Biblioteca Multimediale Marxista


La sovranità della legge


 

 

(Avanti! ediz. piemontese 1° giugno 1919, anno 23 n. 151).

Oggi il popolo italiano dovrebbe festeggiare il 71° anniversario dell'avvento al potere della sovranità della legge. Da settantun'anni gli italiani non sono più schiavi alla mercé dei poteri irresponsabili dello Stato; il buon piacere e l'arbitrio sono spariti dalla scena sociale: la società è società di "cittadini", uguali per i diritti e per i doveri, ugualmente tutelati e garantiti dalla Carta fondamentale del regno. Questo dovrebbe essere il giorno del popolo, il giorno consacrato alla libertà e al progresso.

L'irrisione non potrebbe essere più atroce dopo, cinque anni di guerra e di regime dei decreti. Tutte le garanzie di libertà sono state soppresse; ogni sicurezza, ogni normalità di vita giuridica è scomparsa. Lo "Stato" è ridiventato l'arbitro supremo dei nostri destini, della nostra vita elementare fisiologica e della superiore vita spirituale. Lo "Stato", cioè i detentori attuali del potere governativo; il presidente del Consiglio dei ministri, col sistema amministrativo che ne dipende ; la gerarchia dei prefetti, sottoprefetti, questori, vicequestori, delegati, questurini. Un questurino "vale" oggi politicamente più di un deputato; il questurino è una parte del potere, il deputato è una finzione giuridica.

(una riga censurata)

La società è diventata una sterminata caserma, retta dall'irresponsabilità nel disordine e nel marasma: tutte la attività cittadine sono controllate, crivellate, sistemate (!), rovinate d'autorità. Il mito antisocialista dello Stato-caserma è diventato una terribile asfissiante realtà borghese, che spinge la società a un abisso di indisciplina, di frenesia, di marasma omicida.(1) Siamo costretti in una camicia di forza che ci fa diventare pazzi ed esasperati.

Tutto ciò era nell'ordine fatale degli avvenimenti storici. Lo Statuto - finzione giuridica della sovranità imparziale e superiore della legge votata dai rappresentanti del popolo - fu in realtà l'inizio della dittatura della classe possidente, la conquista "legale" del potere supremo dello Stato [da parte della classe possidente]. La proprietà privata divenne istituto fondamentale dello Stato, garantito e tutelato sia contro gli arbitri del sovrano che contro le invasioni dei contadini espropriati. Con lo Statuto si toglie al re ogni potere di intervenire nella regolamentazione delle questioni di proprietà privata, anzi la dinastia viene legata alla fortuna della proprietà privata. La società viene sciolta da ogni vincolo collettivo e ridotta al suo elemento primordiale: l'individuo-cittadino. (2) È l'inizio del dissolversi della società corrosa dagli acidi mordenti della concorrenza: denti di drago vengono seminati tra gli uomini e ne giganteggiano le passioni frenetiche, gli odi incolmabili, gli antagonismi irriducibili. Ogni cittadino è un gladiatore, che vede, negli altri, nemici da abbattere o da sottomettere ai suoi interessi. Tutti i vincoli superiori di amore e di solidarietà vengono dissolti: dalle corporazioni artigiane e dalle caste fino alla religione e alla famiglia. La concorrenza viene instaurata come fondamento pratico del consorzio umano: l'individuo-cittadino è la cellula della nebulosa sociale, elemento irrequieto e inorganico che non può aderire a nessun organismo. Su questa inorganicità e irrequietezza sociale si basa appunto il concetto di sovranità della legge, concetto puramente astratto, potenziale truffa della buona fede e dell'innocenza popolare. Concetto antisociale, perché immagina il "cittadino" in eterna guerra con lo Stato, pone gli uomini come nemici perpetui e implacabili dello Stato, che è il corpo vivente e plastico della società e quindi pone gli uomini come nemici di se stessi: lo Statuto è la codificazione del disordine e del marasma antiumano.(3)

Riconosciuto giuridicamente come una perpetuità il principio della società borghese, si inizia l'era del proletariato. Il proletariato nasce come protesta del divenire storico contro ogni irrigidimento e ogni impaludamento del dinamismo sociale. La critica marxista alla economia liberale è la critica al concetto di perpetuità degli istituti umani economici e politici: è la riduzione a storicità e contingenza di ogni fatto, è una lezione di realismo agli astrattisti pseudo-scienziati, difensori delle casseforti.

I proletari vengono inizialmente beneficati dalla concorrenza borghese: acquistano il diritto di muoversi e di vendere a migliori condizioni la loro forza-lavoro. Ma questa "libertà" si rivolge subito contro il proletariato: il lavoratore diventa una merce assoggettata a tutti i contraccolpi del mercato, senza garanzia, senza sicurezza per la sua vita, per il suo domani; le condizioni del salariato diventano peggiori di quelle dello schiavo e del servo della gleba.(4) La sua fame, la sua disoccupazione, il pericolo che egli corre di morire di inedia diventano altrettanti numeri nel gioco della concorrenza capitalista: le casseforti si impinguano del sangue dei lavoratori, Io splendore di civiltà suscitato dal capitalismo nasconde una tragica realtà di larve doloranti, di barbarie, di iniquità senza confini.

Il movimento operaio è la riscossa spirituale dell'umanità contro i nuovi e spietati feudatari del capitale; è la reazione della società che vuole ricomporsi in armonico organismo solidale e retto dall'amore e dalla pietà. (5) Il "cittadino" viene rinnegato dal "compagno"; l'atomismo sociale viene rinnegato dall'organizzazione. Nascono spontaneamente le cellule del nuovo ordine, aderiscono, fondano più vaste stratificazioni solidali. Il potere malefico della "libertà" viene limitato e controllato; il dominio dei capitalisti nell'officina viene circoscritto. L'operaio si conquista un po' di autonomia, un po' di libertà effettiva. Egli non è più uno contro tutti: è socio di collettività che si ingranano in sempre più vaste e potenti collettività, che coprono di una fitta rete tutto il globo. La concorrenza si inizia su una nuova base e su una scala gigantesca: invece che di individui è concorrenza di classi: una nuova classe mondiale si pone contro lo sfruttamento di tutte le classi nazionali borghesi per espropriarle dei mezzi di produzione e di scambio, della proprietà privata e nazionale del suolo e del sottosuolo, dei porti, dei fiumi, degli oceani. L'urto formidabile dà una scrollata a tutta la superstruttura giuridica del capitalismo, accelera il processo di disfacimento e di disordine. Ogni finzione giuridica cade: la libertà viene soppressa, il Parlamento viene chiuso, le garanzie individuali cadono, è una confusione, uno strepito, un marasma senza confini. Dietro l'apparenza della più rigida disciplina, per cui si è ridotta la società umana a una mefitica caserma, regna l'arbitrio e la più spudorata slealtà.

E oggi tutti i violatori dello Statuto, tutti i "cittadini" che hanno giurato di "osservare fedelmente Io Statuto e le altre leggi dello Stato per il bene inseparabile del re e della patria" e quotidianamente si fanno strame della libertà individuale, oggi festeggeranno l'avvento della libertà, della sovranità della legge, del "cittadino". Atroce irrisione che non per molto tempo ancora durerà, perché al "cittadino" si sostituirà il "compagno", alla libertà individualista si sostituirà la libertà sociale, al disordine l'organizzazione, allo Stato della menzogna e della slealtà lo Stato sociale del lavoro e della solidarietà.

NOTE

1. Gli antisocialisti andavano proclamando che il comunismo se fosse prevalso avrebbe trasformato la società in una caserma (anni più tardi questa immagine denigratoria del comunismo verrà illustrata nelle opere La fattoria degli animali e 1989. La denigrazione è ancora oggi moneta corrente.

Gramsci illustra qui un principio che ritorna spesso nei suoi scritti: una disciplina imposta dall'esterno, non corrispondente alla reale natura dei rapporti che connettono tra loro i membri della società cui è imposta, genera in realtà, sotto l'apparente ordine, "un abisso di indisciplina, di frenesia, di marasma omicida". Questo principio rispecchia la situazione dei paesi imperialisti: più sono apparentemente ordinati, più sono realmente un marasma.

2. Nella società feudale il vincolo sociale esisteva nella forma di comune sudditanza al principe, come comune legame di dipendenza personale dal feudatario, dal prelato, da capo-corporazione, che Dio aveva investito del suo ruolo. Così si era formato, storicamente, il vincolo sociale tra gli abitanti dei paesi dell'Europa occidentale dove si sviluppa il capitalismo.

Il termine "primordiale" impiegato da Gramsci è improprio. Fa pensare che la società primitiva fosse costituita da individui-cittadini. In realtà è la borghesia che mette al mondo l'individuo-cittadino, finalmente libero da rapporti di dipendenza personale e di appartenenza alla famiglia, al clan, alla tribù, all'orda. La produzione mercantile semplice costituisce l'individuo come essere libero, che si rapporta agli altri solo nello scambio. Il suo legame sociale è lo scambio con le varie forme e i vari strumenti ad esso connessi. Ciò rende possibile un legame universale, non più condizionato dal sangue, dalla nascita, dallo spazio, dal rapporto personale e dalle qualità individuali. Questo passaggio storico è ben illustrato da K. Marx nella prima parte dei Grundrisse.

3. Tutta questa descrizione che Gramsci fa della condizione borghese è unilaterale e antistorica. Gramsci vede solo i limiti della condizione borghese, i motivi del suo carattere caduco. Trascura il progresso che essa costituiva rispetto alle precedenti condizioni umane e le basi che essa gettava per un ulteriore necessario progresso.

Questi concetti sono meglio illustrati nel Manifesto del partito comunista del 1848.

4. Vedere quanto scrive Engels in Principi del comunismo (1847) domande 7 e 8, circa il confronto tra la condizione del proletario moderno e quella dello schiavo e del servo della gleba (Marx Engels, Opere complete Ed. Riuniti vol. 6).

5. Qui ricompare la concezione antistorica di una società e di una umanità che nel capitalismo sarebbero decadute (avrebbero perso la loro "vera" natura) e che cercano di riconquistare la perduta natura. Il marxismo ha mostrato che il comunismo non è il ritorno ad uno stato originario "primordiale"), ma lo sviluppo necessario delle condizioni e delle contraddizioni create dal capitalismo, a cui succede.

5. Qui ricompare la concezione antistorica di una società e di una umanità che nel capitalismo sarebbero decadute (avrebbero perso la loro "vera" natura) e che cercano di riconquistare la perduta natura. Il marxismo ha mostrato che il comunismo non è il ritorno ad uno stato originario "primordiale"), ma lo sviluppo necessario delle condizioni e delle contraddizioni create dal capitalismo, a cui succede.