazionario ed autoritario che si sta facendo strada a passi da gigante tra le fila borghesi. Come stabilito dagli accordi stipulati in sede NATO, i missili verranno istallati a Comiso indipendentemente dall'opposizione diffusissima in tutti gli strati sociali; come deciso insieme a. Reagan, le truppe italiane rimarranno a Beyrut, complici del fascista Gemajel e dei giochi strategici degli USA e dei sionisti, se non si riuscirà ad inscenare con lieto fine un'altra pantomima del genere di quella che ha portato all'accordo del 22 gennaio, ci sarà un (iniziativa dell'esecutivo tesa a decurtare d'autorità il salario operaio; comunque andrà garantita la manovrabilità completa del parlamento per far passare i decreti a raffica, amnistie per palazzina e piduisti, tagli da far paura sul fronte delle spese sociali.
Su questo programma concordano i cinque segretari dei partiti di maggioranza, e questo programma che rispecchia le indicazioni di De Mita e Spadolini, verrà messo in pratica. IN DEFINITIVA IL GOVERNO CRAXI INDIPENDENTEMENTE DALLE ALCHIMIE POLITICHE CHE STANNO ALLA BASE DELLA SUA COSTITUZIONE E' INNANZI TUTTO UN GOVERNO FONDATO SU OBIETTIVI NETTAMENTE ANTIPROLETARI E DA RAGGIUNGERE COMUNQUE ANCHE FACENDO USO DELL'AUTORITA'.
QUESTO GOVERNO INSOMMA, SEGNA UN DECISIVO PASSO IN AVANTI NELLA RIDEFINIZIONE COMPLESSIVA DELLA SOCIETÀ ITALIANA IN SENSO REAZIONARIO.

4° Due grandi movimenti di massa sono sorti nel nostro paese.

La forza e la coscienza di classe del proletariato italiano costituiscono da sempre una delle caratteristiche principali e peculiari del quadro politico-sociale del nostro paese. Così, anche oggi, l'evoluzione reazionaria che la borghesia tenta di. imprimere all'intera società è notevolmente inceppata dall'esistenza di una massiccia opposizione di classe, che si manifesta in modo organizzato sul campo della politica economica e su quello del riarmo e della tendenza alla guerra. DUE GRANDI MOVIMENTI DI MASSA SONO SORTI IN ITALIA IN OPPOSIZIONE ALLE SCELTE ECONOMICHE E POLITICHE DELLA BORGHESIA.
Nonostante il governo i partiti e i padroni si affannino a nascondere questa realtà attraverso la disinformazione e la mistificazione operata dai mezzi di comunicazione di massa, è un dato di fatto inoppugnabile che il movimento contro la guerra ed il riarmo e quello di opposizione alla politica economica del governo rappresentano IL PIU' SERIO OSTACOLO per le manovre antiproletarie e guerrafondaie della classe al potere. Infatti questi due movimenti, che lottano apparentemente separati, in realtà combattono lo stesso nemico: il capitalismo della crisi, la borghesia aggressiva sul piano interno e su quello estero. C'è una relazione necessaria tra la crisi economica, il deterioramento delle relazioni internazionali e la corsa al riarmo: ESISTE QUINDI UNA UNITA' DIALETTICA E OBIETTIVA TRA LE LOTTE DELLA CLASSE OPERAIA E QUELLA DEL MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA. La manifestazione tentasi a Roma il 22 ottobre '83 è solo l'aspetto più evidente di una mobilitazione prolungata e di massa che impegna ormai da molti mesi migliaia di proletari contro la corsa al riarmo e la guerra imperialista. Le lotte operaie iniziate a febbraio hanno mandato in frantumi il vaso di coccio del "patto sociale", costringendo Bettino Craxi a gettare la sua maschera. IL CONFLITTO SOCIALE SI PALESA allora COME SCONTRO POLITICO, UNO SCONTRO CIOE' CHE TOCCA QUESTIONI GENERALI CHE INTERESSANO L'INTERO PROLETARIATO NEL SUO RAPPORTO CON LA CLASSE AVVERSA.
Non a caso la grande borghesia, con Agnelli in testa, apprezza della vicenda del “decreto truffa” soprattutto il lato politico: solo la volontà generale di attaccare il proletariato permette poi di operare svolte sostanziali su tutto l'arco dei problemi specifici. E' LO SCONTRO POLITICO CON L'AVVERSARIO DI CLASSE QUELLO CHE, MUTANDO I RAPPORTI DI FORZA COMPLESSIVI, CREA LE CONDIZIONI PER VITTORIE ECONOMICHE NELLE FABBRICHE E PER L'IMPEGNO GUERRAFONDAIO IN CAMPO ESTERO.
La borghesia imperialista del nostro paese ha ormai da tempo preventivato la sconfitta politica delle masse operaie e proletarie, ma proprio queste hanno dimostrato che esiste in Italia un esteso fronte di classe risoluto nel contrastare le scelte capitalistiche. La BI, però, non si limita allo scontro netto ed esplicito con 1'opposizione di classe, ma lavora anche per frantumarne la compagine e ottenebrarne la coscienza. Abbiamo visto poc’anzi, considerando la natura e il ruolo sociale dei sindacati e del PCI, come l’influenza borghese penetri nel movimento operaio egualmente e forse di più, nel movimento contro la guerra ed il riarmo esercitando una serie di spinte tendenti a trasformarlo in un generico movimento di "pressione pacifista" A BASE SOCIALE INTERCLASSISTA. In realtà il pacifismo propriamente detto non è stato mai in grado di fermare la guerra, e chi aspira veramente alla pace non può aver paura di combattere coloro che causano i massacri tra i popoli: SOLO LA DIREZIONE PROLETARIA DELL'OPPOSIZIONE POPOLARE ALLA GUERRA CONSENTE DI STRAVOLGERE A FAVORE DELLA PACE L’INFERNALE LOGICA DELLA CORSA AGLI ARMAMENTI, PERCHE' SOLO IL PROLETARIATO E' IN GRADO DI MODIFICARE RADICALMENTE I MECCANISMI SOCIALI CHE GENERANO LA COMPETIZIONE TRA LE NAZIONI, SINO A FARLA SFOCIARE NELLA GUERRA.
E' per tali motivi che dietro alla parola "pace" si nascondono tante facce e tanti interessi, mentre dietro alla parola d'ordine "lotta alla guerra imperialista" che svela il contenuto ed il significato di classe del fenomeno in esame, si trova schierato compatto il solo proletariato. E' per questo che molti sono disposti a storcere la bocca di fronte ai missili nucleari ma assai pochi si sono impegnati in una lotta conseguente per il ritiro immediato del contingente italiano da Beirut, e quasi nessuno si impegna nella lotta per il ritiro dei dragamine tricolori dal Sinai. E' ancora e sempre per questo che molti loschi figuri sono indaffarati nel mantenere disuniti i due grandi movimenti di cui stiamo parlando e solo le vere avanguardie di classe e i comunisti lavorano per raggiungere L'UNITA’ CONSAPEVOLE E MILITANTE del fronte generale di opposizione proletaria.
Quello che la borghesia teme di più di ogni altra cosa è che i1 proletariato raccolga in modo cosciente la sfida politica che gli è stata lanciata; ciò che la classe dominante vede come la peste è 1'unione dei due grandi movimenti di massa sotto la direzione del proletariato rivoluzionario.
Per le avanguardie di classe e per i comunisti italiani, si apre allora un periodo di forte ed. impegnativo lavoro politico. La presenza militante nelle lotte della classe operaia ed in quelle contro il riarmo e la guerra deve accompagnarsi ad uno strenuo, costante sforzo unitario e ad un quotidiano lavoro di chiarificazione circa le PROSPETTIVE GENERALI DELLA LOTTA DI CLASSE: nel periodo in cui la crisi capitalistica evolve in modo pronunciato verso la guerra, il proletariato deve trasformare questo processa in quello della GUERRA CIVILE TRA CLASSI SOCIALI, IN QUELLO DEL RIVOLUZIONAMENTO DELL' INTERA SOCIETA'. Tener conto di questa prospettiva vuol dire, nella situazione attuale, consolidare l'unità dei due grandi movimenti di lotta sotto la direzione del proletariato rivoluzionario ed estendere la mobilitazione di massa e di avanguardia sulla base di un preciso PROGRAMMA POLITICO !


5° Il programma politico e la lotta comunista delle Brigate Rosse.

Fin dal 1970, le Brigate Rosse lottano e combattono con le armi in pugno con il preciso fine di guidare le masse all'abbattimento dello stato borghese e all'instaurazione della dittatura del proletariato.
Nel corso della sua attività, la nostra organizzazione ha sempre posto al centro della sua riflessione e della sua pratica l'esigenza del partito rivoluzionario del proletariato ed il principio comunista della direzione comunista cosciente sul movimento di massa. solo la coscienza politica rivoluzionaria della propria situazione permette infatti al proletariato di proporsi il fine della modificazione radicale dell'intera società; solo la direzione politica cosciente e rivoluzionaria sul movimento di massa consente di non arrestarsi alle vittorie effimere, utilizzando ogni scontro per accrescere la coscienza di classe del proletariato, preparando, giorno per giorno, le condizioni per la vittoria. La direzione politica del proletariato da parte del partito rivoluzionario, la lotta sul terreno d'avanguardia per guidare le masse alla conquista del potere politico, sono dunque principi fondamentali della nostra organizzazione, che informano ogni suo atto politico ed ogni sua iniziativa combattente. LE BRIGATE ROSSE INSOMMA ORGANIZZANO E GENERALIZZANO IN MODO CONSAPEVOLE LA LOTTA DI CLASSE DEL PROLETARIATO NELLA PROSPETTIVA DELLA CONQUISTA DEL POTERE POLITICO ED IN QUESTO AGISCONO DA PARTITO RIVOLUZIONARIO FONDATO RIGOROSAMENTE SUL MARXISMO LENINISMO.
TENUTO CONTO DI CIO', IN CHE MODO, ALLORA, LE BRIGATE ROSE SVOLGONO LA LORO POLITICA RISPETTO AI DUE GRANDI MOVIMENTI DI MASSA PRESI IN CONSIDERAZIONE POCANZI?
In primo luogo, i militanti delle BR partecipano a questi movimenti e contribuiscono all’organizzazione e all’estensione della mobilitazione di massa, con tutti i mezzi a loro disposizione. In secondo luogo essi sostengono nel movimento il punto di vista strettamente proletario, svolgendo un intransigente lavoro di chiarificazione politica e propagandistica sulla situazione generale e sui compiti di classe. In terzo luogo, essi stringono intorno a se le più serie e conseguenti avanguardie di lotta: si confrontano in maniera militante con tutti i rivoluzionari, creano cellule clandestine di comunisti così sviluppando l'attività politica rivoluzionaria.
MA SOPRATTUTTO LE BR LANCIANO UN PROGRAMMA POLITICO VALIDO PER TUTTO IL PROLETARIATO E LO SOSTENGONO CON COSTANZA MEDIANTE INIZIATIVE EFFICACI, IN PRIMO LUOGO MEDIANTE INIZIATIVE POLITICHE COMBATTENTI.
In poche parole le BR si propongono di aumentare 1a coscienza politica rivoluzionaria nel movimento di massa, di rinsaldare la sua unità, di guidarlo nella lotta contro il governo e contro lo stato attraverso un programma politico chiaro e coerente. Esse svolgono questo lavoro coscienti del fatto che la lotta del proletariato non ha come fine reale questo o quell'obiettivo particolare, MA LA MODIFICAZIONE E IL RIVOLUZIONAMENTO GENERALI DELL'INTERA SOCIETA'.
Un breve esame delle iniziative combattenti delle BR potrà ulteriormente chiarire il senso di questi concetti. Con l'azione Giugni, come abbiamo già avuto modo di accennare, in un'altra parte del presente opuscolo, la nostra organizzazione ha colpito uno degli artefici materiali degli accordo del 22 gennaio '83 sul costo del lavoro. Ma non si deve confondere questa iniziativa con una sorta di completamento della protesta operaia esplosa all'indomani di quelle infami transazioni, al contrario l'azione Giugni intendeva soprattutto sensibilizzare le masse sulla sostanza POLITICA che era dietro quell'avvenimento, e cioè sulla pericolosa logica autoritaria e corporativa che ha condotto appena un anno dopo al "decreto truffa". La sua finalità perciò era quella di creare una COSCIENZA POLITICA DI MASSA a proposito di questi temi, guidandola alla lotta contro il governo in modo coerente. Che i fatti ci abbiano dato ragione, è dimostrato dallo sviluppo delle ultime lotte operaie che hanno imposto all'evidenza generale l'esplicito rifiuto della classe lavoratrice di svendere la propria autonomia e la propria volontà di lotta.
L'azione Hunt invece è stata una grande iniziativa politica combattente diretta simultaneamente contro l'imperialismo nord americano e contro il suo servo l'imperialismo italiano. Essa ha rappresentato un significativo momento di chiarificazione politica circa la natura dello imperialismo italiano nel suo intreccio con gli USA; e circa le prospettive generali del movimento proletario internazionale. L'esecuzione di Hunt da parte della nostra organizzazione ha esplicitamente collegato la lotta. del proletariato italiano con quella del proletariato internazionale e dei popoli progressisti di tutto il mondo ponendo una delle condizioni essenziali per lo sviluppo di un compatto fronte di opposizione internazionale alle scelte guerrafondaie della borghesia imperialista. Perciò, è prima di tutto una iniziativa INTERNAZIONALISTA che, ribadendo con forza il principio secondo cui la lotta del proletariato non ha frontiere, orienta in modo preciso ed efficace il movimento contro la guerra ed il riarmo esistente nel nostro paese su una linea conseguente di classe.
Queste due iniziative dunque dimostrano con la dovuta chiarezza cosa le BR intendono quando parlano di direzione politica cosciente sul movimento di massa, nella prospettiva della conquista del potere politico da parte del proletariato.
La lotta comunista della nostra organizzazione si sviluppa con la massima coerenza intorno ad un preciso programma politico. Si tratta di un programma che tiene conto della situazione generale italiana, del relativo andamento della lotta di classe e delle prospettive nazionali ed internazionali della rivoluzione proletaria. E' un programma quindi che le BR si impegnano a sostenere e che propongono con decisione allo intero proletariato chiamando a raccolta interno ad esso i comunisti, le avanguardie di classe e, soprattutto, i grandi movimenti di massa.
Volendo allora compendiare in poche ed efficaci parole quanto detto sin qui, possiamo senz'altro concludere questo opuscolo con la seguente indicazione generale: ESTENDIAMO LA MOBILITAZIONE DI MASSA E DI AVANGUARDIA SUL PROGRAMMA POLITICO DELLE BR PER LA COSTRUZIONE DEL PCC!

CONTRO LE POLITICHE ECONOMICHE AUTORITARIE ED ANTIPROLETARIE
RITIRO DEL DECRETO TRUFFA!
NO ALLA RIDUZIONE DEL SALARIO!
CONTRO LE SCELTE GUERRAFONDAIE IN POLITICA ESTERA:
RITIRO DI TUTTE LE TRUPPE DAL MEDIO ORIENTE!
NO AI MISSILI A COMISO!
FUORI L'ITALIA DALLA NATO!
VIA IL GOVERNO CRAXI SERVO DEI PADRONI E DELL’IMPERIALISMO !

NOTE

1°- Più precisamente si tratta qui di una crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale, da non confondere con il particolare fenomeno della sovrapproduzione di merci, quantunque infatti la sovrapproduzione di capitali determini sempre la sovrapproduzione di merci, per la prima si deve intendere la sovrapproduzione di mezzi di produzione e sussistenza in quanto questi possono operare come capitale.

2°- In effetti troppo spesso il marxismo viene ridotto all'applicazione schematica e semplicistica di alcune formule generosissime di persone incapaci di rendere anche alla lontana la ricchezza di fenomeni concreti presi in esame. Questo modo di considerare la storia impedisce di cogliere le reali tendenze ed i possibili svolgimenti insiti nelle cose stesse e, soprattutto riduce il materialismo storico a quel grottesco procedimento di Engels apparentava, per facilità di esecuzione, alla soluzione di una equazione di primo grado.

3°- Ben inteso, di una certa generalità. E' infatti da rifiutare la posizione che vuole la borghesia complessivamente immobile durante queste decennio. In realtà già nella prima metà degli anni '70 si inizia (….) l'organizzazione scientifica del lavoro in fabbrica e si fa strada il cosiddetto decentramento produttivo: intorno al '78, poi, è completata la selvaggia ristrutturazione dell'Olivetti, rimasta a ragion veduta un caso esemplare ed un punito di riferimento per tutte le aziende italiane. Egualmente in molti altri campi la borghesia dimostra capacità di reazione notevole, ad alcune delle contraddizioni sociali che si trova di fronte. Quel che manca appunto, è la condizione generale per una risposta politica, condizione che la borghesia si creerà più tardi.

4°- La sconfitta politica ed organizzativa subita dal movimento rivoluzionario italiano all'inizio degli anni '80 ha provocato, come è noto, molti ripensamenti di comodi ed una certa quantità di "riscoperte di valori", non ultimi quelli religiosi. La paradossalità di simili parabole politiche trova spiegazione qualora si faccia riferimento alla notevole dose di ideologismo e di soggettivismo presente nelle file delle formazioni rivoluzionarie stesse.

5°- Il dibattito concernente la "riforma istituzionale" è forse uno dei termometri caratteristici della direzione verso cui evolvono le forme del dominio politico della borghesia. In questo senso la matrice autoritaria e "decisionista" delle varie proposte formulate più che altro dal PSI e dalla DC è assai chiaro. D'altro canto le "resistenze democratiche" alla riforma, si riducono sostanzialmente a rappresentare un minoritario fattore di compensazione delle spinte più reazionarie allo interno, comunque, della borghesia stessa.