Biblioteca Multimediale Marxista


 

Bozza (seconda parte)

documento interno

( Tratto dagli atti del processo per banda armata 1988)


 

Abbiamo definito l'Europa e la regione Mediterranea/Mediorientale area di massima crisi oggi nel mondo poiché, per le sue caratteristiche storico politiche/geografiche, vi convergono e si intrecciano diversi piani di contraddizione: infatti l’Europa in quanto centro imperialista concentra le contraddizioni proprie del MPC; in quanto linea di confine degli equilibri della 2a guerra mondiale concentra le contraddizioni tra i due blocchi, in quanto punto di contatto tra paesi dell’occidente industrializzato e paesi dipendenti è investita direttamente dai conflitti che si producono in questa regione.
Se diversi sono i piani delle contraddizioni che interagiscono in quest'area e che la rendono altamente critica ed instabile, l'elemento dominante che in termini politici catalizza i diversi conflitti che si producono è il piano della contraddizione EST/OVEST.
L’acutezza della crisi determina per l’imperialismo la necessità di una ridefinizione generale della divisione internazionale del lavoro e dei mercati tale da permettere un nuovo ciclo espansivo dell’economia capitalistica. L'approfondimento tecnologico e nell’organizzazione del lavoro, con la conseguente concentrazione finanziaria, determina un’aspra concorrenza tra i gruppi monopolistici/multinazionali dell'Occidente capitalistico; questi fattori non sono in grado però di dare superamento alla grave crisi recessiva mondiale, anzi nelle attuali condizioni questi dati provocano il loro opposto!
La sovrapproduzione di capitali non fa che aumentare i fattori d'instabilità nell’economia mondiale. In sintesi il piano economico a questo stadio della crisi, non è in grado di riequilibrare gli scompensi in atto; la necessità di dare soluzione alla crisi si sposta sul piano politico, poiché una ridefinizione complessiva dei mercati necessita di una nuova ripartizione delle zone di influenza, un nuovo assetto nelle relazioni tra i blocchi; inoltre solo all’interno di questa ridefinizione complessiva può trovare soluzione il riequilibrio del rapporto NORD/SUD e questo affinché sia scongiurato il pericolo di un crac finanziario determinato dalla dimensione del "debito" che lega i paesi in via di sviluppo all’imperialismo.
L’attuale assetto economico politico militare dell’Europa è il prodotto della ripartizione in zone d'influenza scaturite dal 2° conflitto mondiale, in questo senso il confine europeo diventa "intoccabile" pena il rimettere in discussione le sfere d'influenza. In altri termini qualsiasi spostamento politico di sostanza che avviene in Europa si riflette immediatamente su questi equilibri.
L’Europa è stata teatro della 2ª guerra mondiale, ed è proprio nel periodo bellico e postbellico che si è formata la gerarchizzazione dei paesi europei collocati all’interno della catena imperialista attraverso i rapporti bilaterali economici/politici/militari con gli USA in quanto polo economico dominante, e con la costituzione della NATO, organismo politico/militare dell’alleanza atto a promuovere, salvaguardare e rinsaldare i vincoli politici dei paesi membri nei confronti del blocco avverso.
Le relazioni instauratesi tra i paesi della catena non hanno permesso il formarsi di un polo europeo economicamente omogeneo, e questo al di là delle teorizzazioni demagogiche dei nuovi socialdemocratici eurocentristi, si è bensì prodotta una differenziazione del peso economico e politico dei diversi paesi europei. L’appartenenza alla catena non si traduce in posizioni politiche omogenee, in questo senso la "ostpolitik" della Germania e le mire egemoniche della Francia non hanno uno sbocco realistico in un'ipotesi "terzaforzista". I contrasti infatti, in quanto riflesso delle contraddizioni imperialistiche, possono creare ritardi ed ostacoli, almeno nel breve periodo, alla strategia USA.
Per questi motivi la corsa al riarmo promossa sostanzialmente dagli USA trova in Europa il suo punto di squilibrio, infatti l’Europa, a differenza degli Stati Uniti per motivi non solo economici (tempi diversi della crisi) ma soprattutto politici, matura tempi differenti nella contrapposizione all’URSS, differenze che le forzature politico/militari USA tendono a colmare. Il fatto che il vecchio continente contiene le produzioni più obsolete della catena e un eccesso dì mezzi di produzione e forza lavoro, unitamente ai motivi suddetti, ne farà certamente il teatro di un nuovo conflitto mondiale.
Se questi sono i dati preminenti per poter ipotizzare che il possibile teatro di guerra sarà ancora una volta l’Europa, a rendere ulteriormente critica quest’area, vi è il fatto che l’Europa, per ragioni sostanzialmente geografiche, ha la sua naturale zona d'influenza nelle regioni Mediterranee/Mediorientali, regioni queste che per motivi economici e politici possono diventare il punto di partenza, il detonatore, per un conflitto allargato.
Il Medioriente ed il Nord Africa si presentano come confini altamente instabili tra i blocchi, zone cioè su cui l’imperialismo può incidere per spostare i margini d'influenza non definiti nel dopoguerra se non con l’imposizione dello "Stato" di Israele che a tale scopo è stato fondato. Nell’immediato dopoguerra queste regioni per motivi economici, dati dalle fonti energetiche e dalla rotta verso il golfo persico, unitamente al dato politico dei processi di decolonizzazione e di emancipazione nazionale in corso, non furono oggetto di possibili accordi per definire le rispettive zone di influenza. Con la risoluzione ONU che sanciva l’espropriazione imperialista sionista della terra palestinese, il "mondo arabo" diventa teatro della strategia imperialista tesa a "pacificare" anche manu militari l’area in questione con lo scopo di costituire una propria, il più allargata possibile e con confini politici rigidamente stabiliti, orbita d'influenza. Questa penetrazione imperialistica, ben lungi dal raggiungere tale scopo, ha determinato un quadro di conflittualità ed instabilità nelle alleanze regionali con cambi repentini anche nelle orbite d'influenza. Un’area questa, che negli ultimi quaranta anni ha vissuto vasti e marcati sommovimenti politici e sociali con importanti rotture rivoluzionarie al giogo imperialista, con movimenti politici che, richiamandosi al panarabismo, all’islamismo e ad uno sviluppo economico—sociale più consono alle tradizioni e alla realtà araba, hanno svolto e tuttora svolgono l'elemento fondante dell’unità araba e del coagulo- delle masse arabe contro l’imperialismo. Se questo è senz’altro il dato politico preminente per l’unità araba, al suo interno le contraddizioni di carattere etnico e religioso, aggravate e rimarcate dalla relazione di dipendenza economica con i paesi industrializzati, diventano elementi sui quali operano un ruolo destabilizzante gli interessi imperialistici, (vedi guerra Iran—Iraq) svuotando di peso politico le alleanze antisioniste ed antioccidentali, rendendole fluttuanti, impedendo in ultima istanza, almeno per il momento, la realizzazione di alleanze stabili contro di esso.
I rapporti capitalistici hanno da tempo penetrato la regione, scalzando e rendendo minoritario il modo di riprodursi della società araba; ciò ha determinato un rapporto di dipendenza che è quello caratteristico NORD/SUD con la subordinazione al modo di produzione capitalistico, alle sue tecnologie, e con lo scambio ineguale delle materie prime.
Questo dato strutturale del rapporto tra paesi imperialisti e mondo arabo non ha certo un riflesso diretto di dipendenza politica, ma è la base su cui si sono operate le diverse "scelte" politiche tra paesi arabi filo occidentali e paesi che a questo rapporto frappongono la loro autonomia politica e, relativamente, anche economica.
Via via che si acutizza la contraddizione tra i blocchi e che aumenta il suo grado di polarizzazione nella crisi regionale, si evidenzia che il dato principale che fa convergere in quest’area gli elementi di instabilità e di crisi è dato dal fatto che è questo il punto in cui trova attuazione il confronto EST/OVEST; in altri termini quest’area geopolitica di estremo interesse strategico, sia come zona di confine non ancora definita, sia come via di transito, diventa il terreno di scontro preliminare sia politico che militare, atto a preparare le migliori condizioni di partenza per la necessaria ridefinizione delle zone d'influenza. In questo senso l’interesse dell’imperialismo occidentale per quest’area non è dato principalmente dall'accaparramento delle materie prime e questo non perché il problema delle risorse non sia importante per l’occidente imperialista, ma la risoluzione dell’allocazione delle materie prime, a questo stadio della crisi politica e delle contraddizioni economiche, può essere risolto rimodellando il rapporto NORD/SUD dentro alla più generale divisione internazionale del lavoro e dei mercati; non a caso lo strangolamento dei prezzi del petrolio, le pressioni economiche vengono strumentalizzate al fine di destabilizzare l’area.
L’intervento statunitense contro la Libia ha segnato il punto di svolta degli equilibri politico—militari presenti nell’area. Gli USA attaccano la Libia principalmente per dimostrare la loro volontà di contrapporsi duramente all’altra superpotenza, e ai tentativi di preservazione di un'autonomia decisionale da parte di un paese del terzo mondo non disposto all’allineamento supino; e questo assume un’importanza particolare per la centralità dell’area. Nei giorni del conflitto USA/Libia era facile constatare che in esso l’aspetto politico più che quello di pura distruzione militare prevaleva ed il "messaggio" USA è stato inteso dalle varie forze che in questi mesi hanno ritenuto di non impegnarsi in scontri con esso; non un cedere, ma un adeguarsi al livello estremo impresso allo scontro. Questi eventi sono stati un misto di arroganza militare ed intimidazione politica, gli obiettivi ricercati devono essere letti con una chiave eminentemente politica ed essi erano in buona parte messi in attivo fin dall'inizio, dato che era evidente che un piccolo paese messo di fronte alla minaccia in parte concretizzata, di un intervento in forza della più grande superpotenza del mondo, dovesse prendere atto di una situazione data, considerando anche che l’URSS si è dimostrata sin da subito non disposta a "morire per Tripoli" rifiutando la prova di forza impostagli in tempi e modi ritenuti non favorevoli. Nel preparare il terreno ai bombardamenti gli Stati Uniti si sono costantemente richiamati alla necessità di schiacciare il "terrorismo internazionale" arrivando ad inventare attentati in proprio o tramite i servizi segreti dell’area da sempre subordinati, se non direttamente organizzati, dalla CIA (gli esempi più chiari: le montature Turche e Spagnole), mettendo in campo la validità dell‘interventismo militare come unica cura per il suo debellamento rischiando anche l’avvitarsi in un'escalation azione—reazione impossibile da rifiutare pena il discredito della potenzialità del metodo. Ma era un gioco con carte truccate ed è stato evidente che più le “azioni” erano oscure più si levavano minacce di rappresaglia, mentre invece quando erano organizzazioni rivoluzionarie ad operare, e che rispondevano quindi ad una precisa logica nel percorso di lotta all’imperialismo, le reazioni si facevano caute, prevalendo il timore di finire in un imbuto predisposto da altri e quindi pericoloso; questo sia che l’attacco fosse condotto da forze rivoluzionarie arabe e ancor più se proveniente da organizzazioni combattenti europee. Si pensi alla pratica mancanza di reazioni (anche verbali) alle ripetute eliminazioni di soldati USA delle basi in Germania da parte della RAF, o, tornando indietro nel tempo, al "fair play" nel momento della cattura di Dozier. E quanto questo fosse falso lo dimostrano le gazzarre nel momento della sua liberazione, o all’esecuzione di Hunt, che ricopriva un ruolo delicatissimo come garante degli accordi di Camp David, ignorato a livello ufficiale e confinato ad episodio di cronaca nera.
Quindi, nonostante le pianificazioni dei cervelloni del Pentagono di fronte all’attacco guerrigliero si pongono loro enormi problemi data l’esperienza già fatta nel subire dure sconfitte. L’esempio più recente di questo è stata la spedizione multinazionale in Libano effettuata da truppe di punta con mezzi di supporto ingenti. Nonostante questo essi hanno subito un’autentica disfatta politica ad opera dell’eroica guerra condotta dai patrioti Libanesi e Palestinesi, con le portaerei che dal mare sparavano con i loro enormi cannoni pesantissimi quanto inutili ordigni, il tutto concluso con una fuga in stile Saigon. Certo ancora una volta si sono uniti aspetti militari al rispetto di limiti politici che gli imperialisti hanno dovuto rispettare, non potendo ad esempio compiere uno sbarco in forze ed occupare il paese.
La volontà di mostrare i muscoli si scontra quindi con i limiti dati dal complesso di fattori che costituiscono gli equilibri politici nell’area tra i quali quelli determinati dall’azione rivoluzionaria. L’attività rivoluzionaria dimostra che se l’imperialismo viene affrontato in piena coscienza dentro ad una strategia rivoluzionaria, può rivelarsi ancora una volta una tigre di carta, un gigante con i piedi di argilla.
In questo contesto si sposta l’ordine dei problemi che si sono susseguiti in Medioriente e lo stesso ruolo d'Israele, pur nella continuità della funzione assegnatagli cambia da sentinella della regione, che in prima persona ha gestito il controllo nell’area, a supporto della strategia USA. La centralità (d'Israele) nello scacchiere per gli interessi strategici del blocco occidentale sta facendo maturare la necessità che Israele assuma uno status politico riconosciuto a livello internazionale. Il fatto che Israele si sia imposto sin dal suo nascere con metodi terroristici per affermare gli interessi USA ne ha fatto il nemico numero uno del mondo arabo, tale metodo pur continuando ad esistere nella sua funzione, dovrà essere accompagnato da un maggior impegno a costruirsi un'immagine politica e di mediazione più consona al futuro ruolo di "pacificazione" che dovrà assumere nell’area. A tale scopo fin da adesso vengono elaborati “piani di ricostruzione" al cui centro devono collocarsi i sionisti a garantire la stabilizzazione economica politica e militare della regione (vedi il cosiddetto piano Marshall per il M.O. consistente in finanziamenti, in primo luogo per lo "sviluppo economico"). Sintomatico dell’importanza che assume in termini strategici Israele, malgrado sia un manipolo d'occupanti definiti economicamente del terzo mondo, partecipa allo SDI.
La questione palestinese assume una connotazione ed un peso diverso, essendosi risicati i margini di manovra per la mediazione e la trattativa al di fuori delle condizioni dettate dall’imperialismo; in altri termini le pur infamanti condizioni delle ipotesi di confederazione Giordano/Palestinese sono andate in fumo. Per il popolo palestinese che non Vuole “integrarsi” nella sua terra occupata rimane la dispersione e il genocidio. I paesi arabi devono sottostare ad un aperto schieramento che, se non è di consenso e favoreggiamento ai paesi occidentali, sono soggetti a pressioni d'ogni tipo. La questione palestinese oggi più che mai mette in risalto la sua connotazione internazionale e conferma che la cacciata dei sionisti non può che avvenire nell'ambito dell’antimperialismo all’interno del netto ridimensionamento dell’imperialismo, USA in testa. Nell’acutizzarsi della contraddizione EST/OVEST l'Europa tende al rinsaldamento dei vincoli d'alleanza, e in questa direzione modifica i rapporti con i paesi dell’area. I paesi europei in questo contesto possono trovarsi nella condizione di farsi carico in prima persona ed a vari gradi della destabilizzazione dell’area; sia che si tratti di cooptare alleanze filo occidentali sia di intervenire militarmente a fianco degli Stati Uniti.
L’accelerazione dei fattori di crisi avvenuta con l’intervento diretto degli USA nell’area ha spostato sostanzialmente l’asse di riferimento degli equilibri preesistenti, ha posto cioè nuove condizioni e nuove problematiche allo scontro tra imperialismo occidentale e forze rivoluzionarie.
Sui motivi strutturali che hanno portato all'attuale tendenza dominante alla guerra, c’è da dire che la loro individuazione fa parte qualificante della nostra storia d’O., non per autoincensamento, ma è indubbio che sino a non molto tempo fa le nostre analisi in materia venivano interpretate come una strumentale ricerca di giustificazioni alla scelta della Strategia della Lotta Armata, oppure, venivano derisi come gli ultimi anacoreti di un'ideologia ormai superata. Gli autori di tali rilievi oggi sono- paralizzati dall'incubo del "day after".
Ribadiamo che la radice d'ogni guerra risiede nella determinante condizione di crisi del MPC e quindi il “fallimento” d'ogni politica congiunturale controtendenziale è un indicatore certo di un avanzamento in direzione di una risoluzione bellica. Ma, oltrepassato un certo stadio, è l'elemento di scelta soggettivo che determina le varie scadenze. Si può verificare il precipitare della decisione soggettiva del momento specifico, considerato ideale, sulla base di un montare di situazioni materiali e decisioni politiche che sfociano poi nel casus belli. Intendiamo dire che sarebbe errato se i comunisti vedessero vincolato l’esplodere del conflitto a chissà quale crollo verticale del MPC. Nella realtà quello a cui ci troviamo e troveremo di fronte è una crisi strutturale a cui la BI fa fronte tamponando gli effetti più dirompenti di essa con politiche economiche e progetti politici corrispondenti, questi possono momentaneamente consentire fasi favorevoli di corto respiro le quali riguardano il più delle volte il naturale assestamento di un ciclo economico, tali politiche devono essere ben considerate e valutate, conseguentemente attaccate perché elementi che segnano concretamente il procedere della crisi e della tendenza alla guerra ma, cosa ancora più importante, esse sono il dato di fondo delle scadenze politiche che caratterizzano in termini congiunturali il rapporto proletariato/borghesia.

SUL FRONTE ANTIMPERIALISTA

La questione del fronte antimperialista è uno dei nodi politici più problematici che abbiamo di fronte per due ragioni principali: una, data dal contesto della crisi dell’imperialismo che muove a livello globale verso la tendenza alla guerra, l’altra, data dal fatto che le relazioni di alleanza possibili stanno sul piano internazionale, con forze rivoluzionarie che sono il prodotto di contesti storici e politici relativi ai diversi paesi di appartenenza.
Per questo, per accostarci a questo problema con più chiarezza possibile, è necessario delineare gli elementi di fondo che riguardano la questione delle alleanze rivoluzionarie nei suoi termini generali.
La storia del movimento comunista internazionale c'insegna che il problema delle alleanze è stato sempre un passaggio politico importante la cui risoluzione per un verso o per l’altro ha inciso nell’avanzamento del processo rivoluzionario: così è stato durante la Rivoluzione d’Ottobre nell’alleanza con i contadini, così nella rivoluzione cinese, così è oggi, salvo rare eccezioni nei paesi in via di sviluppo dove i comunisti si trovano al fianco ed alla guida di frazioni di borghesia le quali si pongono in termini progressisti nella guerra di liberazione.
Nei paesi a capitalismo maturo il problema politico delle alleanze fra forze sociali e politiche diverse di una medesima FES ha corrisposto allo stadio di sviluppo caratterizzato dallo stato nazione, vale a dire uno stadio del capitalismo monopolistico dove esistevano ancora margini d'interesse comune tra piccola/media borghesia e proletariato.
L’opportunità politica del fronte è problema di una politica concreta che può essere attuabile in determinate condizioni specifiche, ma per essere affrontata necessita da parte dei comunisti di un atteggiamento politico che pur nella saldezza dei propri principi, abbia la flessibilità necessaria per ricercare il massimo d'unità possibile; in altri termini, una reale politica d'alleanze non passa attraverso la mercificazione dei principi e delle finalità dei comunisti, politica d’alleanze e finalità dei comunisti sono due termini che non si escludono, ma vivono una relazione dialettica, un rapporto programmatico.
La praticabilità di una politica di alleanze è determinata dall’analisi concreta della situazione concreta, cioè riferita alle dinamiche della crisi e della tendenza alla guerra, alla controrivoluzione ed alle forze rivoluzionarie presenti ed attivabili in senso progressista, ma soprattutto alla sua funzione nei confronti del nemico comune; e questo perché oggi sviluppare il processo rivoluzionario nel proprio paese non può prescindere dall’indebolimento politico militare dell’imperialismo nell’area, ossia si rende necessaria una politica di alleanze tra le diverse forze rivoluzionarie che oggi combattono l’imperialismo, affinché operino per questo indebolimento. In questo senso l'obiettivo politico del fronte sta in una parte del programma dei comunisti.
La politica d'alleanze che ci riguarda si pone quindi all’interno della più ampia politica antimperialista da noi praticata; alleanza che deve relazionarsi con forze rivoluzionarie che possono essere caratterizzate da criteri e finalità diverse dalla conquista proletaria del potere, la cui unità politica nell’alleanza è data dalla lotta al nemico comune e la sua concretizzazione nei livelli d’unità e cooperazione raggiungibili.
E' all’interno di questi criteri di fondo che si può affrontare la problematica del fronte e della possibile relazione con le forze rivoluzionarie presenti nell’area. Così com'è chiaro che le caratteristiche che riguardano il percorso specifico della nostra organizzazione non possono essere poste come discriminanti all’agire del fronte.
L’attacco al cuore dello stato, alle sue politiche dominanti nella congiuntura, la disarticolazione dentro al criterio di selezione dell’obiettivo, sono una conquista politica dell’organizzazione e costituiscono parte importante del peso politico raggiunto dall’organizzazione, in quanto tale possono rappresentare il contributo qualitativo che l’organizzazione può dare all’attività del fronte.
Detto questo, come comunisti, dobbiamo comunque tendere a dare direzione all’attività complessiva del fronte, riuscire cioè da una parte ad indirizzarne il percorso, dall’altra a tenere unite le forze che lo compongono fino a che non si sia esaurita la sua funzione politica.
Questi sono gli elementi che possono costituire l’approccio di fondo al problema delle alleanze, poiché uno schema ideologico ed idealista non può che portare ad un appiattimento tra questione del fronte e problematica dell'internazionale comunista, due piani a cui l’organizzazione si deve rapportare con modi e contenuti diversi, relativi ai diversi scopi che si prefiggono: l’uno, all’indebolimento del nemico comune nell’area, l’altro, al raggiungimento dell’unità internazionale dei comunisti.
E’ chiaro che il fronte non è lo stadio inferiore dell'internazionale, ma lavorare per il fronte non preclude la ricerca dell’unità dei comunisti, anzi porsi il problema politico del fronte diventa anch’essa una discriminante.
Oggi sono maturi tutti i presupposti e le condizioni che pongono all’ordine del giorno la questione del fronte antimperialista in quanto passaggio politico indispensabile di questa congiuntura internazionale, la cui risoluzione può contribuire all’avanzamento o meno del processo rivoluzionario nel nostro paese. In altri termini il punto critico di manifestazione della tendenza imperialistica alla guerra, le pressioni politiche concrete e le forzature militari messe in atto, in primo luogo dagli USA in quest’area geopolitica, hanno fatto sì che le forze rivoluzionarie ed i popoli progressisti ponessero l'antimperialismo al centro della propria attività rivoluzionaria. L'opposizione e le lotte contro le politiche anticrisi e di riarmo del proletariato europeo, l’attività della guerriglia in Europa che, pur nelle specificità, ha come denominatore comune l’attacco all’imperialismo USA e alla NATO, trovano convergenza oggettiva con le lotte dei popoli progressisti della regione mediterranea—mediorientale. La proposta di fronte fatta dalla RAF e da AD è la prima risposta in termini soggettivi data al problema nel contesto di questa congiuntura internazionale, l’individuazione dell’asse “Parigi/Bonn”, il conseguente attacco alle politiche di riarmo, all’imperialismo USA ed alla NATO, portato da queste forze rivoluzionarie, pongono nel complesso una convergenza oggettiva che è la base politica in termini generali per il rafforzamento e il consolidamento del fronte antimperialista.
Dare corpo ad una reale politica d'alleanze non può esulare quindi dal prendere atto di questo dato politico e ciò volenti o nolenti, poiché da sempre i comunisti conseguenti si relazionano ai fattori esistenti. Relazionarsi ai fattori presenti non significa adesione piatta alla formulazione di fronte fatta da RAF ed AD, ma partendo dall’obiettiva base unitaria sviluppare un confronto fattivo rispetto al quale il nostro sforzo deve essere quello di un apporto qualitativo nella promozione politica del fronte.
Una politica di fronte, dovendo relazionarsi alle forze rivoluzionarie presenti nell’area, comprese quelle mediorientali/mediterranee, comporta, assieme ad una apertura, un’attenzione particolare alle specificità di quest’ultime, implica cioè una selezione tesa a cogliere le relazioni politicamente possibili. Ciò non significa che il fronte deve essere la sommatoria oggettiva e/o praticona di tutte le attività antimperialiste che si esprimono nell’area ma, all’interno dei criteri generali che abbiamo delineato, possiamo contribuire al fronte antimperialista nell’unità tra le forze rivoluzionarie per incidere, nei passaggi politici che l’imperialismo sta attuando, allo scopo di un suo indebolimento.
Praticare una politica di fronte non significa vagheggiare di superimperialismo o d'esplosione simultanea della rivoluzione mondiale, bensì dare maggiore prospettiva alla conquista del potere politico nel proprio paese.
Ed è proprio in relazione allo sviluppo concreto delle possibili alleanze che possono sorgere discriminanti o selezioni anche di concezione sulla politica del fronte, mai come pregiudiziali alla sua formazione. Ma questa problematicità non può che arricchire la dialettica politica all’interno del fronte e ciò può diventare momento di sviluppo qualitativo di questo organismo.
Concludendo, il problema politico del fronte è più che mai maturo se siamo in grado di coglierlo e di realizzarlo insieme alle altre forze rivoluzionarie, è problema di maturità e di capacità politica del suo affrontamento.

--------------------

La risoluzione dell’ultima battaglia politica segna un’importante passaggio politico nella vita dell’organizzazione: segna la messa a punto e la razionalizzazione del processo autocritico iniziato nell’82, in quanto tale il percorso di critica—autocritica—trasformazione ha portato alla maturazione del corpo di tesi su cui si è stabilito un nuovo livello d’unità dell'Organizzazione. Per questo le risultanze contenute nel 20, e che stabiliscono le direttrici strategiche su cui si fonda l’attività dell’O, rappresentano la continuità in termini di esperienza passata e il punto di rilancio per la riqualificazione della sua strategia politica; in altri termini, il riferimento costante al chiaro indirizzo dell’opuscolo numero 20, il suo sviluppo coerente nelle linee di programma, può permetterci di operare nello scontro di classe pur dentro una visione prospettica di esso.
La storia dell’O, è una esperienza relativamente giovane; 17 anni non sono molti relazionati ai tempi di un processo rivoluzionario, in questo senso si può dire che solo nel passaggio autocritico che va dall'82 alla primavera dell’85, è uscita dalla propria infanzia.
Alla fine degli anni ‘60 l’O, sì costituisce per dare una risposta teorica politica ed organizzativa alla questione del potere posta in evidenza dal vasto e maturo movimento di classe del nostro paese. Il nodo politico che si poneva alle avanguardie in quegli anni era ridefinire sulla base dei cambiamenti qualitativi avvenuti nella realtà storica, la propria strategia e forma politico/organizzativa. Un problema politico questo, non rimandabile e non solo perché ciò era posto dai movimenti di massa e dalle guerre di liberazione antimperialiste che scuotevano l’imperialismo, ma, soprattutto, dallo sviluppo delle forme di dominio della borghesia imperialista che rendevano inadeguata la “politica dei due tempi”.
Allora la proposta della Strategia della Lotta Armata fatta al proletariato è stata ed è la risposta alla questione del potere, poiché tale strategia, essendo indirizzata verso lo sviluppo di un processo di guerra di classe di lunga durata, è l’unico modo, in questo contesto dell’imperialismo, per giungere all’abbattimento dello stato, alla conquista del potere politico ed all’instaurazione della dittatura del proletariato.
Questo mentre gravava sulla classe la pluridecennale politica revisionista che da una parte si muoveva con i piedi ben dentro i margini dati dalla democrazia borghese, privilegiando la rappresentanza degli interessi di piccola borghesia e di strati d'aristocrazia operaia, e questo soprattutto nelle sue aree geografiche di maggior radicamento storico, ma al contempo puntava a mantenere sotto il suo asfissiante controllo quei settori che esprimevano una combattività antagonista. Dalle cellule partigiane del dopoguerra che mal si adattavano alle indicazioni di sua eccellenza il ministro di grazia e giustizia, arrivando anche alla creazione di nuclei armati autonomi, o che ripiegarono nel ribellismo individuale e che furono trattati dal PCI come banditi di strada e, venendo al più recente passato, al permanere, soprattutto nelle aree operaie della coscienza per cui il potere politico i comunisti mai lo avrebbero raggiunto con il mezzo elettorale. Questi strati erano di fatto ben fuori dalla linea strategica che il PCI perseguiva ma, rappresentando una realtà non indifferente, il PCI si guardava bene dal sancire una loro espulsione, operando anzi una specifica iniziativa politica nei loro confronti che si sintetizzava poi nel far balenare l’ipotesi di un futuro svelarsi del volto rivoluzionario del partito quando fosse finito il periodo della "finzione democratica". Fu la ben nota politica del doppio binario o dell’ora “X” che non meriterebbe ancora perderci tempo nell'indicarla se non fosse stata, per decenni, l’argomento cardine che nei circoli operai finiva con l’avallare le peggiori politiche del PCI.
L’O, con la sua attività si rivolgeva in modo privilegiato a strati operai e proletari che nelle lotte del '68-69 espressero una richiesta di potere che cozzava contro le istituzioni borghesi, ma che, a causa dei loro inevitabili limiti, non potevano realizzare i propri intenti.
C'è chi, facendo una ricostruzione dei motivi che portarono alla formazione nell’O, mette come centrale la necessità di operare azioni di lotta armata in quella fase come modo di differenziarsi dal PCI. Niente di più falso. Questo è il modo migliore per poi arrivare a dire che la lotta armata è uno strumento che abbiamo e che possiamo agitare o riporre a seconda dei casi, vincolato alla realizzazione di obiettivi "didattico/educativi", subordinato ad altre e superiori (grandi) tattiche politiche. Nella realtà le azioni di lotta armata realizzate in quegli anni d'inizio della guerriglia rispondevano all’esigenza di mettere al centro la questione del potere, l’indicare il percorso strategico per la sua conquista, la necessità della costruzione del Partito che guidi il proletariato nello scontro di classe. Quindi essere arrivati a definire una forma “Partito Combattente” nell’unità del politico e del militare, unitamente alla Strategia della Lotta Armata è ciò che ha determinato il reale avanzamento e approfondimento del marxismo/leninismo; in quanto esso non è un dogma, ne i comunisti i suoi chierichetti, ma scienza viva che si relaziona a tempi storici definiti, la quale ha segnato la ricca esperienza del movimento comunista internazionale; pertanto il marxismo/ leninismo è guida all’azione, l’unica scienza per attrezzarsi conseguentemente nello scontro di classe.
Il problema iniziale per l’O, era quello di affermare nella pratica l’idea forza della Strategia della Lotta Armata per il Comunismo. In questi primi anni di attività l’O sviluppa iniziative che, come dato principale, senza perdersi in una dinamica particolareggiata di argomenti, motivazioni, punti di riferimento delle singole e principali azioni, sono fulcrate sulla necessità di indicare alla classe ed alle sue avanguardie in particolare la necessità, possibilità, in queste condizioni Storico—politiche di esistere e di incidere per una forza rivoluzionaria, qualificandosi con una prassi che prefigurasse il percorso da compiersi iniziando da subito.
Questa fu la fase politica della "Propaganda Armata". Tappa che pur "slegandosi" dai tempi congiunturali dello scontro di classe rispondeva in pieno alla prospettiva della costruzione del Partito; le azioni di guerriglia, gli obiettivi e le parole d’ordine conseguenti (gogne, attacchi al sindacato fascista, gialli, capi reparto o piccoli politicanti particolarmente odiosi, perquisizioni nei "covi della maggioranza silenziosa e sediziosa") rispondevano alla necessità di raggiungere l’obiettivo politico di radicare nel movimento di classe, nelle sue avanguardie, l’idea forza di questa concezione politico—organizzativa e ciò con l’intento dichiarato di trascinarlo a rapportarsi con i temi generali dello scontro che in quegli anni andavano a prefigurarsi nel "progetto di seconda repubblica neo—gollista".
E’ ovvio che in un tipo di fase in cui domina l'aspetto della propaganda viene posta preminentemente l’attenzione all’impatto che ogni azione combattente ha sulla propria area politico—sociale. Nel '74, con l’azione Sossi, l’O. si relaziona ai tempi congiunturali dello scontro di classe, ponendo al centro della propria attività politico—militare l’attacco allo Stato e al suo "cuore congiunturale".
L’azione Sossi segna l'inizio dell’esaurimento della fase della Propaganda Armata la quale, come abbiamo visto, si riferiva principalmente alle avanguardie di classe e s'inseriva nella maturazione di una nuova fase che possiamo sintetizzare nella parola d’ordine "agire da Partito per costruire il Partito": vale a dire che a partire dall’attacco allo stato, in dialettica con i tempi dello scontro di classe, l'O. si pone come punto di riferimento delle istanze più mature della lotta di classe.
La prima azione di questa seconda fase viene giustamente ritenuta l’eliminazione di Coco, del magistrato cioè che diresse la distruzione di uno dei primi nuclei dì comunisti combattenti in Italia e che nell’operazione Sossi incarnò la risposta da parte di uno Stato che si trova di fronte un'organizzazione politica che pone come base del suo agire la sua completa distruzione e che non può quindi praticare mediazioni nei suoi confronti. In questo momento l’O. compie un salto di qualità, questo in un momento in cui dal punto di vista organizzativo i problemi, le carenze, erano ingigantiti dai colpi della controrivoluzione ed avrebbero potuto portare ad un ripiegarsi, all’accettare come inevitabile il semplice sopravvivere mettendo al primo posto con tecnicismo semplicista la risoluzione di questi limiti, mentre invece fu compreso che anche il loro superamento era vincolato al saper rispondere alla necessità di rapportarsi in termini di guerra, per quanto originali essi siano, allo Stato, alle sue politiche, ai suoi uomini trainanti all’interno di esse. Attività questa che interagendo sui rapporti di forza tra le classi, rafforza le posizioni del campo proletario, in tal modo l’O, si assume la reale direzione dello scontro; è indubbio che proprio, in questo processo si è determinato il peso e la valenza politica dell’O sul piano storico reale. Alla fine degli anni '70 l’estensione della lotta armata e dell’autonomia politica di classe trova nella "Campagna di Primavera", promossa dall’O, il suo punto di "svolta"; in altri termini si rendono mature le condizioni politiche del passaggio relativo dall'"agire da Partito per costruire il Partito" a "Partito Comunista Combattente" i cui criteri sono solidamente vincolati ai principi del Partito leninista, ossia Partito di quadri comunisti le cui regole si fondano sul centralismo democratico.
Non è qui il caso di particolareggiare limiti, errori, giovinezza politica dell’O, ad affrontare i nuovi compiti che giungevano, tra l’altro, proprio a coronamento della strategia e linea politica che si era susseguita nell'attività dell’O; ci interessa invece ribadire alcune questioni a nostro avviso centrali da cui trarre insegnamento. Dopo Moro si ritiene maturo il tempo in cui le masse debbono essere conquistate alla lotta armata. Aver portato un colpo durissimo allo Stato, il consenso raccolto tra le avanguardie, furono fatti certi ma letti in modo estremista, che portò ad un'indicazione politica nei fatti avventurista dove tutti i processi tendenziali in atto erano dati per conclusi, approdando ad una pratica combattente che, da una parte accentuava il frazionismo, dall’altra procedeva con modalità più attinenti ad una fase di guerra civile dispiegata.
Queste deviazioni economiciste ed idealiste teorizzate e sintetizzate nell’impianto politico de "L'ape e il comunista" non sono, come alcuni compagni hanno ritenuto, il diretto portato di una concezione guerrigliera tarata al suo sorgere, perché inadeguata allo scontro nelle metropoli imperialiste, ma sono il portato del processo prassi/teoria/prassi, un processo questo che non è immune da errori e deviazioni, in quanto interagisce con la materia sociale. Il processo prassi-teoria-prassi non è un procedere empirico, ma il giusto metodo della verifica pratica che impara dagli errori: che permette di produrre forzature ed avanzamenti politici là dove necessario, di arretrare quando le posizioni politiche sono insostenibili e si traducono in una fuga nel soggettivismo, per questo le deviazioni che hanno caratterizzato tale impianto non vanno ricercate in un errore d'impostazione, ma nel procedere concreto del percorso rivoluzionario.
A nessun compagno sarà sfuggito, a riprova di ciò, che le teorizzazioni dell’Ape ribadiscono elementi operaisti e movimentisti che, guarda caso, sono stati elementi di costante battaglia politica fin dalla costituzione dell’O., battaglia politica che ha contribuito al suo rafforzamento teorico e politico.
L’aver pensato di organizzare le masse sul terreno della lotta armata a partire dai bisogni economici immediati è il diretto portato di un'impostazione idealista che, in quanto tale, non può e non riesce a dare soluzione politica al rapporto contraddittorio tra coscienza e spontaneità e quindi all'interno di un'apparente risoluzione nega la contraddizione ricercandone un artificioso tratto di unione; in altri termini non è nel fiorire di nuclei armati che vanno ricercati errori di sorta, come alcuni compagni hanno creduto di vedere facendo così di tutta l’erba un fascio, bensì nell’aver cercato la "scorciatoia" dei programmi immediati, perdendo di sostanza sulla questione dello Stato e del Partito sino ad abbandonare la centralità della classe operaia.
Il problema di organizzare il proletariato in armi contro lo Stato è un obiettivo ineludibile nello sviluppo della guerra di classe, la cui risoluzione è data dal maturare delle condizioni politiche dello scontro di cui la soggettività rivoluzionaria ne è parte determinante.
Tornando a noi chi ha pensato di stanare gli errori individuandoli nella strategia della lotta armata è caduto inevitabilmente, non solo nella revisione totale dell’esperienza delle BR, ma conseguentemente ha abbandonato il materialismo storico dialettico, facendo proprio il metodo antistorico e antidialettico che non appartiene ai comunisti finendo col dibattersi, senza soluzione di continuità, nel pantano della sconfitta.
Gli insegnamenti che in questo percorso si sono accumulati sono il patrimonio a cui fare riferimento: il più importante è la consapevolezza che la storia e la propositività dell’O. si è definita e si definisce nel vivo dello scontro di classe; le riletture "dietrologiche" fondate su concezioni ideologiche come metro autocritico, hanno dimostrato di non essere in grado di comprendere il procedere di un processo rivoluzionario sull’unico piano leggibile, vale a dire su quello storico—reale, finendo nel pantano dell’ideologismo e dell’opportunismo politico, per quanto infarcito di roboante “ortodossia”. Questa consapevolezza è stata il binario guida della nostra autocritica; ha permesso di adottare il metodo corretto di risoluzione delle contraddizioni basato sul processo prassi—teoria—prassi.
Si è cioè dimostrato che un processo rivoluzionario non avviene in modo lineare, ma ha un andamento discontinuo fatto di flussi ed avanzamenti, ripiegamenti ed arretramenti, riferiti al procedere concreto dello scontro di classe.
Un dato centrale del processo autocritico è stata la rimessa al centro, nell’attività dell’O, dell’attacco al cuore dello Stato; ossia della centralità che la questione dello Stato ha per i comunisti, dato che è questo il rapporto fondamentale, il piano politico, su cui si determinano, i rapporti di forza generali fra le classi, ma principalmente perché rimette al centro un criterio guida del marxismo leninismo, poiché lo Stato, pur svolgendo la funzione di mediare il conflitto tra le classi, rappresenta l’interesse generale della classe dominante e in quanto tale è l’organo politico/giuridico del dominio della borghesia, la sua sede politica. Tenere al centro del proprio intervento l’attacco al cuore dello Stato non significa concepire lo Stato come una sommatoria d'apparati, ma significa individuare gli equilibri politici che permettono l’attuazione dei programmi congiunturali allo scopo di scardinarli e renderne ingovernabili le contraddizioni.
L’intervento politico-militare va sempre calibrato alla contraddizione politica dominante tra classe e Stato e questo significa principalmente individuazione dei tempi politici che sono in relazione al procedere concreto della tendenza dominante. Tempi politici che scandiscono l’attuazione dei programmi congiunturali alla base della quale si formano e presiedono gli equilibri più idonei al suo procedere. Quest'equilibrio di forza che si stabilisce di volta in volta in posizione dominante, garantisce l’attuazione dei progetti ed il perseguimento degli obiettivi da raggiungere.
L’attacco allo Stato, l'attacco al cuore del progetto dominante della borghesia, non può che essere l’attacco a quelle forze che garantiscono l’attuazione delle politiche borghesi congiunturali nonché il livello d'alleanze possibili. Lacerare gli equilibri politici significa adottare il criterio di selezione per individuare il personale politico che fattivamente opera alla realizzazione del programma della frazione dominante della borghesia imperialista; tale programma in questa congiuntura si riferisce principalmente, da un lato, al riassetto del quadro politico/istituzionale, dall’altro, al crescente impegno dell'Italia nell'alleanza rispetto al suo ruolo nel mediterraneo; un piano di disarticolazione quindi, che opera e si misura su un duplice metro. Da un lato sulla capacità/ possibilità di lacerare gli equilibri politici del paese rendendone ingovernabili le contraddizioni sociali e calibrando ciò all’andamento della situazione internazionale e dello scontro di classe, dei rapporti di forza tra le classi nel nostro paese e del movimento rivoluzionario; dall’altro lato ciò si misura sul rafforzamento delle forze rivoluzionarie e proletarie, in modo da renderle sempre più capaci di attestarsi a un livello teorico politico organizzativo tale da sostenere in modo adeguato lo scontro con il nemico di classe, con l'imperialismo.
E’ da questa attività che si apre la possibilità di stabilire una dialettica con il complesso di fattori che esprime la lotta di classe e di rilanciare quindi i contenuti antistatali e antimperialisti che spontaneamente vivono nel movimento di classe facendoli pesare concretamente nello scontro; in questa relazione cioè può essere data soluzione alla dialettica partito/masse e non appiattendosi al movimento spontaneo della classe, riducendo così l'attività rivoluzionaria a suo prolungamento bellico; dialettica la cui forma e il cui sviluppo è vincolato alla strategia della lotta armata, non può quindi riferirsi all’ottenimento di “conquiste immediate”, ma al conseguimento ed all’assestamento di posizioni di forza al campo proletario per poter poi, allorché si presentano mature tutte le condizioni, rovesciare lo scontro sul terreno della guerra di classe di lunga durata contro lo Stato. Le tappe in cui la guerra rivoluzionaria nelle metropoli è scandita, dipendono quindi dal complesso delle necessità politiche determinate dalla dinamica attività d'avanguardia/lotta di classe/controrivoluzione dello Stato, e non alla possibile “potenza di fuoco esercitabile” dalle avanguardie e dalla violenza delle masse, proprio perché la LA non è uno strumento; è la necessità del raggiungimento di obiettivi generali per tutta la classe che calibra e regola l’attività combattente.
Essere punto di riferimento politico e strategico per il proletariato significa dare continuità e propulsione allo scontro rivoluzionario che si è aperto nel nostro paese, significa rilanciare la strategia della LA all’interno delle condizioni politico generali dello scontro. La proposta strategica della LA, in quanto piano sistematico d'azione che informa dall’inizio alla fine il processo rivoluzionario, è il binario guida su cui deve svilupparsi la guerra di classe di lunga durata per l'abbattimento dello Stato, la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura proletaria; scontro che non può essere limitato nel tempo date le caratteristiche del sistema democratico borghese in questa fase dell’imperialismo, ma esso si sviluppa in un processo caratterizzato da salti e rotture che si producono nei rapporti di forza generali.
Questo significa operare affinché mutino i rapporti di forza, oggi favorevoli alla borghesia imperialista che in questo momento gestisce il potere. E’ a partire dall’attività della guerriglia, in quanto forma storicamente determinata della strategia della LA, che s'incide sui rapporti di forza generali tra classe e Stato in dialettica con i contenuti espressi dal movimento di classe e che si dà prospettiva concreta alla questione del potere.
Negli ultimi anni l’attività dell’O si è mossa sugli aspetti centrali della contraddizione proletariato/borghesia, evitando di ricadere nelle trappole dei particolarismi o delle fughe in avanti, indirizzando, invece, la propria attività politico-militare contro le scadenze congiunturali dello scontro di classe. In questo solco sono state realizzate le azioni contro Giugni e Tarantelli per un verso, Hunt e Conti dall’altro, in quanto attacchi ad equilibri centrali di due aspetti di una politica antiproletaria dominante che si compenetrano nello sviluppo del processo rivoluzionario: Giugni e Tarantelli hanno significato "misurarsi" contro una politica di attacco alle conquiste strappate dalla classe negli anni precedenti, all’interno di una più ampia ridefinizione dei rapporti classe/Stato improntata alla stabilizzazione e riqualificazione in senso efficientistico/reazionario della società; Hunt e Conti contro le politiche di crescente impegno nell’alleanza atlantica e di riarmo, collocandoci e promuovendo l’antimperialismo, per la cui specificazione rimandiamo al comunicato Conti. Queste azioni chiariscono l'indirizzo programmatico dell‘O e dimostrano che la rappresentanza politica degli interessi generali della classe è possibile solo se ci s'inserisce (per romperli) nei nodi politici che riguardano il rapporto proletariato/borghesia, ossia è solo nella sfera politica che si mutano i rapporti di forza tra le classi, in tal modo si può dire vinta la battaglia contro le tendenze economiciste, e questo anche se oggi la classe si trova nelle condizioni di non aver rappresentanza nemmeno sul piano della semplice contrattazione aziendale. Ciò dimostra che, in generale, la politica rivoluzionaria non può collocarsi sul piano "tradeunionista", a maggior ragione in una situazione in cui il rapporto fra la classe e lo Stato è più direttamente politico e tutti gli aspetti di questo rapporto si pongono su un piano generale, in altri termini i diversi rapporti di forza hanno modificato i margini di mediazione tra le varie sfere dei rapporti tra le classi. Detto ciò, va chiarito che se anche l’attività della guerriglia può avere un riflesso positivo nelle condizioni di vita immediate della classe, lo scopo dell'attività politico-militare dell’O è quello di incidere sui rapporti di forza per portare lo scontro sul terreno della guerra di classe di lunga durata contro lo Stato, poiché è solo in questo che si può occupare il potenziale e vasto spazio politico che esiste nel movimento di classe. E' quindi nella possibilità necessità di occupare questo spazio politico che possiamo rilanciare la nostra proposta strategica e rappresentare l’alternativa di potere alla crisi della borghesia imperialista; concretizzando la nostra proposta su due aspetti: da un lato, stringendo le avanguardie più coscienti intorno alla strategia politica dell’O; dall’altro, rappresentando l’elemento di riferimento di spinta e coagulo per le istanze più mature della lotta di classe, rapportandosi ad essa con il programma politico.

------------------------

Se le risultanze del processo autocritico rappresentano la risposta al riadeguamento teorico, politico, organizzativo dell’O. sul terreno concreto dello scontro di classe, tale riadeguamento implica anche la riqualificazione del corpo militante, poiché questa riqualificazione deve essere tesa alla costruzione di quadri di Partito, essa diventa parte importante del lavoro politico organizzativo dell’O. Tendere alla costruzione di quadri politici complessivi vuol dire operare affinché i militanti abbiano chiaro i termini politici generali in cui si prospetta lo scontro di classe, il che significa affinare la capacità tutta politica di leggere le dimensioni reali di questo scontro e di tenere presente tutte le componenti che vi influiscono, tra queste il peso della soggettività rivoluzionaria nel contribuire all’aggravamento della crisi politica della B.I.; riassumere in sintesi una capacità complessiva che fa di ogni militante il riflesso di quello che esprime l’O e che lo mette in grado, anche nelle condizioni più dure, di prendere le decisioni più coerenti con la propria militanza, ossia che si riferiscono all’interesse generale dell’O, insomma di avere senso politico d'O.
In altri termini, raggiungere la capacità politica di lettura di una determinata situazione e di muoversi in essa tenendo presenti le esperienze accumulate nel percorso storico dell’O, all’interno dello scontro di classe. Acquisire questo dato è un lavoro d'O e permette di consolidare il carattere politico del complesso di sintesi che si produce nella dialettica politica del corpo militante, in riferimento ai compiti che pone lo scontro rivoluzionario.
A conclusione di ciò possiamo definire gli elementi di programma su cui si deve sviluppare il lavoro d’O.; queste sono le direttrici fondamentali:
1) Attacco agli equilibri centrali delle politiche dominanti che oppongono il proletariato alla borghesia nella congiuntura, in stretta dialettica con lo scontro di classe e che si possono sintetizzare nei processi d'esecutivizzazione e del più generale riassetto del quadro politico e istituzionale in funzione sia del "risanamento economico" che del crescente impegno nell'Alleanza. Politiche che riqualificano il ruolo dell’Italia a livello internazionale nell’ambito della generale tendenza alla guerra, politiche che non sono "altra cosa" rispetto all'offensiva scatenata contro la classe, che mira alla creazione di un contesto permeato di pacificazione mortifera ideale per le attività del capitale finanziario multinazionale, con l'adozione di politiche economiche che, al di là delle contingenze, non fanno altro che amplificare la crisi del MPC. Le tappe di questo progetto si sono in parte già consumate, sia sul piano strettamente militare con la riorganizzazione dell’esercito con chiare funzioni aggressive e con la rifunzionalizzazione del ruolo dell’Italia nella NATO, sia con le decisioni dell’esecutivo rispetto ai primi impegni di diretto intervento ben oltre i confini nazionali, per consentire il rafforzamento della collocazione, in termini sempre più aggressivi dell’Italia tra i paesi imperialisti con compiti di gendarme nello specifico mediterraneo.
2) Promuovere una politica d'alleanze con altre forze rivoluzionarie in unità programmatica con l’attacco al cuore dello Stato e che si concretizza nell’attacco all’imperialismo occidentale, USA in testa, alle sue politiche guerrafondaie. L'antimperialismo è punto di programma irrinunciabile che l’O. persegue per dare corpo all’internazionalismo proletario che oggi più che mai vive in unità programmatica con la conquista del potere politico nel proprio paese.
E’ su questi indirizzi di programma informati dalla strategia della lotta armata nello sviluppo della guerra di classe di lunga durata, che si promuove la parola d’ordine dell’unità dei comunisti per la costruzione del Partito Comunista Combattente. Programma politico con cui l’O. si rapporta alla classe rappresentandone i suoi interessi generali e strategici contro lo Stato.

-----------------------
Nota 1) Lo sviluppo ineguale è una legge del MPC, questa si manifesta soprattutto nel rapporto che il mondo capitalistico ha con i paesi in via di sviluppo e risponde all’esigenza di riequilibrare la caduta tendenziale del saggio medio di profitto attraverso investimenti di capitali in aree con una più bassa composizione organica del capitale e/o di forza lavoro a basso costo, o ai limiti della sussistenza. Lo stadio dell’imperialismo ha reso macroscopiche le disuguaglianze prodotte dallo sviluppo ineguale; prima con le colonie, oggi con il caratteristico rapporto Nord/Sud; la crisi finanziaria attinente al "debito" dei paesi dipendenti con gli organismi finanziari internazionali è il prodotto della spoliazione delle risorse di questi paesi e dell’imposizione di un modello di sviluppo finalizzato al rapporto forzoso con il mercato capitalistico (monocolture, cicli di produzione isolati da qualsiasi infrastruttura produttiva).
Uno sviluppo siffatto non può che caratterizzarsi in una economia asfittica dato che si relaziona ai margini di mercato dati dal centro imperialista e che condiziona il già ristretto arco di scelte di esportazioni e importazioni. D’altronde, la penetrazione delle multinazionali non ha certo permesso a questi paesi margini di allargamento e di strutturazione dell'economia, ha invece acuito gli scompensi tra sviluppo e sottosviluppo sconvolgendo le condizioni preesistenti, volgendole ad una crescente dipendenza economica. Questi paesi si trovano a condizionare qualsiasi piano di risanamento economico ai prestiti del FMI e della Banca Mondiale i cui tassi di interesse favoriscono la crescita di una massa di capitale finanziario che vive e prospera proprio sul risucchiamento delle risorse di tali paesi. Non a caso la maggioranza delle economie di questi paesi è caratterizzata da alta inflazione, con produzioni non sempre in grado di rinnovarsi data la dipendenza dalle tecnologie dei paesi industrializzati; le soluzioni che alcuni hanno dato per uscire dalla grave crisi sono sintomatiche degli scompensi che hanno di fronte: l’Argentina con il piano Austral è passata da un’inflazione del 1000% al 33% ma ha quasi bloccato l’economia; Brasile, politica espansiva tasso di crescita al 7% inflazione al 230%.
La dimensione del debito dei PVS verso il mondo industrializzato ha costretto il FMI e la BM a prendere in considerazione il piano Baker per dare modo ai PVS di realizzare quel minimo di PNL che permetta il rientro dei pagamenti, pena ovviamente l’insolvenza! Tale piano consiste principalmente in una diminuzione della pressione sia sugli interessi che sulle scadenze, con l’impegno di riprendere i flussi finanziari tra paesi OCSE e PVS bloccatisi a 30 miliardi di dollari; questo impegno è però vincolato al varo di politiche economiche di severa austerità da parte dei PVS. L’economia dei PVS essendo troppo legata all’interscambio con i paesi OCSE non ha permesso il profilarsi di una strategia globale che ne facesse aumentare il peso contrattuale. Le pressioni del FMI e della BM hanno invece operato per impostare trattative bilaterali assai più controllabili e che incidono sulle decisioni economiche politiche e militari di questi paesi. La recessione generalizzata le politiche protezionistiche del mondo industrializzato sono però ulteriori capestri per le già precarie condizioni dei PVS e la soluzione globale di tale rapporto si fa sempre più improcrastinabile poiché di vitale importanza per la stessa ripresa dell’economia dei paesi industrializzati. Questo rapporto ha accumulato scompensi tali che hanno creato una massa gigantesca di pauperismo e di sottosviluppo ad un grado che non può essere riciclato e funzionale alla valorizzazione capitalistica. All’interno del più generale rapporto Nord/Sud ci sono differenziazioni tra le diverse aree, ad esempio i cosiddetti paesi di nuova industrializzazione (NIC, area pacifico) si inseriscono nella divisione internazionale del lavoro come settore specializzato dei PVS, in cui sono stati scaricati comparti produttivi ad alta intensità di manodopera. Quest’area specializzata ha visto una crescita vertiginosa (intorno al 7!%) principalmente per il bassissimo costo di una FL con inesistenti livelli di sindacalizzazione e con una media di 50 ore lavorative settimanali, una produzione finalizzata all’esportazione e una politica da "paradiso fiscale" che ha attirato capitali finanziari da ogni parte. Dopo anni di crescita ininterrotta anche questi paesi hanno dovuto fare i conti con il rallentamento dell’economia, in coincidenza dell’aggravarsi della recessione USA e delle limitazioni protezionistiche messe in campo. Le risposte ai primi sintomi della crisi hanno posto il problema della diversificazione della produzione innescando un’aspra concorrenza tra il ristretto gruppo dei NIC. Contemporaneamente si formano anche le prime mobilitazioni degli operai che rivendicano migliori condizioni di lavoro e di salario, politiche salariali che comunque alcuni di questi Stati, nello sviluppare una politica economica di regolatore della domanda, hanno dovuto pianificare. Quindi dentro a questa specializzazione, strettamente dipendente dall’economia statunitense, i NIC si trovano a fronteggiare un certo grado di recessione economica con tagli occupazionali, ristrutturazioni, politiche fiscali, e dal lato della conflittualità sociale al fiorire di movimenti che richiedono una maggiore emancipazione politica e sociale (vedi Corea).