Biblioteca Multimediale Marxista
su Contropiano del 09/04/2008
Senza alcune elementari nozioni storiche non si capirebbe il tema che affronto.
In Europa avevano sentito parlare della Cina. Marco Polo, nell’autunno
del 1298, raccontò cose meravigliose del singolare paese che chiamò
Catay. Colombo, navigatore intelligente ed audace, era al corrente delle conoscenze
che possedevano greci sulla rotondità della Terra. Le sue stesse osservazioni
lo facevano coincidere con quelle teorie. Ideò il piano di arrivare
nel Lontano Oriente navigando dall’Europa verso occidente. Calcolò
con eccessivo entusiasmo la distanza, molto più grande. Senza immaginarlo,
tra l’Oceano Atlantico ed il Pacifico, questo continente gli attraversò
la sua rotta. Magellano effettuerà il viaggio da lui concepito, anche
se morirà prima d’arrivare in Europa. Con il valore delle specie
raccolte fu pagata la spedizione incominciata con molte imbarcazioni, di cui
ritornò una sola, preambolo dei futuri colossali guadagni.
D’allora, il mondo ha iniziato a cambiare a passo accelerato. Vecchie
forme di sfruttamento si sono ripetute, dalla schiavitù fino alla servitù
feudale; antiche e nuove credenze religiose si sono estese nel pianeta.
Da quella fusione di culture e vicende, accompagnata dai progressi della tecnica
e dalle scoperte della scienza, nacque il mondo attuale, che non si può
capire senza un minimo d’antefatti.
Il commercio internazionale, con i suoi vantaggi ed i suoi inconvenienti,
s’impose con le potenze coloniali, quali la Spagna, l’Inghilterra
ed altre potenze europee. Queste, specialmente l’Inghilterra, iniziarono
subito a dominare il sud-ovest, il sud ed il sud-est dell’Asia, oltre
all’Indonesia, l’Australia e la Nuova Zelanda, estendendo dappertutto
il loro dominio con la forza. Ai colonizzatori mancava solo di sottomettere
il gigantesco paese cinese, di millenaria cultura e favolose risorse naturali
ed umane.
Il commercio diretto tra l’Europa e la Cina iniziò nel XVI Secolo,
dopo che i portoghesi stabilirono l’enclave commerciale di Goa in India
e di Macao nel sud della Cina.
Il dominio spagnolo nelle Filippine facilitò lo scambio accelerato
con il grande paese asiatico. La dinastia Qin, che governava la Cina, cercò
di limitare il più possibile questa svantaggiosa operazione commerciale
con l’estero. La permise solamente nel porto di Canton, l’attuale
Guangzhou. Per quanto riguarda le merci inglesi prodotte nella metropoli o
ai prodotti spagnoli provenienti dal Nuovo Mondo, non essenziali per la Cina,
la Gran Bretagna e la Spagna soffrivano le grosse perdite dovute alla scarsa
domanda dell’enorme paese asiatico. Entrambe avevano incominciato a
vendergli oppio.
Il commercio dell’oppio su grande scala era inizialmente dominato dagli
olandesi da Giacarta, in Indonesia. Gli inglesi notarono che i guadagni s’avvicinavano
al 400 per cento. Le loro esportazioni d’oppio, che nel 1730 furono
di 15 tonnellate, aumentarono a 75 nel 1773, imbarcate in casse di 70 chilogrammi
l’una; con questo compravano porcellana, seta, spezie e tè cinese.
L’oppio, e non l’oro, era la moneta dell’Europa per acquistare
le merci cinesi.
Nella primavera del 1830, dinanzi allo sfrenato abuso del commercio dell’oppio
in Cina, l’imperatore Daoguang ordinò a Lin Hse Tsu, funzionario
imperiale, di combattere la piaga e questi ordinò la distruzione di
20 mila casse d’oppio. Lin Hse Tsu inviò una lettera alla Regina
Vittoria chiedendole il rispetto delle norme internazionali e che non permettesse
il commercio delle droghe tossiche.
La risposta inglese furono le Guerre dell’Oppio. La prima durò
tre anni, dal 1839 al 1842. La seconda, a cui s’aggiunse la Francia,
quattro anni, dal 1856 al 1860. Sono conosciute anche come le Guerre Anglo-cinesi.
Il Regno Unito obbligò la Cina a firmare trattati disuguali, con cui
s’impegnava ad aprire al commercio estero diversi porti e a consegnare
Hong Kong. Vari paesi, seguendo l’esempio inglese, imposero termini
disuguali di scambio.
Una simile umiliazione contribuì alla ribellione Taiping, dal 1850
al 1864, alla ribellione dei Boxer, dal 1899 al 1901, ed infine alla caduta
della dinastia Quin nel 1911, che, per varie cause – tra cui la debolezza
di fronte alle potenze straniere – era diventata in Cina enormemente
impopolare.
Cosa accadde con il Giappone?
Questo paese, d’antica cultura e molto laborioso, come altri nella regione,
resisteva alla “civilizzazione occidentale” e per oltre 200 anni
– tra l’altro per il caos nella sua amministrazione interna –
si era mantenuto ermeticamente chiuso al commercio estero.
Nel 1854, dopo un precedente viaggio di ricognizione con quattro cannoniere,
una forza navale degli Stati Uniti, al comando del Commodoro Matthew Perry,
minacciando di bombardare la popolazione giapponese – indifesa di fronte
alla moderna tecnologia di quelle navi -, obbligò gli shogun a firmare,
a nome dell’imperatore, il Trattato di Kanagawa del 31 marzo 1854. Iniziò
così in Giappone l’innesto con il commercio capitalista e la
tecnologia occidentali. Gli europei non conoscevano allora la capacità
dei giapponesi di destreggiarsi in quel campo.
Dopo gli yankee, arrivarono dall’Estremo Oriente i rappresentanti dell’impero
russo, temendo che gli Stati Uniti, a cui in seguito, il 18 ottobre 1867,
vendettero l’Alaska, li superassero nello scambio commerciale con il
Giappone. La Gran Bretagna e le altre nazioni colonizzatrici europee arrivarono
rapidamente in quel paese con gli stessi fini.
Durante l’intervento degli Stati Uniti del 1862, Perry occupò
diverse zone del Messico. Il paese perse al termine del conflitto oltre il
50 per cento del proprio territorio, esattamente le aree dove erano accumulate
le maggiori riserve di petrolio e di gas, sebbene allora l’oro ed il
territorio dove espandersi, erano il principale obbiettivo dei conquistatori.
La prima guerra cino-giapponese fu ufficialmente dichiarata il 1º agosto
1894. Il Giappone desiderava allora impadronirsi della Corea, uno Stato tributario
e subordinato alla Cina. Con armamento e tecniche più evolute, sconfisse
la forze cinesi in diverse battaglie nei pressi delle città di Seul
y Pyongyang. Le successive vittorie militari aprirono il cammino verso il
territorio cinese.
Nel mese di novembre di quell’anno presero Port Arthur, l’attuale
Lüshun. Alla foce del fiume Yalu e nella base navale di Weihaiwei, sorpresa
da un attacco terrestre dalla penisola di Liaodong, l’artiglieria pesante
giapponese distrusse la flotta del paese aggredito.
La dinastia dovette chiedere la pace. Il Trattato di Shimonoseki, che pose
fine alla guerra, fu firmato nell’aprile del 1895. Obbligava la Cina
a cedere “per sempre” al Giappone Taiwan, la penisola di Liaodong
e l’arcipelago delle Isole dei Pescatori; inoltre, a pagare un risarcimento
di guerra di 200 milioni di talleri d’argento ed aprire quattro porti
esteri. La Russia, la Francia e la Germania, difendendo i loro interessi,
obbligarono il Giappone a restituire la penisola di Liaodong, pagando in cambio
altri 30 milioni di talleri d’argento.
Prima di menzionare la seconda guerra cino-giapponese, devo inserire un altro
episodio bellico di duplice importanza storica che ebbe luogo tra il 1904
ed il 1905 e che non si può trascurare.
Dopo il suo inserimento nella civiltà armata e nelle guerre per la
ripartizione del mondo imposta dall’Occidente, il Giappone, che aveva
già intrapreso la prima guerra contro la Cina, precedentemente segnalata,
sviluppò sufficientemente il suo potere navale d’assestare un
così forte colpo all’impero russo, che fu sul punto di provocare
prematuramente la rivoluzione programmata da Lenin, dando vita a Minsk, dieci
anni prima, al Partito che successivamente scatenò la Rivoluzione d’Ottobre.
Il 10 agosto 1904, senza nessun preavviso, il Giappone attaccò e distrusse
a Shandong la Flotta Russa del Pacifico. Lo zar Nicola II di Russia, esaltato
dall’attacco, ordinò di mobilitare e far salpare, verso l’Estremo
Oriente, la Flotta del Baltico. Convogli di carboniere furono contrattate
per portare in tempo il carico necessario alla Flotta, mentre navigava verso
la sua lontana destinazione. Una delle operazioni di trasferimento del carbone
dovette essere realizzata in alto mare per pressioni diplomatiche.
I russi, entrando nel sud della Cina, si diressero al porto di Vladivostok,
l’unico disponibile per le operazioni della Flotta. Per giungere in
quel punto vi erano tre rotte: quella di Tsushima era la migliore; le altre
due richiedevano di navigare ad est del Giappone ed aumentavano i rischi e
l’enorme usura delle sue navi e dell’equipaggio. L’ammiraglio
giapponese pensò lo stesso: preparò il suo piano per questa
scelta e posizionò le sue navi in modo che la Flotta giapponese, facendo
un’inversione ad “U”, con tutte le sue imbarcazioni, in
maggioranza incrociatori, passasse ad una distanza approssimativa di 6 mila
metri dalle navi avversarie, con numerose corazzate, che sarebbero state alla
portata degli incrociatori giapponesi, dotati di personale rigorosamente addestrato
all’impiego dei loro cannoni. A causa del lungo tragitto, le corazzate
russe navigavano a soli 8 nodi contro i 16 delle navi giapponesi.
L’operazione militare è conosciuta con il nome di Battaglia di
Tsushima. Ebbe luogo i giorni 27 e 28 maggio 1905.
Per l’impero russo parteciparono 11 corazzate ed 8 incrociatori.
Comandante della Flotta: Ammiraglio Zinovy Rozhdestvensky.
Perdite: 4.380 morti, 5.917 feriti, 21 navi affondate, 7 catturate e 6 rese
inutilizzabili.
Il comandante della Flotta Russa fu ferito da un frammento di proiettile che
lo colpì alla testa.
Per l’impero giapponese parteciparono: 4 corazzate e 27 incrociatori.
Comandante della Flotta: Ammiraglio Heichachiro Togo.
Perdite: 117 morti, 583 feriti e 3 torpediniere affondate.
La Flotta del Baltico fu distrutta. Napoleone l’avrebbe qualificata
come un’Austerlitz del mare. Chiunque può immaginarsi quale profonda
ferita causò questo drammatico fatto nel tradizionale orgoglio e patriottismo
russi.
Dopo la battaglia, il Giappone diventò una temuta potenza navale, rivaleggiando
con la Gran Bretagna e la Germania e competendo con gli Stati Uniti.
Il Giappone rivendicò il concetto della corazzata come arma principale
degli anni futuri. Si dedicarono completamente al compito di potenziare l’Armata
Imperiale giapponese. Richiesero e pagarono un cantiere navale inglese per
la costruzione di un incrociatore speciale, con l’intenzione di riprodurlo
successivamente nei cantieri giapponesi. In seguito fabbricarono corazzate
che superavano le loro contemporanee per blindatura e potenza.
Non esisteva sulla Terra nessun altra nazione che eguagliasse nella progettazione
di navi da guerra l’ingegneria navale giapponese degli anni Trenta.
Ciò spiega l’azione temeraria con cui un giorno attaccarono il
loro maestro e rivale, gli Stati Uniti, che con il Commodoro Perry li iniziarono
al cammino della guerra.
Proseguirò domani.
LA VITTORIA CINESE. (II Parte)
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1914, la Cina
s’unisce agli alleati. Per compensarla, le offrono che le concessioni
germaniche nella provincia di Shandong le saranno restituite al termine del
conflitto. Dopo il Trattato di Versailles, imposto dal presidente degli Stati
Uniti Woodrow Wilson, sia agli amici che ai nemici, le colonie germaniche sono
trasferite al Giappone, alleato più potente della Cina.
Fu la causa della protesta di migliaia di studenti, che il 4 maggio 1919 si
riunirono in Piazza Tiananmen. Lì iniziò il primo movimento nazionalista
che trionfò in Cina. Fu chiamato “4 Maggio”. La piccola borghesia
e la borghesia nazionale vi aderirono insieme a operai e contadini.
La corrente nazionalista era sorta a cavallo tra il XIX ed XX secolo e si consolidò
con la fondazione del Kuomintang, ossia il Partito Nazionale del Popolo, capeggiato
dal dottor Sun Yat-sen, intellettuale e rivoluzionario progressista molto influenzato
dalla Rivoluzione Socialista d’Ottobre, con cui rafforzò i contatti.
Il Partito Comunista Cinese viene fondato durante un congresso che ebbe luogo
dal 23 luglio al 5 agosto 1921. Lenin inviò a quel congresso rappresentanti
dell’Internazionale.
Il movimento comunista si dedicò a riunificate la Cina. Tra i fondatori
si trovava il giovane Mao Zedong. Negli anni 1923 e 1924 si forma il Fronte
Unico Antimperialista, formato dal PCC e dal Kuomintang.
Nel marzo del 1925 muore Sun Yat-sen e Chiang Kai-shek prende il comando, impegnandosi
a controllare sotto la sua rigida guida il sud della Cina, in particolare la
zona di Shanghai.
Chiang non simpatizzava con la dottrina comunista e nel 1927 iniziò un
processo repressivo su grande scala contro i comunisti nelle unità dell’Esercito
Nazionale Rivoluzionario, nei sindacati ed in altre aree sociali del paese,
specialmente a Shanghai. Represse duramente la sinistra anche all’interno
del Kuomintang.
Dopo 5 mesi d’occupazione militare della Manciuria, il Giappone creò
nel 1932 lo stato del Manchukuo, che costituiva per la Cina una grande minaccia.
Chiang Kai-Shek sferrò cinque campagne d’accerchiamento e d’annientamento
contro i comunisti, forti nelle basi costituitesi nel sud del paese.
Nel 1927, con coloro che riuscirono a scappare dal tradimento di Chiang Kai-shek,
Mao Zedong diresse nell’area montagnosa delle province di Jiangsu e Fujian,
un vasto territorio, il centro della resistenza armata con un forte nucleo di
comunisti coerenti e ben organizzati, che fu chiamata Repubblica Sovietica Cinese.
Affrontando le forze nazionaliste di Chiang Kai-shek, molto superiori numericamente,
circa 100 mila combattenti cinesi, sotto la direzione di Mao, iniziarono nel
1934 la Lunga Marcia verso il nordovest, costeggiando il centro, un percorso
d’oltre 6 mila chilometri, lottando ininterrottamente durante il cammino
per più di un anno, fatto che costituì un’impresa senza
precedenti e trasformò Mao nell’indiscutibile leader del Partito
e della Rivoluzione in Cina.
L’applicazione delle idee di Marx e Lenin alle vicende politiche, economiche,
naturali, geografiche, sociali e culturali cinesi, lo consacrarono quale geniale
stratega politico e militare nella liberazione di un paese il cui peso nel mondo
attuale non può essere sottostimato.
La seconda guerra cino-giapponese inizia il 7 luglio 1937. I giapponesi provocarono
deliberatamente l’incidente che scatenò il conflitto. Un soldato
nipponico scompare mentre il suo esercito stava effettuando una parata militare
sul ponte Marco Polo, sopra un fiume situato a circa 16 chilometri ad ovest
di Pechino. Incolpano l’esercito cinese, posizionato sull’altro
lato del fiume, d’aver sequestrato il soldato, provocando un combattimento
di diverse ore. Questi ricompare quasi immediatamente. La denuncia era falsa,
ma il comandante giapponese aveva già ordinato d’attaccare. Tokio
esige condizioni inaccettabili per la Cina, presentate con l’abituale
arroganza, ed ordina l’invio di tre divisioni equipaggiate con le loro
armi migliori. In poche settimane l’Esercito giapponese controlla il corridoio
est-ovest dal Golfo di Chihli – oggi Bo Hai – fino a Pechino.
Da Pechino si dirige fino a Nanchino, sede del governo di Chiang Kai-shek. Mettono
in partica una delle più orrende campagne terroriste delle guerre moderne.
La città, come altre, fu rasa al suolo; decina di migliaia di donne furono
violentate e centinaia di migliaia di persone brutalmente assassinate.
Il Partito Comunista cinese aveva posto come obbiettivo prioritario la lotta
per l’unità nazionale di fronte al piano giapponese, il cui obbiettivo
era impadronirsi dell’enorme paese con le sue risorse naturali e sottomettere
oltre 500 milioni di cinesi ad una spietata schiavitù. Il Giappone cercava
spazio vitale. La sua condotta fu un miscuglio di capitalismo e razzismo: era
la versione giapponese del fascismo.
Il Fronte Unito Antigiapponese era già presente nel 1937. Anche i nazionalisti
erano a conoscenza del pericolo. Il Giappone occupò la maggioranza delle
città costiere. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, le vittime
cinesi saranno milioni.
Durante l’epico conflitto, i comunisti intensificarono la loro lotta contro
gli invasori, provocandogli danni rilevanti.
Gli Stati Uniti aiutarono i comunisti ed i nazionalisti. Siccome vedevano che
la loro entrata in guerra era imminente, chiesero al governo cinese l’autorizzazione
per inviare una squadriglia di volontari. Fu così creata l’unità
aerea delle Tigri Volanti. Roosevelt inviò il capitano a riposo Lee Chenault,
il quale, durante il suo incarico, espresse la sua ammirazione per la disciplina,
le tattiche e l’efficacia dei combattenti comunisti.
Dopo l’attacco a Pearl Harbor del dicembre del 1941, gli Stati Uniti entrarono
in guerra. Tuttavia il Giappone non poté mai spostare dalla Cina le sue
truppe d’elite, che al termine del conflitto ammontavano ad un milione
di soldati.
Chiang Kai-shek, trasformato dall’amministrazione Truman – che con
un atto di terrore usò le armi nucleari sulla popolazione civile giapponese
– nell’uomo forte degli Stati Uniti, riprende la guerra civile anticomunista,
ma le sue demotivate truppe non potevano resistere all’onda incontenibile
dell’Esercito Popolare Cinese.
Quando si concluse la guerra, nell’ottobre del 1949, quelli del Kuomintang,
appoggiati dagli Stati Uniti, scapparono a Taiwan, dove crearono un governo
anticomunista con il pieno appoggio yankee. Chiang Kai-shek utilizzò
la Flotta degli Stati Uniti per recarsi a Taiwan.
È per caso la Cina un oscuro angolo del mondo?
Prima che s’edificasse Troia e circolassero per le città-stato
della Grecia l’Iliade e l’Odissea, senza dubbio meravigliosi creazioni
dell’intelligenza umana, sui vasti fianchi del Fiume Giallo si sviluppa
già una civiltà che comprendeva milioni di persone.
La cultura cinese fonda le sue radici nella dinastia Zhou, 2000 anni prima di
Cristo. La sua peculiare scrittura si basa su migliaia di segni grafici, che
rappresentano generalmente parole o morfemi della lingua, termine della linguistica
moderna poco conosciuto dal pubblico non familiarizzato con il tema. Siamo tutti
lontani dal comprendere la misteriosa magia di quella lingua, il cui apprendimento
sviluppa la naturale intelligenza dei bambini cinesi.
Molti prodotti nati in Cina, come la polvere da sparo, la bussola ed altri,
erano completamente sconosciuti nel Vecchio Continente. Se i venti soffiassero
nel senso inverso della rotta seguita da Colombo, forse i cinesi avrebbero scoperto
l’Europa.
Dal 2000, ha governato a Taiwan un partito la cui politica neoliberale e pro-imperialista
era ancora peggiore di quella tradizionale del Kuomintang, deciso sostenitore
del fallimento del principio di una sola Cina, storicamente proclamato dal Partito
Comunista Cinese. Questa spinosa questione poteva scatenare una guerra d’imprevedibili
conseguenze, come una moderna spada di Damocle sulla testa di oltre 1 miliardo
e 300 milioni di cinesi.
L’elezione del 23 marzo scorso del candidato dell’antico partito
che fu la base politica di Chiang Kai-shek ha costituito senza dubbio, nei fatti,
una vittoria politica e morale della Cina. Allontana dal potere a Taiwan un
partito che, governando per quasi otto anni, era sul punto d’intraprendere
nuovi e funesti passi.
Secondo le agenzie di stampa, la sconfitta è stata schiacciante, ottenendo
solo 4,4 milioni di voti su 17,3 milioni d’aventi diritto.
Il nuovo Presidente entrerà in carica il 20 maggio. “Firmeremo
un Trattato di Pace con la Cina”, ha dichiarato.
Le note d’agenzia informano che “Ma Ying-jeou è sostenitore
della creazione di un Mercato Comune con la Cina, principale partner commerciale
dell’isola.”
La Repubblica Popolare cinese si dimostra degna e cauta nei riguardi della spinosa
questione. Il portavoce dell’Ufficio di Taiwan nel Consiglio di Stato
di Pechino ha dichiarato che la vittoria di Ma Ying-jeou prova che “l’indipendenza
non è popolare tra i taiwanesi ”
In questo laconico messaggio si dice molto.
Nell’opere composte da prestigiosi ricercatori statunitensi, è
stato divulgato quanto accaduto nel territorio cinese del Tibet.
Nel libro La guerra segreta della CIA in Tibet, di Kenneth Conboy – University
Press, Kansas – si descrivono i sporchi intrighi della cospirazione. William
Leary lo definisce “un eccellente ed impressionante studio su una delle
più importanti operazioni segrete delle CIA durante la guerra fredda.”
Nel corso di due secoli, nessun paese al mondo aveva riconosciuto il Tibet come
una nazione indipendente. Gli Stati Uniti, fino alla Seconda Guerra Mondiale,
lo consideravano parte della Cina ed in tal senso facevano addirittura pressione
sull’Inghilterra. Dopo la guerra, in cambio, lo videro come baluardo religioso
contro il comunismo.
Quando la Repubblica Popolare Cinese istituì la riforma agraria nei territori
tibetani, la sua elite sociale non accettò che le sue proprietà
ed i suoi interessi fossero colpiti. Ciò provocò nel 1959 una
sollevazione armata. Secondo le ricerche precedentemente indicate, la ribellione
armata in Tibet – a differenza del Guatemala, Cuba ed altri paesi, dove
agirono in fretta - fu preparata dai servizi segreti degli Stati Uniti per anni.
In un altro libro – in questo caso un’apologia della CIA - I guerrieri
di Budda, l’autore Mikel Dunshun racconta come l’agenzia trasferì
centinaia di tibetani negli Stati Uniti, condusse la ribellione, la equipaggiò,
inviò paracaduti con armamenti, lì addestrò nell’utilizzo
degli stessi, a montare a cavallo come i guerriglieri arabi. Il prologo dell’opera
è scritto dal Dalai Lama, che afferma: “Sebbene abbia il profondo
sentimento che la lotta dei tibetani possa solamente trionfare con una visione
a lungo termine utilizzando mezzi pacifici, ho sempre ammirato questi combattenti
per la libertà per il loro valore e per la loro indistruttibile determinazione.”
Il Dalai Lama, decorato con la Medaglia d’Oro del Congresso degli Stati
Uniti, ha elogiato George W. Bush per gli sforzi a favore della libertà,
la democrazia ed i diritti umani.
La guerra in Afghanistan è stata definita dal Dalai Lama come “una
liberazione”, la guerra di Corea come “semiliberazione” e
quella del Vietnam come un “fallimento”.
Ho fatto una breve sintesi dei dati presi da Internet, soprattutto dal sito
Rebelión. Non ho inserito, per ragioni di spazio e di tempo, le pagine
di ogni libro dove appaiono con precisione le parole testuali utilizzate.
Ci sono persone che soffrono di cino-fobia, un costume abbastanza generalizzato
in molti occidentali, abituati, da educazione e cultura differenti, a guardare
con disprezzo ciò che proviene dalla Cina.
Ero praticamente bambino quando già si parlava del “pericolo giallo”.
La rivoluzione cinese sembrava allora una cosa impossibile: le vere cause dello
spirito anticinese erano nel fondo razziste.
Perché tanta ostinazione nell’imperialismo nel sottomettere la
Cina, in modo diretto o indiretto, a un deterioramento in campo internazionale?
Un tempo, ovvero, 50 anni fa, negandole le prerogative eroicamente guadagnate
di membro effettivo del Consiglio di Sicurezza; successivamente, per gli errori
che condussero alle proteste di Tiananmen, dove si osannava la Statua della
Libertà, simbolo di un impero che oggi è la negazione di tutte
le libertà.
La legislazione della Repubblica Popolare Cinese si è impegnata nel proclamare
ed applicare il rispetto dei diritti e della cultura di 55 minoranze etniche.
La Repubblica Popolare Cinese, al contempo, è molto sensibile a tutto
ciò che riguarda l’integrità del suo territorio.
La campagna orchestrata contro la Cina è come un segnale d’attacco
per screditare il meritato successo del paese e del suo popolo, anfitrioni dei
prossimi Giochi Olimpici.
Il Governo di Cuba ha emesso una categorica dichiarazione di sostegno alla Cina,
rispetto alla campagna contro la stessa inerente il Tibet. Questa è stata
una posizione corretta. La Cina rispetta il diritto dei cittadini a credere
o non credere. Esistono, in quel paese, gruppi di credenti mussulmani, cristiani
cattolici o non cattolici, e di altre religioni, e decine di minoranze etniche
i cui diritti sono garantiti dalla sua Costituzione.
Nel nostro Partito Comunista, la religione non è un ostacolo per esserne
militante.
Rispetto il diritto del Dalai-Lama a credere, però non sono obbligato
a credere nel Dalai-Lama.
Ho molte ragioni per credere nella vittoria cinese.