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Il compagno G.M. Serrati e le generazioni del socialismo italiano


 

(Articolo firmato Antonio Gramsci, L'Unità, 14 maggio 1926, in morte di Giacinto Menotti Serrati)

La personalità politica del compagno Giacinto Menotti Serrati aveva assunto significato ed importanza nazionali negli ultimi dieci anni. Ed è appunto nel quadro di questi dieci anni, caratterizzati dalla guerra mondiale e dal fascismo, che occorre esaminarla per apprezzarla giustamente.

Sono note le debolezze fondamentali del movimento rivoluzionario italiano tradizionale. La maggiore debolezza, quella per lo meno che è stata determinante nei momenti decisivi, ci pare possa essere identificata nel fatto che sempre è mancato in Italia un gruppo forte ed omogeneo di dirigenti rivoluzionari che avesse uno stretto contatto col nucleo proletario fondamentale del partito socialista. In una tale situazione era impossibile qualsiasi accumulazione di esperienze politiche rivoluzionarie, era impossibile ogni direzione collettiva, era impossibile ogni deduzione rapida che permettesse di trarre tutte le conseguenze dalle congiunture favorevoli all'iniziativa rivoluzionaria. È evidente altresì che in una tale situazione, in cui l'organizzazione effettiva era in rapporto inverso col numero degli iscritti e delle organizzazioni locali del partito, il ruolo del capo individuale fosse enorme e la responsabilità che veniva a gravare sulla persona, che a volta a volta si trovava alla testa del partito, fosse schiacciante. Questa situazione spiega come sia avvenuto che la tendenza rivoluzionaria del movimento socialista italiano, a differenza di ciò che avvenne nei riguardi della tendenza riformista, abbia visto susseguirsi alla sua dirigenza una vera cinematografia di uomini, mentre i riformisti stavano fortemente raggruppati intorno a Filippo Turati.

Non solo. Ma questa situazione spiega anche il fatto tristissimo che tutti, o quasi, i dirigenti della frazione rivoluzionaria, dopo un istante di grande splendore abbiano degenerato, abbiano rinnegato le loro precedenti posizioni o siano addirittura passati dall'altra parte della barricata. È questa certamente una delle ragioni della persistenza di una certa fortuna del riformismo fra le masse lavoratrici italiane: perché in esso la tradizione della tendenza è strettamente legata alla stessa persona, allo stesso gruppo di persone, è riuscita cioè a identificarsi permanentemente in un'organizzazione omogenea, composta sempre dalle stesse individualità.

Per esprimersi con un termine politico approssimativo, può dirsi che nel movimento socialista rivoluzionario italiano sia sempre esistita una situazione di bonapartismo in cui era possibile, a degli uomini più o meno convinti, di conquistare il posto della più alta dirigenza, con dei colpi di mano improvvisi, attraverso effimeri personali successi ottenuti in un congresso o nel corso di un'agitazione operaia. Non esisteva altra forma di selezione, appunto perché non esistevano raggruppamenti stabili strettamente collegati col proletariato urbano, cioè con la frazione più rivoluzionaria della massa lavoratrice.

Giacinto Menotti Serrati spezzò questa tradizione, nel senso che con lui arrivava alla suprema carica del partito un uomo le cui doti principali furono indubbiamente la forza del carattere e l'abnegazione. Non poté spezzarla compiutamente perché non riuscì, e neanche si propose di riuscire, a forgiare una nuova struttura che rendesse il partito più capace di azione e di iniziativa. Il fine che si proponeva Serrati nello svolgere la sua opera di direttore de l’Avanti!, cioè di guida politica e ideologica delle classi lavoratrici italiane, fu quello di attraversare il periodo della guerra mantenendo il partito unito sul terreno della negazione della guerra.

Questi due elementi, unità del partito e negazione della guerra, per stare insieme domandavano una limitazione dell'attività rivoluzionaria del partito stesso. Il programma del partito non poteva essere che quello della intransigenza formale, della non collaborazione. Esso non poteva spingersi alla formula di Lenin: "trasformazione della guerra imperialista in guerra civile", senza immediatamente porre il problema della scissione, il problema della creazione di un nuovo partito per lottare prima di tutto contro i compagni di ieri, contro gli amici e i fratelli di ieri. Ora, il tratto essenziale della personalità di Serrati, come uomo di partito, era dato invece dal sentimento dell'unità, dallo sforzo incessante di conservare questa unità che rappresentava decine e decine di anni di sacrifici e di lotta, che significava persecuzioni insieme sopportate, anni di galera insieme scontati.

Si può dire da questo punto di vista che il compagno Serrati è stato il più alto e nobile rappresentante delle vecchie generazioni del socialismo rivoluzionario italiano tradizionale; che egli ha espresso quanto di più generoso e di più disinteressato queste generazioni potevano esprimere.

Se non si tiene conto di ciò, non si può capire tutto il dramma che è stato vissuto nel dopoguerra da questa generazione e tutta l'importanza e l'altissimo valore storico che ha avuto l'adesione del compagno Serrati al partito comunista.

È nel periodo della guerra che le masse popolari italiane hanno conosciuto e amato Serrati. Egli riscattava con la sua volontà rettilinea la funzione del capo rivoluzionario, che era stata degradata da uomini come Enrico Ferri, Arturo Labriola, Benito Mussolini, espressioni massime di quel bonapartismo di partito al quale abbiamo accennato. La popolarità di Serrati non si formò nelle facili arene dei grandiosi comizi dei tempi normali, quando era facile con le smaglianti orazioni, o con la bassa demagogia, sommuovere il sangue delle folle e farsi coreograficamente portare in trionfo, quando le grandi fame si costituivano in quindici giorni per diventare infamie nei quindici giorni successivi. Essa si formò lentamente, a mano a mano che fin nei più profondi strati della vita popolare, nella trincea del Carso o nel villaggio siciliano, nonostante l'Avanti! fosse ridotto a pochissime decine di migliaia di copie, arrivava la notizia che un giornale diretto da un uomo che si chiamava Serrati non piegava né alle blandizie, né alle minacce della classe dominante e che esso testardamente e intrepidamente rispondeva "No" in nome dei lavoratori a chiunque volesse in un modo o nell'altro conquistare alla guerra la coscienza delle grandi folle.

È certo che Serrati fu allora amato come mai nessun capo di partito è stato amato nel nostro paese.

Nel dopoguerra, tutte le debolezze che erano insite nella vecchia struttura del movimento socialista italiano si rivelarono violentemente.

Innanzi ai problemi che allora si ponevano, il programma di conservare l’unità del partito fino alla rivoluzione cosi come era stata conservata attraverso l'incendio della guerra mondiale diventava un' illusione funesta.

Il compagno Serrati credette che ciò fosse possibile e forse si sforzò di crederlo, di persuadersene perché egli era legato da milioni e milioni di fili al passato, alla tradizione, perché gli sembrava impossibile che non potesse ottenersi nel momento di sviluppo delle forze rivoluzionarie ciò che era stato ottenuto durante la guerra, quando tutto pareva sfasciarsi nel movimento operaio di tutto il mondo e non solamente in Italia.

Noi, forse, delle generazioni giovani, non abbiamo dato tutta l'importanza dovuta al dramma che allora fu vissuto. Perciò abbiamo incrudelito, forse oltre misura, nell'aggressione a ciò che ci pareva inutile sentimentalismo e sterile amore per le vecchie formule e i vecchi simboli. Ma, in verità, la nostra generazione, appunto perché troppo giovane, appunto perché non aveva lottato per formare ciò che pure era una struttura organizzativa del partito e una tradizione, appunto perché non si era potuta appassionare per l'opera dei primi pionieri, appunto per tutto questo poteva percepire più distintamente l'insufficienza della vecchia generazione a svolgere i compiti resi necessari dall'approssimarsi della bufera reazionaria. Noi delle giovani generazioni rappresentavamo, in realtà, la nuova situazione nella quale anche la classe nemica, pur di conservare il potere e di schiacciare il proletariato, avrebbe distrutto le vecchie forme dello Stato create dalla giovane borghesia del Risorgimento: erano quelli, e sono rimasti, tempi di ferro e di fuoco, in cui rischia di avere ragione solo chi fa le ipotesi più pessimiste.

La grandezza del compagno Serrati e la prova, d'altronde non necessaria, di quanto la sua passione unitaria fosse profondamente sincera e dolorosa, sono date dal fatto che egli, per rientrare nelle file dell'Internazionale Comunista, determinò una nuova scissione e fu espulso dal partito che pareva essere la sua creatura. La realtà fu che, con la venuta di Serrati nel nostro partito, si chiudeva un intero periodo della storia del movimento operaio in Italia. Le vecchie generazioni del socialismo rivoluzionario italiano, dopo aver esitato a lungo e dolorosamente, si decidevano. Per esse era chiaro oramai che le vecchie organizzazioni tradizionali erano diventate mera forma senza contenuto, che la tradizione non era là dove un'etichetta sembrava indicarlo, ma viveva solo nell'organizzazione del partito comunista. Questo fu il significato della venuta del compagno Serrati nel nostro partito. Essa rivelava e sanzionava un processo molecolare che si era svolto oscuramente nella massa dei lavoratori italiani dopo la scissione di Livorno, negli anni neri del 1921 e 1922 e per il quale tutto ciò che di sincero, di onesto e di intrepido esisteva nel proletariato rivoluzionario si era incorporato nel nostro partito, spostando radicalmente le posizioni dei partiti che si richiamano alla classe operaia.

Il compagno Serrati è morto, nelle prime file del Partito comunista d'Italia, nelle prime file dell'Internazionale Comunista. Ci pare che anche nella sua morte così tragica ci sia un simbolo e una testimonianza.

Essa ha rivelato in forma drammatica come l'atroce invisibile lotta che i militanti rivoluzionari debbono condurre quotidianamente per mantenere, nonostante tutto, integre le posizioni della classe operaia di fronte alla classe dominante, comporti il sacrificio della propria vita.

Essa nello stesso tempo in cui porta le masse a onorare e salutare il compagno caduto per la causa comune, deve portare le masse a stringersi sempre più attorno al Partito che del caduto conserverà la memoria e continuerà l'opera.