Biblioteca Multimediale Marxista
Signori Giudici,
mai un avvocato ha dovuto esercitare il suo ufficio in tal difficili condizioni;
mai contro un accusato sono state commesse un tal cumulo di irregolarita'
schiaccianti. L'uno e l'altro sono in questo caso la stessa persona. Come
avvocato, non ho potuto vedere il verbale ne' lo vedro' e, come accusato,
da settantasei giorni sono chiuso in una cella solitaria, totalmente e assolutamente
isolato, oltre tutte le prescrizioni umane e legali.
Chi sta parlando aborrisce con tutta la sua anima la vanita' puerile e non
sono parte del suo animo ne' del suo temperamento qualsiasi posa da tribuno
ne' sensazionalismi di nessun tipo. Se ho dovuto assumere la mia propria difesa
davanti a questo tribunale e' per due motivi. Il primo perche' praticamente
mi si privo' di essa completamente; il secondo perche' solo chi era stato
ferito tanto profondamente e aveva visto tanto indifesa la patria e avvilita
la giustizia, puo' parlare in una occasione come questa con parole che siano
sangue del cuore e organi vitali della verita'. [...]
Signori Giudici, quante pressioni si sono esercitate affinche' mi si spogliasse
anche di questo diritto consacrato a Cuba da lunga tradizione. Il tribunale
non pote' acconsentire a tali pretese perche' era gia' lasciare un accusato
al colmo della mancanza di difesa. Questo accusato che sta esercitando ora
questo diritto, per nessuna ragione al mondo omettera' di dire quello che
deve dire. [...]
Vi ricordo che le vostre leggi di procedimento stabiliscono che il giudizio
sara' "orale e pubblico"; senza dubbio, si e' impedito al popolo
l'entrata a questa sessione. Solo hanno lasciato passare due avvocati e sei
giornalisti, nei periodici dei quali la censura non permettera' pubblicare
una sola parola. Vedo che ho per unico pubblico, in sala e nei corridoi, circa
cento tra soldati e ufficiali. Grazie per la seria e amabile attenzione che
mi state prestando! Che appaia di fronte a me tutto l'Esercito! Io so che
un giorno ardera' dal desiderio di lavare la terribile macchia di vergogna
e di sangue che le ambizioni di un gruppo di persone senza anima ha lanciato
sopra le uniformi militari. [...]
Per ultimo devo dire che non si lascio' passare nella mia cella nessuno trattato
di Diritto Penale. Solo posso disporre di questo minuscolo codice che mi ha
prestato un avvocato, il valente difensore dei miei compagni: il Dott. Baudilio
Castellanos. Allo stesso modo si proibi' che giungessero nelle mie mani i
libri di Marti' [3]: sembra che la censura del carcere li considero' troppo
sovversivi. O sara' forse perche' io dissi che Marti' era l'autore intellettuale
del 26 luglio? [...]
Non importa in assoluto! Porto nel cuore le dottrine del Maestro [4] e nel
pensiero le nobili idee di tutti gli uomini che hanno difeso la liberta' di
tutti i popoli.
Solo una cosa chiedo al tribunale; spero che me la conceda, come compensazione
di tanto eccesso e arbitrarieta' che ha dovuto soffrire questo accusato senza
protezione alcuna delle leggi: che si rispetti il mio diritto ad esprimermi
in piena liberta'. Senza di cio' non potrete soddisfare neanche la mera apparenza
di giustizia e l'ultimo anello della catena sarebbe, piu' di nessun altro,
di ignominia e codardia.
Confesso che qualcosa mi ha sorpreso. Pensavo che il Pubblico Ministero sarebbe
venuto con una accusa terribile disposto a giustificare sino alla sazieta'
le pretese e i motivi per i quali in nome del diritto e della giustizia -
e di quale diritto e di quale giustizia? - mi si deve condannare a ventisei
anni di prigione. Pero' no. Si e' limitato esclusivamente a leggere l'articolo
148 del Codice di Difesa Sociale, secondo il quale, piu' circostanze aggravanti,
sollecita per me la rispettabile quantita' di ventisei anni di prigione. Due
minuti mi sembrano molto poco tempo per chiedere e giustificare che un uomo
passi al chiuso piu' di un quarto di secolo. E' forse per caso il Pubblico
Ministero disgustato del Tribunale? [...] Comprendo che e' difficile, per
un Pubblico Ministero che ha giurato fedelta' alla Costituzione della Repubblica,
venire qui in nome di un governo incostituzionale, statuario, di nessuna legalita'
e minor moralita', a chiedere che un giovane cubano, avvocato come lui, chissa'
... altrettanto decente come lui, sia inviato a ventisei anni di carcere.
Pero' il Pubblico Ministero e' un uomo di talento e io ho visto persone, con
meno talento di lui, scrivere lunghe arringhe [...]
Signori Giudici: perche' tanto interesse a che io taccia? [...] E' che manchi
completamente la base giuridica, morale e politica per focalizzare seriamente
la questione? E' che si teme tanto la verita'? E' che si desidera che anche
io parli per due minuti e che non tocchi qui i punti che non lascia dormire
a certa gente dal 26 luglio? [...] non accettero' mai questo bavaglio, perche'
in questo giudizio si sta dibattendo qualcosa in piu' della semplice liberta'
di un individuo: si discute di questioni fondamentali di principio, si dibatte
delle basi stesse della nostra esistenza come nazione civilizzata e democratica.
[...]
[...] il Pubblico Ministero non merita neanche un minuto di replica. [...]
E' un principio elementare del Diritto Penale che il fatto imputato debba
accordarsi esattamente al tipo di delitto prescritto dalla legge. Se non c'e'
legge esattamente applicabile al punto controverso, non c'e' delitto.
L'articolo in questione dice testualmente: "Si imporra' una sanzione
di privazione della liberta' da tre a dieci anni all'autore di un atto diretto
a promuovere un sollevamento di gente armata contro i Poteri Costituzionali
dello Stato. La sanzione sara' la privazione da cinque a dieci anni se si
porta ad effetto l'insurrezione" In che paese sta vivendo il Pubblico
Ministero? Chi le ha detto che noi abbiamo promosso un sollevamento contro
i Poteri Costituzionali dello Stato? Due cose risaltano alla vista. In primo
luogo, la dittatura che opprime la nazione non e' un potere costituzionale,
ma semmai incostituzionale; nacque contro la Costituzione, oltre la Costituzione,
violando la Costituzione legittima della Repubblica. La Costituzione legittima
e' quella che emana direttamente dal popolo sovrano. [...] In secondo luogo,
l'articolo parla di Poteri Costituzionali, vale a dire, al plurale, non al
singolare, perche' considera il caso di una Repubblica retta da un Potere
Legislativo, un Potere esecutivo e un Potere Giuridico che si equilibrano
e si contrappesano uno con l'altro. Noi abbiamo promosso una ribellione contro
un potere unico, illegittimo, che ha usurpato e riunito in uno solo i Poteri
Legislativo, Esecutivo e Giuridico della Nazione, distruggendo tutto il sistema
che precisamente cercava di proteggere l'articolo del codice che stiamo analizzando.
[...]
Vi avverto che vo a iniziare. Se nelle vostre anime resta ancora un pezzetto
di amore per la patria, di amore per l'umanita', di amore per la giustizia,
ascoltatemi con attenzione. So che mi si obblighera' al silenzio per molti
anni; so che cercheranno di occultare la verita' con tutti i mezzi possibili;
so che contro di me si alzera' la congiura dell'oblio. Pero' non per questo
la mia voce si risparmiera' [...]
Ascoltai il dittatore il lunedi' 27 luglio [...] L'accumulo di menzogne e
calunnie che pronuncio' nel suo linguaggio turpe, odioso e ripugnante, solo
si puo' comparare con l'enorme quantita' di sangue giovane e limpido che dalla
notte prima stava spargendo, con sua conoscenza, consenso, complicita' e plauso,
la turba piu' crudele di assassini che possa mai concepirsi. [...]
E' necessario che mi occupi un po' del considerare i fatti. Si disse, da parte
del governo stesso, che l'attacco fu realizzato con tanta precisione e perfezione
che evidenziava la presenza di esperti militari nella elaborazione del piano.
Niente di piu' assurdo. Il piano fu tracciato da un gruppo di giovani nessuno
dei quali aveva esperienza militare; e rivelo i loro nomi, meno due di loro
che non sono ne' morti ne' catturati: Abel Santamaria, Jose' Luis Tasende,
Renato Guitart Rosell, Pedro Miret, Jesus Montane' e colui che parla. La meta'
sono morti, e con giusto tributo alla loro memoria posso dire che non erano
esperti militari, pero' avevano patriottismo sufficiente per dare, a parita'
di condizioni, una sonora lezione a tutti quanti i generali del 10 marzo (allusione
ai generali che appoggiarono il colpo di Stato di Fulgencio Batista il 10
marzo del 1952, N.d.T.) che non sono militari ne' patrioti. [...]
E' ugualmente certo che l'attacco si realizzo' con coordinazione magnifica.
[...]
Abel Santamaria con ventuno uomini aveva occupato l'Ospedale Civile; con lui
c'erano un medico e due nostre compagne per accudire i feriti. Raul Castro,
con dieci uomini, occupo' il Palazzo di Giustizia; e a me tocco' attaccare
l'accampamento con il resto, novantacinque uomini. Arrivai con un primo gruppo
di quarantacinque, preceduto da un'avanguardia di otto [...] Il gruppo di
riserva, che era in possesso di quasi tutte le armi lunghe, dato che le corte
andavano all'avanguardia, prese per una via sbagliata e si perse completamente
in una citta' che non conoscevano. [...]
Si fecero sin dai primi momenti numerosi prigionieri, circa venti, e ci fu
un momento in cui tre nostri uomini [...] Ramiro Valdez, Jose Suarez e Jesus
Montane', riuscirono ad entrare in una baracca e a detenere li' per un certo
tempo circa cinquanta soldati. Questi prigionieri testimoniarono davanti al
Tribunale, e tutti senza eccezione hanno riconosciuto che furono trattati
con assoluto rispetto, senza dover soffrire neanche una parola di insulto.
[...]
La disciplina da parte dell'Esercito fu abbastanza scarsa. Vinsero alla fine
per il numero, che dava loro una superiorita' di 15 ad uno, e per la protezione
che loro forniva la difesa della fortezza. [...]
Quando mi convinsi che tutti i nostri sforzi per prendere la fortezza erano
gia' vani, cominciai a ritirare i nostri uomini a gruppi di otto e dieci.
La ritirata fu protetta da sei cecchini che al comando di Pedro Miret e di
Fidel Labrador, bloccarono eroicamente il passo all'Esercito. Le nostre perdite
nella lotta erano state insignificanti. Il gruppo dell'Ospedale Civile non
ebbe piu' di una vittima; il resto fu vinto dal situarsi delle truppe dell'esercito
di fronte all'unica uscita dell'edificio, e soltanto deposero le armi quando
non rimaneva loro piu' neanche un proiettile. Con loro stava Abel Santamaria,
il piu' generoso, amato ed intrepido dei nostri giovani, la cui gloriosa resistenza
lo rende immortale davanti alla storia di Cuba. Vedremo la sorte che loro
tocco' e come desidero' sradicare Batista la ribellione e l'eroismo della
nostra gioventu'.
I nostri piani erano di proseguire la lotta sulle montagne in caso di insuccesso
dell'attacco al reggimento. Potei riunire un'altra volta, a Siboney, un terzo
delle nostre forze; pero molti si erano gia' persi d'animo. Una ventina decisero
di consegnarsi; gia' vedremo che cosa fu di loro. Il resto, diciotto uomini,
con le armi e l'attrezzatura che rimanevano, mi seguirono sulle montagne.
Il terreno era a noi perfettamente sconosciuto. Durante una settimana occupammo
la parte alta della Cordigliera della Grande Pietra e l'Esercito occupo' la
base. Ne' noialtri potevamo scendere ne' loro si decisero a salire. Non furono,
dunque, le armi; furono la fame e la sete che vinsero l'ultima resistenza.
Dovetti distribuire gli uomini in piccoli gruppi: alcuni riuscirono a filtrare
attraverso le linee dell'esercito, altri furono consegnati da monsignor Perez
Serantes. Quando solo restavano con me due compagni: Jose Suarez e Oscar Alcalde,
tutti e tre totalmente stremati, all'alba di sabato 1° di agosto, una
forza al comando del tenente Sarria ci sorprese dormendo. Gia' la mattanza
dei prigionieri era cessata in seguito alla tremenda reazione che provoco'
nella cittadinanza, e questo ufficiale, uomo di onore, impedi' che alcuni
assassini ci uccidessero [...]
Si e' ripetuto con molta enfasi da parte del governo che il popolo non assecondo'
il movimento. mai avevo udito una affermazione tanto ingenua e, al tempo stesso,
tanto piena di malafede. Pretendono evidenziare con cio' la sottomissione
e codardia del popolo [...] Se il Moncada fosse caduto in mano nostra persino
le donne di Santiago di Cuba avrebbero impugnato le armi!
Molti fucili furono caricati ai combattenti dalle infermiere dell'Ospedale
Civile! Anch'esse combatterono. Questo non lo dimenticheremo mai. [...]
Il Pubblico Ministero era molto interessato a conoscere le nostre possibilita'
di successo. Queste possibilita' si basano su ragioni di ordine tecnico-militare
e di ordine sociale.
Si e' desiderato instaurare il mito delle armi moderne come certezza della
totale impossibilita' della lotta aperta e frontale del popolo contro la tirannia.
Le sfilate militari, le grandi parate di materiale bellico, hanno per obiettivo
il fomentare questo mito e creare nella cittadinanza un complesso di assoluta
impotenza. Nessun arma, nessuna forza e' capace di vincere a un popolo che
si decide a lottare per i propri diritti. Gli esempi storici passati e presenti
sono incontestabili. E' ben recente il caso della Bolivia, dove i minatori,
con cartucce di dinamite, sconfissero e distrussero a reggimenti dell'esercito
regolare.
Pero noi cubani non dobbiamo cercare esempi in altri paesi, perche' nessuno
e' tanto eloquente come quello della nostra patria. Durante la guerra del
1895 c'erano a Cuba circa mezzo milione di soldati spagnoli in armi [...]
I cubani non disponevano in generale di altra arma che il machete, perche'
le sue cartucciere erano quasi sempre vuote. C'e' un passaggio indimenticabile
della nostra guerra di indipendenza narrato dal generale Miro' Argenter [...]
" la gente [...] in maggior parte provvista di solo machete, fu decimata
[...] Attaccarono agli spagnoli con i pugni, senza pistola [...]"
Cosi' lottano i popoli quando desiderano conquistare la propria liberta':
tirano pietre agli aerei e deviano i carri armati a morsi! [...]
Dissi che la seconda ragione sulla quale si basava la nostra possibilita'
di riuscita era di ordine sociale. Perche' avevamo la sicurezza di contare
sul popolo? Quando parliamo di popolo non intendiamo i settori concilianti
e conservatori della nazione, a quelli per cui va bene qualsiasi regime di
oppressione, qualsiasi dittatura, qualsiasi dispotismo, prostrandosi dinanzi
al reggente di turno sino a rompersi la fronte contro il pavimento.
Intendiamo per popolo, quando parliamo di lotta, la grande massa irredenta,
quella a cui tutti offrono e quella che tutti ingannano e tradiscono, quella
che anela una patria migliore, piu' degna, piu' giusta [...]
Noi chiamiamo popolo se di lotta si tratta, ai seicentomila cubani che stanno
senza lavoro desiderosi di guadagnarsi il pane con onore senza dover emigrare
dalla propria patria in cerca di sostentamento; ai cinquecentomila operai
stagionali della campagna che abitano in baracche miserabili, che lavorano
quattro mesi e soffrono la fame per il resto dell'anno dividendo con i propri
figli la miseria, che non hanno un fazzoletto di terra per seminare e la cui
esistenza dovrebbe muovere a piu' compassione se non ci fossero tanti cuori
di pietra; ai quattrocentomila operai industriali e braccianti le cui pensioni,
tutte, sono rapinate, [...] la cui vita e' il lavoro perenne e il cui riposo
e' la tomba; ai centomila piccoli agricoltori che vivono e muoiono lavorando
una terra che non e' loro, contemplandola sempre tristemente come Mose' alla
terra promessa, per poi morire senza mai giungere a possederla, che devono
pagare per i fazzoletti di terra come servi feudali una parte dei propri prodotti,
che non possono amarla, ne' migliorarla, ne' abbellirla, o piantare un cedro
o un arancio perche' non sanno se un giorno verra' un funzionario a dirgli
che deve andarsene; ai trentamila maestri e professori tanto pieni di abnegazione,
di sacrifici e necessari al destino migliore delle future generazioni e che
tanto male li si tratta e paga; ai ventimila piccoli commercianti appesantiti
dai debiti, rovinati dalle crisi e ammazzati dalla piaga di funzionari filibustieri
e venali; ai diecimila giovani professionisti: medici, ingegneri, avvocati,
veterinari, pedagoghi, dentisti, farmaceutici, giornalisti, pittori, scultori,
ecc., che escono dalle aule con i propri titoli desiderosi di lotta e pieni
di speranza per trovarsi poi in un vicolo senza uscita, tutte le porte chiuse,
sorde alle suppliche e al clamore. Questo e' il popolo! Quello che soffre
tutte le sue disgrazie ed e' pertanto capace di combattere con tutto il coraggio!
A questo popolo il cui cammino di angustia e' lastricato di inganni e false
promesse, non andavamo a dire: "Ti daremo" ma semmai: "Ecco
prendi, lotta ora con tutte le tue forze perche' siano tue la liberta' e la
felicita'!". [...]
Cuba potrebbe albergare splendidamente una popolazione tre volte maggiore;
non ci sono dunque ragioni perche' esista la miseria fra i suoi attuali abitanti.
[...]
A quelli che mi chiamano per questa convinzione sognatore, io rispondo con
le parole di Marti': "Il vero uomo non guarda da che lato si vive meglio,
ma da che lato sta il dovere; e questo e' l'unico uomo pratico il cui sogno
di oggi sara' la legge del domani, perche' colui che ha posto gli occhi agli
organi vitali universali e visto ribollire i popoli, tra lamenti e sangue,
nella conca dei secoli, egli sa che il divenire, senza nessuna eccezione,
sta dal lato del dovere".
Unicamente inspirati a tali elevati propositi e' possibile concepire l'eroismo
di quelli che caddero a Santiago di Cuba. Gli scarsi mezzi materiali, sui
quali dovemmo contare, impedirono il sicuro successo. [...]
I politici spendono nelle loro campagne milioni comprando coscienze, e un
pugno di cubani che desiderarono salvare l'onore della patria dovette affrontare
la morte con le mani vuote per carenza di risorse. Cio' spiega da chi e' stato
governato il paese sino ad ora, non da uomini generosi e fedeli, ma dal bassofondo
della politicheria [...] Con maggior orgoglio che mai dico che conseguente
ai nostri principi, nessun politico di ieri ci ha visti bussare alla sua porta
chiedendo un centesimo, che i nostri mezzi furono messi insieme con esempio
di sacrificio che non ha paragoni, come quello del giovane Elpidio Sosa che
vendette la sua attrezzatura e si presento' da me un giorno con trecento pesos
"per la causa; Fernando Chenard, che vendette la apparecchiatura del
studio fotografico con il quale si guadagnava da vivere; Pedro Marrero che
impegno' il suo stipendio di molti mesi e al quale fu necessario impedire
che vendesse persino i mobili della sua casa; Oscar Alcalde, che vendette
il suo laboratorio di prodotti farmaceutici; Jesus Montane', che consegno'
il denaro che aveva risparmiato per piu' di cinque anni, e cosi' nello stesso
stile molti altri, spogliandosi ognuno di quel poco che aveva.
Bisogna avere una fede molto grande nella propria patria per agire cosi',
e questi ricordi di idealismo mi portano direttamente al capitolo piu' amaro
di questa difesa: il prezzo che fu fatto loro pagare dalla tirannia per il
desiderio di liberare Cuba dalla oppressione e dalla ingiustizia. [...]
I fatti sono ancora recenti, pero' quando gli anni passeranno e il cielo della
patria si schiarira', quando gli animi esaltati si quieteranno e la paura
non turbera' piu' gli spiriti, si iniziera' allora a vedere in tutta la sua
spaventosa realta' la magnitudine del massacro, e le generazioni future rivolgeranno
terrorizzate gli occhi a questo atto di barbarie senza precedenti nella nostra
storia. Pero' non desidero che l'ira mi accechi, perche' ho bisogno di tutta
la chiarezza della mia mente e la serenita' del cuore distrutto per esporre
i fatti cosi' come occorsero, con tutta semplicita', senza drammatismi, perche'
sento vergogna come cubano, che alcuni uomini senza anima, con i suoi crimini
inqualificabili, abbiano disonorato la nostra patria dinanzi al mondo.
Non fu mai il tiranno Batista un uomo di scrupoli che tentenna prima di dire
al popolo la piu' fantastica menzogna. [...]
Le cose che affermo' il dittatore dal poligono dell'accampamento di Columbia,
sarebbero degne di risa se non fossero cosi' impappate di sangue. Disse che
gli attaccanti erano un gruppo di mercenari tra i quali c'erano molti stranieri;
[...] disse che l'attacco era stato ideato dall'ex-presidente Prio e con suo
denaro, e si e' provato sino alla sazieta' l'assenza assoluta di ogni relazione
tra questo movimento e il regime passato; disse che eravamo armati di mitragliatrici
e granate a mano, e qui i tecnici dell'Esercito hanno dichiarato che avevamo
solo una mitragliatrice e nessuna granata a mano; disse che avevamo sgozzato
la postazione di guardia, e qui sono apparsi a verbale i certificati di morte
e i certificati medici corrispondenti a tutti i soldati morti o feriti, dai
quali, risulta che nessuno presentava lesioni di arma bianca. [...]
Quando un capo di stato o chi pretende esserlo fa dichiarazioni al paese,
non parla per parlare: alberga sempre qualche obiettivo, persegue sempre un
effetto, lo anima sempre una intenzione. Se eravamo gia' stati militarmente
vinti, se gia' non rappresentavamo piu' un pericolo per la dittatura, perche'
ci si calunniava in questo modo? Se non e' chiaro che era un discorso sanguinario,
se non e' evidente che si pretendeva giustificare i crimini che si stavano
commettendo dalla notte prima e che si andavano a commettere dopo, che parlino
per me i numeri: il 27 luglio, nel suo discorso dal poligono militare, Batista
disse che gli attaccanti avevano avuto trentadue morti; alla fine della settimana
i morti salivano a piu' di ottanta. In quale battaglia, in quali luoghi, in
quali combattimenti morirono questi giovani? Prima che parlasse Batista si
erano assassinati piu' di venticinque prigionieri; dopo che parlo' se ne assassinarono
cinquanta.
Che grande senso dell'onore quello di quei militari modesti, tecnici e professionisti
dell'Esercito, che al comparire dinanzi al tribunale non deformarono i fatti,
e relazionarono attenendosi alla stretta verita'. Questi si che sono militari
che onorano l'uniforme, questi si che sono uomini! Ne' il militare ne' l'uomo
vero e' capace di macchiare la sua vita con la menzogna o il crimine. Io so
che sono terribilmente indignati con i barbari omicidi che si commisero, io
so che sentono con ripugnanza e vergogna l'odore di sangue omicida che impregna
sino all'ultima pietra il Quartiere Moncada.
Esorto il dittatore a ripetere ora, se puo', le sue vili calunnie contro le
testimonianze di questi onorevoli militari, lo esorto a che giustifichi davanti
al popolo di Cuba il suo discorso del 27 luglio, che non taccia, che parli!
Che dica se la Croce d'Onore che pose nel petto agli eroi del massacro era
per premiare i crimini ripugnanti che si commisero; che assuma sin da ora
la responsabilita' davanti alla storia e non pretenda di dire poi che furono
i soldati senza suoi ordini, che spieghi alla nazione i settanta omicidi;
fu molto il sangue! La nazione ha bisogno di una spiegazione, la nazione lo
domanda, la nazione lo esige. [...]
Non si ammazzo' durante un minuto, un'ora o un giorno intero, ma una intera
settimana, i colpi, le torture, [...] non cessarono un istante come strumento
di sterminio maneggiato da perfetti artigiani del crimine. Il Quartiere Moncada
si converti' in un laboratorio di tortura e morte, e alcuni uomini indegni
convertirono l'uniforme militare in pannelle da macellai. I muri si incrostarono
di sangue; nella parete le pallottole restarono incrostate con frammenti di
pelle e capelli umani [...]
Le mani criminali che reggono il destino di Cuba avevano scritto per i prigionieri
all'entrata di quell'antro di morte, la scritta dell'inferno: "LASCIATE
OGNI SPERANZA". [...]
Conosco molti dettagli di come si realizzarono questi crimini, per bocca di
alcuni militari che pieni di vergogna, mi riferirono le scene di cui erano
stati testimoni. [...]
Il primo prigioniero assassinato fu il nostro medico Mario Muñoz, che
non portava armi ne' uniforme e vestiva il suo camice di medico, un uomo generoso
e competente che aveva prestato cura con la stessa devozione tanto all'avversario
quanto all'amico ferito. Nel cammino dall'Ospedale Civile al Quartiere gli
spararono un colpo alla schiena e lo lasciarono li' con la bocca rivolta in
basso in una pozza di sangue. Pero' la mattanza di prigionieri non comincio'
sino alle tre del pomeriggio. Fino a questa ora si aspettarono ordini. Arrivo'
dunque dall'Avana il generale Martin Diaz Tamayo, il quale porto' istruzioni
concrete uscite da una riunione dove si trovavano Batista, il capo dell'Esercito,
il capo del SIM (Servizio di Intelligence Militare, N.d.T) e altri. Disse
che "era stata una vergogna e un disonore per l'Esercito aver avuto nel
combattimento tre volte piu' vittime degli attaccanti e che si dovevano uccidere
dieci prigionieri per ogni soldato morto" Questo fu l'ordine! [...]
Quello di cui questi uomini avevano bisogno era precisamente questo ordine.
Nelle loro mani peri' il meglio di Cuba: i piu' valorosi, i piu' onorati,
i piu' idealisti. Il tiranno li chiamo' mercenari, e li' essi stavano morendo
come eroi in mano di uomini che ricevono uno stipendio dalla Repubblica e
i quali con le armi che essa ha dato loro perche' la difendano, servono piuttosto
gli interessi di un manipolo e assassinano i migliori cittadini.
Per mezzo della tortura offrivano loro la vita se tradendo la propria posizione
ideologica si prestavano a dichiarare falsamente che Prio [6] aveva dato loro
il denaro, e come essi rifiutavano indignati la proposta, continuavano torturandoli
orribilmente. [...]
Le fotografie non mentono e quei cadaveri appaiono distrutti. [...]
Questo lo fecero per molti giorni e assai pochi prigionieri di quelli che
erano detenuti sopravvissero. [...]
Signori Giudici, dove stanno i nostri compagni detenuti nei giorni 26, 27,
28 e 29 luglio che si sa erano settanta nella zona di Santiago di Cuba? Solamente
tre e le due ragazze sono ricomparsi; [...]
Dove stanno i nostri compagni feriti? Solo cinque sono comparsi; i restanti
furono ugualmente assassinati. Qui, al contrario, hanno sfilato venti militari
che furono nostri prigionieri e che secondo le loro stesse parole non ricevettero
neanche una offesa. Qui hanno sfilato trenta feriti dell'Esercito, molti di
loro in combattimenti sulla strada, e nessuno di essi fu giustiziato. Se l'Esercito
ebbe diciannove morti e trenta feriti, com'e' possibile che noi abbiamo avuto
ottanta morti e cinque feriti? [...]
Come puo' spiegarsi la favolosa proporzione di sedici morti per un ferito,
se non giustiziando i feriti nell'ospedale stesso e assassinando poi gli indifesi
prigionieri? Questi numeri parlano senza possibile replica. "E' una vergogna
e un disonore per l'Esercito aver avuto nel combattimento un numero di vittime
tre volte superiore agli attaccanti; bisogna ammazzare dieci prigionieri per
ogni soldato morto ..." Questo e' il concetto che hanno dell'onore i
caporali divenuti generali il 10 di marzo [7], e questo e' l'onore che desiderano
imporre all'Esercito nazionale. Onore falso, onore di apparenza che si basa
sulla menzogna, la ipocrisia e il crimine; assassini che plasmano con il sangue
una maschera di onore. Chi disse loro che morire combattendo e' un disonore?
Chi disse loro che l'onore di un Esercito consiste nell'assassinare feriti
e prigionieri di guerra? In guerra gli eserciti che assassinano i prigionieri
si sono sempre guadagnati il disprezzo e l'esecrazione del mondo. [...]
Il militare di onore non assassina il prigioniero indifeso dopo il combattimento,
ma lo rispetta; non giustizia il ferito, ma lo aiuta; impedisce il crimine
e se non puo' impedirlo fa come quel capitano spagnolo che sentendo gli spari
con cui si fucilavano gli studenti ruppe indignato la sua spada e rinuncio'
di continuare a servire quell'esercito. [...]
Per i miei compagni morti non chiedo vendetta. Dato che le loro vite non avevano
prezzo, non potrebbero pagarla con la loro tutti i criminali messi insieme.
Non e' con il sangue che si puo' pagare la vita dei giovani che morirono per
il bene di un popolo; la felicita' di questo popolo e' l'unico prezzo degno
che si puo' pagare per quelle vite.
In piu' i miei compagni non sono dimenticati, ne' morti; vivono oggi piu'
che mai e i suoi assassini devono vedere terrorizzati come sorge dai loro
cadaveri eroici lo spettro vittorioso delle loro idee. Che parli per me l'Apostolo:
"C'e' un limite al pianto durante la sepoltura dei morti, ed e' l'amore
infinito per la patria e la gloria che si vede sopra i loro corpi, che non
teme, non si abbatte ne' mai si indebolisce; perche' i corpi dei martiri sono
l'altare piu' bello della dignita' ".
... Quando si muore
Nelle braccia della patria gradita,
La morte finisce, la prigione si rompe;
Comincia alla fine, con il morir, la vita!
Fin qui mi sono attenuto quasi esclusivamente ai fatti. Come non dimentico
che sto davanti ad un Tribunale di Giustizia che mi giudica, dimostrero' ora
che unicamente dalla nostra parte sta il diritto e che la sanzione imposta
ai miei compagni e quella che si pretende di impormi, non hanno giustificazione
dinanzi alla ragione, dinanzi alla societa' e dinanzi alla vera giustizia.
[...]
Sto per narrarvi una storia. C'era una volta una Repubblica. Aveva la sua
Costituzione, le sue leggi, le sue liberta'; Presidente, Parlamento, Tribunali;
tutti potevano riunirsi, associarsi, parlare e scrivere in piena liberta'.
Il governo non soddisfaceva il popolo, pero' il popolo poteva cambiarlo e
gia' mancavano alcuni giorni per farlo. Esisteva una opinione pubblica rispettata
e riverita e tutti i problemi di interesse collettivo erano discussi liberamente.
C'erano partiti politici, ore dottrinali di radio, programmi polemici della
televisione, atti pubblici e nel popolo palpitava l'entusiasmo. Questo popolo
aveva sofferto molto e se non era felice, desiderava esserlo e aveva diritto
a cio'. Lo avevano ingannato molte volte e guardava al passato con vero terrore.
Credeva ciecamente che questo non poteva tornare; era orgoglioso del suo amore
per la liberta' e viveva convinto che essa sarebbe stata rispettata come cosa
sacra; sentiva una fiducia nobile nella sicurezza che nessuno potesse provare
a commettere il crimine di attentare contro le proprie istituzioni democratiche.
Desiderava un cambiamento, un miglioramento, un progresso e lo vedeva vicino.
Tutta la sua speranza stava nel futuro.
Povero popolo! Una mattina la cittadinanza si sveglio' di soprassalto; nelle
ombre della notte gli spettri del passato avevano congiurato mentre essa dormiva,
e ora la tenevano afferrata per le mani, per i piedi e per il collo. [...]
Non, non era un incubo; si trattava della triste e terribile realta': un uomo
chiamato Fulgencio Batista aveva commesso il crimine che nessuno pensava.
Successe dunque che un umile cittadino di quel popolo, che desiderava credere
nelle leggi della Repubblica e nell'integrita' dei suoi giudici [...] cerco'
un codice di Difesa Sociale per vedere che castigo prescriveva la societa'
per l'autore di un simile fatto e lo trovo' come segue:
"Incorrera' nella sanzione di privazione della liberta' da sei a dieci
anni colui che effettuera' qualsiasi atto diretto a cambiare in tutto o in
parte, per mezzo della violenza, la Costituzione dello Stato o la forma di
governo stabilita."
"Si imporra' una sanzione di privazione della liberta' da tre a dieci
anni all'autore di un atto diretto a promuovere un sollevamento di gente armata
contro i Poteri Costituzionali dello Stato. La sanzione sara' la privazione
da cinque a dieci anni se si porta ad effetto l'insurrezione" [...]
Senza dire niente a nessuno, con il Codice in una mano e i fogli nell'altra,
il menzionato cittadino si presento' nel vecchio edificio della capitale dove
funzionava il tribunale competente, che era obbligato a promuovere la causa
e castigare i responsabili di quel fatto, e presento' uno scritto denunciando
i delitti e chiedendo per Fulgencio Batista e per i suoi diciassette complici
la sanzione di centootto anni di prigione come ordinava imporre il Codice
di Difesa Sociale con tutte le aggravanti [...]
Passarono giorni e mesi. Che tradimento. L'accusato non era molestato, passeggiava
per la Repubblica come un barone, lo chiamavano onorevole signore e generale
[...]
Passarono ancora giorni e mesi. Il popolo si stanco' di abusi e di burle.
I popoli si stancano! Venne la lotta, e quindi quell'uomo che stava fuori
dalla legge, che aveva occupato il potere con la violenza, contro la volonta'
del popolo e aggredendo l'ordine legale, torturo', assassino', incarcero'
e accuso' dinanzi ai tribunali quelli che lottavano per la legge e per ridare
al popolo la sua liberta'.
Signori Giudici: Io sono quel cittadino che un giorno si presento' inutilmente
dinanzi al Tribunale per chiedere che castigasse a quegli ambiziosi che violarono
le leggi e ridussero in cenere le nostre istituzioni, e ora e' a me che si
accusa [...] Mi direte che quella volta i giudici della Repubblica non agirono
perche' glielo si impedi' con la forza: dunque, confessatelo: questa volta
ugualmente la forza vi obblighera' a condannarmi. La prima volta non poteste
castigare il colpevole; la seconda dovrete castigare l'innocente. La donzella
della giustizia due volte violentata con la forza. [...]
Cuba sta soffrendo un crudele e ignobile dispotismo e voi non ignorate che
la resistenza di fronte al dispotismo e' legittima; questo e' un principio
universalmente riconosciuto e la nostra Costituzione del 1940 lo consacro'
espressamente nell'articolo 40: "E' legittima la resistenza adeguata
per la protezione dei diritti individuali garantiti anteriormente" [...]
Il diritto di insurrezione dinanzi alla tirannia e' uno di quei principi che,
sia o no incluso nella Costituzione Giuridica, ha sempre piena vigenza in
una societa' democratica. [...]
Il diritto alla ribellione contro il dispotismo, Signori Giudici, e' stato
riconosciuto dalla piu' lontana antichita' sino al presente, da uomini di
tutte le dottrine, di tutte le idee e di tutte le credenze. Nelle monarchie
teocratiche della piu' remota antichita' in Cina, era praticamente un principio
costituzionale che quando il re governasse in modo turpe e dispotico, fosse
deposto e rimpiazzato da un principe virtuoso.
I pensatori dell'antica India impararono la resistenza attiva contro gli arbitri
dell'autorita'. Giustificarono la rivoluzione e tradussero molte volte le
proprie teorie in pratica. [...]
San Tommaso di Aquino, nella "Summa Theologica" rifiuto' la dottrina
della tirannide, e sostenne, senza dubbio, la tesi che i tiranni devono essere
deposti dal popolo.
Martin Lutero proclamo' che quando il governo degenera in tirannide ferendo
la legge, i sudditi sono liberati dal dovere dell'ubbidienza. [...]Calvino,
il pensatore piu' notevole della Riforma dal punto di vista delle idee politiche,
postula che il popolo ha diritto a prendere le armi per opponersi a qualsiasi
usurpazione.
Niente meno che un gesuita spagnolo dell'epoca di Filippo II, Juan Mariana,
nel suo libro "De Rege et Regis Institutione", afferma che quando
il governante usurpa il potere, o quando eletto, regge la vita pubblica in
maniera tirannica, e' lecito l'assassinio [...] direttamente, o avvalendosi
dell'inganno, con il minor disturbo possibile. [...]
Gia' nel 1649 John Milton scrive che il potere politico risiede nel popolo,
il quale puo' nominare o destituire i re [...]
John Locke nel suo "Trattato di Governo" sostiene che quando si
violano i diritti naturali dell'uomo, il popolo ha il diritto e il dovere
di sopprimere o cambiare il governo: "L'unico rimedio contro la forza
senza autorita' sta nell'opporre ad essa la forza". Jean Jacques Rousseau
dice con molta eloquenza nel suo "Contratto Sociale": "Mentre
un popolo si vede forzato a obbedire e obbedisce, fa bene; e non appena puo'
strapparsi il giogo e se lo strappa, fa meglio, recuperando la sua liberta'
con lo stesso diritto che gli e' stato tolto". [...]
Rinunciare alla propria liberta' e' rinunciare alla qualita' dell'uomo, ai
diritti dell'umanita', e anche ai doveri. [...] Tale rinuncia e' incompatibile
con la natura dell'uomo; e togliere tutta la liberta' alla volonta' e' togliere
ogni moralita' alle azioni. [...]
La famosa Dichiarazione Francese dei Diritti dell'Uomo lascio' alle generazioni
future questo principio: "Quando il governo viola i diritti del popolo,
l'insurrezione e' per questo il piu' sacro dei diritti e il piu' imperioso
dei doveri" "Quando una persona si impossessa della sovranita' deve
essere condannata a morte dagli uomini liberi"
Credo di aver giustificato sufficientemente il mio punto di vista [...] Pero'
c'e' una ragione che ci assiste piu' potente di tutte le altre: siamo cubani
ed essere cubano implica un dovere, non compierlo e' un crimine ed un tradimento.
Viviamo orgogliosi della storia della nostra patria; la apprendiamo a scuola
e siamo cresciuti udendo parlare di liberta', di giustizia e di diritti. [...]
Tutto questo apprendemmo e non lo dimenticheremo [...] Nascemmo in un paese
libero che ci lasciarono i nostri padri, e sprofondera' l'Isola nel mare prima
che acconsentiremo ad essere schiavi di qualcuno. [...]
Termino la mia difesa, pero' non lo faro' come fanno sempre tutti gli avvocati,
chiedendo la liberta' del difeso; non posso chiederla quando i miei compagni
stanno soffrendo nell'Isola dei Pini una prigionia ignobile. Inviatemi insieme
a loro a condividere la loro sorte, e' concepibile che gli uomini che hanno
onore siano morti o prigionieri in una repubblica dove e' presidente un criminale
e un ladro.
Ai Signori Giudici, la mia sincera gratitudine per avermi permesso di esprimermi
liberamente senza meschine coazioni [...] Resta tuttavia all'Udienza un problema
piu' grave: qui stanno le cause iniziate per i settanta omicidi, cioe' per
il piu' grande massacro che abbiamo conosciuto, e i colpevoli restano liberi
con l'arma in mano che e' una minaccia perenne per la vita dei cittadini;
se non cade sopra di essi tutto il peso della legge, per codardia o perche'
ve lo impediscono, e non rinunciano in pieno tutti i giudici, io ho pieta'
della vostra dignita' e compassione per la macchia senza precedenti che cadra'
sopra il Potere Giuridico.
In quanto a me so che il carcere sara' duro come non lo e' mai stato per nessuno,
pieno di minacce, di vile e codardo rancore, pero' non lo temo, cosi' come
non temo la furia del tiranno miserabile che ha preso la vita a settanta fratelli
miei.
Condannatemi, non importa, la storia mi assolvera'.
Fidel Castro
1953
Il presente testo e' un estratto del testo di difesa pronunciato da Fidel
Castro, avvocato di se' stesso, di fronte al Tribunale che lo processava con
l'accusa di "attentato ai Poteri Costituzionali dello Stato e insurrezione"
per l'eroico assalto al Quartiere Moncada [1] dell'Esercito, effettuato il
26 luglio 1953, a seguito del quale venne arrestato insieme a molti altri
compagni, la maggior parte dei quali fu poi giustiziata in carcere, dopo barbare
e inenarrabili torture (tratto dall'edizione completa: La Historia me absolvera',
Nuestra America Editorial [2], 2005, Buenos Aires, Argentina ).
Il testo e' un documento di eccezionale valore umano e storico. Umano perche'
innanzitutto testimonia della personalita' e del carattere e della forza di
volonta' di Fidel Castro, quello stesso carattere combattivo e quella stessa
ferrea forza di volonta' che lo condurranno, una volta uscito di prigione
in seguito ad una amnistia, a perseguire fermo nel suo intento, a ricorrere
all'esilio in Messico e ad organizzare ancor meglio, in base all'esperienza
passata e con forze fresche (tra le quali da ricordare il comandante rivoluzionario
Ernesto Che Guevara), la lotta rivoluzionaria che abbattera' alcuni anni piu'
tardi, nel 1959, la feroce dittatura di Fulgencio Batista.
Questo testo di autodifesa testimonia altresi' del suo grande amore per la
patria e per il popolo cubano, oltre che del grande rispetto che egli ha per
la vita umana. Testimonia anche della grandezza di questo uomo che ha assunto
su di se' la responsabilita' del futuro della patria che ama, mettendo e arrischiando
la propria vita al servizio di un idea, cosi' come fecero in passato altri
grandi uomini e donne, Garibaldi, Tina Modotti, Severino Di Giovanni, Sandro
Pertini, Longo, e ancora Tito, Lenin, Trostki, Mao Tse-Tung, tanto per citarne
alcuno (e le centinaia e centinaia di migliaia di uomini e donne che combatterono
con essi, e i molti altri ancora in ogni parte del mondo dove la congiuntura
storica richiese una lotta di liberazione).
Il testo permette al lettore, in aggiunta, di farsi un'idea chiara della situazione
e delle condizioni storiche e sociali che determinarono poi la Rivoluzione
Cubana, e della grande, enorme differenza che esiste tra la Cuba di oggi e
quella precedente di Batista, checche' ne dicano le organizzazioni cubane
di estrema destra a Miami.
Ma oltre a cio', il testo si presenta oggi, in questo delicato momento storico
mondiale, di grande attualita' per i temi che tratta: poteri dispotici, violenza
di Stato e diritto alla ribellione quando il contratto sociale e' violato
da chi detiene i poteri dello Stato con arbitrio e violenza. E non puo' non
stupire e non meritare tutto il nostro rispetto le ferme parole ed il coraggio
con cui questo giovane avvocato accusato davanti alla corte si prende tutta
la responsabilita' morale e politica dell'attacco al Quartiere Moncada, rigettando
l'accusa che esso fosse stato organizzato con mercenari stranieri e rivendicandone
l'assoluta legittimita' a nome del popolo cubano come atto di rivolta contro
la tirannide.
Questo diritto alla rivolta, anche armata, e' da Fidel ampiamente delucidato
e giustificato, offrendo cosi' al lettore validi strumenti euristici per comprendere
al meglio il passato ed il presente della storia di Cuba; ma esso offre anche
interessanti chiavi di lettura per interpretare a loro volta pure i terribili
avvenimenti del presente in diverse aree del mondo, ad esempio in Nepal, in
Iraq, in Afganistan, in Palestina e nel Libano, permettendo al lettore spazi
di riflessione che vanno al di la' delle cortine fumogene emanate dai mezzi
di comunicazione di massa del capitale che al pari del nazifascismo tacciano
di terrorismo le varie resistenze armate presenti in tali paesi, attribuendo
la responsabilita' degli atti di rivolta guerresca a mercenari stranieri,
o definendo esse appunto come terrorismo stragista; cercano cosi' di screditare
agli occhi dell'opinione pubblica la giusta ribellione dei popoli al potere
tiranno, sia esso dittatoriale come nel caso del Nepal, o dovuto all'invasore
come nel caso dell'Iraq, dell'Afganistan, della Palestina e del Libano.
E che dire, laddove Fidel cita le torture praticate ai suoi compagni prigionieri
dai militari di Batista, del suo alto richiamo all'onore che qualsiasi esercito
e militare dovrebbe tenere alto e che invece viene vilmente infangato e macchiato
di sangue? Come non pensare subito all'oggi, a Guantanamo, ad Abu Grhaib,
a Israele?
L'arringa difensiva di Fidel, nel suo stile semplice ma quanto mai incisivo,
apre sicuramente grandi spazi di riflessione e di discussione sul passato
e sul presente, cosi' come propone nella sua attualita' ampie prospettive
di idee sul futuro.
Quest'uomo, che ha festeggiato lo scorso 13 agosto il suo ottantesimo compleanno,
e' rimasto tutta la vita fermo a quei principi e a quelle idee che giovane
e prigioniero espresse con coraggio e determinazione dinanzi al tribunale
del dittatore. Ed e' gia' una leggenda vivente. Lunga vita a Fidel!
Paolo Teobaldelli
Note.
[1] Per maggiori informazioni vedi: http://www.radiohc.cu/moncada/asalto.htm;
[2] Per maggiori informazioni vedi: http://www.nuestramerica.com.ar;
[3] Jose' Marti', poeta, intellettuale, scrittore ed eroe cubano della guerra
di indipendenza del 1895 contro la Spagna, durante la quale mori' combattendo.
Il suo alto contributo umano e intellettuale, nonche' il suo sacrificio, alla
patria cubana ne fanno sicuramente uno dei padri spirituali della Rivoluzione
Cubana stessa. Per maggiori informazioni vedi: http://www.josemarti.org; http://www.lospoetas.com/a/biomarti.htm;
[4] Allusione ancora a Jose' Marti' che e' chiamato anche l'Apostolo;
[5] Jose' Marti';
[6] Ex Presidente cubano in esilio.
[7] Il 10 marzo del 1952 e' il giorno del colpo di stato che porto' Batista
al potere.