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  Caffe' Europa
  Il giorno 20 maggio 1999, a Roma, le Brigate Rosse per la Costruzione del Partito 
  Combattente hanno colpito Massimo D'Antona, consigliere legislativo del Ministro 
  del Lavoro Bassolino e rappresentante dell'Esecutivo al tavolo permanente del 
  "Patto per l'occupazione e lo sviluppo". Con questa offensiva le Brigate 
  Rosse per la Costruzione del partito Comunista combattente, riprendono l'iniziativa 
  combattente, intervenendo nei nodi centrali dello scontro per lo sviluppo della 
  guerra di classe di lunga durata, per la conquista del potere politico e l'instaurazione 
  della dittatura del proletariato, portando l'attacco al progetto politico neo-corporativo 
  del "Patto per l'occupazione e lo sviluppo", quale aspetto centrale 
  nella contraddizione classe/Stato, perno su cui l'equilibrio politico dominante 
  intende procedere nell'attuazione di un processo di complessiva ristrutturazione 
  e riforma economico-sociale, di riadeguamento delle forme del dominio statuale, 
  base politica interna del rinnovato ruolo dell'Italia nelle politiche centrali 
  dell'imperialismo. Un attacco che spezza la mediazione politica neo-corporativa, 
  su cui questo Esecutivo tenta di assestare un consolidamento del dominio della 
  borghesia imperialista, contrapponendovi gli interessi generali del proletariato, 
  con l'obiettivo di farne il piano su cui organizzare la classe per costruire 
  lo sbocco rivoluzionario alla crisi della borghesia imperialista e alla sua 
  guerra, in un momento in cui gli stessi connotati dello scontro generale tra 
  le classi vengono investiti dalla guerra aperta che lo Stato italiano, nel quadro 
  più generale dell'Alleanza Atlantica, sta conducendo nei Balcani per 
  assoggettare la Jugoslavia. Una guerra, quella odierna, che ha i suoi presupposti 
  nella politica attuale fin dagli inizi degli anni '90, dalla Nato e dall'Europa, 
  per favorire la disgregazione della Federazione Jugoslava, con la creazione 
  di Stati o protettorati su base etnica, e che ora è rivolta a distruggere 
  il potenziale produttivo, e le risorse infrastrutturali della Repubblica Serba, 
  per ridurla in miseria, piegarne la volontà e annientare l'entità 
  statuale jugoslava per imporre i termini del dominio imperialista, in un disegno 
  folle che mira a costruire condizioni di insediamento politico-militari dirette, 
  funzionali ad esercitare funzioni di dominio politico con cui governare le profondissime 
  contraddizioni sociali generate in queste aree dai riflessi della crisi dell'imperialismo 
  e dall'inserimento dell'ex-campo socialista nel mercato capitalistico. Un quadro 
  politico generale che impone al proletariato e alle sue avanguardie rivoluzionarie 
  di assumersi la responsabilità politica di costruire l'alternativa di 
  potere storicamente adeguata a questi progetti, attraverso la ripresa dell'attacco 
  rivoluzionario, sia al cuore delle politiche che consentono a questo Stato di 
  sostenere il suo ruolo imperialista, per logorarne il potere e in questo avanzare 
  nella costruzione delle condizioni della guerra di classe e del Partito, che 
  nei nodi centrali della contrapposizione tra imperialismo ed antiimperialismo, 
  per costruire le alleanze antimperialiste necessarie ad indebolire il nemico 
  comune nell'area politica Europea-Mediterraneo-Mediorientale, attrezzandosi 
  conseguentemente a sostenere lo scontro prolungato con lo Stato e l'imperialismo. 
  In questa prospettiva si colloca l'offensiva a Massimo D'Antona, con la quale, 
  le avanguardie rivoluzionarie che concretamente l'hanno costruita, per la valenza 
  politica che essa assume nello scontro generale tra le classi, possono svolgere 
  un ruolo d'avanguardia in continuità oggettiva con la proposta delle 
  Br-Pcc ed assumersi perciò la responsabilità politica di prenderne 
  la denominazione.
  Massimo D'Antona, esponente di spicco dell'equilibrio politico dominante e del 
  progetto affermatosi come centrale nel corrispondere agli interessi di governo 
  dell'economia e del conflitto di classe della Borghesia Imperialista, ha costituito 
  cerniera politico-operativa del rapporto tra esecutivo e sindacato confederale, 
  un formulatore ed interprete della funzione politica del "Patto Sociale" 
  e della sede neo-corporativa in dialettica con i caratteri storici della democrazia 
  rappresentativa in Italia, e del ruolo antiproletario e controrivoluzionario 
  della corresponsabilizzazione delle parti sociali e innanzitutto del sindacato, 
  nelle decisioni sulle materie di politica economica, a maggior ragione oggi, 
  nel quadro delle necessità implicate a livello, sia di esercizio della 
  funzione economica dello Stato, che della governabilità delle contraddizioni 
  sociali, dal contesto della coesione europea, e dal rinnovato interventismo 
  bellico rivolto ad assoggettare i popoli che resistono al dominio imperialista 
  ed a imporre l'ordine sociale del capitale. "Patto Sociale" che opera 
  specificatamente in funzione dell'isolamento e dell'accerchiamento delle espressioni 
  di autonomia di classe, che non accettano la subordinazione degli interessi 
  proletari alla centralità degli interessi della b.i., oppure dell'inglobamento 
  di quelle componenti che, per penetrare i filtri che selezionano un ruolo negoziale 
  sul piano della contrattazione capitale/lavoro o un ruolo politico sul piano 
  politico generale, attivano un progressivo processo trasformistico, condizioni, 
  quelle dell'accerchiamento delle prime e dell'inglobamento delle seconde, che 
  per l'equilibrio dominante, costituiscono termini politici complementari necessari 
  ad assicurare la governabilità. Un progetto politico che ha consentito, 
  già dal governo Amato e poi con quello Ciampi, di tradurre, gli indirizzi 
  politici di controllo delle leve statuali del governo macroeconomico, in elemento 
  attivo nelle contraddizioni di classe, grazie al sostegno del radicamento reale 
  e diffuso, e ad un'azione soggettiva di ricomposizione forzata del conflitto 
  sul piano neo-corporativo, in dialettica con le dinamiche politiche in sede 
  parlamentare, del sindacato confederale, che, in questi anni, ha assunto tutti 
  i caratteri della soggettività politica riferendo la sua progettualità 
  non solo alla contrattazione capitale-lavoro, ma ai nodi politici complessivi 
  con cui confronta l'azione dello Stato. L'accordo del '93 fu infatti momento 
  di ratifica di un processo di trasformazione dei soggetti coinvolti nel Patto, 
  e momento di assunzione di ruoli coerenti con l'azione di governo dei fattori 
  critici dell'economia e del conflitto sociale e di classe. Ogni soggetto, e 
  cioè Confindustria, Governo e Sindacati confederati, si impegnava a tenere 
  una condotta in linea sia con gli obiettivi dell'accordo (contenimento dell'inflazione), 
  che con i contenuti dello stesso, che riguardavano la struttura contrattuale 
  e le relazioni industriali in modo fondamentale, per cui lo snodo era la subordinazione 
  del salario all'inflazione programmata, con la quale il paese viene agganciato 
  al programma di Maastricht. In quelle circostanze, se il governo (tecnico-istituzionale) 
  aveva una sua maggioranza programmatica che ne sosteneva le scelte, e la Confindustria 
  era il soggetto che si muoveva all'offensiva e non doveva fare altro che ripetere 
  i suoi attacchi e le sue forzature per assumere ruolo politico, il sindacato 
  era il soggetto che doveva operare le maggiori forzature al suo interno e soprattutto 
  nel corpo della classe, come dimostrò la forte opposizione e la dura 
  protesta anti-confederale all'accordo del '92 nell'autunno di quell'anno, per 
  potersi collocare sul terreno generale della negoziazione corporativa e svolgervi 
  il proprio ruolo politico. Un patto, quello per la politica dei redditi del 
  '92, che fu passaggio centrale che apriva la strada al più organico Patto 
  del luglio del '93, e contro cui si è attuato l'attacco alla sede nazionale 
  della Confindustria dei Nuclei Comunisti Combattenti con cui veniva proposta 
  la ricostruzione delle forze rivoluzionarie attorno alla ripresa dell'iniziativa 
  rivoluzionaria. Un progetto, quello neo-corporativo, che oggi si è qualificato 
  per l'assumere la direzione di un avanzamento-assestamento con la definizione 
  di un assetto stabile ed articolato della politica neo-corporativa, per consolidare 
  le forme di dominio della borghesia nel rapporto con il proletariato, per sostenere 
  il carattere complessivo e generale dell'intervento sulle materie di ordine 
  economico-sociale, componendo gli interessi sociali in modo corporativo; per 
  articolare una capillare diffusione della dinamica negoziale centralizzata, 
  come funzione della competitività generale, per poter sfruttare i differenti 
  vantaggi competitivi locali; per l'allineamento agli indirizzi centralizzati 
  e per una garanzia rafforzata della prevenzione e controllo del conflitto sociale; 
  per l'inglobamento nella sede, con il suo allargamento, dei soggetti sociali 
  non rappresentati e socialmente rappresentativi, se necessario, tramite regole 
  e formule che spingano al riallineamento, e in tutto ciò intendendo rafforzare, 
  la dinamica dell'intero processo di decisione politica, istituzionale e negoziale. 
  Un progetto che oggi si completa con l'elezione di Ciampi alla Presidenza della 
  Repubblica e con l'incarico ad Amato al Tesoro, soggetti politici che hanno 
  svolto un ruolo storico nell'affermazione della politica neocorporativa e che 
  perciò rappresentano punti di unità politico-istituzionale su 
  cui maggioranza e opposizione, pur non senza contraddizioni, possono convergere. 
  All'interno di questo quadro si è collocato l'incarico conferito a Massimo 
  D'Antona, dapprima come esponente dell'Esecutivo nella definizione generale 
  del "Patto per l'occupazione e lo sviluppo", poi come responsabile 
  della sua sede stabile, ossia il Comitato consultivo sulla legislazione del 
  Lavoro, il Comitato ha la funzione dare attuazione alla strutturazione delle 
  politiche neo-corporative, approvata con il Patto nel dicembre del 1998, e cioè 
  alla istituzione di una consultazione continua tra esecutivo e parti sociali, 
  e di occuparsi dell'adeguamento della legislazione italiana alle direttive europee, 
  di semplificazione e delegificazione, di rivedere le norme sul contratto di 
  formazione e di potenziare l'apprendistato, perciò tende a svolgere una 
  funzione di pressione sul Parlamento, per velocizzare l'attuazione del Patto, 
  e sostiene l'esecutivo nell'esercizio delle deleghe su ammortizzatori sociali, 
  incentivi e collocamento. Un compito nient'affatto semplice date le contraddizioni 
  sociali che la crisi, e in particolare il ciclo recessivo, generano, perciò 
  l'incarico sanziona, in un ruolo complessivo, la funzione politico-operativa 
  svolta da Massimo D'Antona sulle principali contraddizioni su cui l'avanzamento 
  e capillarizzazione dell'assetto neo-corporativo va ad impattare, e cioè 
  regole della contrattazione, della rappresentanza e dello sciopero, tutti piani 
  inclinati su cui può scivolare la prevenzione del conflitto che a sua 
  volta è linea di affrontamento dello scontro ai fini di garantire la 
  governabilità; e perciò aspetti di riferimento per condurre l'opera 
  di revisione legislativa. E' infatti al Ministero della Funzione Pubblica, con 
  Bassanini, nell'Esecutivo Prodi, che Massimo D'Antona elabora la normativa sulla 
  rappresentanza sindacale dei lavoratori per il pubblico impiego, modello di 
  riferimento, nelle sue linee generali, anche per la legge sulla rappresentanza 
  nel privato, e sperimentato nella sua capacità di garantire, la predominanza 
  del sindacato confederale. Mentre è con l'Esecutivo D'Alema che lavora 
  alla modifica della legge 146 sulla regolamentazione del diritto di sciopero 
  in quei settori strategici che vengono definiti "servizi pubblici essenziali", 
  in direzione dell'inasprimento ed estensione delle misure sanzionatorie, passaggio 
  a cui si intende pervenire avendo attestato su basi più solide, almeno 
  nel settore pubblico, la legittimazione della linea sindacale che accetta di 
  subordinare il diritto di sciopero agli interessi del capitale, mascherati da 
  diritti fondamentali di cui sarebbe portatrice la "categoria degli utenti".
  Una legge con la quale si intende affiancare il processo di privatizzazione 
  e liberalizzazione in corso, di settori, soprattutto come quello dei trasporti, 
  e più in generale di quelli che abbiano una funzione infrastrutturale. 
  Processo di privatizzazione e liberalizzazione che, oltre ad esercitare la funzione 
  di abbattere i costi nel trasporto delle merci, può svolgere un ruolo 
  importante nelle politiche U.E. di sostegno alla concorrenza del capitale monopolistico 
  europeo, sia in generale per il ruolo del trasporto delle merci nell'attuale 
  sistema di produzione incentrato sulla segmentazione e delocalizzazione del 
  ciclo, e nelle attuali dimensioni dei mercati, sia, in specifico, per la funzione 
  di traino che i settori infrastrutturali possono svolgere nell'investimento 
  di capitali. La nuova legge dovrebbe servire a superare quei limiti dimostrati 
  dalla 146, soprattutto nell'effettiva comminazione delle sanzioni, affinchè 
  funzioni da fattore di contenimento e prevenzione del conflitto in settori in 
  cui, avendo i lavoratori una forza contrattuale potenziale superiore, costituiscono 
  poli di attrazione oggettivamente rischiosi per la governabilità. Nello 
  scontro politico generale entro cui, secondo le intenzioni della borghesia e 
  del suo Stato si dovrà pervenire a ridimensionare, in modo drastico, 
  lo sciopero in quanto diritto, l'aggressione Nato alla Jugoslavia ha costituito, 
  per il sindacato confederale, Cgil in testa, l'occasione per cercare di sfruttare 
  le contraddizioni, presenti in seno alla classe in questa fase, tramite l'invito 
  rivolto ai settori che avevano annunciato azioni di lotta a rinunciare a realizzarle, 
  e la promozione di attivazioni solidaridastiche e di pronunciamenti, per capitalizzare 
  sia un atto di lealismo nei confronti dello Stato in guerra che la subordinazione 
  degli interessi del proletariato a supposti superiori interessi "dell'umanità", 
  più concretamente della borghesia imperialista e concorrenziale che trae 
  vantaggio sia dall'assoggettamento della Jugoslavia che dalla subordinazione 
  del proletariato nazionale. Con ciò ha cercato di realizzare il duplice 
  obiettivo di affermare la subordinabilità della lotta ad altre istanze 
  e di incanalare la posizione dei lavoratori, ad esprimere un consenso all'intervento 
  dello Stato. La linea seguita dalla Cgil, nell'aggressione Nato alla Jugoslavia, 
  è stata quella di fare assumere con gesti concreti una posizione ai lavoratori 
  italiani, nella polarizzazione del conflitto tra Jugoslavia e secessionismo 
  kosovaro-imperialismo Nato, per sfruttare ogni minima possibilità di 
  attiva legittimazione dell'intervento bellico, che viene qualificato dal suo 
  segretario Cofferati, come una "necessità contingente", in 
  una posizione più generale che preme il governo italiano e che, rivendicando 
  una funzione attiva dell'Europa nell'area balcanica, chiede che l'Europa stessa 
  si attrezzi politicamente, istituzionalmente e militarmente a svolgerla congiuntamente 
  agli Usa. Posizione che se ha dato bene il polso di quanto il sindacato si attesti 
  in una posizione di prima linea antiproletaria anche su questo piano, non ha 
  trovato spazio nella classe, la cui situazione difensiva non è equivocabile 
  con una disponibilità a farsi strumento della propria oppressione.
  L'adozione di una normativa che ridimensioni il diritto di sciopero, è 
  strettamente connessa alla definizione in via di legge delle regole della rappresentanza 
  sindacale nei luoghi di lavoro, affinchè le sanzioni siano applicabili 
  come strumento reale di prevenzione del conflitto e non finiscano per renderla 
  debole, come sarebbe possibile se la condivisione politica di questo passaggio 
  da parte del complesso dei lavoratori o la criminalizzazione delle azioni di 
  lotta operate dall'interno stesso della classe e quindi come sua propria contraddizione, 
  apparisse debole e incerta, a causa della inattendibilità degli strumenti 
  formali di verifica dell'entità di una forza sociale quella del sindacato 
  confederale, che non si manifesta esercitandosi in azioni di lotta, e che deve 
  sostenere questo ruolo imprescindibile di quinta colonna dello Stato e della 
  borghesia nei luoghi di lavoro.
  La definizione del quadro delle norme sulla "rappresentanza sindacale dei 
  lavoratori", con le necessarie modifiche al testo in discussione in parlamento, 
  è a sua volta anche la base su cui quest'Esecutivo intende sciogliere 
  il nodo della struttura della contrattazione, affinchè la contrattazione 
  aziendale o locale, possa assumere il peso che gli si vuole dare in modo che 
  il salario, e le condizioni di impiego della forza-lavoro, nel quadro delle 
  compatibilità macroeconomiche, siano strettamente legati agli obiettivi 
  e alle sorti del capitale (qualità, produttività, redditività). 
  Nodo che va sciolto in modo tale che sia certa la complementarietà tra 
  il merito della contrattazione centrale e quello della contrattazione aziendale, 
  tra il ruolo della rappresentanza associativa (e storicamente in massima parte 
  confederale) e quello della rappresentanza nei luoghi di lavoro, nell'intreccio 
  e subordinazione del secondo al primo, affinchè siano rese solide le 
  basi di un sistema di relazioni industriali fondato sulla dipendenza della variabile 
  forza-lavoro al capitale come principio, e sulla politica neo-corporativa come 
  quadro generale del governo delle contraddizioni sociali e di classe. Nodi questi 
  che Massimo D'Antona ha affrontato con l'organicità politica che sintetizza 
  il legame tra la maggioranza politica e sindacato confederale, che gli ha fatto 
  svolgere un ruolo di perno nell'equilibrio politico dominante e gli ha valso 
  un incarico decisivo. Nella sfera delle responsabilità del soggetto, 
  per il ruolo che il Ministero del Lavoro è approdato a svolgere e intende 
  svolgere nella ristrutturazione e riforma economico-sociale, si collocano anche 
  materie come la flessibilizzazione e l'incentivazione del part-time, come strumento 
  per spalmare la precarizzazione del lavoro, per superare lo strumento del prepensionamento, 
  e affrontare il nodo delle pensioni d'anzianità. L'attacco alle conquiste 
  storiche della classe, come presupposto di una subordinazione strutturale della 
  forza-lavoro al capitale, viene cinicamente giustificato, con ragioni di equità 
  e tutela sociale, per quelle componenti di salariati arrivate di recente sul 
  mercato del lavoro e più precarie. La spinta alla trasformazione del 
  vecchio quadro normativo, quadro a cui queste componenti sono parzialmente sottratte 
  attraverso l'impiego di forme contrattuali e giuridiche specifiche, è 
  stata canalizzata e focalizzata, nell'operato di Massimo D'Antona, verso una 
  politica neocorporativa caratterizzata dalla costruzione di metodo e obiettivi 
  comuni tra esecutivo e parti sociali, così che, nelle scelte e nelle 
  decisioni concrete, l'Esecutivo sia vincolato, in modo formalmente legittimo, 
  dalle istanze provenienti dagli interessi antagonisti, in un contesto in cui, 
  le finalità sociali, in riferimento alle quali metodo e obiettivi si 
  definiscono, è ovvio, sono date e immutabili, e coincidono strutturalmente 
  con le finalità della frazione dominante della Borghesia Imperialista. 
  In questo senso Massimo D'Antona ha rappresentato una figura organica dell'Esecutivo 
  D'Alema, che ha assunto "la concertazione come metodo di governo" 
  come aspetto sostanziale del suo programma. D'Alema e il gruppo della Quercia 
  che ha incarichi nell'Esecutivo, infatti, intendono far pesare l'iniziativa 
  politico-legislativa del governo, ben all'interno delle dinamiche parlamentari 
  come termine di risoluzione, specificamente, delle contraddizioni interne alla 
  maggioranza e in particolare ai Ds, e in generale delle resistenze della rappresentanza 
  parlamentare al cambiamento, dovute alla sua impossibilità di pervenire 
  a mediazioni politiche sufficienti e organiche, all'interno del quadro di compatibilità 
  economico-politiche dettate dalla centralità degli interessi della b.i. 
  e dai suoi obiettivi di fase. Questo ulteriore ruolo politico-legislativo, l'Esecutivo 
  lo svolge adducendo la legittimità delle parti sociali a pesare, nelle 
  trasformazioni politico-giuridiche, in virtù delle materie in oggetto 
  sulle quali si riconoscono loro facoltà autonome. Questa "autonomia", 
  che per quanto riguarda il sindacato confederale è fondata sul peso politico 
  storico del movimento operaio e derivata da questo, diventa la giustificazione 
  dell'accentuato intervento legislativo dell'Esecutivo, su temi che non concernono 
  semplicemente il piano capitale-lavoro, ma il modo di concepire il ruolo del 
  "lavoro" nella società e nelle sue finalità, e che perciò 
  necessitano di formalizzazioni giuridiche di livello legislativo, e anche costituzionale, 
  che investono il Parlamento e perciò il ruolo della rappresentanza politica.
  D'altra parte, nella sede politica, la contraddittorietà tra, i contenuti 
  costituzionali che riflettono il peso che ha avuto in essi l'interesse politico 
  autonomo del proletariato e il peso politico decisivo che tuttora ha la classe 
  e, il riferirsi, della dinamica politica, agli attuali rapporti di forza generali 
  tra proletariato e borghesia, si manifesta nella difficoltà a superare 
  il quadro normativo che è ancora significativamente condizionato dal 
  peso politico della classe, e che ostacola l'attuazione dei nuovi indirizzi 
  che devono operare aggirando i vincoli costituzionali e perciò vengono 
  frenati dalle contraddizioni generate dalla debolezza di questa pratica, in 
  termini di disorganicità o inconcludenza dell'iniziativa legislativa 
  parlamentare, che l'Esecutivo si incarica di forzare. La tradizionale impostazione 
  dell'azione politica dei partiti che, in un contesto di impiego della spesa 
  pubblica per stimolare la produzione, poteva essere tesa a una gestione delle 
  risorse statali, in funzione del consolidamento del consenso politico-elettorale, 
  si è dovuta riadeguare alle istanze della borghesia imperialista a fronte 
  delle odierne contraddizioni della crisi del capitale. Ora, l'azione politica 
  dei partiti, sostiene la funzione economica dello Stato perseguendo linee di 
  attivo di bilancio, di contenimento dell'inflazione, di contrazione dei costi 
  diretti e indiretti di produzione, di definizione di meccanismi che stimolino 
  la competizione interna, come condizioni irrinunciabili affinchè il capitale 
  a base nazionale conservi quote di mercato e la formazione economico-sociale 
  non arretri nella scala gerarchica della catena imperialista. Le scelte politiche 
  assumono un carattere più spiccatamente antiproletario, sia perchè 
  per sostenere la funzione economica dello Stato in questo contesto, il presupposto 
  diventa il dispiegamento di un'offensiva complessiva alle posizioni e condizioni 
  della classe, sia perchè si riduce strutturalmente la mediabilità 
  degli interessi. Il carattere di queste scelte è stato sostenuto con 
  l'adozione di un sistema elettorale sostanzialmente maggioritario, che corrispondesse 
  alla oggettiva riduzione del complesso degli interessi rappresentabili e mediabili. 
  Questi fattori nel loro insieme rendono tendenzialmente più fragile il 
  dominio politico-economico della borghesia. Se da una parte, quindi, la risposta 
  è quella di incrementare le misure repressive generali, rafforzare organici 
  e strumentazioni degli apparati di polizia (vedi pacchetto anticriminalità 
  Diliberto-Jervolino), inasprire le sanzioni anti-sciopero, estendere le campagne 
  di criminalizzazione e la pratica dell'incriminazione delle lotte di settori 
  che non accettano la subordinazione agli interessi della B.I. ma anche alternativamente 
  quella di assorbire e svilire l'opposizione di settori di proletariato, dall'altra, 
  l'istanza di una più forte legittimazione dell'azione statuale viene 
  soddisfatta affiancando al canale di legittimazione istituzionale, politico-rappresentativo, 
  quello negoziale con le parti sociali, che tende a controbilanciare gli effetti 
  negativi, in termini di governabilità, dell'esecutivizzazione implicata 
  a livello di ri-disposizione dei ruoli delle istituzioni nell'ordinamento politico-istituzionale 
  materiale, dagli odierni indirizzi politico-economici rispondenti alle istanze 
  della classe dominante. Una manovra che, però, ha il limite della sovraesposizione 
  politica del sindacato confederale e di acuire la crisi di legittimazione reale 
  che lo investe. L'assestamento in senso neo-corporativo della dinamica politica 
  e sociale è il progetto politico che tiene coeso l'equilibrio politico 
  dominante, equilibrio che a sua volta è la risultante del processo di 
  trasformazione e selezione delle forze dell'arco costituzionale nel rapporto 
  organico con il sindacato confederale, che hanno investito il capitalismo negli 
  anni '80 e '90, per candidarsi a rappresentare gli interessi della borghesia 
  imperialista nel nuovo corso, basandosi proprio sulla capacità di effettuare 
  la trasformazione funzionale, e nel contempo, garantire la coesione e il consenso 
  sociale necessario a governare, pur senza poter adottare i tradizionali strumenti 
  della spesa pubblica.
Questo equilibrio si puntella sul ruolo della negoziazione 
  neocorporativa, che a propria volta ha come principi fondanti la negazione degli 
  interessi generali del proletariato e la composizione forzata di interessi sociali 
  particolari e transitori intorno agli interessi generali della frazione dominante 
  di B.I., ed è indirizzata a completare il processo di riforma e ristrutturazione 
  economica e sociale per sostenere il ruolo del capitale monopolistico nella 
  competizione e nel quadro dell'integrazione europea, e a strutturarsi come modalità 
  di governo delle contraddizioni di classe, sostanziando lo Stato imperialista 
  neo corporativo, che vuole ingabbiare le contraddizioni sociali in modo funzionale 
  anche alla sua assunzione di ruolo nelle politiche centrali dell'imperialismo. 
  Così la composizione neo-corporativa delle contraddizioni sociali, mentre 
  è modalità di affrontamento delle contraddizioni sviluppate dalla 
  crisi del capitale nell'ambito nazionale, è anche condizione politica 
  interna per affrontare il manifestarsi delle stesse sul piano internazionale, 
  condizione del sostegno alla borghesia imperialista che lo Stato può 
  espletare nelle sue funzioni di dominio non solo all'interno, ma anche rivolto 
  all'esterno, a spezzare le resistenze opposte alla penetrazione imperialista 
  e alla sua oppressione.
  Dentro questo quadro generale si colloca l'intervento dell'Esecutivo e delle 
  parti sociali rivolto, come linea di fondo, alla ulteriore flessibilizzazione 
  e abbassamento del costo del lavoro, nel sostenere il rapporto concorrenziale 
  con altre aree economiche, incrementato dall'Uern e dalla crisi capitalistica. 
  Una linea che cerca di coniugare corrispondenza alle istanze di competizione 
  del capitale e risposta alla crisi occupazionale, ma nel concreto prevede una 
  condizione di lavoro privata di garanzie fondamentali, selettiva su basi meritocratiche 
  o produttivistiche e di controllo sociale, e mediamente impoverita come condizione 
  salariale e di sussistenza in genere. La delega ottenuta dal Parlamento, per 
  la riforma degli ammortizzatori sociali e il riordino degli incentivi, assieme 
  alla delega sul collocamento, e a quella sulla sanità, e alla più 
  complessiva politica fiscale, (ben 7 sono le deleghe, nel collegato ordinamentale 
  all'ultima finanziaria su investimenti e occupazione), sono gli strumenti per 
  un'opera organica di redistribuzione del reddito a favore del capitale e di 
  riorganizzazione della società in funzione della competizione capitalistica 
  e del profitto. Le "politiche attive del lavoro" sono un aggiornamento 
  degli aiuti statali alle imprese, nel quadro dell'integrazione europea e della 
  liberalizzazione dei mercati e del movimento dei capitali, che impongono allo 
  Stato di svolgere la sua funzione di sostegno economico al capitale, stimolando 
  non più i consumi, ma sostenendo e stimolando l'accumulazione capitalistica, 
  in modo selettivo. La finalità ideologica è quella dell'occupazione, 
  drasticamente contrattasi a partire dal programma di Maastricht, su cui può 
  essere convogliato il consenso sociale. La concessione di tagli a oneri sociali 
  e altri costi del capitale, viene compensata con tagli e rifunzionalizzazione 
  della spesa sociale, in modo tale che le erogazioni siano, in parte circoscritte 
  ad assistere situazioni socialmente marginali e particolarmente svantaggiate, 
  quindi più universali, ma selettive, e in generale fungano soprattutto 
  da stimolo alla flessibilità interna ed esterna della forza-lavoro incrementando 
  la competizione tra proletari. La riforma amministrativa e quella fiscale, nel 
  quadro più generale di una riforma in senso federale a livello costituzionale, 
  sono tasselli di un mosaico di condizioni che è in corso di costruzione 
  e di completamento, nel quale gli obiettivi di fondo di questo progetto possano 
  trovare realizzazione, e di questo fa parte anche la riallocazione a livello 
  locale e regionale della gran parte del sistema degli incentivi. Il complesso 
  di questi passaggi dovrebbe costituire un processo di frammentazione degli interessi 
  particolari e immediati della classe per poterli convogliare a una composizione 
  subordinata, in primo luogo e in generale, agli interessi della B.I., e anche 
  a quelli delle componenti di capitale concorrenziale e di borghesia locali, 
  situazione per situazione. Dopo la riforma pensionistica di Dini che, rovesciando 
  il criterio delle pensioni da retributivo a contributivo, introducendo il sistema 
  a capitalizzazione e aprendo la strada alla previdenza integrativa privata, 
  prospetta un futuro di povertà ai pensionati dei prossimi decenni, il 
  processo di riforma e ristrutturazione economica e sociale, dovrebbe, oltre 
  che velocizzare le scadenze della riforma pensionistica stessa, cancellare istituti 
  come la Cigs e i prepensionamenti che, assieme alle pensioni di invalidità, 
  criminalizzate ad arte negli ultimi anni, costituivano le misure di un welfare 
  state povero che aveva essenzialmente consentito di governare gli effetti delle 
  crisi e delle ristrutturazioni degli anni '80. In un contesto in cui la disoccupazione 
  non è solo un effetto di crisi cicliche, ma è un dato strutturale 
  non governabile con questi strumenti tradizionali, nelle contraddizioni sociali 
  che genera e, dal momento che rapporti di forza favorevoli alla borghesia fanno 
  reputare di poter eliminare questi costi sociali, la linea che nasce dal progetto 
  centrale della B.I. prevede la loro sostituzione con un istituto come quello 
  del "reddito minimo di inserimento" che consenta di perseguire l'obiettivo 
  specifico di ridurre la spesa sociale, pur a fronte di incrementate esigenze 
  sociali, e quello generale di favorire la competizione tra proletari. La natura 
  e i caratteri di questo istituto in via di definizione, per la limitatezza, 
  transitorietà e proporzionalità dell'erogazione, sono tali da 
  farne una leva per la svendita della forza-lavoro che, affiancata alle misure 
  per la "flessibilità in uscita" cioè per la liberalizzazione 
  dei licenziamenti, svilupperà competizione tra occupati e disoccupati. 
  L' "incentivo" a competere è dato dal rischio di perdita di 
  questo reddito minimale e dello status stesso di disoccupazione che, con la 
  riforma in atto del collocamento, si cerca di collegare alla ricerca attiva 
  di lavoro, alla partecipazione a corsi di formazione, all'accettazione del lavoro 
  che c'è, alle condizioni imposte. L'affermazione, attraverso una riforma 
  organica degli ammortizzatori sociali, della logica "premiale" dell'erogazione 
  di un reddito minimo, come corrispettivo dell'attribuzione all'iniziativa e 
  responsabilità del disoccupato, della ricerca del lavoro e dell'ottenimento 
  di un reddito, che consente di svincolare lo Stato da qualsiasi altro dovere 
  sociale, è passaggio necessario da affiancare all'affrontamento del nodo 
  della "flessibilità in uscita" ossia della libertà dei 
  padroni di licenziare. Lo scardinamento dei vincoli alla discrezionalità 
  del capitale nella disponibilità della forza lavoro (vincoli che ora 
  ruotano sul principio dell'ammissibilità del licenziamento per giusta 
  causa, da cui nascono significativi diritti di risarcimento e reintegrazione) 
  e che erano stati formalmente addirittura estesi nel 1990, con la legge 108, 
  alle piccole imprese, diventa urgente ora che i contratti di formazione-lavoro 
  sono stati sanzionati dall'Ue come una forma di sostegno mascherato alle imprese 
  e quindi di concorrenza sleale, e perciò vengono a diminuire i margini 
  per aggirare questi vincoli con i contratti a tempo determinato. Altre misure, 
  quali la formazione obbligatoria fino ai 18 anni (che assieme alla ridefinizione 
  dello status di disoccupazione, otterrà il risultato, sul piano statistico, 
  non certo sostanziale, di diminuirne il tasso percentuale), la generalizzazione 
  della figura dell'apprendistato al di fuori dell'ambito artigianale nel quale 
  aveva una qualche motivazione funzionale, con lo scopo di istituire, senza chiamarlo 
  con il suo nome, il salario d'ingresso (che viene a sancire, come istituto di 
  valenza generale, la pratica diffusissima negli ultimi anni di prevedere a livello 
  di contratti aziendali questa forma di salario), sono tutti tasselli che raccolgono-sistematizzano-rilanciano 
  trasformazioni avvenute a macchia di leopardo o tendenzialmente, nei rapporti 
  capitale-lavoro e sfruttano il vantaggio di forza ottenuto dallo Stato, e dalla 
  borghesia in generale, nei confronti della classe, in un quadro organico di 
  riforma e ristrutturazione economico-sociale che ha inciso in modo acuto nel 
  corpo della classe in termini di condizioni di vita e contraddizioni e in cui 
  gioca un ruolo centrale la forma entro cui questo processo si è sviluppata, 
  cioè la negoziazione neo-corporativa, e in essa il ruolo dei sindacati 
  confederali. Questo governo non rinuncia nemmeno a tentare di gestire in modo 
  offensivo queste contraddizioni, coniando uno slogan "meno ai padri, più 
  ai figli" che, nel tentativo di sintetizzare una supposta contraddizione 
  sociale centrale, cerca di intercettare e mobilitare un altrettanto supposto 
  consenso di fasce giovanili, per contrapporlo alle resistenze della massa dei 
  lavoratori ad accettare il ridimensionamento e la rifunzionalizzazione in senso 
  antiproletario di quel poco di sicurezza sociale che c'è stata in Italia. 
  Lo scambio che la "concertazione" e la maggioranza politico-sindacale 
  offrono al proletariato è quello tra sicurezza sociale e "sicurezza 
  pubblica" cioè in realtà, la difesa della proprietà 
  privata. Un passaggio come quello del "pacchetto anticriminalità", 
  ha seguito infatti, in modo puntuale la firma natalizia del Patto, preceduto 
  dalla campagna di "allarme criminalità" con cui il governo 
  ha iniziato il nuovo anno e, assieme alla criminalizzazione e incriminazione 
  delle lotte che non accettano la subordinazione ai nuovi rapporti di forza favorevoli 
  alla borghesia in generale e alla sua frazione imperialista in particolare, 
  sono l'arco più vasto di risposte, di indirizzo riformatore, che questo 
  equilibrio politico, intende dare al proletariato e alle contraddizioni che 
  la crisi del capitale rovescia sulle sue condizioni di vita. Risposte, sostanzialmente 
  inscritte in una strategia difensiva nei confronti della crisi del capitale, 
  e di attacco al proletariato, che questo equilibrio politico intende dare alle 
  contraddizioni generate dall'approfondimento della crisi-sviluppo dell'imperialismo 
  e dalle politiche con cui sono state affrontate, in funzione degli interessi 
  della frazione dominante di B.I. Un approfondimento che è il portato 
  dell'internazionalizzazione dell'economia reale e finanziaria, tendenza a sua 
  volta accentuatasi con la modificazione degli equilibri internazionali prodottisi 
  con il crollo degli Stati aderenti al patto di Varsavia alla fine degli anni 
  '80, e che ha costituito la risposta complessiva di "sviluppo" alla 
  crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale e alla tendenziale caduta del 
  saggio di profitto, che ha indotto l'incremento della concorrenza, della lotta 
  per contendersi margini di profitto e spazi di mercato, e ha spinto alla concentrazione 
  e centralizzazione che si è combinato con l'allocazione su scala internazionale 
  di segmenti del ciclo produttivo, laddove questo richiedesse elevato impiego 
  di manodopera e fosse possibile ottenere forza-lavoro a costi ridotti. I processi 
  di concentrazione e centralizzazione di capitale hanno accentuato la finanziarizzazione 
  dei capitali, tipica dello stadio imperialistico del capitalismo, così 
  che questa ha assunto una dimensione e mobilità tali da costituire un 
  fattore costante di potenziale destabilizzazione, aggravato dall'approfondimento 
  del legame di interdipendenza che caratterizza il rapporto tra capitali e quello 
  tra formazioni economico-sociali. Questa dinamica di crisi/sviluppo dell'imperialismo, 
  è alla base dell'aumentato peso della borghesia imperialista che porta 
  a far assumere agli Stati, e alla soggettività politica della borghesia, 
  il ruolo dominante della centralità dei suoi interessi. L'interesse comune 
  delle varie componenti nazionali di borghesia imperialista si coagula e trova 
  realizzazione nell'affermazione di politiche di liberalizzazione, nella ristrutturazione 
  delle diverse formazioni economico-sociali, funzionali a sostenere questo livello 
  di concorrenza monopolistica e il mantenimento dei necessari livelli di governabilità 
  delle conseguenti contraddizioni di classe, e nella definizione di politiche 
  e organismi politico-militari atti a sostenere la penetrazione economica, l'aggressione 
  e l'oppressione politico-militare nei confronti di paesi politicamente autonomi 
  dagli Stati dominanti della catena imperialista, in relazione all'attuale ridefinizione 
  degli equilibri internazionali.
  Il carattere non espansivo del capitalismo, in questa fase storica, rende immediatamente 
  tangibile che, se l'affermazione di queste controtendenze consente di contenere 
  gli effetti della crisi, in realtà ciò si traduce in un approfondimento 
  delle contraddizioni. Nei paesi del centro, la borghesia imperialista ha premuto 
  o preme sui rispettivi Stati nazionali per la rifunzionalizzazione di tutti 
  i fattori competitivi a partire dalla gestione della forza-lavoro e, complessivamente, 
  del ruolo dello Stato nell'economia, con i conseguenti riflessi sul piano dei 
  caratteri dell'assetto politico-istituzionale delle democrazie rappresentative 
  per corrispondere ai nuovi termini di governo dell'economia e del conflitto 
  di classe, e al ruolo che può essere svolto negli attuali equilibri internazionali. 
  Su questi aspetti, la borghesia imperialista, tramite la soggettività 
  politico-istituzionale, media con le altre componenti della borghesia. La pressione 
  della borghesia imperialista sugli Stati si riflette nell'assunzione di ruolo, 
  degli Stati stessi, nelle politiche centrali dell'imperialismo. Attraverso questo 
  ruolo, corrispondente sia al peso assunto dalla competizione a livello internazionale 
  che alla funzione politico-militare e diplomatica degli Stati, le varie componenti 
  di B.I. ricercano condizioni politiche di vantaggio competitivo sul piano economico. 
  Un ruolo che colloca l'autonomia e l'interventismo degli Stati, dentro il quadro 
  integrato e interdipendente delle aree economiche (ruotanti intorno ai poli 
  statunitense, europeo e giapponese), e nei rapporti di forza storici tra i paesi 
  della catena imperialista, in dialettica con la funzione e l'azione di organismi 
  interstatali (Ue, Nato, Fmi...). Queste condizioni costituiscono fattori di 
  acutizzazione dello scontro di classe, ulteriormente accentuato dal carattere 
  non espansivo dello sviluppo capitalistico, che produce conseguenze macroscopiche 
  visibili negli elevatissimi livelli di disoccupazione e nell'incapacità 
  del reddito da lavoro salariato di garantire la stabilità dei livelli 
  di sussistenza, con una tendenza di fondo all'impoverimento. Per altro verso, 
  le politiche centrali dell'imperialismo, per assestare le condizioni politiche 
  ed economico-sociali rivolte ad approfondire la qualità della penetrazione 
  economica degli interessi della borghesia imperialista nei paesi dipendenti, 
  e in particolare nei paesi ex-socialisti, hanno costituito e costituiscono fattore 
  di destabilizzazione di queste aree, e definiscono il quadro politico in cui 
  si colloca l'avanzamento della tendenza alla guerra come portato delle contraddizioni 
  intrinseche dell'imperialismo. Contraddizioni che vengono affrontate collocandone 
  progressivamente la soluzione sul piano dell'accentuato intervento politico-militare, 
  rivolto alla stabilizzazione del dominio imperialista. Nell'area regionale europea, 
  la borghesia imperialista ha perseguito linee di integrazione e coesione economica, 
  politica e militare, al fine di rafforzare la capacità di dare risposte 
  comuni alle contraddizioni generate dalla crisi. L'ostacolo alla liberalizzazione 
  dei mercati e alla dimensione internazionale della concorrenza tra monopoli 
  costituito dalla frammentazione politica di una regione del centro imperialista, 
  quale quella europea che è storicamente investita da tutti gli assi di 
  contraddizione, quello proletariato/borghesia, nord/sud ed est/ovest, è 
  stato affrontato dalla frazione dominante della borghesia imperialista con passaggi 
  politici e indirizzi che rispondessero sia all'istanza di unificazione e integrazione 
  dell'Europa in quanto mercato delle merci, dei capitali e della forza lavoro, 
  sia a quella di una superiore attivizzazione sul piano delle politiche economiche, 
  e sul piano politico e militare, degli Stati europei stessi che, isolatamente 
  presi, sono privi della dimensione e capacità per svolgere un ruolo che 
  affianchi gli Usa (e il Giappone) nell'affrontare le misure sempre più 
  critiche richieste per il mantenimento del dominio imperialista. Un progetto 
  che si è definito intorno al connotato di relazioni intestatari e non 
  sovrastatali, e che esprime, nei rispettivi ambiti nazionali, lo strumento di 
  pressione politica rappresentativa degli interessi comuni della frazione dominante 
  della borghesia imperialista, e in particolare, del ruolo del capitale finanziario 
  che, nell'imperialismo, tende a sussumere il capitale industriale. D'altra parte, 
  tale progetto, ha risposto anche alle specifiche esigenze del capitale monopolistico 
  a base europea, in quanto condizione per poter esercitare il proprio ruolo nella 
  concorrenza internazionale, come richiedevano le nuove dimensioni dell'accumulazione 
  capitalistica raggiunte nella crisi subentrata all'espansione della ricostruzione 
  post-bellica e alle politiche liberiste avviate dal polo dominante statunitense. 
  Nell'affermazione del processo di coesione europea una funzione centrale di 
  spinta è stata svolta dalla Germania, nel suo ruolo di principale potenza 
  economica europea, che si è ulteriormente accentuato con la fine degli 
  equilibri di Yalta, con l'inglobamento dell'ex-Ddr e con l'esportazione di capitali 
  nei paesi dell'est europeo e con l'influenza politica che vi esercita. Un approfondimento 
  di ruolo economico a cui si è affiancato un intensificato riadeguamento 
  della capacità di intervento militare e della legislazione che lo limitava, 
  nel quadro dell'integrazione Nato e con l'assunzione di iniziative di creazione 
  di strutture militari interforze a livello bilaterale nel quadro europeo (ad 
  es. Francia). I differenti gradi di sviluppo delle singole formazioni economico-sociali 
  appartenenti all'Ue e quelli all'interno delle stesse, con l'adozione di politiche 
  economiche comuni, e con linee di riforma economico-sociale omologhe, costituiscono 
  un fattore favorevole ai capitali monopolistici europei nella concorrenza sul 
  piano internazionale, perchè si avvantaggiano della competizione interna 
  alla Ue stessa e ai singoli paesi, che viene imposta dalle politiche macroeconomiche, 
  e incentivata dalle politiche specifiche. Al contrario questa dinamica condanna 
  all'inesorabile declino quelle aree che non presentano sufficienti vantaggi 
  competitivi e consente al capitale operante in Europa, nel suo complesso, di 
  esercitare una forza superiore nella contrattazione salariale e nel mercato 
  del lavoro. Un progetto, quello della coesione europea, che sta operando il 
  passaggio cruciale dell'adozione di una moneta unica e si sta attrezzando politicamente 
  e istituzionalmente per l'inglobamento organico dei paesi dell'est-europeo che 
  riescono a stabilizzare quelle condizioni macroeconomiche che vengono valutate 
  funzionali all'investimento di capitali (l'allargamento dell'Ue). Essa costituisce 
  un nuovo ambito di relazione del quadro politico nazionale che si aggiunge a 
  quello Atlantico di cui ne supporta il ruolo di dominio nell'area mediterraneo-mediorientale 
  e nell'est-europeo, entro cui, e in riferimento al quale, costruire le condizioni 
  politiche istituzionali e materiali che consentano ai suoi Stati di svolgere 
  sia una funzione economica più adeguata alle attuali dimensioni dell'accumulazione 
  capitalistica che un ruolo politico-militare più attivo e incisivo nelle 
  aree in cui il dominio imperialista deve essere stabilizzato, affinchè 
  la Nato nel suo complesso sia capace di affrontare anche un conflitto in più 
  teatri o generalizzato. Un ruolo che non è nè antagonista al polo 
  dominante statunitense nè asservito ad esso, ma è unitario, a 
  causa dei processi di internazionalizzazione e dei legami di interdipendenza 
  che si sono storicamente affermati tra gli Stati dominanti della catena imperialista 
  con la capillare presenza di capitali Usa in Europa e viceversa. Infatti le 
  politiche controrivoluzionarie e militari, contemplate dal progetto di Unione 
  Europea, e le politiche di allargamento ad est, trovano motivo di definizione 
  in specifici interessi degli Stati europei, in modo complementare al progetto 
  di ridefinizione del ruolo della Nato, in funzione sia del dominio imperialista 
  verso i paesi dell'Europa orientale, balcanica e dell'area del mediterraneo-mediorientale, 
  che del rafforzamento del dominio interno. E ciò perchè la dimensione 
  del capitale finanziario, la sua concentrazione e centralizzazione si è, 
  fin dal dopoguerra, sviluppata trasversalmente nei paesi dominanti della catena, 
  e in un ambito separato da quello del campo socialista, facendo prevalere sulle 
  intrinseche, ma relative, istanze concorrenziali, quelle dell'interdipendenza 
  tra i capitali monopolistici, e conseguentemente anche tra le formazioni economico-sociali, 
  e si è progressivamente accentuata man mano che, nelle crisi, le tendenze 
  e le politiche, approfondivano il grado di concentrazione e centralizzazione 
  capitalistica. L'ambito integrato europeo pesa nel favorire queste tendenze 
  del capitale e perciò anche la sua crisi di sovrapproduzione. Crisi che 
  non può mutarsi in una fase espansiva se non per un passaggio di ingente 
  distruzione di capitali e forze produttive che solo una guerra di estese proporzioni 
  può produrre, come gli esiti non-espansivi dei processi di penetrazione 
  nei paesi dell'est e delle aggressioni imperialiste, hanno ampiamente dimostrato 
  in questi anni.
  Sul piano delle relazioni politiche tra le classi, nella loro determinazione 
  storica di fase, l'aspetto principale è lo spostamento dei rapporti di 
  forza nella contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, uno spostamento dovuto 
  all'attestamento di un processo controrivoluzionario. Un processo controrivoluzionario 
  che, nei paesi del centro imperialista, e in particolare in Europa, si è 
  dispiegato a partire dall'attacco militare e politico al ruolo che, la Strategia 
  della Lotta Armata per il Comunismo, ha svolto come ridefinizione di una proposta 
  politico-organizzativa adeguata a sviluppare il processo rivoluzionario nelle 
  attuali forme di dominio dell'imperialismo. Una dinamica controrivoluzionaria 
  che, con la crisi e la caduta degli Stati a transizione socialista, ha modificato 
  le condizioni di forza che, a partire dalla Rivoluzione Sovietica, si erano 
  prodotte nella contraddizione borghesia imperialista/proletariato internazionale. 
  Sebbene questa condizione di vantaggio non sia assestata e sia impossibilitata 
  ad eliminare il dato storico-politico prospettico che, la rivoluzione del '17, 
  ha fissato nella storia del proletariato e dell'umanità, gli assetti 
  internazionali ne sono stati mutati profondamente, e alla situazione di sostanziale 
  equilibrio strategico tra gli Stati dell'Alleanza Atlantica e quelli del campo 
  socialista, che aveva favorito i processi di autodeterminazione dei popoli dei 
  paesi dominanti, è subentrata una situazione di squilibrio politico-militare 
  a vantaggio della Nato, che ha visto sia l'intensificarsi dell'impiego della 
  sua forza militare che dell'iniziativa politica per la legittimazione degli 
  interventi, con la formulazione di principi di diritto che sanzionassero il 
  nuovo quadro dei rapporti di forza internazionali, come quello dell'"ingerenza 
  umanitaria" su cui l'Alleanza imperialista cerca di basare la giustificazione 
  di un ruolo di gendarme e stabilizzare il retroterra politico sulla base del 
  quale poter aggredire qualsiasi popolo, o come quello che riconosce la facoltà, 
  ai tribunali degli Stati della catena, di processare qualunque combattente antimperialista 
  a cui gli Stati imperialisti abbiano attribuito l'etichetta di criminale di 
  guerra; fattori con cui si vuole ratificare lo stato dei rapporti di forza internazionali 
  in un ruolo di dominio legittimato. Un quadro che, gli eventi bellici che si 
  sono succeduti in questo decennio, si incaricano sia di dimostrare quanto esso 
  sia la base sulla quale la tendenza alla guerra indotta dalla crisi di sovrapproduzione 
  di capitale, si possa trasformare in processo reale, sia che la direttrice di 
  questo processo, non è altro che la storica direttrice est-ovest, stante 
  il grado di interdipendenza maturato tra gli Stati della catena imperialista, 
  cementato dal comune attuale interesse di imporre il proprio dominio ovunque 
  questo non si sia assestato o non sia realizzabile nè per via economica, 
  nè con limitate offensive militari.
  In Italia, il processo controrivoluzionario, avviato dai primi anni '80, ha 
  inciso in profondità, assumendo prioritariamente il piano dell'attacco 
  alle forze rivoluzionarie e in particolare al ruolo delle Brigate Rosse e della 
  loro proposta strategica, in quanto elemento caratterizzante lo sviluppo dell'autonomia 
  di classe in Italia. Un processo che ha operato collegando il rapporto di scontro 
  militare ad una strategia politica complessiva rispetto allo scontro di classe, 
  tesa a separare il piano della lotta di classe dal piano rivoluzionario, e a 
  sfruttare le contraddizioni interne al Movimento Rivoluzionario e alle stesse 
  B.R., espressione delle tendenze critiche da sempre presenti nel movimento operaio 
  e proletario ed espressione soggettiva del carattere contraddittorio del ruolo 
  della classe nei rapporti socialisti capitalistici. Tendenze al soggettivismo, 
  all'economicismo, all'idealismo che si sono espresse oppositivamente al passaggio 
  politico-organizzativo allora in corso, cioè il passaggio di costruzione 
  del Partito Comunista Combattente. Contraddizioni aggravate dalle difficoltà 
  di distinguere i caratteri della proposta politica delle B.R., influenzati dall'essere 
  nata in un ciclo di lotte fortemente offensivo, dagli elementi strategici che 
  qualificavano tale proposta politica come avanzamento della strategia della 
  rivoluzione proletaria nell'adeguamento alle forme di dominio e ai caratteri 
  economico-sociali dell'imperialismo, in questa fase storica.
  Il ricentramento dei termini dell'impianto politico-strategico, operato dalle 
  Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente, nel rapporto 
  con lo scontro, secondo la dinamica prassi/teoria/prassi, pur costituendo, per 
  parte rivoluzionaria, termine di approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, 
  si è confrontato con le contraddizioni storiche che presiedono alle condizioni 
  della Fase della Ricostruzione delle Forze in quella più generale di 
  Ritirata Strategica, e si è prodotta una condizione di discontinuità 
  nel percorso rivoluzionario. Il rafforzamento delle posizioni della borghesia 
  realizzato con l'affermazione di questo duplice processo controrivoluzionario, 
  sul finire degli anni '80 comincia a riversarsi sul piano complessivo delle 
  relazioni politiche tra le classi. L'articolazione della dinamica controrivoluzionaria 
  è stata infatti, il piano su cui le forze politico-istituzionali hanno 
  avviato un processo di riposizionamento intorno agli interessi della frazione 
  dominante della B.I., modificando il riflesso sulle stesse, del ruolo che lo 
  sviluppo del movimento di classe aveva prodotto sui caratteri generali dello 
  scontro politico; un riposizionamento, che ha riguardato principalmente le rappresentanze 
  istituzionali della classe. La necessità di evitare la congiunzione tra 
  piano rivoluzionario e piano della lotta di classe, aveva, infatti, contenuto 
  l'attacco alle condizioni complessive della classe; il consolidamento del processo 
  controrivoluzionario, determina le condizioni per riversare l'offensiva su tutta 
  la classe, in quanto i passaggi per sostenere il governo dell'economia, nei 
  caratteri storici attuali dell'accumulazione capitalistica, potevano avvenire 
  in un quadro ipotetico di governabilità del conflitto di classe.
  In quegli anni le linee di politica economica, che avevano accompagnato la risposta 
  dello Stato all'offensiva di classe e rivoluzionaria, dovendo sostenere l'accumulazione 
  capitalistica e sufficienti margini di governo del conflitto, raggiungono un 
  punto critico di fronte alla ridefinizione degli interessi della frazione dominante 
  della B.I., in relazione ai nuovi termini di concorrenza intermonopolistica 
  e in relazione alle contraddizioni aperte dall'approfondirsi della crisi, aggravate 
  dalle condizioni di debolezza dell'Italia collegate al posto da essa occupato 
  nella divisione internazionale del lavoro. La leva del debito pubblico, come 
  sostegno alla domanda interna e alla produzione, e come fattore su cui costruire 
  equilibri sociali intorno agli interessi della B.I., ha teso a saturarsi per 
  i livelli raggiunti e per gli effetti dell'investimento di capitali, tali da 
  incrementare il deflusso di risorse in favore dell'accumulazione finanziaria 
  ed estera, anzichè sostenere la produzione e il mercato interno.
  La differenziazione valutaria come fattore di compensazione competitiva, rispetto 
  alle economie di paesi dominanti, venne ridimensionata per l'aumento della spesa 
  per interessi comportata dalla svalutazione, per i riflessi delle politiche 
  di unificazione monetaria, e per l'interesse della frazione dominante della 
  B.I., a favorire processi di concentrazione e centralizzazione di capitale e, 
  della borghesia nel suo complesso, a ricercare la competitività del sistema 
  economico. Tutto ciò, non ha peraltro impedito di ricorrere a svalutazioni 
  che hanno portato la lira fuori dallo Sistema Monetario Europeo fino a quattro 
  anni orsono. Anche il ruolo dello Stato come capitalista reale, è stato 
  ridimensionato, a fronte delle politiche di liberalizzazione corrispondenti 
  alle spinte alla concorrenza, alla concentrazione monopolistica multinazionale 
  e al recupero di settori sottratti alla competizione internazionale.
  La frazione dominante della B.I., espressa dal capitale monopolistico italiano, 
  ha premuto sul quadro politico affinchè si facesse carico di sostenere 
  i nuovi termini di concorrenza connessi all'avanzamento del progetto di Unione 
  Economico-Monetaria-Unione Europea, e più complessivamente, di collocarsi 
  nelle politiche centrali dell'imperialismo, che si rapportavano alla modificazione 
  degli equilibri internazionali, in quanto il ruolo dello Stato sul piano internazionale 
  per sostenere gli attuali termini di concorrenza intermonopolistica, assumeva, 
  in questo contesto, un peso ancor più significativo.
  
  Questi elementi, tra cui l'approfondirsi di un ciclo recessivo, connessi all'avvenuta 
  modifica dei rapporti di forza tra rivoluzione e controrivoluzione, fanno assumere, 
  all'azione della soggettività politica della borghesia, e in particolare 
  dei diversi esecutivi che si sono succeduti, un connotato offensivo e complessivo, 
  rispetto ai rapporti con la classe, e i caratteri di un sempre maggiore attivismo 
  politico-militare nel quadro dell'Alleanza Atlantica e della Nato. La crisi 
  delle leve consolidate e strutturate attraverso cui le forze di governo avevano 
  costruito equilibri sociali e politici intorno agli interessi della frazione 
  dominante della B.I., spingendo a un riadeguamento dell'azione politica degli 
  esecutivi, si riversava anche sugli assetti istituzionali, sul ruolo del potere 
  esecutivo, legislativo, giudiziario, delle forze politiche, e sulle forme di 
  rappresentanza. Ciò, connesso agli esiti dell'offensiva controrivoluzionaria, 
  assumeva il carattere di una crisi e ridefinizione della mediazione politica; 
  cioè della sintesi del rapporto di forza e politico tra borghesia e proletariato 
  riferita sia al piano del rapporto sociale di produzione, che al piano del rapporto 
  classe/Stato, che a quello dello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione, 
  in una determinata fase storica. Sintesi dei caratteri storici, quindi, che 
  informa gli aspetti di fondo di una fase, e cioè i connotati delle strutture 
  politiche, e delle forme della soggettività politica istituzionale, e 
  a cui, le politiche stesse devono riferirsi per essere efficaci. Il sistema 
  politico-istituzionale del dopoguerra aveva esercitato il suo ruolo antirivoluzionario 
  e antiproletario, attraverso l'istituzionalizzazione e la massima rappresentatività 
  in sede parlamentare degli interessi conflittuali, per ricercare, in essa, equilibri 
  politico-istituzionali rappresentativi di equilibri politici generali, che consentissero 
  il governo dell'economia e del conflitto di classe, avvalendosi del ruolo dello 
  Stato nell'economia, per sostenere forze politiche e maggioranze di governo, 
  funzionali alla tutela degli interessi della frazione dominante della B.I..
  I nuovi termini del governo dell'economia, collegati all'approfondirsi della 
  crisi, che aveva già eroso la capacità di essere rappresentative 
  delle forze politiche storicamente al governo, inducevano la necessità 
  di ridurre la misura di rappresentatività con cui si dovevano andare 
  a comporre maggioranze di governo, e quella di accentuare il ruolo dell'esecutivo 
  rispetto al legislativo. Inoltre la modificazione degli interessi espressi dalla 
  frazione dominante della B.I., premendo per un'azione offensiva antiproletaria 
  degli esecutivi, comportava una necessità di selezione degli interessi 
  rappresentabili in sede politica decisionale.
  La ridefinizione della mediazione politica, non ha assunto la tendenza di un 
  superamento della democrazia rappresentativa, ma quella della ridefinizione 
  dei caratteri particolari che essa aveva in Italia in relazione ai caratteri 
  dello scontro di classe e rivoluzionario. Rispetto a questi elementi, si è 
  verificata l'impossibilità, per le forze politiche, di operare una ridefinizione 
  organica del sistema politico-istituzionale e dei poteri dello Stato, come progetto 
  che consentisse di traghettare il sistema politico-istituzionale, espressione 
  della fase storica precedente, nelle condizioni della fase attuale, creando 
  quegli equilibri che permettessero di governare linearmente una ristrutturazione 
  complessiva del sistema economico-sociale, ed in particolare del contenuto e 
  del ruolo dello Stato sociale. La saturazione critica delle politiche economiche 
  che avevano consentito di sostenere l'accumulazione capitalistica e il governo 
  del conflitto di classe, come politica di gestione dell'offensiva controrivoluzionaria, 
  si verifica sul finire degli anni '80 quando, l'approfondimento della crisi, 
  accentua la pressione del capitale monopolistico nazionale per l'adozione delle 
  politiche controtendenziali che, a livello internazionale, si affermavano già 
  come termine di sviluppo della crisi. Una pressione indotta anche dalla necessità 
  di sostenere i nuovi termini di concorrenza intermonopolistica che si andavano 
  definendo. Per cui, la frazione dominante della borghesia europea, ha premuto 
  sugli Stati per l'adozione di politiche economiche aperte ai processi di concentrazione 
  e centralizzazione del capitale monopolistico (è nell'87 che i responsabili 
  della politica economica dei governi europei, sanciscono l'asimmetria degli 
  accordi di cambio nello S.M.E., quindi l'impegno alla stabilità valutaria, 
  solo per le monete sottoposte a svalutazione e non per quelle che si rivalutano, 
  e assumono gli accordi di Basel-Nyborg, sulla liberalizzazione del movimento 
  dei capitali, e sull'uso della politica dei tassi di interesse come strumento 
  per la stabilizzazione dei cambi).
  Nel contempo si era avviata, con le aperture gorbacioviane, la prospettiva della 
  ri-definizione degli equilibri internazionali che si presentava come possibilità 
  di estensione della penetrazione capitalistica nei paesi del blocco socialista.
  In questo quadro, De Mita, sia come segretario della Dc, che come Presidente 
  del Consiglio, nell'assunzione della necessità di ridefinizione complessiva 
  della mediazione politica, richiesta dal dover corrispondere ai termini del 
  governo dell'economia che si prospettavano per dare risposta alle spinte della 
  borghesia imperialista e garantire la governabilità del conflitto di 
  classe, tentò di attestare un progetto, e i relativi equilibri politici, 
  che partisse dalla ridefinizione della rappresentanza politica e dell'assetto 
  istituzionale. Questo per condurre il sistema politico in una condizione adeguata 
  a sostenere lo scontro di classe, implicato dalla ridefinizione dei termini 
  di governo dell'economia, che avrebbe investito complessivamente la regolamentazione 
  dei rapporti sociali e politici tra le classi assestati nella fase precedente, 
  processo che avrebbe inciso sulla rappresentanza politico-istituzionale. La 
  concezione che sosteneva questo progetto ruotava intorno alla tesi che il processo 
  controrivoluzionario avesse prodotto una condizione di modificazione dei rapporti 
  di forza tra le classi e una ridefinizione delle forze politiche intorno agli 
  interessi della B.I. L'attacco delle Br-Pcc al progetto di riforma dello Stato, 
  attuato con l'azione contro Ruffili in dialettica con l'opposizione della classe, 
  e le contraddizioni interne al quadro politico-istituzionale legato anche ad 
  altre frazioni della borghesia, impediscono l'affermazione del progetto. Dato 
  il rapporto di guerra in cui le forze rivoluzionarie sono inserite, il vantaggio 
  politico ottenuto con la realizzazione della disarticolazione degli equilibri 
  che sottostavano al progetto di riforma dello Stato, non ha potuto trasformarsi 
  in un lineare avanzamento del processo di ricostruzione delle forze, a causa 
  delle operazioni di controguerriglia dell'88-89 a cui segue una condizione di 
  discontinuità nell'iniziativa di attacco al cuore dello Stato e nella 
  costruzione del complesso delle condizioni per l'avanzamento della guerra di 
  classe. Così pure, la rottura degli equilibri internazionali, aveva indotto 
  una condizione per la modificazione della divisione internazionale del lavoro 
  e dei mercati, e una spinta della catena imperialista a riassestare gli equilibri 
  a suo favore, e al suo interno, tra interessi comuni e contraddizioni. Il processo 
  controrivoluzionario raggiungeva l'obiettivo del crollo degli Stati socialisti 
  frutto della Rivoluzione sovietica e della resistenza all'offensiva imperialista, 
  ma anche dell'operato revisionista delle dirigenze politiche della transizione. 
  Questa evoluzione del quadro politico internazionale produceva una condizione 
  economica e politica di accelerazione delle controtendenze di sviluppo della 
  crisi, sulla direzione dell'internazionalizzazione, della concorrenza e della 
  concentrazione monopolistica, im un quadro di permanenza in una condizione di 
  non espansione. La frazione dominante della borghesia imperialista, perciò 
  ha premuto sugli Stati per definire una progettualità politica che corrispondesse 
  a queste condizioni, una progettualità che assumesse i caratteri dello 
  specifico sviluppo che la politica centrale dell'imperialismo dell'Ue, nelle 
  caratteristiche di Uem espresse con il trattato di Maastricht, determinava il 
  progetto di Uem, i in particolare il trattato di Maastricht, definiva una prospettiva 
  e un quadro di integrazione e concorrenza tra capitali monopolistici multinazionali, 
  che accelerava le tendenze già in atto, scadenzandole e inquadrandole 
  in politiche economiche restrittive e di liberalizzazione. La frazione dominante 
  della B.I. ha premuto sul quadro politico-istituzionale per affermare i suoi 
  interessi di concorrenza nel contesto europeo, una pressione che, se da un lato 
  si è espressa contraddittoriamente rispetto ad altre componenti della 
  borghesia, dall'altro ha espresso il loro interesse comune per scaricare sulla 
  classe operaia e sul proletariato i costi della crisi; e che, date le modifiche 
  dei rapporti di forza tra le classi prodottesi nella fase precedente, e le contraddizioni 
  indotte dal governo dell'economia, ha sviluppato un'azione offensiva a tutto 
  campo da parte della soggettività politica della borghesia.
  Il quadro politico-istituzionale italiano, ha visto, le forze qualificatesi 
  nel processo politico come rappresentanze istituzionali della classe, ridefinire, 
  già nella fase precedente, la loro collocazione intorno agli interessi 
  della borghesia, sul piano controrivoluzionario e nella priorità della 
  difesa dell'accumulazione capitalistica. Un processo graduale in cui la classe 
  dirigente di tali forze politiche e sindacali, ha cercato di conservare il radicamento 
  sociale assunto come rappresentanza istituzionale della classe, nella ricerca 
  di formule politiche che mantenessero questa base sociale, ricollocandola intorno 
  all'interesse della borghesia imperialista.
  Un processo scandito dall'assunzione delle ferme priorità: dell'adesione 
  al progetto dell'Ue, dell'adesione alle politiche imperialiste di intervento 
  nell'area mediorientale e balcanica, dell'adesione al superamento dell'ordinamento 
  costituzionale, del riconoscimento della riforma dello Stato sociale etc. Una 
  ricollocazione peraltro niente affatto priva di contraddizioni per il contrasto 
  tra gli interessi da comporre. Le formule politico-sociali che erano state adottate 
  dalle forze politiche che nel dopoguerra si erano collocate intorno alla priorità 
  della rappresentanza degli interessi della B.I, per sostenere la capacità 
  di governo del conflitto di classe, nel quadro dello sviluppo del processo rivoluzionario 
  e della lotta di classe espressasi in Italia, informate come erano dal tipo 
  di ruolo dello Stato nell'economia che aveva caratterizzato la fase precedente, 
  avevano prodotto il costituirsi di vere e proprie componenti sociali della borghesia 
  sorrette da questo sistema, la cui presenza all'interno dei partiti che avevano 
  governato il paese, rendeva difficilmente governabile il processo di trasformazione 
  e riadeguamento politico che doveva essere operato. Il processo di trasformazione 
  che doveva svilupparsi ed è ancora in atto, a fronte dei nuovi termini 
  di crisi-sviluppo dell'imperialismo, e nel contesto di una sostanziale modificazione 
  dei rapporti di forza tra le classi in favore della borghesia, si definisce 
  come una ristrutturazione e riforma complessiva del sistema economico-sociale 
  per riadeguarlo agli attuali termini di concorrenza intermonopolistica e per 
  ricollocarlo nel nuovo quadro di concorrenza internazionale, attraverso il ruolo 
  esercitato dallo Stato nelle politiche centrali dell'imperialismo che, con la 
  ridefinizione degli equilibri e delle relazioni internazionali, modificano le 
  posizioni dei diversi sistemi economici nella divisione internazionale del lavoro 
  e dei mercati. Processo che mette in crisi il contenuto della mediazione politica 
  su cui si era strutturato il sistema politico-istituzionale, entro cui la soggettività 
  politica della borghesia aveva stabilizzato relativi termini di governo dell'economia 
  e del conflitto di classe.
  Ciò che si è evidenziato negli anni '90, è stato che l'aspetto 
  principale sul piano della contraddizione Classe/Stato, quello che si presentava 
  prioritariamente ed emergenzialmente, non è stato il riadeguamento dell'assetto 
  dei poteri dello Stato, ma la costruzione di equilibri politici e sociali che 
  potessero realizzare, nello scontro di classe, quella ristrutturazione e riforma 
  complessiva del sistema economico-sociale e della relativa politica economica 
  dello Stato, che sostenesse i nuovi termini di concorrenza intermonopolistica, 
  e in essi, gli interessi della frazione dominante della borghesia imperialista. 
  Ciò nelle condizioni che si andavano definendo in relazione alle modificazioni 
  nel quadro europeo e internazionale. E' quindi sui nodi politici dello scontro 
  di classe legato alle priorità dell'attuazione di questo processo di 
  ristrutturazione, che si sarebbe costruito quel processo di rifunzionalizzazione 
  dello Stato e del sistema politico tendente a definirsi, sui contenuti e dagli 
  equilibri politici che emergono in questo scontro, in un complessivo riassetto 
  degli istituti e dei poteri da codificare in un nuovo ordinamento costituzionale. 
  Le formule politiche ed economiche su cui si erano assestati gli equilibri politici 
  e sociali che avevano consentito il governo dell'economia e del conflitto di 
  classe, per i quaranta anni precedenti, erano minate dall'interno, e per sostenere 
  l'interesse della frazione dominante della B.I., dovevano essere stravolte.
  La contraddizione era data anche dal fatto che, la modificazione dei rapporti 
  di forza tra le classi collegata al processo controrivoluzionario, in realtà 
  non si era affatto riversata, in termini generali, e di rottura storica, sulla 
  legislazione che regolava i rapporti sociali tra le classi, nella riproduzione 
  materiale, espressione dei rapporti politici attestatisi nella fase precedente.
  Le modificazioni indotte da questo processo avrebbero avuto un portato critico 
  sull'assetto politico-istituzionale. Tale assetto, per garantire l'accumulazione 
  capitalistica di fronte al forte conflitto di classe, si era fondata su un sistema 
  parlamentarista che, grazie alla massima rappresentatività della sede 
  parlamentare, istituzionalizzava il conflitto. Gli equilibri di governo dovevano 
  rappresentare la maggioranza reale nel corpo elettorale, il ruolo economico 
  dello Stato era il contenuto materiale per garantire maggioranze parlamentari, 
  espressione di diversi interessi di classe, da rendere compatibili con la priorità 
  dell'interesse della frazione dominante della B.I. Il processo di ristrutturazione 
  e riforma del sistema economico-sociale, attraverso la modifica della legislazione 
  che lo regolava e delle relazioni politiche tra le classi formalizzate in essa, 
  per corrispondere agli effetti dell'approfondimento delle contraddizioni di 
  classe, spingevano e spingono a ridimensionare la rappresentanza reale e la 
  mediabilità degli interessi, nelle sedi politiche decisionali. Il rafforzamento 
  del potere esecutivo e la modificazione della rappresentanza degli interessi 
  sociali in sede istituzionale, in modo da garantire il mantenimento della rappresentanza 
  formale, svincolando la sede politica decisionale, sarebbe stato il piano su 
  cui stabilizzare il governo del
  conflitto di classe nei nuovi termini di governo dell'economia. La modificazione 
  dell'assetto istituzionale e costituzionale non si colloca a seguito del crollo 
  di uno Stato per una rivoluzione di classe o a seguito di un conflitto tra Stati. 
  C'è stato sì uno scontro rivoluzionario e un processo controrivoluzionario 
  che ha modificato le relazioni politiche tra le classi e ha modificato i fattori 
  che hanno caratterizzato la mediazione politica, ma non tale da qualificare 
  il passaggio attuale come crisi di Stato.
  I motivi del riordino dell'assetto istituzionale originano dalla ridefinizione 
  degli istituti e della materia legislativa attraverso cui lo Stato regola i 
  rapporti sociali in funzione del sostegno ai caratteri storici dell'accumulazione 
  capitalistica, una modificazione di portata complessiva, distinta dai normali 
  interventi di politica economica, in questo incidono, come quadro di scontro 
  in cui si svolge tale modificazione, i rapporti di forza e politici tra le classi, 
  e la collocazione della formazione economico-sociale nella divisione internazionale 
  del lavoro come condizione e margini economici di compatibilizzazione delle 
  contraddizioni. Il tentativo demitiano quindi, mirava a costruire un equilibrio 
  politico-istituzionale che, a partire dalla rifunzionalizzazione dei poteri 
  dello Stato e del sistema politico-istituzionale, ponesse le condizioni per 
  trasformare linearmente il sistema politico, come passaggio prioritario per 
  affrontare e governare la ristrutturazione del sistema economico-sociale. Le 
  contraddizioni indotte dallo scontro di classe e rivoluzionario, evidenziano 
  come, la realizzazione di questo passaggio non si presentava come la codificazione 
  degli equilibri politici tra le classi prodottisi nella fase precedente, ma 
  la risultante, in sede politico-istituzionale, dello scontro di classe collegato 
  alle nuove contraddizioni. La ristrutturazione e riforma del sistema economico 
  e sociale, la sua priorità di fronte all'accelerazione delle politiche 
  di integrazione europea, trova nel supporto tra esecutivo e sede neocorporativa, 
  e nella assunzione di questa a sede di valenza istituzionale, la formula politica 
  per costruire equilibri politici e sociali in grado di dare risposta alla contraddizione 
  dominante nella fase, sul piano Classe/Stato, cioè affrontare tale priorità 
  ridefinendo in essa i termini di governo del conflitto di classe.
  Una ridefinizione data dall'introduzione del contenuto neocorporativo nella 
  legislazione riguardante la regolazione del sistema economico-sociale, e dalla 
  trasposizione a tutti i livelli dello scontro di classe di strumenti repressivi 
  e preventivi sia di carattere politico-giuridico che di ordine pubblico. Tale 
  legislazione non risponde solo all'esigenza di finalizzare tutti i fattori economici 
  e sociali al sostegno dell'accumulazione capitalistica nel quadro dei nuovi 
  termini di concorrenza che pure è una precisa necessità, ma incanala 
  le contraddizioni di classe al fine di collocarle sul terreno di una mediazione 
  corporativa degli interessi. Con ciò la mediazione corporativa degli 
  interessi sociali si coniuga con l'approccio riformistico e le istanze di ristrutturazione 
  economico-sociale, per dare una base materiale alla governabilità, cercando 
  di legare agli interessi della borghesia imperialista, quelli di settori di 
  aristocrazia proletaria e di piccola borghesia, che storicamente costituiscono 
  il referente sociale del riformismo. Un tentativo che, in particolare in un 
  paese come l'Italia, impatta con l'erosione reale di vantaggi e tutele che, 
  anche questi settori, hanno dovuto subire per gli effetti della crisi e delle 
  politiche adottate, e perciò è intrinsecamente debole. Nel contempo 
  il rapporto esecutivo-parti sociali, consente sia di sottrarre la funzione decisionale 
  dell'esecutivo ad un potere interdittivo, in quanto le parti sociali, a differenza 
  della rappresentanza parlamentare non hanno titolo ad intervenire nella decisione 
  politico-legislativa, che di costruire equilibri politici nel paese atti a dare 
  governabilità alle forzature e di definirne la sostenibilità reale, 
  nel rapportarsi ad apparati radicati nel tessuto sociale perchè vi svolgono 
  un ruolo di soggetti della contrattazione tra capitale e lavoro. Un ruolo ridefinitosi 
  in chiave neocorporativa sulla base di una rappresentazione dell'interesse della 
  classe operaia esclusivamente come merce forza-lavoro, componente del ciclo 
  di accumulazione capitalistica, alla quale viene riconosciuta solo una legittimità 
  di contrattazione del proprio prezzo e condizioni d'uso, nel quadro di una subordinazione 
  alla priorità del processo di accumulazione di cui essa è considerata 
  solo funzione. Un ruolo di contrattazione riconosciuto come fattore economico 
  funzionale in quanto garante della lineare gestione dei rapporti sociali di 
  produzione capitalistici. Ruolo economico-sociale che può mettere in 
  grado di sostenere la governabilità nell'attuazione delle politiche che 
  vengono definite, mentre nella sede neocorporativa, l'esecutivo, espressione 
  di una maggioranza parlamentare, come espressione dell'interesse generale del 
  paese, dovrebbe garantire la corrispondenza tra accordo in sede di trattativa 
  neocorporativa e produzione legislativa. La ristrutturazione e la riforma del 
  sistema economico e sociale, nel quadro del progetto di Ue-Uem, e la relativa 
  ridefinizione delle forme statuali e istituzionali, è la contraddizione 
  dominante sul piano Classe/Stato, la negoziazione neocorporativa Stato/parti 
  sociali, è stato il perno del progetto che ha costruito gli equilibri 
  politici e sociali che hanno consentito di garantire il governo del conflitto 
  di classe, la mediazione neo-corporativa è il contenuto generale della 
  composizione di interessi che viene operata e il piano di trasformazione della 
  mediazione politica che lo Stato vuole assestare, come base di un processo più 
  complessivo di ridefinizione che si sviluppa sia sul piano dell'assetto dei 
  poteri dello Stato che del rinnovato ruolo dell'Italia nelle politiche centrali 
  dell'imperialismo e dei suoi piani di guerra nell'area Europa Mediterranea Mediorientale.
  Nel breve-medio periodo i caratteri della contraddizione dominante sul piano 
  Classe/Stato sono riferibili nel complesso al passaggio che realizza l'integrazione 
  monetaria europea, informato dai criteri e dai vincoli concreti del patto di 
  stabilità, alle tendenze recessive, all'intensificazione dell'intervento 
  politico militare e diplomatico rivolto ad estendere e stabilizzare il dominio 
  imperialista. Per cui si rinnova e approfondisce sia la necessità di 
  un controllo centralizzato di tutti i fattori del mercato delle merci e della 
  I.I., che segue al passaggio ruotato intorno al risanamento del bilancio statale 
  e al controllo dell'inflazione finalizzato a garantire l'ingresso dell'Italia 
  nella moneta unica, che di equilibri politici solidi che sostengano l'interventismo 
  politico-militare. Il triennio che si è aperto dal primo gennaio del 
  1999, si concluderà con la sostituzione delle monete nazionali con la 
  moneta unica europea, che sancisce l'avvenuta integrazione economica. Un triennio 
  durante il quale i rapporti economici e monetari tra i paesi dell'area euro 
  vengono regolati dai patti di stabilità che costituiscono un approfondimento 
  dei vincoli macroeconomici fissati da Maastricht e dovrebbero garantire la possibilità 
  di attribuire all'euro, il valore di scambio voluto per sostenere il capitale 
  finanziario europeo nell'ambito della competizione globale. Dato il nesso tra 
  deficit di bilancio, indebitamento, Pil e valore di mercato dell'Euro, il controllo 
  sulla spesa statale continua ad essere un asse della politica economica in funzione 
  dell'osservanza dei vincolo posti dal patto di stabilità.
  Questa condizione e l'approfondimento dell'integrazione, omologa le politiche 
  economiche dei diversi paesi europei, sul piano delle politiche di bilancio 
  e per la liberalizzazione, per l'apertura alla concorrenza. Il tendenziale risanamento 
  del bilancio statale italiano e il taglio dei tassi di interesse bancario, secondo 
  i parametri di Maastricht, il controllo dell'inflazione assunto nel corso degli 
  ultimi anni, attraverso la politica dei redditi, sono i presupposti su cui l'equilibrio 
  politico dominante ha inteso procedere a un completo riassetto, che andasse 
  dai livelli della contrattazione, a quello degli incentivi, dalla decurtazione 
  del costo del lavoro alla riforma degli ammortizzatori sociali, dal riordino 
  delle forme contrattuali, alla prosecuzione graduale della riforma del sistema 
  pensionistico, dal riordino dell'organizzazione dell'impiego della forza-lavoro 
  (orario di lavoro) alla revisione progressiva delle norme sulla licenziabilità, 
  dalla riforma della rappresentanza, alle politiche per la programmazione industriale 
  e il relativo impiego di risorse pubbliche interne o UE. Riassetto complessivo 
  tanto più necessario e urgente per l'accumulazione capitalistica, a fronte 
  dei riflessi negativi che la crisi asiatica ha prodotto sulla competitività 
  delle merci italiane e sui profitti, e all'impatto economico negativo che ha 
  la guerra alla Jugoslavia.
  L'esigenza di governabilità, per essere assicurata, ha visto affiancare 
  al disegno teso a comprimere il costo diretto e indiretto della forza-lavoro, 
  a flessibilizzarne prezzo e condizioni di impiego, a cancellare o comprimere 
  certe garanzie e sicurezze sociali, un tentativo di promozione di uno sviluppo 
  competitivo che stimolasse e attirasse nuovi investimenti e profitti anche attraverso 
  un limitato e selettivo impiego della spesa pubblica, in una formazione economico-sociale 
  come quella italiana che è tra le più fragili tra i paesi del 
  centro imperialista, e questo ha cercato di costituire il terreno di un consenso 
  sociale che bilanciasse le contraddizioni generate dalle misure adottate e che 
  l'approfondimento della crisi accentuerà. Il problema dell'accrescimento 
  del Pil o quantomeno della sua tenuta nell'attuale contesto di crisi, e la contraddizione 
  della disoccupazione, condizione comune a tutti i paesi europei (ma che in Italia 
  assume un particolare connotato di stabilità), e spinta ad acuirsi dalle 
  politiche economiche adottate nel quadro europeo, pongono urgentemente il problema 
  dello sviluppo, mentre la caduta delle residue barriere all'integrazione dei 
  mercati con l'adozione di politiche per la liberalizzazione che acuiscono la 
  concorrenza, pone il problema dell'assunzione di un indirizzo teso alla competitività 
  in generale dei fattori produttivi, come condizione strategica per sostenere 
  i vincoli dei patti e nel contempo contrastare le tendenze recessive per conservare 
  la collocazione occupata dal paese nell'Uem e nella catena imperialista. Un 
  indirizzo di competitività, e per uno sviluppo ad essa congruo, che rinnova 
  e approfondisce l'adozione di una linea e di un controllo centralizzato di politica 
  economica e su tutti i fattori di mercato, che pone al centro le istanze di 
  flessibilizzazione della forza-lavoro e di compressione del costo del lavoro 
  nelle sue diverse variabili. Questa linea che pone al centro queste istanze 
  e che viene propagandata come funzionale allo sviluppo economico e sociale, 
  denuncia le sue motivazioni strettamente difensive, attraverso le previsioni 
  di crescita per l'anno in corso, che sono ben lontane, essendo inferiori della 
  metà, da quelle solo molto relativamente rosee del 2,5%, rispetto alle 
  quali veniva proposto lo scambio tra conquiste del movimento operaio sul piano 
  del diritto del lavoro, e sviluppo, cioè occupazione. Una prospettiva 
  su cui oltretutto, a breve termine, incide negativamente l'impegno bellico per 
  il rastrellamento di risorse che dovrà essere effettuato per sostenere 
  le spese, e nella quale, in generale, le spese di riarmo che dovranno essere 
  effettuate per svolgere il ruolo politico-militare corrispondente agli interessi 
  della borghesia imperialista, previsto dai nuovi indirizzi strategici della 
  Nato, ipotecano gli indirizzi di gestione del bilancio e le linee della programmazione 
  economica.
  Pe l'attuazione di queste politiche è perciò fondamentale il rapporto 
  tra Esecutivo e sindacato confederale per la funzione economica che questi svolge 
  nella contrattazione tra capitale e lavoro e, sulla base di questa, per la sua 
  corresponsabilizzazione politica in un cambiamento che necessita tanto dell'estensione 
  capillare del suo ruolo, che di una certezza della rappresentatività 
  e capacità di rappresentazione dei soggetti della contrattazione, secondo 
  regole che selezionino a priori la compatibilità delle istanze sociali 
  con le politiche economiche che informano il quadro generale dei contratti di 
  lavoro, e la disponibilità a contenere l'azione conflittuale. Da queste 
  istanze nascono le linee rivolte sia all'inglobamento, attraverso queste regole, 
  di nuovi soggetti sindacali, che all'allargamento della negoziazione centralizzata 
  a un arco più ampio di forze sociali; di qui nasce, anche un sistema 
  sanzionatorio più rigido, e conciliatorio più diffuso e stringente.
  Se è solo nell'ambito della sede neo-corporativa e delle relative politiche 
  che l'affrontamento di questi passaggi può trovare avanzamento, la contrazione 
  della base produttiva e la crisi occupazionale - accentuata dalle politiche 
  economiche adottate in questi anni, e aggravata dalle prospettive di approfondimento 
  del ciclo recessivo internazionale- , costituiscono un forte fattore di contraddizione 
  nel ruolo di questa sede, in particolare nella capacità del sindacato 
  confederale di garantire la tenuta delle politiche che vengono adottate.
  Intorno all'asse del neo-corporativismo, e intorno a questi equilibri, si sono 
  definiti e dovranno definirsi anche passaggi di rifunzionalizzazione dello Stato: 
  dall'accentramento di ministeri economici, alla riorganizzazione della pubblica 
  amministrazione, dalla riforma fiscale nel senso del sostegno diretto della 
  fiscalità generale al profitto e all'accumulazione capitalistica e del 
  federalismo fiscale, alla rifunzionalizzazione del ruolo delle amministrazioni 
  locali nel senso del rafforzarne il ruolo di esecutivo locale attraverso il 
  decentramento, alle privatizzazioni e alla ridefinizione in senso privatistico 
  dell'intervento economico dello Stato. La necessità che si presenta per 
  un equilibrio politico in cui i Ds hanno ruolo centrale, in un passaggio come 
  quello attuale, è quella di dare soluzione alla contradditorietà 
  intrinseca di questo modello politico che vede due canali di legittimazione, 
  attraverso il rafforzamento del ruolo politico dell'Esecutivo, con un maggior 
  intervento di proposta legislativa, nell'opera di mediazione tra l'ambito della 
  negoziazione neo-corporativa e quello parlamentare. La rinnovata funzione dell'Esecutivo 
  e della componente Ds-Cgil, nel mediare le funzioni di questi ambiti, nella 
  ricerca dell'equilibrio sufficiente a sostenere il complesso delle politiche 
  che vanno adottate per governare la crisi e il conflitto, ha stagliato il ruolo 
  centrale che vanno ad assumere quei soggetti che rappresentano l'Esecutivo nella 
  sede negoziale, anche nel costruire le condizioni dell'unità di questa 
  stessa componente politica. L'affermazione del progetto di ridefinizione del 
  sistema economico-sociale e del ruolo dello Stato nell'economia, con le politiche 
  neocorporative, se ha dato risposta alla contraddizione prioritaria ed emergenziale, 
  è avvenuta in un contesto di permanente instabilità del quadro 
  politico-istituzionale. Un'instabilità che, però, non ha affatto 
  impedito allo Stato di effettuare quei passaggi politici che costituivano interessi 
  vitali per la frazione dominante della B.I. Le ragioni di questa instabilità 
  si presentano relativamente al ruolo dell'esecutivo, un ruolo che è stato 
  rafforzato con la riforma della Presidenza del Consiglio, e progressivamente 
  incrementato con forzature rispetto al rapporto con la dialettica parlamentare, 
  con gli strumenti della decretazione, del ricorso alla fiducia, dell'introduzione 
  del voto palese, dei vincoli di copertura finanziaria per gli emendamenti, delle 
  deleghe legislative etc. Un ruolo che, di fronte alla crisi della rappresentanza 
  politica, si è ulteriormente rafforzato. Non essendo però sancito 
  formalmente, il suo rapporto con le forze politiche di maggioranza è 
  attraversato da instabilità.
  Permane infatti la difficoltà a formare maggioranze di governo omogenee 
  e stabili e, nonostante l'introduzione di un sistema elettorale maggioritario, 
  non c'è stata una semplificazione del quadro politico. Gli schieramenti 
  politici odierni non sono equivalenti rispetto al riconoscimento della sede 
  neocorporativa, nè nel rapporto con il sindacato confederale, disparità 
  che sottopone l'impianto neocorporativo, non nel suo contenuto, ma per il sistema 
  di relazioni e l'equilibrio che lo deve sostenere, al rischio di rimessa in 
  discussione in relazione al prevalere o meno di un determinato equilibrio parlamentare, 
  oppure lo eleva a criterio selettivo dell'equilibrio capace di dominare, in 
  contrasto con il sistema formale. Questo, in un quadro in cui la sede neocorporativa 
  ha assunto un particolare ruolo istituzionale, e ha valenza nel far avanzare 
  gli interessi della B.I., nella governabilità, costituisce elemento di 
  contraddizione.
  La ridefinizione dei poteri locali, avvenuta con la riforma elettorale per i 
  Comuni e per le Regioni, e con i provvedimenti tesi a rafforzare il decentramento 
  amministrativo e il federalismo fiscale, non ha una collocazione istituzionale 
  definitiva, e impedisce a questi poteri di esercitare un ruolo stabile e funzionale 
  alla possibilità di utilizzare le significative diversità economico-sociali, 
  come fattore di frammentazione del conflitto di classe e di ricomposizione corporativa 
  degli interessi sociali su una base di mediazioni locali sul criterio della 
  unicità di interessi alla competitività delle realtà territoriali.
  In questi anni si è evidenziata la difficoltà da parte del quadro 
  politico di effettuare dei passaggi di avanzamento sul piano della riforma istituzionale. 
  Le realizzazioni su questo piano hanno riguardato l'aspetto della riforma elettorale 
  e sono state introdotte tramite forzature maturate all'esterno delle sedi parlamentari. 
  Il fallimento della Bicamerale D'Alema, ha dimostrato l'impossibilità 
  di separare, il piano delle riforme istituzionali, dallo scontro di classe e 
  dai riflessi sul quadro politico-parlamentare. La frammentazione del quadro 
  politico è da riferire alla difficoltà, nonostante l'introduzione 
  del sistema maggioritario, di coniugare il posizionamento delle principali forze 
  politiche intorno agli interessi della B.I. con la rappresentanza di interessi 
  sociali di altre classi, in modo da raggiungere un consenso ampio tale da eliminare 
  la pressione di interessi non omologabili. Il Prc e la Lega esprimono questa 
  contraddizione, ma anche la necessità e la funzione di garantire, attraverso 
  la rappresentanza in sede parlamentare, l'istituzionalizzazione di istanze di 
  classe o di interessi particolaristici della borghesia concorrenziale. Per il 
  Prc, significativo è stato il ruolo svolto di compattare settori del 
  movimento di classe intorno agli indirizzi politici antiproletari del governo 
  Prodi.
  Altro aspetto critico è l'affermazione di soggetti politici, quali F.I., 
  A.N. e Lega, estranei all'arco delle forze costituzionali, espressione di un 
  personale politico che, non essendosi selezionato nella fase storica precedente, 
  evidenzia un'inidoneità a rapportarsi ai caratteri della mediazione politica 
  storicamente definitasi, e quindi ad esprimere una capacità di governo 
  in grado di intervenirci calibratamente, che, nel passaggio del governo del 
  Polo e nelle posizioni assunte rispetto alla Bicamerale per le riforme, ha dimostrato 
  la inadeguatezza di questo schieramento a garantire governo dell'economia e 
  del conflitto di classe, ma anche a saper collocare il proprio interesse particolare 
  nel far affermare l'interesse della frazione dominante della B.I. come interesse 
  generale, tra cui le ambigue posizioni rispetto ai passaggi dell'Uem. Una contradditorietà 
  acuita dall'anomalia della figura di Berlusconi e del suo gruppo di potere, 
  ma soprattutto legata all'estraneità alla sede neocorporativa e a componenti 
  sociali che organizzino e rappresentino significativamente interessi di settori 
  proletari intorno agli interessi della borghesia. Infine, altro aspetto, è 
  l'impossibilità di azzerare la soggettività politica sulla base 
  del criterio della opportunità di introdurre formule di ingegneria istituzionale. 
  E' il caso ad esempio, del P.p.i. erede di quella componente della D.C. che 
  più di tutte ha rappresentato gli interessi della frazione dominante 
  della B.I., in equilibrio tra interessi atlantici ed europei, inquadrando intorno 
  ad essi, componenti sociali quali Cisl, primo tra i sindacati a proporsi in 
  un ruolo neo-corporativo e a rinnovarlo con il coinvolgimento dell'associazionismo 
  e della finanza cattolica, componente politica che ha espresso il suo ruolo 
  anche attraverso le massime figure istituzionali.
  Le modificazioni dell'assetto politico-istituzionale sono quindi derivanti dal 
  processo politico collegato agli sviluppi dello scontro di classe e alle contraddizioni 
  prodotte dal governo dell'economia e del conflitto sociale. Un processo politico 
  che ovviamente con ha un rapporto meccanico con lo scontro di classe, ma contempla 
  un ruolo attivo, e offensivo, della soggettività politica, un rapporto 
  che si esprime come riflesso dialettico sulla sede politico-istituzionale che 
  ha una autonomia relativa rispetto ai rapporti di forza tra le classi.
  Un processo che, in una irriducibilità del quadro politico-istituzionale 
  a semplificazioni bipartitiche, si snoda intorno alla difficoltà di costruire 
  due coalizioni idonee a sostenere una dinamica di alternanza tra equilibri politici 
  di governo, in grado di rappresentare una continuità dell'azione del 
  governo intorno agli interessi della frazione dominante della B.I., adeguata 
  ai rapporti di forza reali tra le classi, e quindi all'equivalenza rispetto 
  alla sede neocorporativa. Un processo che avviene nel posizionamento delle forze 
  politiche intorno ai nodi congiunturali dello scontro politico, che ha visto 
  un'assestamento della posizione dell'Italia intorno ai passaggi che ne riguardavano 
  il ruolo nelle politiche centrali dell'imperialismo, ma che ha caratteri maggiormente 
  critici sul piano interno e della politica economica. 
  Un ruolo particolare in questi anni è stato svolto dal Pds che ha sostenuto 
  organicamente le politiche di riforma e ristrutturazione economico-sociale e 
  di forzatura degli assetti politici. All'interno del Pds è D'Alema che 
  ha operato alla costruzione degli equilibri politici che hanno sistituito il 
  governo Berlusconi e ricondotto, l'opposizione di classe ad esso, in un ambito 
  funzionale all'esercizio di un ruolo di governo. Un ruolo politico che ha incontrato, 
  con la paralisi della Bicamerale da lui presieduta, una caduta significativa, 
  per la presunzione di pervenire ad un riordino complessivo dell'assetto costituzionale 
  e istituzionale, in una piena autonomia della sede parlamentare dalle contraddizioni 
  derivanti dallo scontro di classe e dagli effetti dell'operato dell'Esecutivo. 
  Un ruolo quello di D'Alema, e dei Ds in generale, che viene rilanciato dalla 
  responsabilità assunta, dal suo governo, con il pieno impegno dell'Italia 
  nell'attacco alla Jugoslavia, responsabilità che gestisce le continue 
  forzature con un'articolata tattica di progressive ratifiche parlamentari al 
  coinvolgimento delle forze armate italiane nella infame e folle aggressione 
  al popolo Jugoslavo, ed è sorretta da una volontà politica ad 
  andare fino in fondo, consapevole sia del rischio costituito dal manifestarsi 
  di segnali di debolezza per un equilibrio politico strutturalmente fragile, 
  che del processo di selezione che è in corso all'interno della Nato. 
  Seppure il Ppi, per il ruolo del suo personale politico, abbia spesso formulato 
  le basi per la definizione di passaggi corrispondenti ai reali equilibri parlamentari 
  e quindi adeguati ad affermarsi, la coalizione di centro-sinistra come maggioranza 
  politica e come coalizione dell'Ulivo, non costituisce una formula politica 
  stabile, nè si potrà istituzionalizzare la prassi della unificazione 
  della coalizione intorno alla designazione della figura che viene proposta come 
  presidente del consiglio come sintesi dell'equilibrio politico raggiunto all'interno 
  della coalizione stessa. Già la caduta del governo Prodi e l'uscita di 
  Rifondazione dalla maggioranza, dimostrarono come permanesse un processo di 
  trasformazione delle forze e delle formule politiche, processo riconfermato 
  dal successivo definirsi del progetto Prodi-DiPietro, teso non solo ad una semplificazione 
  del quadro politico, ma anche ad assumere ruolo in essa, definendo un soggetto 
  di centro-sinistra che superasse gli attuali partiti che compongono la coalizione 
  dell'Ulivo, progetto che l'incarico di Prodi alla Presidenza della Commissione 
  Europea ha ridimensionato in modo sostanziale. Un processo di trasformazione 
  critico, a causa della difficoltà della coalizione di centro-sinistra 
  a tradurre le scelte politiche di chiaro connotato antiproletario adottate dal 
  suo Esecutivo, in formazione di un consenso elettorale sufficiente ad ottenere 
  na maggioranza parlamentare. Un processo in cui dapprima, la ricerca di semplificazione, 
  attraverso l'accentuazione del meccanismo elettorale maggioritario, ha impattato 
  sull'esito referendario, decretando il concludersi di una stagione di forzature 
  extraparlamentari legittimate con il voto referendario; poi, avendo la compattezza 
  della coalizione, subìto una frattura con l'elezione di Ciampi alla Presidenza 
  della Repubblica ed essendosi determinata una ridefinizione dei rapporti politici 
  interni a vantaggio dei Ds, si è riaperto alla prospettiva di riforme 
  istituzionali.
  Sul piano internazionale dominano, il quadro della crisi economica e finanziaria 
  con le sue prospettive di recessione mondiale, in particolare con il tracollo 
  dell'economia giapponese, e la crisi economica sociale e politica che investe 
  in specifico la Russia. All'interno di questo contesto si colloca l'offensiva 
  Nato contro la Jugoslavia, con il pretesto di una "crisi umanitaria" 
  nel Kosovo, passaggio odierno, e salto di qualità di quel processo di 
  destabilizzazione e successiva normalizzazione imperialista dell'area balcanica 
  e dei paesi dell'est europeo, su cui si è andato ridefinendo il ruolo 
  della Nato e dell'Ue e dei loro Stati membri. Un ruolo che si colloca nel mutare 
  dei termini della contraddizione est-ovest, non più imperniati sulla 
  contrapposizione di sistemi economico-sociali e sulla deterrenza nucleare, ma 
  sulla penetrazione economica e del modo di produzione capitalistico, operata 
  in funzione della ricerca di nuovi ambiti di investimento di capitali, di forza-lavoro 
  a basso costo e di nuove quote di mercato, con cui contrastare la crisi del 
  capitale. Penetrazione economica e del modo di produzione capitalistico, che 
  impossibilitata, non solo a prospettare uno sviluppo economico per queste aree, 
  ma anche solo a mantenere, seppure nel medio-lungo periodo, gli storici livelli 
  di sviluppo delle forze produttive e di risorse sociali, e che perciò 
  non può essere sostenuta solo con i tradizionali strumenti usati negli 
  ultimi decenni. Perciò il ruolo di Nato, Ue e Stati imperialisti, si 
  è qualificato nel costruire le condizioni che la consentissero, attraverso 
  la destabilizzazione politica, l'intervento bellico diretto, oppure attraverso 
  l'integrazione dell'Alleanza Atlantica di alcuni Stati ex-socialisti, e , per 
  governare le contraddizioni economico-sociali che genera questa penetrazione 
  e il loro sviluppo politico, è stata attuata una strategia di annientamento 
  di quegli Stati che rappresentavano punti di autonomia politico-militare, per 
  l'assoggettamento politico e per l'insediamento militare, e per allontanare 
  il fronte dai paesi del centro imperialista, e stringerlo intorno alla Russia 
  e agli altri paesi non assoggettabili nè semplicemente con la dipendenza 
  economica, nè con limitate offensive politico-militari. Processo in cui 
  possono costruirsi le condizioni e le forzature politiche interne al rapporto 
  Classe/Stato nei vari Stati europei, che mettano in grado di sostenere, nella 
  Nato, questo complesso ruolo politico-militare nei confronti dell'Est europeo 
  e dell'area mediterraneo-mediorientale. Un processo che, con i passaggi interni 
  alla costruzione dell'Unione europea, e in particolare sul piano delle politiche 
  repressive e controrivoluzionarie (Schengen), con la rifunzionalizzazione e 
  il rafforzamento delle forze armate e di polizia, con la partecipazione attiva 
  degli Stati europei alle iniziative militari Nato, con il rafforzamento della 
  complementarietà tra Nato e Ue, nella funzione di quest'ultima di allargamento 
  verso i paesi dell'est europeo, costituisce una dimensione idonea per mettere 
  in grado i singoli Stati europei, di sostenere una proiezione offensiva su un 
  piano politico-militare degli Stati Uniti. Processo che trova proprio nell'attestamento 
  della mediazione politica in senso neo-corporativo, la principale base di attuazione 
  e sviluppo, per un paese come l'Italia che svolge un ruolo cardine nella Nato, 
  per la sua storica funzione di portaerei nel Mediterraneo, e che vede nella 
  penetrazione in quest'area e in quella dell'Est europeo, uno sbocco non solo 
  per il capitale monopolistico, ma anche, per quel capitale a più bassa 
  concentrazione e centralizzazione investito in settori maturi, che può 
  trovare quote di mercato e occasioni di investimento laddove vada costruito 
  o ricostruito un intero tessuto economico (vedi la funzione svolta dall'Albania), 
  interessi comuni a frazioni di borghesia per i quali, l'intervento politico-militare 
  dello Stato in queste aree, costituisce una mediazione politica.
  Il carattere dell'aggressione alla Jugoslavia, costituisce un ulteriore significativo 
  approfondimento nel costruirsi delle condizioni per cui, la tendenza alla guerra 
  accellerata dall'approfondimento della crisi di sovrapproduzione assoluta di 
  capitali, può trasformarsi in effettivo sbocco bellico generalizzato 
  per la sua maturazione, rivolta a forzare ulteriormente il rapporto con la Russia 
  attraverso la completa esautorazione del ruolo dell'Onu; per il suo contenuto 
  politico, attraverso il salto di qualità dell'intervento militare diretto 
  e aperto della Nato che sulla base del principio dell'ingerenza umanitaria ha 
  fondato la legittimazione formale dell'aggressione, e ha attestato il consolidamento 
  della riformulazione della propria concezione strategica, riadeguata agli attuali 
  caratteri economico-politici dell'imperialismo che vedono nell'accentuazione 
  dei processi di internazionalizzazione del capitale i motivi della ridefinizione 
  degli strumenti di dominio, nella direzione della tutela della penetrazione 
  economica laddove le condizioni politiche degli Stati la consentano, e nella 
  direzione dell'insediamento politico-militare e della costruzione delle condizioni 
  politiche istituzionali e militari necessarie a stabilire l'ordine dei rapporti 
  sociali capitalistici, laddove esistano sistemi politico-statuali che esprimano 
  termini di autonomia rispetto all'ordine imperialista o formazioni economico-sociali 
  che non riescano a strutturare un'ordinamento politico-istituzionale funzionale 
  ad un'economia di mercato. Un'aggressione che vuole affermare il principio dell'ineluttabilità 
  dell'intervento militare nel caso della non accettazione dei dettami politici 
  della Nato e che è espressione dell'organicità dei rapporti Usa-Ue; 
  che è apice pratico di quel processo di rifunzionalizzazione del ruolo 
  imperialista e controrivoluzionario da sempre svolto dalla Nato, nel quadro 
  degli attuali equilibri internazionali, e in cui infine, lo Stato italiano non 
  ha affatto assunto una posizione servile nei confronti del polo dominante Usa; 
  ma si è collocato in prima linea per rappresentare gli interessi della 
  propria borghesia e coniugarli con quelli delle altre borghesie dei paesi dominanti 
  della catena.
  Un processo di rifunzionalizzazione della Nato e del ruolo dei singoli Stati 
  imperialisti in essa, che non è affatto privo di contraddizioni, che 
  si deve imporre sulle resistenze che trova all'interno dei paesi e deve contrastare 
  le tendenze al coagularsi dell'opposizione alla guerra in opzioni offensive 
  e rivoluzionarie; processo contro il quale, in Italia, già nel 1994 i 
  Nuclei Comunisti Combattenti collocarono la propria iniziativa offensiva contro 
  il Nato Defence College, in occasione del Vertice Nato di Bruxelles con cui 
  si sanzionavano le linee del Nuovo Ordine Mondiale, in un quadro più 
  complessivo di iniziative politico-militari del Movimento Rivoluzionario attuale 
  in questi anni, contro la Nato e, che recentemente si sono affiancate ad attacchi 
  al ruolo dei Ds nella guerra imperialista alla Jugoslavia, in dialettica con 
  la tendenza dell'autonomia di classe a dare un contenuto offensivo alla opposizione 
  all'imperialismo.
  Sul piano politico europeo le velleità di un riformismo sociale non liberista 
  a cui in particolare in Italia aveva guardato il Prc, decadono con l'uscita 
  di scena di Lafontaine dapprima, e poi con l'inizio dell'aggressione alla Jugoslavia, 
  e il procedere di un processo di convergenza delle maggioranze politiche dei 
  paesi europei verso equilibri politici di governo analoghi e politiche economiche 
  omologhe, si è venuto a misurare con l'impegno comune nella guerra, nuovo 
  piano su cui si dovranno assestare sia questi equilibri che le politiche economiche 
  che dovranno essere adottate per reperire le risorse per sostenere la guerra 
  e la spesa per il riarmo e il riassetto militare necessario, che i progetti 
  per garantire i necessari termini di governabilità interni. In questo 
  quadro si colloca il recente Vertice Nato di Washington che avrebbe dovuto sanzionare 
  la nuova strategia Nato, l'adesione ad essa di ex-membri del Patto di Varsavia, 
  e anche l'esito dell'offensiva contro la Jugoslavia. A causa della guerra in 
  corso, ha dovuto avere funzione di costruire alcune condizioni per proseguirla 
  e per concluderla raggiungendo l'obiettivo politico di scardinare l'assetto 
  politico Jugoslavo. E' ora infatti questa guerra la cartina di tornasole della 
  validità della nuova dottrina, e della sostenibilità del ruolo 
  che la Nato si è data. Un vertice a cui manca la Russia, formalmente 
  invitata a svolgere un ruolo di mediazione tra la Nato e la Jugoslavia, per 
  evitarne una palese umiliazione che la destabilizzi ulteriormente, in realtà 
  delegata ai margini del quadro internazionale, in attesa del suo turno. Un vertice 
  che lo stesso recente plebiscitario voto del Parlamento Usa al finanziamento 
  dello scudo satellitare anti-missili balistici, progetto rimasto per anni fermo, 
  indica quanto sia indirizzato a strutturare le linee del nuovo ordine mondiale, 
  ossia di un dominio imperialista che deve essere imposto con la forza. 
  Nel quadro generale di processi e tendenze presenti a livello europeo e internazionale, 
  in Italia, il governo, i sindacati confederali, la confindustria e altre sigle 
  del mondo della piccola e media impresa e sindacali, firmano, nel dicembre del 
  1998, il "Patto per l'occupazione e lo sviluppo".
  Il Patto rinnova le linee di politica dei redditi già presenti nel '93, 
  e ne rilancia i contenuti di fondo, a partire dal principio che sono le imprese 
  il motore primo dell'occupazione, e perciò, il destinatario del sostegno 
  dello Stato, e in funzione dell'emergenza occupazione, approfondisce il ruolo 
  della politica dei redditi nella direzione di un intervento che si articola 
  a tutti i livelli di governo, dal nazionale al regionale al locale, e continua 
  e riferirsi ai criteri macroeconomici di controllo dell'inflazione e del deficit 
  pubblico, stabilendo un rapporto più organico tra negoziazione e processi 
  decisionali interni e U.E. A sostegno di questi obiettivi e delle politiche 
  "per lo sviluppo e l'occupazione" e della "programmazione dei 
  fondi strutturali 2000-2006", che il patto delinea, viene disegnata la 
  struttura della negoziazione corporativa come un articolato che attraversa tutti 
  i livelli di governo e capillarmente, come un vero e proprio assetto di carattere 
  istituzionale che palesa in modo esplicito, tutta la sua funzione non solo economica, 
  ma anche politica, di natura antiproletaria e controrivoluzionaria, quando viene 
  previsto che la concertazione si rafforzi nel campo dei servizi di pubblica 
  utilità, anche attraverso l'attivazione di sedi di confronto, regole, 
  e istituzioni specifiche, "in particolare laddove si registrano un tasso 
  di conflittualità elevato e forti esternalità verso il sistema 
  economico e sociale"!!
  Il carattere corporativo, antiproletario e controrivoluzionario di questa impalcatura 
  economico-politica è inequivoco e profondo, perciò in questo progetto 
  politico la nostra O. ha individuato il ruolo politico-operativo svolto da Massimo 
  D'Antona, ne ha identificata la centralità e, in riferimento al legame 
  tra nodi centrali dello scontro e rapporti di forza e politici generali tra 
  le classi, ha rilanciato l'offensiva combattente, secondo i criteri dell'attacco 
  al cuore dello Stato, cardine della Strategia della Lotta Armata per la conquista 
  del potere politico e l'instaurazione della dittatura del proletariato. Con 
  questa offensiva, mirata a ostacolare lo sviluppo programmatico del progetto 
  centrale, che è teso ad ottenere sia avanzamenti nel merito della ristrutturazione 
  e riforma economica e sociale, sia nel consolidamento del dominio della borghesia, 
  con l'assestamento di una mediazione politica di carattere neocorporativo, le 
  BR-PCC si prefiggono, in generale, il rilancio della prospettiva della conquista 
  del potere per l'instaurazione della dittatura del proletariato, come prima 
  tappa della costruzione di una società comunista, e, in specifico, di 
  ottenere un relativo vantaggio politico per il campo proletario, da impiegare 
  ai fini della ricostruzione delle forze rivoluzionarie e degli strumenti politici 
  e organizzativi atti ad attrezzare la classe allo scontro prolungato con lo 
  Stato. La linea politica che indirizza l'offensiva combattente è orientata 
  a colpire le responsabilità centrali nell'opera di istituzionalizzazione 
  della sede neo-corporativa, nell'approfondimento del ruolo politico dell'Esecutivo, 
  e nella sua azione programmatica tesa a tradurre in iniziativa legislativa quelle 
  linee di riforma e ristrutturazione economico-sociale, tutti aspetti, intorno 
  ai quali oggi si gioca lo scontro tra le classi, e rispetto a cui il consolidamento 
  del progetto neo-corporativo costituisce condizione generale attraverso cui 
  l'Esecutivo intende gestire le contraddizioni antagonistiche, trasformandole 
  in passaggio di arretramento politico per il proletariato. Un'iniziativa politico-militare 
  che per questo opera, nel contempo, sul piano immediato, aprendo un varco offensivo 
  nella situazione difensiva della classe, e su un piano di prospettiva politica, 
  facendo vivere offensivamente il nodo del potere: opera sul piano progettuale 
  e programmatico imponendo nello scontro, sul terreno della guerra, gli interessi 
  generali del proletariato, qui ed ora, portando l'offensiva, al livello in cui 
  si definiscono i rapporti di forza e politici tra le classi, al livello cioè 
  dell'iniziativa politica, e nel merito dei nodi centrali dello scontro, nella 
  congiuntura. In ciò pone i concreti termini politico-programmatici su 
  cui fare avanzare la guerra di classe di lunga durata, nella dialettica con 
  le istanze di potere che sorgono dalla lotta del proletariato. Un attacco al 
  "cuore dello Stato" che è il portato della dialettica politica 
  tra una linea di continuità-critica-sviluppo del patrimonio comunista 
  in specifico dell'esperienza prodotta dalle Br nel nostro paese e peculiarmente 
  del ricentramento operato dalle B.R.-P.C.C. nella Ritirata Strategica, e il 
  concetto percorso di riaggregazione delle avanguardie rivoluzionarie, in funzione 
  della ricostruzione delle forze rivoluzionarie e in particolare di un'Organizzazione 
  Comunista Combattente che agisca da partito per costruire il Partito. Un processo 
  di aggregazione che costituisce uno stadio peculiare della Fase di Ricostruzione 
  delle Forze Rivoluzionarie, processo che ha visto come passaggio centrale il 
  rilancio dell'iniziativa rivoluzionaria operato dai Nuclei Comunisti Combattenti, 
  con l'attacco all'accordo sulla politica dei redditi tra governo confindustria 
  e sindacati confederati, nel '92 con l'attacco contro la sede della Confindustria, 
  e nel '94 in occasione del Vertice N.A.T.O. di Bruxelles, con l'iniziativa contro 
  il N.A.T.O. Defence College con cui veniva attaccato il disegno di nuovo ordine 
  mondiale e la strategia di "presenza avanzata" e la complessiva rifunzionalizzazione 
  della Nato e dell'architettura con cui il dominio imperialista si attrezzava 
  a sostenere il ruolo politico-militare aderente ai caratteri odierni del modo 
  di produzione capitalistico e della sua crisi e a sfruttare i rapporti di forza 
  favorevoli determinatisi negli equilibri internazionali. Con queste iniziative, 
  i N.C.C. sintetizzano il rilancio dell'offensiva rivoluzionaria, con l'avvio 
  di un processo di aggregazione delle avanguardie rivoluzionarie, operando nel 
  vivo dello scontro e intervenendo nei nodi politici su cui ruota la contraddizione 
  classe/Stato e quella imperialismo/antimperialismo. Un processo con cui inevitabilmente 
  si misurano tutte le avanguardie che vogliano rilanciare la prospettiva comunista 
  e i suoi obiettivi storici, e avviare un processo di superamento della attuale 
  situazione di difensiva della classe. Un'esperienza, quella dei N.C.C. che si 
  sviluppa nel tradurre in prassi rivoluzionaria, il contenuto offensivo dell'autonomia 
  politica di classe, rapportandosi con i termini più avanzati di autonomia 
  politica espressi dal proletariato nel paese, ovvero il patrimonio politico-strategico 
  sviluppato dalle BR-PCC, collocandolo nelle condizioni di difensiva della classe, 
  prodottesi nel duplice processo controrivoluzionario, che ha determinato una 
  condizione di discontinuità del percorso rivoluzionario, delle condizioni 
  interne sul piano Classe/Stato, e negli equilibri internazionali. Un rapporto 
  con le condizioni e con le contraddizioni della situazione di difensiva della 
  classe, che attraverso la soggettività rivoluzionaria, in quanto parte 
  dello scontro generale, che ha imposto di definire strumenti politico-organizzativi 
  e condizioni, che costituissero soluzioni politico-concrete per rapportarsi 
  in termini offensivi nello scontro di classe.
  Solo organizzando le forze rivoluzionarie e proletarie, fin da subito sul terreno 
  strategico adeguato a sostenere una prospettiva di potere a partire dall'attacco, 
  e costruendo le condizioni politico-organizzative e materiali, per assumere 
  iniziativa d'avanguardia rispetto ai nodi generali relativi alla contraddizione 
  rivoluzione/controrivoluzione, è possibile avviare un percorso che, relazionandosi 
  allo scontro di classe, nei suoi caratteri generali, affronti le condizioni 
  storiche di fase in termini di avanzamento.
  Su questo piano, le avanguardie rivoluzionarie si rapportano con i caratteri 
  storici presenti della Fase di Ricostruzione, cioè con la necessità 
  di operare un processo di aggregazione dal quale si possano selezionare i termini 
  complessivi necessari alla ricostruzione di un'Occ che agisca da Partito per 
  costruire il Partito e che, in quanto tale, possa costituire il Nucleo Fondante 
  il Partito. La costruzione di un soggetto organizzato che affronti il nodo della 
  ricostruzione delle condizioni per lo sviluppo della guerra di classe di lunga 
  durata, si può avviare solo a partire dall'esercizio di un ruolo d'avanguardia 
  rispetto allo scontro di classe in generale. Per questo, l'avvio di tale percorso, 
  deve essere impostato dalla costruzione delle condizioni politiche, militari, 
  tecniche e organizzative, per mettere in campo e sostenere il rilancio dell'offensiva 
  rivoluzionaria nei nodi politici centrali dello scontro di classe, al fine di 
  collocare in questo scontro il dato politico assente, ovvero l'espressione dell'autonomia 
  politica di classe che, rispetto alle contraddizioni generali dello scontro, 
  definisce e colloca l'interesse autonomo della classe e le sue prospettive di 
  potere. In sostanza, il carattere principale dell'avvio di questo processo, 
  si definisce intorno al nodo di costruzione delle forze per l'offensiva, della 
  tenuta e della stabilità dell'organizzazione delle forze sul terreno 
  strategico. Dover superare questo stadio, nella tensione all'avanzamento, come 
  soggetto organizzato, verso l'obiettivo della ricostruzione di un'Occ che agisce 
  da partito per costruire il Partito, nel vivo dello scontro rivoluzionario, 
  consente di evidenziare le contraddizioni concrete, collegate al rilancio della 
  prospettiva rivoluzionaria, nelle condizioni politico-organizzative danneggiate 
  e disperse dal processo controrivoluzionario. Una definizione di problemi che 
  può dare concretezza ai caratteri della fase, altrimenti assumibili solo 
  ideologicamente, quali ad esempio la contraddizione costruzione/formazione. 
  Una concretezza relativa alla specificità delle condizioni di discontinuità 
  che, nella definizione dei caratteri dei nodi, ne delinea anche le possibili 
  soluzioni politico-organizzative, nella costruzione di un patrimonio politico 
  collettivo.
  Il dato di fondo è che, la ricostruzione delle forze rivoluzionarie e 
  proletarie, nel quadro del passaggio della ricostruzione di un'Occ che abbia 
  funzione di nucleo fondante il Partito, riguarda tutti gli aspetti che consentono 
  di concepire il conflitto e di combatterlo: dagli elementi di materialismo storico-dialettico, 
  alle competenze operative per agire nell'unità del politico e del militare, 
  ai criteri che consentono ad un soggetto organizzato di essere tale. Dati costanti 
  sono che, ciò è impossibile, se non si affronta operando immediatamente 
  sul terreno della prassi rivoluzionaria in una dimensione organizzata, riferita 
  ai nodi generali della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, e che le 
  avanguardie rivoluzionarie, l'insieme delle forze militanti, devono tener conto 
  della complessità e complessità su cui operare per avanzare in 
  termini di ricostruzione d'una forza rivoluzionaria. Le condizioni attuali della 
  Fase di Ricostruzione, sono state connotate da questi elementi: - da un lato 
  l'acutezza delle contraddizioni di classe e l'operare offensivo della borghesia 
  e del suo Stato, in un rapporto di scontro immediatamente politico, in quanto 
  inerente alla ridefinizione della mediazione politica e al portato in essa dello 
  scontro rivoluzionario. - dall'altro, la mancanza nei nodi politici generali, 
  che costituiscono l'oggetto immediato dello scontro, di una posizione che definisse 
  fattivamente gli interessi generali della classe, sia in termini di critica 
  di classe, che di prassi offensiva, che di prospettiva di potere; che si definisse 
  nello scontro di classe attuale.
  Il portato del processo controrivoluzionario e gli sviluppi dell'offensiva della 
  borghesia e del suo Stato, hanno indotto l'affermazione nel campo proletario 
  e rivoluzionario di tendenze difensive, prodotte proprio dal rapporto di forza 
  sfavorevole che rilancia tali tendenze approfondendo le condizioni di arretramento, 
  mentre nel contempo, la mediazione neocorporativa è il piano proposto 
  e imposto dallo Stato. Il contenuto prevalente nell'opposizione proletaria ha 
  avuto, in questi anni, un carattere di critica sociale, aclassista o interclassista 
  e, dentro questo contenuto, si sono collocate componenti politiche e sociali 
  che mettono in atto una prassi che vagheggia ipotesi di riformismo sociale. 
  In questo quadro si sono collocate anche forze politico-istituzionali che fanno 
  riferimento al proletariato, la cui progettualità ha egualmente un carattere 
  di riformismo sociale e che, su questo punto di congiunzione, hanno incorporato 
  e istituzionalizzato istanze della autonomia di classe che scaturiscono dallo 
  scontro, ingabbiandole in pratiche di lealismo istituzionale.
  Una tendenza questa, disarmante per gli interessi generali della classe, che 
  in alcuni passaggi politici, ha visto queste componenti farsi carico del sostegno 
  ai progetti dello Stato e alle politiche centrali dell'imperialismo.
  Su un altro piano si è collocata una tendenza all'economicismo che, svuotando 
  le istanze di autonomia di classe del loro contenuto politico generale, le ha 
  indirizzate verso uno sbocco di subordinazione in quanto riferite ad istanze 
  rivendicative, parziali, storicamente prive di prospettiva, proprio per le delimitazioni 
  del piano di lotta assunto, che a maggior ragione in una fase che vede la classe 
  in posizione di difensiva, non sono in grado di costruire rapporti di forza 
  con prospettive di avanzamento nemmeno in contesti particolari, tranne in settori 
  strategici per il funzionamento del sistema economico, rispetto ai quali lo 
  Stato combina misure repressive e un terreno di trattativa corporativa remunerativo 
  per frammentare e procedere gradualmente nel compatibilizzare tali settori. 
  Per componenti politiche che si riferiscono alla classe come classe in sè 
  e per sè, l'assunzione in termini difensivi di questo contenuto, ha portato 
  alla loro collocazione su un piano ideologico, se non ideale. Cioè si 
  è stabilito un rapporto immediatistico con la lotta di classe, dove la 
  politica rivoluzionaria costituisce esclusivamente un riferimento ideale o tutt'al 
  più interpretativo, senza nessuna ricerca di direzione consapevole organizzata, 
  dialettica ma finalizzata, della politica rivoluzionaria sul piano della lotta 
  di classe. Rapporto immediatistico che vede il piano rivoluzionario come sbocco 
  più o meno meccanico della lotta di classe, della sua estensione come 
  prodotto dell'approfondimento della crisi capitalistica.
  Il portato del processo controrivoluzionario, e il suo risvolto sul campo proletario, 
  in chiave di assunzione di tendenze difensivistiche, si è manifestato 
  anche in opzioni politiche che, nell'oggettiva difficoltà di rapportarsi 
  all'approfondimento del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, (connotato dall'avanzamento 
  dei termini strategici della guerra di classe di lunga durata nei paesi del 
  centro imperialista, conquistati nel mantenimento dell'offensiva nelle condizioni 
  di Ritirata Strategica, ma anche dalla discontinuità delle forze e dell'iniziativa 
  rivoluzionaria, e che implica l'aumento del peso assunto dalla soggettività 
  nello scontro, essendo necessario che sia operato l'idoneo riadeguamento ai 
  nuovi termini del rapporto rivoluzione/controrivoluzione) hanno assunto le condizioni 
  di agibilità consentite dallo Stato, come principio in base a cui ridefinire 
  la strategia rivoluzionaria. Partendo da queste basi, azzerando il rapporto 
  tra forme di dominio dell'imperialismo e strategia rivoluzionaria, come unico 
  terreno su cui si può sviluppare la costruzione del Partito e l'organizzazione 
  rivoluzionaria della classe, hanno rinchiuso lo sviluppo della strategia della 
  Lotta Armata per il Comunismo, in un incidente di percorso del movimento operaio, 
  ricollocandosi nel riferimento ideologico alla strategia terzinternazionalista 
  dell'insurrezione. Azzerando il dato politico che ha visto la ripresa del processo 
  rivoluzionario in Europa, nascere dalla critica a tale concetto strategico e 
  alla prospettiva revisionistica e riformistica in cui portava ad impantanare 
  lo scontro rivoluzionario, di fronte ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative.
  Nonostante questa condizione di arretramento, è proprio dall'opposizione 
  di classe alle compatibilità politiche ed economiche, imposte attraverso 
  i passaggi di ridefinizione della mediazione politica in chiave neocorporativa 
  che, nello scontro, ha continuato ad esprimersi l'istanza di autonomia del proletariato.
  La valutazione dello scontro di classe nella fase, evidenzia come, nonostante 
  l'acutezza delle contraddizioni prodotte, e la crisi del sistema politico-istituzionale, 
  si sia affermato un dato politico di arretramento, un dato politico per cui, 
  nel generale e nel particolare dello scontro, gli interessi generali del proletariato, 
  e la sua contrapposizione complessiva alla borghesia e al suo Stato, non costituiscono 
  il contenuto, se non episodicamente, su cui la classe o settori di essa, costruiscono 
  il rapporto di scontro. Tale contenuto si esprime implicitamente, nei contesti 
  di lotta che si contrappongono offensivamente alle compatibilità e alla 
  subordinazione della mediazione neocorporativa, ma tale latenza, oltre che la 
  condizione dei rapporti di forza, costituisce vincolo alla capacità di 
  catalizzare l'opposizione di classe. Questa condizione, la sua durevolezza, 
  di fronte all'offensiva della borghesia, si manifesta nella difficoltà 
  ad esprimere una critica di classe all'esistente, e a tradurre questa critica 
  in processi di mobilitazione e organizzazione che, dalla situazione concreta 
  presente, valutata storicamente e dialetticamente, costituiscono termine di 
  avanzamento possibile nel senso del contributo allo sviluppo di un processo 
  rivoluzionario. Una difficoltà che è nata dal venir meno della 
  prospettiva di potere come contenuto orientante, impostativo, punto di vista 
  necessario per una critica di classe e opposizione ai rapporti sociali capitalistici, 
  e degli strumenti teorico-politici e organizzativi definiti dalla Rivoluzione 
  Sovietica, dalla Rivoluzione Cinese etc. e sviluppati dalla Strategia della 
  Lotta Armata per il Comunismo. Un venir meno, non tanto come contenuto ideologico, 
  seppure anch'esso abbia un peso, ma come contenuto politico, cioè come 
  patrimonio politico che scaturisce dalla collocazione di tale prospettiva di 
  potere, coscientemente perseguita, nelle condizioni di scontro presenti nella 
  loro determinazione storica. Una condizione indotta dal portato del duplice 
  processo controrivoluzionario, che conferma come l'autonomia politica di classe 
  (ovvero l'istanza di autonomia di classe oggettiva, generata dalla contraddizione 
  antagonistica tra borghesia e proletariato, tradotta in proposta politico-organizzativa 
  di sviluppo del processo rivoluzionario), sia un prodotto essenzialmente politico, 
  e non il meccanico e spontaneo sviluppo della lotta di classe, anche quando 
  l'acutezza delle contraddizioni di classe è estrema.
  Una cognizione che lo Stato borghese ha ben compreso, assumendo come principale 
  fine della sua azione di controrivoluzione preventiva, la neutralizzazione attraverso 
  l'istituzionalizzazione, il riformismo o l'annientamento, degli aspetti che, 
  nelle varie congiunture, politicizzano l'opposizione di classe e ne costituiscono 
  prospettiva di potere. Il carattere politico dell'avanzamento verso la ricostruzione 
  dell'Occ che agisce da partito per costruire il Partito, si definisce intorno 
  alla costruzione della capacità di assestare stabilmente nello scontro 
  di classe i due aspetti mancanti, di una posizione nello scontro che definisca 
  gli interessi generali della classe, e di una prospettiva di potere, nei vincoli 
  delle condizioni di fase.
  Si tratta quindi di continuare ad operare, in termini di iniziativa politico-programmatica 
  e costruzione organizzativa, sul livello più avanzato di definizione 
  di strategia rivoluzionaria, ricostruendo nello scontro di classe, tutti i piani 
  di definizione di una progettualità e di una prassi rivoluzionaria, considerando 
  il soggetto organizzato, come ciò che, nello sviluppare questo scontro, 
  su tutti i piani, deve costruirsi e formarsi. Rispetto allo scontro di classe 
  in generale, si tratta di definire e collocare l'interesse generale e autonomo 
  del proletariato come classe, in riferimento alle contraddizioni generali, politiche 
  e materiali, prodotte dalla crisi della borghesia e dalla sua azione offensiva 
  espressa dallo Stato, per scaricare sul proletariato il costo di questa crisi. 
  Si tratta di affermare nello scontro, di costruire il dato politico, per cui, 
  colo a partire dall'assunzione dell'interesse generale e autonomo del proletariato, 
  come punto di vista, contenuto e prassi conseguente, su cui impostare un rapporto 
  di scontro, anche particolare, è possibile sottrarsi all'offensiva e 
  alla crisi della borghesia, e alla subordinazione derivante dall'assunzione 
  dell'interesse particolare come piano di rapporto con le contraddizioni di classe.
  L'interesse particolare è infatti il piano che la borghesia, a partire 
  dalle condizioni ad essa favorevoli sul piano dei rapporti di forza, impone 
  come piano di rapporto alla classe, questo è, la trasformazione della 
  mediazione politica storica, nella mediazione politica neocorporativa. L'assunzione 
  offensiva dell'interesse generale e autonomo del proletariato, non come somma 
  di interessi particolari, ma come contenuto di ogni rapporto di scontro particolare, 
  è la condizione per sottrarsi a un rapporto di forza sfavorevole e muoversi 
  anche nella condizione di difensiva della classe. Rispetto allo scontro rivoluzionario, 
  si tratta di collocare nello scontro di classe, in termini di attacco e di costruzione, 
  come costruzione/formazione, tutti quegli elementi di patrimonio comunista, 
  di proposta politico-strategica, e di linea, come sviluppo di tale patrimonio 
  in questa fase, che consentono di sviluppare una prospettiva di potere, definendoli 
  in relazione alle condizioni di fase, cioè di difensiva della classe, 
  di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie e di Ritirata Strategica.
  - Dal carattere dell'autonomia politica della classe, non come dato che si produce 
  e riproduce spontaneamente nella lotta di classe, ma come prodotto dell'inserimento 
  nello scontro, di una prassi finalizzata all'affermazione degli interessi generali 
  e storici del proletariato.
  - Al ruolo della strategia rivoluzionaria e al suo definirsi in riferimento 
  alle attuali forme di dominio dell'imperialismo, e cioè principalmente 
  ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative, che costituiscono l'affinamento 
  e l'assestamento del carattere controrivoluzionario del ruolo dello Stato, che 
  convoglia e struttura, attraverso un complesso reticolo di filtri e passaggi, 
  l'azione che opera su un piano prettamente politico, alla legittimazione e al 
  rafforzamento dello Stato stesso, svuotandola dei suoi caratteri antagonisti 
  e rivoluzionari. Stato, che soprattutto assume, come qualificazione permanente 
  della propria azione politica, la mediazione degli interessi sociali particolari, 
  storicamente e congiunturalmente selezionabili, intorno agli interessi generali 
  della frazione di borghesia dominante, in funzione controrivoluzionaria preventiva 
  al coagularsi e all'organizzarsi del proletariato per l'affermazione dei propri 
  interessi generali di classe. A ciò si intreccia una vera e propria politica 
  controrivoluzionaria preventiva, intenzionalmente e specificamente perseguita, 
  che non consiste in un'azione semplicemente repressiva, ma questa si connette 
  strutturalmente a un'azione politica nei confronti delle contraddizioni di classe, 
  rivolta a prevenirne lo sviluppo in direzione della loro politicizzazione e 
  traduzione in organizzazione del proletariato sul terreno rivoluzionario.
  Oltre che in riferimento ai caratteri delle moderne democrazie rappresentative 
  la strategia rivoluzionaria si definisce in rapporto alle forme di dominio storiche 
  entro le quali gli Stati espletano le loro funzioni di dominio sul piano internazionale 
  e che, nella nostra area geo-politica, fanno perno sull'Alleanza Atlantica e 
  sull'integrazione politico-militare nella Nato e sui processi di coesione europea. 
  Tali riferimenti alle attuali forme di dominio dell'imperialismo, impostano 
  fin da subito i caratteri della costruzione del Partito, in qualità di 
  Partito Comunista Combattente, dell'organizzazione della classe sul terreno 
  rivoluzionario nell'unità del politico e del militare, definiscono la 
  centralità del Fronte Antimperialista Combattente per la costruzione 
  di alleanze politiche che operino all'indebolimento dell'imperialismo nella 
  nostra area, e gli assi e i caratteri dell'iniziativa politico-programmatica, 
  in quanto contenuto strategico che consente di sviluppare un processo, che costruisca, 
  seppur nella sua linearità, una prospettiva di potere. - Al ruolo dei 
  principi teorici che consentono di sviluppare un agire politico che si costruisce 
  in un processo, che si dà nella dinamica prassi/teoria/prassi, rapportandosi 
  a condizioni storiche di fase, prodotto degli esiti delle fasi precedenti, a 
  partire da cui definire i passaggi di avanzamento.
  - Al ruolo dell'avanguardia rispetto alla classe, e all'inscindibilità 
  di questo ruolo da quello concretamente esercitato dall'avanguardia sul piano 
  politico della contraddizione classe/Stato.
  - Agli elementi politico-organizzativi che consentono al soggetto organizzato 
  di muovere come un corpo unico. Il saldo riferimento al patrimonio comunista 
  in generale, e in particolare a quello prodotto dalle BR-PCC nella direzione 
  dello scontro rivoluzionario nel paese, e alle sue discriminanti teorico-strategiche, 
  è ciò che guida le avanguardie rivoluzionarie nell'assunzione 
  di ruolo politico nello scontro, sia nell'avviare un processo di ripresa dell'iniziativa 
  rivoluzionaria che di aggregazione e di selezione in essa dei termini della 
  Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie. Tra queste discriminanti teorico-strategiche, 
  Innanzitutto la valenza politica della Strategia della Lotta Armata, come modo 
  in cui si rende praticabile un processo rivoluzionario in riferimento alle attuali 
  forme di dominio dell'imperialismo, e si materializza lo sviluppo della Guerra 
  di Classe di Lunga durata contro lo Stato, processo in cui l'avanguardia politico-militare 
  si pone come direzione e organizza fin da subito i settori rivoluzionari di 
  classe che si dialettizzano e si dispongono sul terreno della lotta armata.
  Da ciò ne deriva l'assumere il principio dell'unità del politico 
  e del militare che agisce come una matrice nel processo rivoluzionario, dai 
  meccanismi che permettono ad una forza rivoluzionaria di essere tale, al suo 
  modo di sviluppare prassi rivoluzionaria, al processo rivoluzionario nel suo 
  complesso. Adottare il principio dell'unità del politico e del militare 
  nei paesi del centro imperialista, fa assumere alla lotta armata la forma della 
  Guerriglia che svolge la funzione di direzione dello scontro di classe, affrontando 
  contemporaneamente e globalmente i principali piani del processo rivoluzionario, 
  ed è volta a disporre e strutturate le forze per sostenere il livello 
  di scontro dato, e ai fini della fase rivoluzionaria, sul terreno strategico 
  della lotta armata.
  La conduzione della guerra rivoluzionaria, adotta termini che sono interni alla 
  fase in corso, che oggi è quella della Ritirata Strategica, e che sono 
  indirizzati verso l'evolversi di successivi livelli di ricostruzione, compattamento 
  e direzione delle forze proletarie sul terreno rivoluzionario, fintanto che 
  non abbiano maturato l'assestamento necessario per superare le posizioni di 
  relativa debolezza nel complesso dei rapporti di forza tra le classi.
  Per quanto riguarda il Partito, questo si qualifica come Partito Comunista Combattente; 
  il riferimento centrale è all'unità del politico e del militare 
  che evidenzia come il problema del Partito sia la costruzione-fabbricazione 
  delle condizioni stesse della guerra di classe, cioè problema di una 
  direzione politica e di strutture organizzate, adeguate a sostenere lo scontro 
  e a rilanciarlo ed approfondirlo, assolvendo alle necessità e ai compiti 
  dettati dalla congiuntura politica che scaturiscono dalla contraddizione dominante 
  che oppone la classe allo Stato, disponendo e organizzando le forze attivabili 
  intorno ai compiti imposti dalla fase rivoluzionaria, compiti che in generale 
  sono sempre riferibili allo stato dei rapporti di forza tra le classi, agli 
  equilibri dei rapporti tra imperialismo e antimperialismo, allo stato delle 
  forze proletarie e in ultima istanza ad un determinato passaggio del rapporto 
  di scontro tra rivoluzione e controrivoluzione. In questo riferimento più 
  generale la costruzione del Partito è un processo risultante dall'agire 
  dell'O.C.C., da partito per costruire il Partito, e dal prodursi delle condizioni 
  necessarie e sufficienti a qualificare e configurare il Partito Comunista Combattente 
  come tale.
  Per quanto riguarda il rapporto Partito/masse, esso non viene concepito in altro 
  modo che come termine di costruzione/organizzazione di quelle componenti proletarie 
  che esprimono termini di autonomia di classe, sul terreno della lotta armata, 
  calibrato, nelle forme e nei modi, alle fasi rivoluzionarie che si attraversano, 
  ma sempre fin da subito nell'unità del politico e del militare.
  Ma innanzitutto l'operare della Guerriglia, nella dinamica Attacco-Costruzione-Attacco, 
  momenti tra i quali vi è interdipendenza e interrelazione, è teso 
  a lacerare il piano degli equilibri politici tra Classe e Stato e a costruire 
  le condizioni materiali per un equilibrio politico e di forza favorevole al 
  campo proletario che può partire solo intervenendo con l'attacco al punto 
  più alto dello scontro. E ciò perchè, un processo rivoluzionario, 
  non è la risposta agli attacchi della borghesia alle condizioni politiche 
  e materiali della classe (cioè un atto difensivo), anche se nel suo sviluppo 
  conosce fasi di resistenza più o meno prolungate, ma è nella sua 
  sostanza un processo di attacco per affermare gli interessi generali del proletariato.
  Per quanto riguarda il programma politico, il piano di contraddizione Classe/Stato 
  è il principale terreno programmatico su cui si costruiscono i termini 
  dell'organizzazione di classe sul terreno della lotta armata: con l'attacco 
  al cuore dello Stato, alla sua centralità politica congiunturale e non 
  semplicisticamente al suo apparato centrale, le Br-pcc hanno riproposto la centralità 
  che ha, per i comunisti, la questione dello Stato. L'attacco al cuore dello 
  Stato poi, si ripercuote come effetto su tutto l'arco dei rapporti fra le classi 
  fino al piano capitale/lavoro, una dinamica di intervento che apre uno spazio 
  politico che può e deve essere sfruttato con la costruzione di organizzazione 
  di classe sul terreno della lotta armata, calibrata nelle forme e nei modi alla 
  fase di scontro e ai rapporti di forza generali. Vantaggi momentanei derivanti 
  dall'attacco operato che vanno tradotti in organizzazione, perchè lo 
  scontro rivoluzionario diretto dalla Guerriglia nelle metropoli imperialiste 
  non può costruire "basi rosse" stabili, non può avere 
  retroterra logistico, perchè lo scontro rivoluzionario nei centri imperialisti, 
  è una guerra senza fronti, dove l'attività controrivoluzionaria 
  dello Stato si dispiega contro l'intero campo proletario (Guerriglia, movimento 
  rivoluzionario, classe); dove il processo rivoluzionario avanza in una condizione 
  di accerchiamento strategico, almeno fino alla fase finale del processo rivoluzionario. 
  Per questo la Guerriglia nella metropoli è impostata sui principi di 
  clandestinità e compartimentazione, cioè conseguentemente li adotta 
  come criteri di organizzazione e mobilitazione.
  La centralità della questione dello Stato, per i comunisti, deriva dall'essere, 
  il piano politico, il rapporto fondamentale su cui si determinano i rapporti 
  di forza generali tra le classi. Le avanguardie rivoluzionarie, possono concepire 
  ed articolare la Strategia della Lotta Armata, riferendola alle forme di dominio 
  dell'imperialismo, e il suo programma in qualsiasi fase si trovi lo scontro 
  di classe, solo rimettendo al centro un criterio-guida del marxismo-leninismo, 
  che vede nella funzione di mediatore dello scontro inconciliabile tra le classi 
  e nel contempo di rappresentante dell'interesse generale della classe dominante, 
  gli elementi che connaturano lo Stato, e perciò il fondamento del ruolo 
  sia di organo politico-istituzionale del dominio della borghesia, sua sede e 
  soggettività politica, che di ordinamento dei rapporti politici e sociali.
  Lo Stato, infatti, non viene concepito solo come una sommatoria di apparati, 
  solo sotto il suo profilo, meccanico-oggettivo, ma essenzialmente sotto un duplice 
  profili: quello politico, di organo di dominio della borghesia, e contemporaneamente, 
  quello giuridico-formale, di ordinamento politico-giuridico; cioè secondo 
  la sua sostanza soggettiva e oggettiva. E perciò, l'analisi dello scontro 
  e l'intervento rivoluzionario, sono tesi a individuare gli equilibri politici 
  generali che permettono l'attuazione dei programmi congiunturali allo scopo 
  di scardinarli e renderne ingovernabili le contraddizioni, secondo il criterio 
  di centralità di identificazione, all'interno della contraddizione dominante, 
  del progetto politico centrale della B.I., per lacerarli, adottando il criterio 
  di selezione che individua il personale politico che assume una funzione di 
  equilibrio delle forze che sostengono tale progetto, e per calibrare l'attacco 
  allo stato delle forze proletarie e rivoluzionarie, nel paese e negli equilibri 
  internazionali.
  Essendo i rapporti sociali e politici regolati in modo storico nel corpo legislativo-istituzionale, 
  carattere giuridico-formale della natura dello Stato, attraverso l'azione soggettiva 
  dello Stato che traduce, sanziona e rilancia in norme e istituti imposti sulla 
  società in generale, gli esiti dello scontro sociale che volta per volta 
  si determina, riferendosi alla mediazione politica mediamente assestata storicamente, 
  e attraverso la capacità cogente e sanzionatoria data dal monopolio della 
  forza, l'intervento volto a scardinare gli equilibri politici colpendo l'azione 
  soggettiva dello Stato, sui nodi centrali della contraddizione Classe/Stato, 
  va a incidere sulle concrete possibilità di governo delle contraddizioni, 
  in quanto inserisce, attraverso l'esercizio di forza, il dato politico degli 
  interessi generali della classe nel quadro generale dei rapporti di forza e 
  politici tra le classi, impedendone quindi la lineare sanzione in senso antiproletario, 
  facendone termine a cui deve riferirsi lo scontro successivo, e le posizioni 
  delle classi antagoniste in esso. E questo è il modo attuale e prospettico 
  di "spezzare la macchina statale", innescando una concreta dialettica 
  politica tra proposta comunista e autonomia di classe. Questi elementi di concezione 
  a cui si riferisce la Strategia della Lotta Armata, consentono anche di comprendere 
  la funzione che può svolgere dall'interno stesso di una fase difensiva 
  per il campo proletario, in quanto, riferendosi alla funzione dello Stato nella 
  sua duplice natura di organo politico della dittatura della borghesia, e ordinamento 
  politico-giuridico di una società divisa in classi antagoniste che incorpora 
  i dati storici sia dello scontro di classe che delle trasformazioni strutturali, 
  l'intervento combattente può concretamente incidere, con l'offensiva, 
  laddove si definisce l'iniziativa che costruisce l'equilibrio politico che consente 
  di sanzionare i vantaggi e gli avanzamenti ottenuti dalla borghesia e dallo 
  Stato nello scontro, ottenendone vantaggio politico. Vantaggi e svantaggi, avanzamenti 
  e arretramenti che non costituiscono solo elementi della storia dello scontro 
  di classe, ma vengono incorporati nell'ordinamento politico-giuridico a costituire 
  fattori della nuova base di partenza, parte di un nuovo quadro a cui deve riferirsi 
  lo scontro, in cui la forza e il peso politico delle classi e delle loro frazioni, 
  si struttura, riferendosi alla mediazione politica storica, in dato dal carattere 
  generale incidente su tutta la società, e così pure vi si riflette 
  il dato dell'intervento rivoluzionario. Perciò, anche in una condizione 
  di difensiva della classe, come quella attuale, l'attacco al cuore dello Stato, 
  consente di contrapporsi ai vincoli politico-concreti che spingono il proletariato 
  in una posizione di svantaggio politico, e che oggi sono costituiti dalla costruzione 
  dei termini complessivi di una mediazione politica neo-corporativa, e di condizionare 
  i processi di scontro. Potendo svolgere questa funzione, la Strategia della 
  L.A., nelle moderne democrazie rappresentative dei paesi del centro imperialista, 
  essendo l'unica base da cui può essere rilanciata la progettualità 
  comunista anche in condizioni di rapporto di forza sfavorevole per il proletariato, 
  e perseguite le finalità di estinzione della società divisa in 
  classi, attraverso la tappa della conquista del potere politico per la dittatura 
  del proletariato, è anche irrinunciabile ai fini di sottrarsi all'offensiva 
  complessiva che la borghesia ha lanciato contro il proletariato e costruire 
  rapporti di forza più favorevoli.
  La tappa della conquista del potere politico e della dittature del proletariato 
  è storicamente necessaria, avendo tuttora e sempre, il dominio della 
  borghesia un carattere politico, ben e irrinunciabilmente radicato, nel ruolo 
  che svolge la proprietà privata nell'ordinamento politico-giuridico; 
  avendo, i rapporti tra proletariato e borghesia, tuttora e sempre, carattere 
  antagonista, in quanto questo carattere è afferente al ruolo sociale 
  (di forza-lavoro e di capitale) che viene sostenuto nella produzione e nella 
  società, e non alla funzione sociale, nè tantomeno alla forma 
  giuridica in cui questa viene svolta, nè alle condizioni materiali di 
  vita; ed essendo, un ordinamento politico-giuridico, caratterizzato dal potere 
  impositivo e sanzionatorio che nasce dall'esercizio del monopolio della forza 
  da parte dello Stato. Perciò la dittatura del proletariato non è 
  equivocabile, com'è usuale e strumentale fare, con una forma, più 
  o meno democratica, del processo di decisione politica, ma deve essere concepita 
  nel suo senso reale, cioè come la sostanza dei rapporti di potere tra 
  le classi, e quindi delle corrispondenti centralità di interessi nei 
  rapporti sociali, e perciò la conquista del potere politico è 
  obiettivo di un processo rivoluzionario, e condizione di fondo imprescindibile 
  per la costruzione della società comunista, in quanto solo attraverso 
  l'esercizio del potere statuale gli interessi generali di una classe, possono 
  essere garantiti e tutelati, a maggior ragione se questa classe è il 
  proletariato che non è portatore, nella storia dell'umanità, di 
  una forma di proprietà privata su cui si erige un modo di produzione 
  che compete con quello che lo ha preceduto storicamente.
  In sintesi la Strategia della Lotta Armata è unica base di rilancio della 
  progettualità comunista, in quanto possibilità concreta di far 
  pesare, qui e ora, nello scontro, gli interessi generali della classe, ed esercitare 
  forza, che incide ad aprire e far avanzare la prospettiva rivoluzionaria, e 
  termine imprescindibile della ricostruzione di condizioni politiche e di forza 
  favorevoli al campo proletario.
  Se l'attività della Guerriglia, può avere un riflesso positivo 
  sulle condizioni di vita immediate della classe, come ha avuto negli anni precedenti, 
  non è questo il criterio che guida la sua iniziativa politico-militare, 
  in quanto lo scopo che si prefigge è quello di incidere sui rapporti 
  di forza generali tra le classi, per lavorare alla costruzione del Partito Comunista 
  Combattente e affermare la prospettiva di potere, espressione degli interessi 
  generali del proletariato, favorendo con ciò lo sviluppo dell'autonomia 
  di classe, condizioni queste, che sono termini concreti per il rafforzamento 
  delle posizioni del proletariato nel rapporto di scontro con la borghesia e 
  che conseguentemente incidono positivamente anche nelle condizioni immediate 
  della classe, in quanto è solo sul piano politico che la classe può 
  stabilire un rapporto di forza generale.
  Perciò la proposta politica delle Br-Pcc si concretizza su due aspetti: 
  da un lato organizzando le avanguardie più coscienti intorno alla strategia 
  politica dell'Organizzazione; dall'altro rappresentando l'elemento di riferimento 
  di spinta e di coagulo per le istanze più mature della lotta di classe 
  rapportandosi ad esse con il programma politico. Infine, l'altro asse su cui 
  le Br-Pcc intendono sviluppare il proprio programma politico, è sul piano 
  della contraddizione imperialismo/antimperialismo al fine di indebolire e ridimensionare 
  il dominio imperialista, costruendo offensive comuni contro le sue politiche 
  centrali, con le forze rivoluzionarie e antimperialiste che operano nell'area 
  Europea-Mediterraneo-Mediorientale. Perciò le Br-Pcc pongono al centro 
  del proprio progetto politico la promozione e costruzione del Fronte Combattente 
  Antimperialista, in cui la ricerca di unità politico-militare tra forze 
  antimperialiste dell'area, sia funzionale a costruire le alleanze politiche 
  necessarie a indebolire il dominio imperialista, a partire dalle differenze 
  storico-strutturali della lotta di classe delle singole formazioni economico-sociali, 
  dentro cui si collocano e maturano le esperienze e le forze rivoluzionarie e 
  antimperialiste, ma anche dal ruolo unico e unitario che svolgono gli Stati 
  dominanti della catena imperialista.
  Concepire la necessità politica di costruire un Fronte Combattente Antimperialista 
  non significa escludere la ricostruzione di un'Internazionale Comunista, ma 
  significa non trascurare di attivare tutte le forze disponibili contro il nemico 
  imperialista al di là delle differenze tra tappe rivoluzionarie e concezioni 
  che supportano le forze antimperialiste, e costruire una condizione favorevole 
  al perseguimento anche dell'obiettivo dell'Internazionale Comunista che presuppone 
  un'unità superiore nei caratteri di classe, nei fini e nelle concezioni 
  delle forze appartenentevi.
  Promuovere la costruzione del F.C.A. implica porre al centro dell'offensiva 
  combattente il rapporto organico tra il ruolo della Nato, come alleanza politico-militare 
  degli Stati dominanti della catena imperialista, guidata dal polo Usa, e quello 
  della Ue, quale progetto politico centrale dell'imperialismo nella nostra area 
  geo-politica che affianca la Nato nell'azione di penetrazione e assoggettamento 
  dei paesi del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell'Est europeo e nella costruzione 
  delle condizioni dell'approfondimento della tendenza alla guerra. Asse di combattimento 
  che deve avanzare sempre complementariamente allo sviluppo dell'iniziativa combattente 
  nei nodi centrali che oppongono la classe al proprio Stato, perché è 
  sul piano Classe/Stato che si scioglie il nodo del potere che qualifica la tappa 
  rivoluzionaria.
  Lo stadio aggregativo che investe la Ricostruzione delle Forze, in relazione 
  alle peculiarità legate alla contraddizione costruzione/formazione, rappresenta 
  il nodo con cui si confronta lo sviluppo del processo di costruzione di un'Organizzazione 
  Comunista Combattente. In questo quadro il rilancio dell'iniziativa politica 
  offensiva nei nodi centrali che opponevano Classe e Stato e Imperialismo e Antimperialismo, 
  operato dai Ncc ha costituito un'espressione di progetto, di linea politica 
  e di linea politico-organizzativa definiti in base alla comprensione politica 
  dei nodi centrali che poneva lo scontro e la Fase strategica. L'avanzamento 
  da un fisiologico stadio aggregativo iniziale, verso la costruzione di una forza 
  rivoluzionaria che punta a qualificarsi come O.C.C. che agisce da Partito per 
  costruire il Partito, necessariamente si confronta con il problema della riproduzione 
  di forze militanti complessive che esercitino un'azione politico-operativa e 
  organizzativa d'avanguardia; e quindi la dinamica che dall'Attacco costruisce 
  aggregazione e forza per esprimere un livello più avanzato di capacità 
  offensiva, politicamente e militarmente intesa, è strettamente connessa 
  ad un processo di costruzione/formazione di ruoli militanti complessivi che 
  operino materialmente ulteriore costruzione.
  Lo snodo della riproduzione di tali ruoli è a sua volta strettamente 
  connesso con l'espressione di forza complessiva dell'organizzazione, che è 
  data dalla costruzione delle condizioni e cognizioni per un movimento unitario 
  e unico, pur nella diversità, delle forze organizzate, sul terreno dell'attività 
  politico-programmatica ed in particolare nella costruzione dell'offensiva. Un 
  movimento riferito alla costruzione delle condizioni e degli strumenti per l'operare 
  di una dinamica di centralizzazione-decentralizzazione.
  I termini progettuali in cui viene inquadrato lo sviluppo del processo rivoluzionario, 
  qualificano il ruolo dell'avanguardia nella direzione e organizzazione della 
  classe sul terreno rivoluzionario, in un processo di scontro finalizzato all'instaurazione 
  della dittatura del proletariato come prima tappa del processo rivoluzionario. 
  Un processo di scontro che, nei termini strategici di riferimento, si dà 
  fin da subito nell'unità del politico e del militare. Costruire una forza 
  rivoluzionaria significa, quindi, costruire una forza che, nel complesso, ma 
  anche in generale, cioè in ogni militante, possa riprodurre il ruolo 
  di organizzazione e direzione della classe sul terreno rivoluzionario. Si tratta 
  quindi di costruire-formare delle avanguardie nella loro caratterizzazione complessiva 
  politico-militare e il loro movimento centralizzato e decentralizzato. Un processo 
  che trova nel rapporto tra responsabilizzazione complessiva e impiego operativo, 
  la leva della costruzione/formazione delle forze e dello sviluppo dell'autonomia 
  politico-operativa, che si può produrre nel concreto esercizio della 
  responsabilità politica nel lavoro rivoluzionario, in termini di "conduzione", 
  ossia di esecuzione dell'attività con impostazione complessiva, e collocandola 
  nella dimensione organizzata.
  Un processo di costruzione, che si confronta con la centralità di fase 
  cioè quella della Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie, andando a 
  definire linee di costruzione e mobilitazione delle forze sul piano politico-programmatico, 
  a partire dal dato che le forze non sono già formate nè organizzate 
  e che la soggettività di classe, in questa fase, anche quando si dialettizza 
  in termini di militanza organizzata, con il piano rivoluzionario, mediamente 
  riproduce una tendenza allo spontaneismo intendendo con ciò tutto quello 
  che si produce al di fuori di una prassi finalizzata e funzionale allo sviluppo 
  della progettualità rivoluzionaria.
  Nella tendenza spontaneista va inscritta la tendenza all'approccio ideologico, 
  che può qualificare, il rapporto con la militanza rivoluzionaria, in 
  termini di adesione, un rapporto che si riconosce in un patrimonio e che si 
  schiera, prendendo posizione nello scontro e rendendosi disponibile ad essere 
  attivato, ma che non stabilisce un rapporto politico con tale patrimonio, intendendo 
  con ciò, il rapporto con cui si pone il problema di come operare soggettivamente 
  per collocare e riarticolare questo patrimonio, quindi svilupparlo, in riferimento 
  al problema di definire come agire, in modo che, a partire dalle contraddizioni 
  oggettive e materiali presenti, che hanno sempre un inquadramento sul piano 
  storico-politico ed economico-sociale, si possa operare per far avanzare verso 
  le finalità rivoluzionarie, utilizzando in questo, il patrimonio complessivo, 
  stabilendo con esso un rapporto di continuità/critica/sviluppo. L'approccio 
  ideologico, vede l'ideologia come ciò che fa avanzare queste motivazioni 
  verso gli obiettivi politico-generali; non si vede il ruolo dell'"ideologia", 
  come concezione, nell'indirizzare la prassi nell'immediato e nel concreto, e 
  non si vede il ruolo della prassi nell'approfondire il rapporto politico con 
  la concezione e nello svilupparla. L'ideologismo porta a non vedere come, l'avanzamento 
  nella prassi e nella comprensione della concezione si produce solo se, a mettere 
  in rapporto questi due piani, c'è il soggetto che opera nello scontro, 
  e che, dal dare soluzione al problema dell'operare funzionalmente all'avanzamento 
  del processo rivoluzionario, approfondisce la comprensione e lo sviluppo della 
  concezione stessa.
  Da questo se ne ricava che è antimaterialistico pensare che, la risoluzione 
  del problema, si dia sul piano della formazione ideologica, per operare, poi, 
  successivamente, nello scontro, perchè, non sviluppando un ruolo soggettivo 
  nella realtà dello scontro, la comprensione del piano ideologico è 
  fittizia, cioè sfocia sul piano idealistico e in posizioni opportunistiche 
  o massimaliste, mancando di risolvere il problema politico di dare sviluppo 
  al processo rivoluzionario.
  Limiti connessi all'ideologismo sono anche quelli dell'esecutivismo che, non 
  essendo espressione di una disposizione complessiva d'avanguardia, ma di una 
  dipendenza politico-operativa, caratterizza un contributo alla prassi rivoluzionaria 
  sganciandolo dall'inquadramento politico-operativo più generale dei problemi 
  che vengono affrontati e delle finalità perseguite, e del genericismo, 
  causa ed effetto di una posizione di adesione che non si misura con il dettaglio 
  dei problemi concreti assunti soggettivamente, ma con i problemi di discriminazione 
  di una posizione di schieramento o interpretativa.
  Altro limite può vedersi nell'immediatismo, cioè l'attenzione 
  rivolta esclusivamente all'aspetto specifico del problema o dell'attività 
  a cui si vuole dare soluzione, ad una necessità particolare che si vede 
  in funzione dell'avanzamento della prassi rivoluzionaria, limite questo che, 
  nonostante il volontarismo e l'abnegazione rivoluzionaria, può portare 
  all'inefficacia nell'attività, perchè essa è inquadrata 
  in una progettualità e in uno scontro politico-militare, ma può 
  portare anche alla difficoltà di fare di questa prassi un'occasione di 
  avanzamento nella costruzione soggettiva, dell'impianto teorico atto ad impostare 
  una prassi più avanzata: oppure alla difficoltà a confrontarsi 
  con problemi nuovi e complessi che, se mai affrontati e in assenza di un'impostazione 
  che sappia riarticolare scelte funzionali alla progettualità rivoluzionaria, 
  di fronte a novità e complessità particolari, possono mettere 
  in crisi.
  Un ulteriore aspetto in cui si manifesta lo spontaneismo può essere anche 
  la difficoltà ad operare in una dimensione organizzata, una dimensione 
  organizzata che si differenzia dall'organizzazione di classe sul piano rivendicativo 
  (anche quando questa rivendicazione assume un carattere offensivo), la quale 
  non determina il proprio agire in relazione al problema di produrre un movimento 
  unitario e unico nella diversità, di avanzamento rispetto ad obiettivi 
  strategici, congiunturali, e secondo una linea che costituisce sintesi tra fine 
  e mezzo. Una dimensione organizzativa che risponde quindi a leggi e problematiche 
  proprie dell'operare collettivo, su questo piano, e influenzate dai termini 
  di strategia politica, di collocazione di classe, di condizioni storiche, fattori 
  questi, che trovano sempre il modo di affermarsi come aspetti concreti e materiali. 
  Dallo spontaneismo, infine, può dipendere anche la difficoltà 
  di riadeguarsi ai caratteri particolari dell'operare sul terreno della Guerra 
  di Classe di Lunga Durata, che è piano assunto soggettivamente e offensivamente 
  come unica prospettiva per dare sbocco rivoluzionario alle contraddizioni di 
  classe, i cui caratteri, in questa fase, non sono il prodotto spontanei dello 
  scontro sociale o della vita civile. Anche quei caratteri di offensività 
  proletaria che possono prodursi spontaneamente sul piano dello scontro di classe, 
  sono inadeguati rispetto ad una prassi che colloca l'agire offensivo sul piano 
  degli interessi generali e storici del proletariato in una dimensione storicamente 
  continua, scientifica e organizzata.
  Il rapporto con le necessità imposte dall'operare offensivamente nello 
  scontro, e l'essere inseriti in una relazione organizzata, che rapporta istanze 
  superiori e inferiori, mette immediatamente in evidenza gli aspetti inadeguati 
  della disposizione spontanea sul terreno rivoluzionario. Il confronto tra, gli 
  obietti generali che si perseguono, rappresentati concretamente dalle realizzazioni 
  programmatiche da attuare, i problemi della prassi, la dimensione organizzata, 
  nel momento in cui si opera un riadeguamento rispetto alle modalità spontanee 
  con cui si è operato, e si analizza teoricamente il limite legato all'inefficacia, 
  produce necessariamente un passaggio di approfondimento nella responsabilizzazione 
  complessiva, e negli strumenti cognitivi per sostanziare l'autonomia politico-operativa.
  Queste tematiche e contraddizioni, trovano in generale spazio significativo 
  nel dibattito delle forze organizzate impegnate in processi rivoluzionari, finalizzate 
  all'instaurazione della dittatura rivoluzionaria del proletariato, in particolar 
  modo nella fase di costruzione del Partito. Ciò è dato dal carattere 
  sociale e politico della Rivoluzione Proletaria, dai termini che informano il 
  ruolo dell'avanguardia comunista nello scontro, dalla concezione comunista di 
  tale ruolo e del rapporto avanguardia/masse, concezione connessa alla tesi che, 
  la coscienza rivoluzionaria, viene portata alla classe dall'esterno, un esterno 
  che però politicamente non va inteso come riferito nè al ruolo 
  degli intellettuali, nè ad un ruolo didattico del Partito, ma va riferito 
  al collocarsi dell'operato rivoluzionario sul piano politico dello scontro generale 
  tra le classi, o in esso, all'approfondimento della contraddizione antagonistica 
  tra proletariato e borghesia attraverso la contrapposizione, nella lotta per 
  il potere, degli interessi generali e storici delle due classi antagonistiche. 
  L'avanguardia rivoluzionaria svolge un ruolo imprescindibile rispetto allo sviluppo 
  dello scontro rivoluzionario, se e perchè, opera in funzione dell'affermazione 
  dell'interesse generale e storico della classe, un'operare che si sviluppa per 
  linee interne alle masse, ma che è un piano esterno rispetto alle contraddizioni 
  sociali capitalistiche particolari e congiunturali, è appunto il piano 
  generale e storico.
  Questa concezione, riportata sul piano dell'organizzazione comunista da costruire, 
  concepisce il Partito come Partito di quadri. Da questo se ne ricava come, il 
  problema del superamento dei caratteri spontaneistici presenti nella soggettività 
  di classe, sia problema generale, da affrontare programmaticamente nella costruzione 
  del Partito e dell'O.C.C. che agisce da Partito per costruire il Partito. Si 
  capisce quindi, come le tendenze all'esecutivismo, all'immediatismo, al genericismo, 
  all'ideologismo, siano espressioni di spontaneismo che si contrappongono alla 
  costruzione di una forza rivoluzionaria e siano contraddittorie, quindi, con 
  la progettualità e con la finalità in cui ci si riconosce, anche 
  se questo riconoscimento è dato con tutta l'onestà rivoluzionaria 
  possibile e come la lotta contro tali tendenze, operata non ideologicamente 
  ma per l'affermazione di soluzioni concrete funzionali all'avanzamento della 
  prassi rivoluzionaria, sia un fattore del processo di selezione che distingue 
  il ruolo dell'avanguardia comunista e della ricostruzione degli strumenti per 
  attrezzarne l'esercizio, dal complesso dei ruoli e delle condizioni che vanno 
  ricostruiti nella Fase Rivoluzionaria della Ricostruzione delle Forze.
  Se queste tematiche hanno spazio in genere nel dibattito dei comunisti, in questa 
  fase assumono problematicità e caratteri particolari. La fase attuale, 
  infatti, è caratterizzata dal nodo della Ricostruzione delle Forze, connotato 
  dalla contraddizione costruzione/formazione e dal permanere di una tendenza 
  di depoliticizzazione legata al processo controrivoluzionario e al conseguente 
  agire offensivo dello Stato rispetto al governo delle contraddizioni sociali, 
  alla ridefinizione della mediazione politica e della funzionalizzazione della 
  politica neo-corporativa a sostenere una condizione di governabilità 
  interna che pur in un contesto critico, consenta la assunzione di ruolo politico-militare 
  dello Stato sul piano internazionale. La discontinuità dell'intervento 
  rivoluzionario capace di incidere al livello più alto dello scontro, 
  è un fattore concreto di queste contraddizioni.
  Rispetto a questi nodi, i militari rivoluzionari che hanno operato nei N.C.C. 
  hanno affrontato la Ricostruzione esercitando un ruolo d'avanguardia rispetto 
  al non politico generale dello scontro rivoluzionario, dando una prima soluzione 
  al problema della discontinuità attraverso il rilancio dell'iniziativa 
  politico-offensiva nei nodi politici centrali dello scontro di classe, e misurandosi 
  con il problema di estendere e approfondire il processo di costruzione presente 
  nell'iniziativa rivoluzionaria all'aggregazione di forza ottenuta. Avanzare, 
  necessariamente significa trasformare l'attacco in costruzione per operare ad 
  un nuovo attacco nel quadro di gestione del complesso di aspetti prodottisi 
  con il proprio operato.
  La costruzione di un O.C.C. attraverso l'esercizio di un ruolo complessivo d'avanguardia 
  nello scontro è in rapporto con il problema di costruire-formare delle 
  avanguardie politico-militari, a partire dallo sviluppo dell'autonomia politico-operativa 
  e della responsabilizzazione complessiva come termini per l'avanzamento verso 
  l'agire da partito per costruire il Partito.
  Un processo in cui l'assegnazione, l'assunzione e la gestione dell'attività 
  in termini di direzione-conduzione è collocare lo sviluppo dell'autonomia 
  politico-operativa e la responsabilizzazione complessiva nel quadro della dimensione 
  organizzativa del lavoro rivoluzionario, e il metodo politico-organizzativo 
  è il mezzo per l'assunzione di iniziativa nella proposta e nell'attività, 
  rispetto ai problemi generali e particolari della prassi rivoluzionaria.
  Metodo di conduzione politica dell'attività a tutti i livelli (cioè 
  di esecuzione di ogni attività progettata) che costituisce uno strumento 
  politico-organizzativo che, a prescindere dal livello di competenza espresso, 
  può consentire un affrontamento della prassi idoneo all'efficacia politica 
  e che consiste in quell'impostazione e quelle pratiche che consentono di connettere 
  i compiti parziali ad una responsabilità progettuale, intendendo con 
  ciò il progetto politico dell'o., come fattore che media le finalità 
  rivoluzionarie nel rapporto tra soggettività e realtà sociale 
  storica. Un metodo che parte dalla definizione del nodo politico-organizzativo 
  a cui dare soluzione - procede con l'individuazione di un'attività idonea 
  allo scopo - per definire preventivamente gli elementi costitutivi di ogni attività 
  -politici, tecnici, operativi- per l'individuazione delle caratteristiche problematiche 
  di un lavoro in riferimento alle finalità complessive- per la gestione 
  dei tempi funzionalizzata alle esigenze di centralizzazione - fino alla conduzione 
  dell'esecuzione - e al bilancio tecnico e politico dei risultati ottenuti, concludentesi 
  con la centralizzazione del patrimonio d'esperienza realizzato. E che quando 
  non può valersi di un patrimonio teorico pratico sviluppato si affida 
  all'attivazione pratica con carattere sperimentale, cioè a una prassi 
  svolta mantenendo un approccio di ricerca rispetto ai nodi problematici da sciogliere, 
  rispetto a cui si cercano elementi oggettivi funzionali a darne definizione 
  teorica, che possa sviluppare un'esecuzione idonea al massimo dell'efficacia. 
  Esso costituisce uno strumento fondamentale affinchè la ricostruzione 
  delle forze che viene perseguita, operi al contempo alla formazione di avanguardie 
  complessive, in quanto costituisce l'alternativa concreta e funzionale all'efficacia 
  della prassi, agli aspetti di spontaneismo, ideologismo, immediatismo, inesperienza 
  a lavorare in modo organizzato e sul terreno politico-militare, che connotano 
  mediamente la soggettività rivoluzionaria oggi. Se il metodo politico-organizzativo 
  è lo strumento per esprimere e costruire autonomia politico-operativa 
  ed esercitare responsabilità politica, l'autonomia politica è 
  rapportarsi autonomamente, nelle scelte che si devono compiere per condurre 
  la prassi rivoluzionaria, al patrimonio collettivo, espressione storica e politica 
  dei termini generali della progettualità rivoluzionaria, patrimonio in 
  continuo avanzamento rispetto al rapporto che la prassi innesca con la realtà, 
  e alla teorizzazione generale che si opera di essa e che si collega ai termini 
  teorici storici.
  Patrimonio che si concorre a definire in relazione alla propria specifica collocazione 
  e percorso, e che vede la necessità di partecipazione e dialettica, proprio 
  al fine di sviluppare un patrimonio massimamente efficace nel rapporto di trasformazione 
  rivoluzionaria della realtà. Il piano aggiornato con cui il patrimonio 
  d'organizzazione stabilisce una relazione storica con i termini di progettualità 
  politico-strategica, la collocazione in questo quadro degli elementi di contraddizione 
  e di avanzamento emersi nella prassi svolta, concorrono ad impostare la definizione 
  di una "linea politica generale" che, riferendosi alle problematiche 
  di fase, deve vivere funzionalmente in tutte le definizioni e realizzazioni 
  programmatiche, per consentire quel movimento centralizzato in cui tutte le 
  attività possono essere funzionali all'avanzamento complessivo. Linea 
  che ha poi diversi momenti di specificazione, nascenti dalle difficoltà 
  che scaturiscono dal collocarla materialmente nei momenti attuativi.
  Metodo politico-organizzativo e riferimento alla linea politica generale come 
  orientamento relativo agli aspetti generali del quadro politico entro cui si 
  colloca lo specifico nodo politico-organizzativo da affrontare, costituiscono 
  gli assi principali intorno a cui può operarsi un processo di formazione 
  delle forze rivoluzionarie.
  L'aspetto della costruzione delle forze rivoluzionarie vede nella disposizione 
  delle forze sul programma, il piano centralizzato su cui si definiscono le attività 
  che le forze devono condurre e la suddivisione delle responsabilità necessaria. 
  Anche la disposizione delle forze sul programma può essere operata progettualmente 
  sintetizzando, nel calibramento dei compiti, gli elementi che consentono l'efficacia 
  nelle realizzazioni programmatiche con l'avanzamento del complesso dei termini 
  necessari per andare a sciogliere il nodo di fase, cioè la Ricostruzione 
  di un'Organizzazione Comunista Combattente che agisca da partito per costruire 
  il Partito, tra cui lo sviluppo dell'autonomia politico-operativa, quale obiettivo 
  legato a questo nodo e ai caratteri della tappa attuale. Progettazione della 
  disposizione delle forze sul programma che si dimostra efficace, sul piano tanto 
  delle realizzazioni programmatiche, specifiche, che della costruzione politico-organizzativa, 
  in relazione alla capacità derivante dalla prassi concreta, e dalla sua 
  analisi scientifica, di analizzare i compiti e le responsabilità, capendone 
  il livello di complessità e di complementarità con altri compiti 
  e ruoli.
  In sintesi: ideologismo e spontaneismo, ed esecutivismo e genericismo, come 
  portato dei primi, costituiscono i limiti di formazione dell'autonomia di classe 
  che si dispone sul piano rivoluzionario, che solo le fratture soggettive necessarie 
  per l'assunzione di una responsabilità di avanguardia, l'adozione del 
  metodo politico-organizzativo e il riferimento conseguente alla linea generale 
  che viene definita possono governare-superare, mettendo in grado di assumere 
  il metodo prassi-teoria-prassi come riferimento reale e non formale dell'agire 
  rivoluzionario, consentendo di costruire un patrimonio politico-operativo collettivo 
  e di accedervi, consentendo di qualificare l'identità comunista e di 
  stabilizzarla a livello di concezione della realtà e del proprio ruolo 
  di avanguardia in essa. Al contempo, la costruzione di una O.C.C. si misura 
  con la costruzione di quegli strumenti e passaggi politico-organizzativi che 
  ne consentono la mobilitazione e l'azione programmata
  (progettazione-programmazione-pianificazione-esecuzione-verifica), i termini 
  dei quali si definiscono nel processo prassi-teoria-prassi e nel maturarsi di 
  quelle condizioni politiche e materiali che consentono di sperimentarli e ricentrarli, 
  e che, a loro volta, costituiscono la concretizzazione di un metodo politico-organizzativo 
  del lavoro collettivo, nel quale ogni compito, seppur parziale costituisce momento 
  di esercizio di un ruolo di avanguardia che collega, nella definizione degli 
  obiettivi dell'agire e del modo di operare per conseguirli, l'aspetto della 
  progettazione politica, cioè dell'articolazione funzionale della linea 
  politico-generale e della progettualità, alla programmazione e pianificazione 
  sviluppata con metodo scientifico, alla conduzione dell'esecuzione, al bilancio 
  e riadeguamento della prassi, alla centralizzazione dei risultati, problemi 
  e patrimonio. La prassi evidenzia come i piani di fondo su cui avanza la ricostruzione 
  di una forza rivoluzionaria siano: la qualificazione dei caratteri d'avanguardia, 
  esprimibili nell'esercizio di conduzione dell'attività a tutti i livelli, 
  come espressione di autonomia politico-operativa e di responsabilizzazione complessiva, 
  la regolarizzazione degli apporti, e la militanza regolare.
  Su questi poggia la possibilità di trasformare lo stadio aggregativo 
  delle forze rivoluzionarie, in Organizzazione Comunista Combattente, e questo 
  è un processo che, per quanto abbia conseguito il significativo passaggio 
  del rilancio dell'iniziativa combattente e dell'esercizio di un ruolo di direzione 
  politica nello scontro, è solo avviato, e ha come propria tappa la costruzione 
  di un'O.C.C. che agisca da partito per costruire il Partito e, che, in quanto 
  tale, possa costituire il Nucleo Fondante il Partito.
  E' perciò questo l'obiettivo che le Br-Pcc propongono alle avanguardie 
  rivoluzionarie congiuntamente all'obiettivo della ricostruzione del complesso 
  di strumenti politico-militari-teorici e organizzativi necessari al campo proletario 
  per sostenere lo scontro prolungato con lo Stato per l'affermazione degli interessi 
  generali della classe. Parallelamente, alle forze e istanze rivoluzionarie e 
  antimperialiste della nostra area geopolitica, le Br-Pcc propongono la costruzione 
  del Fronte Antimperialista Combattente per la realizzazione di attacchi convergenti 
  e comuni contro le politiche centrali dell'imperialismo al fine di indebolirne 
  il dominio, quadro entro cui sviluppare i processi rivoluzionari nei singoli 
  paesi.
  Attaccare e disarticolare il progetto neo-corporativo, cuore politico della 
  rifunzionalizzazione dello Stato imperialista e della ristrutturazione economico-sociale 
  in Italia Costruire le condizioni della guerra di classe di lunga durata per 
  la conquista del potere politico e la dittatura del proletariato Rilanciare 
  la prospettiva della presa del potere politico come sbocco alla crisi della 
  borghesia o alla sua guerra, e unico piano di avanzamento della lotta di classe 
  Agire da partito per costruire il Partito Comunista Combattente Attaccare la 
  coesione europea che rafforza la B.I. nei confronti del proletariato del centro 
  imperialista e dei paesi dominanti Attaccare la Nato e lo sviluppo della guerra 
  imperialista Promuovere la costruzione del Fronte Antimperialista Combattente 
  Trasformare la guerra imperialista in avanzamento della guerra di classe e rivoluzionaria 
  
  Guerra alla guerra
  Onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti
  BRIGATE ROSSE per la costruzione del PARTITO COMUNISTA COMBATTENTE