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Il primo incontro con Stalin luglio 1947


 

 


La situazione esterna della RP d'Albania. I rapporti con gli Stati confinanti e gli angloamericani. L'incidente del canale di Corfù - Alla Corte dell'Aia. La situazione politica, economica, sociale e di classe in Albania. Stalin mostra un grande interesse per il nostro paese, per il nostro popolo e per il nostro Partito, e li stima molto. "Non è logico che un partito al potere resti nella clandestinità". "Il vostro Partito Comunista si potrebbe chiamare Partito del Lavoro".

Il 14 luglio 1947 giunsi a Mosca a capo della prima delegazione ufficiale del Governo della Repubblica Popolare e del Partito Comunista d'Albania per una visita di amicizia in Unione Sovietica.
L'idea di incontrare il grande Stalin suscitava una gioia indicibile nei miei compagni e in me, che eravamo stati designati dal Comitato Centrale del Partito per questa visita a Mosca. Non avevamo mai cessato di sognare giorno e notte, da quando eravamo stati iniziati alla teoria marxista-leninista, di incontrare Stalin. E tale desiderio era andato crescendo nel corso della nostra lotta antifascista di liberazione nazionale. Dopo le insigni figure di Marx, Engels e Lenin, quella del compagno Stalin ci era estremamente cara e noi nutrivamo nei suoi riguardi un illimitato rispetto, poiché i suoi insegnamenti ci erano serviti come guida nella fondazione dei Partito Comunista d'Albania, quale partito di tipo leninista, ed erano stati per noi fonte di ispirazione durante la Lotta di liberazione nazionale e restano sempre preziosi ora nella costruzione del socialismo.
Le nostre conversazioni con Stalin e i suoi consigli ci avrebbero fatto da guida nell'arduo ed immenso lavoro che stavamo facendo per il consolidamento delle vittorie conseguite .
Proprio per tali motivi la nostra prima visita in Unione Sovietica suscitava un'indicibile gioia, una soddisfazione enorme non solo tra i comunisti e in noi stessi, membri della delegazione, ma anche in tutto il popolo albanese, che l'aspettava con impazienza e che l'approvò con grande entusiasmo.
Stalin e il Governo sovietico, come vedemmo con i nostri occhi e sentimmo nei nostri cuori, accolsero la nostra delegazione con grande cordialità, calore e affetto. Durante i dodici giorni del nostro soggiorno a Mosca, incontrammo Stalin a più riprese ed i colloqui che avemmo con lui, come pure le sue raccomandazioni ed i suoi consigli sinceri e amichevoli, sono rimasti e rimarranno per sempre preziosi.
Conserverò del giorno del mio primo incontro con Giuseppe Vissarionovich Stalin un ricordo indimenticabile. Era il 16 luglio 1947: ci trovavamo a Mosca da tre giorni. Sin dall'inizio fu una giornata straordinaria. In mattinata ci recammo al Mausoleo del grande Lenin per inchinarci davanti alla sua salma e rendere un deferente omaggio al grande e geniale dirigente della rivoluzione, a quest'uomo il cui nome e la cui opera colossale erano profondamente incisi nelle nostre menti e nei nostri cuori e che ci avevano illuminati e ci illuminavano sulla gloriosa via della lotta per la libertà, della rivoluzione e del socialismo. A nome del popolo albanese, del nostro Partito Comunista e a mio nome personale deposi in quest'occasione una corona di fiori ai piedi del Mausoleo dell'immortale Lenin. Poi, dopo aver visitato le tombe dei valorosi combattenti della Rivoluzione Socialista d'Ottobre, quelle degli insigni militanti del Partito Bolscevico e dello Stato Sovietico, ai piedi delle mura del Cremlino, ci recammo al Museo centrale di Vladimir Ilich Lenin. Occorsero più di due ore per visitare tutte le sale, per guardare da vicino i documenti e gli oggetti che vi erano esposti e che illustravano in dettaglio la vita e l'insigne opera del grande Lenin. Prima di uscire, nel Libro delle impressioni scrissi fra l'altro queste parole: "La causa di Lenin resterà immortale fra le generazioni future. Il suo ricordo vivrà per sempre nel cuore del popolo albanese".
Quello stesso giorno, ricco di impressioni e di indelebili emozioni, noi fummo ricevuti dal discepolo e fedele continuatore dell'opera di Lenin, da Giuseppe Vissarionovich Stalin, che si intrattenne a lungo con noi.
Sin dall'inizio egli creò intorno a noi un'atmosfera così amichevole che ben presto ci sentimmo liberati da quel senso di naturale emozione che provammo entrando nel suo studio, una grande sala con un tavolo da riunioni, vicino al quale c'era un altro tavolo da lavoro. Appena qualche minuto dopo lo scambio delle prime parole, eravamo così distesi che ci sembrava di conversare non con il grande Stalin, ma con un vecchio amico con il quale ci eravamo già intrattenuti parecchie volte. Oltre che essere allora relativamente giovane, ero il rappresentante di un piccolo partito e di un piccolo popolo. E' per questo che Stalin, al fine di crearmi un'atmosfera la più calorosa e amichevole possibile, accompagnava il suo discorso con battute; poi si mise a parlare con grande amore e profondo rispetto del nostro popolo, delle sue antiche tradizioni combattenti e dei suo eroismo nella Lotta di liberazione nazionale. Parlava con calma, in tono pacato e con un calore particolarmente comunicativo.
Il compagno Stalin mi disse fra l'altro che provava una profonda simpatia per il nostro popolo, questo antichissimo popolo dei Balcani con una lunga storia fatta di atti di valore.
- Conosco soprattutto l'eroismo di cui il popolo albanese ha dato prova nel corso della sua Lotta di liberazione nazionale, proseguì, ma tale conoscenza non è sufficientemente vasta e profonda; perciò vorrei sentirvi discorrere un po' del vostro paese, del vostro popolo e dei problemi che vi preoccupano oggi.
Presi quindi la parola e descrissi al compagno Stalin la lunga e gloriosa via percorsa dal nostro popolo nella sua storia, le sue incessanti lotte per la libertà e l'indipendenza. Mi soffermai particolarmente sul periodo della nostra Lotta di liberazione nazionale, gli parlai della fondazione del nostro Partito Comunista, quale partito di tipo leninista, del ruolo decisivo da esso svolto in quanto unica forza dirigente nella lotta, come pure degli sforzi del popolo albanese per conquistare la libertà e l'indipendenza della patria, per rovesciare il vecchio potere feudale-borghese, per instaurare il nuovo potere popolare; un ruolo che esso continua a svolgere al fine di condurre il paese con successo verso profonde trasformazioni socialiste. In quest'occasione ringraziai ancora una volta il compagno Stalin e gli espressi la profonda gratitudine dei comunisti e dell'intero popolo albanese per il caloroso appoggio che il Partito Comunista dell'Unione Sovietica, il Governo sovietico e lui stesso avevano dato al nostro popolo e al nostro Partito sia durante la guerra che dopo la liberazione della patria.
Proseguendo parlai al compagno Stalin delle profonde trasformazioni politiche, economiche e sociali che erano state compiute e che erano in corso di realizzazione passo dopo passo durante i primi anni di potere popolare. "La situazione interna sul piano politico ed economico in Albania, gli dissi fra l'altro, conosce miglioramenti evidenti. Questi sono dovuti alla giusta comprensione della necessità di sormontare le difficoltà e ai grandi sforzi del popolo e del Partito per superarle con il loro instancabile lavoro. Il nostro popolo è deciso a procedere sulla sua via ed ha un'incrollabile fiducia nel Partito Comunista, nel Governo della nostra Repubblica popolare, nelle sue forze costruttive, nei suoi sinceri amici e, animato di un alto spirito di mobilitazione, di abnegazione e di entusiasmo, egli assolve ogni giorno i compiti che gli incombono.
Il compagno Stalin si rallegrò dei successi del nostro popolo e del nostro Partito nella loro opera di costruzione e chiese poi che gli parlassi un po’ più a lungo della situazione delle classi nel nostro paese. Voleva soprattutto sapere qual'era la situazione della classe operaia e delle nostre masse contadine. Mi rivolse una serie di domande a proposito di queste due classi della nostra società; ci scambiammo in merito a queste classi un buon numero di idee che ci sarebbero state utili in seguito per svolgere un solido lavoro in seno alla classe operaia e ai contadini poveri e medi, ed anche per definire i nostri atteggiamenti nei confronti degli elementi agiati nelle città e dei kulak nelle campagne.
- La schiacciante maggioranza della nostra popolazione, dissi fra l'altro al compagno Stalin in risposta al e sue domande, è costituita da contadini poveri e poi da contadini medi. La nostra classe operaia è numericamente esigua; da noi vi è anche un certo numero di piccoli artigiani, dei cittadini che si occupano di commercio al minuto e una minoranza di intellettuali. Tutte queste masse di lavoratori hanno risposto all'appello del nostro Partito Comunista, si sono mobilitate nella lotta per la liberazione della patria e oggi sono strettamente legate con il Partito e il potere popolare.
- Vanta la classe operaia albanese delle tradizioni nella lotta di classe? - chiese il compagno Stalin.
- Prima della liberazione del paese, risposi, questa classe era numericamente molto esigua; era stata appena creata ed era composta di un certo numero di operai salariati, di apprendisti o di artigiani sparpagliati in piccole botteghe e aziende. Un tempo, in alcune città del paese, gli operai scendevano in scioperi, ma si trattava di movimenti isolati e di scarsa entità, e ciò sia per il numero esiguo degli operai che per la mancanza di una loro organizzazione in sindacati. Nonostante ciò, spiegai al compagno Stalin, il nostro Partito Comunista è stato fondato come un partito della classe operaia che si ispirava all'ideologia marxista-leninista e che esprimeva e difendeva gli interessi del proletariato e delle vaste masse lavoratrici, innanzi tutto quelli delle masse contadine albanesi, che costituivano la maggior parte della nostra popolazione.
Il compagno Stalin espresse il desiderio di essere informato della situazione dei contadini poveri e medi nel nostro paese.
Rispondendo alle sue domande, lo misi al corrente della politica seguita del nostro Partito sin dalla sua fondazione, dell'importante lavoro svolto da esso sotto tutti gli aspetti per appoggiarsi sulle masse contadine e guadagnarsi la loro simpatia.
- Abbiamo agito in tal modo, dissi, non solo perché partivamo dal principio marxista-leninista secondo cui le masse contadine sono le alleate più vicine e più naturali del proletariato nella rivoluzione, ma, anche per il fatto che in Albania i contadini costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione; questi si sono caratterizzati nei secoli per le brillanti tradizioni patriottiche e rivoluzionarie. - Poi riferii al compagno Stalin della condizione economica di questi contadini prima della liberazione e del loro livello culturale e tecnico. Pur ponendo l'accento sulle alte qualità dei nostri contadini, come gente patriota, operosa, strettamente attaccata alla terra e alla patria, assetata di libertà e di progresso, gli parlai anche delle sopravvivenze accentuate del passato e del ritardo economico e culturale delle nostre
masse contadine, nonché della mentalità piccolo borghese coltivata nella loro coscienza. "Il nostro Partito, sottolineai, ha dovuto lottare con tutte le sue forze contro questo stato di cose ed abbiamo conseguito dei successi in tal senso, ma ciò nondimeno siamo consci del fatto che dobbiamo lavorare di più e con maggior impegno per far prendere coscienza ai contadini e indurli ad abbracciare la linea del Partito ed applicarla ad ogni passo".
Prendendo la parola, il compagno Stalin disse che all'inizio i contadini, in genere, temono molto il comunismo, pensano che i comunisti li priveranno della terra e di tutti i loro beni. "I nemici, proseguì, si adoperano in tutti i modi per convincere i contadini alle loro idee così che si allontanino dall'alleanza con la classe operaia, dalla politica del Partito e dalla via del socialismo. Da qui la grandissima importanza del lavoro accurato e lungimirante che il Partito Comunista deve compiere con i contadini, come avete detto voi stesso, affinché questi si leghino in modo indissolubile al Partito e alla classe operaia".
Colsi l'occasione e descrissi in linee generali al compagno Stalin la struttura sociale del nostro Partito, gli spiegai che tale struttura rispondeva in pieno alla stessa struttura sociale del nostro popolo. "Ecco la ragione perché attualmente, dissi, i comunisti di estrazione contadina costituiscono la maggioranza degli iscritti. La politica del nostro Partito in questa direzione consiste nell'accrescere passo dopo passo, parallelamente alla crescita della classe operaia, il numero dei suoi membri di condizione operaia".
Apprezzando la giusta politica attuata dal nostro Partito verso le masse in generale, e in particolare verso le masse contadine, il compagno Stalin ci diede amichevolmente una serie di consigli utili per il nostro lavoro futuro. Ci suggerì fra l'altro di dare al nostro Partito Comunista il nome di "Partito del Lavoro d'Albania", dato che la maggior parte dei suoi membri erano di origine contadina. "Comunque, egli osservò, questa è un'idea mia, perché spetta a voi, al vostro Partito, dire l'ultima parola in merito".
Dopo aver ringraziato il compagno Stalin di questo suo prezioso suggerimento, gli dissi:
- Sottoporremo questa vostra proposta al I Congresso del Partito* *( E' stato tenuto dall'8 al 22 novembre 1948) che stiamo preparando e sono convinto che sia la base del Partito che la sua direzione la troveranno saggia e l'approveranno. - Poi esposi al compagno Stalin il nostro punto di vista sulla totale legalizzazione del nostro Partito al suo I Congresso in preparazione.
- In realtà, gli dissi fra l'altro, il nostro Partito Comunista è stato e resta l'unica forza dirigente di tutta la vita del paese; dal punto di vista formale però esso si trova ancora in una situazione di semiclandestinità. Non ci sembra affatto giusto prolungare questa situazione*.*( L11° Plenum del CC del PCA, tenutosi dal 13 al 24 settembre 1948 e il I Congresso del PCA decisero la totale e immediata legalizzazione del PCA. Il mantenimento del Partito fino allora in uno stato di semiclandestinità fu ritenuto sia dal plenum che dal Congresso un errore dovuto alle pressioni e all'influenza della direzione trotzkista jugoslava; la quale, per scopi ben definiti, considerando il Fronte come la principale forza dirigente del paese, cercava di far fondere il Partito Comunista nel Fronte, di sottovalutare e di negare quindi il Partito comunista stesso ed il suo ruolo dirigente sia nel Fronte che in tutta la vita del paese.)
- Giusto, giustissimo, rispose il compagno Stalin. Non è logico che un partito al potere resti nella clandestinità, o lo si consideri illegale.
Passando ad altre questioni, relative alle nostre forze armate, spiegai al compagno Stalin che il nostro esercito, uscito dalla lotta, era composto nella sua stragrande maggioranza di contadini poveri, di giovani operai e di intellettuali delle città.
I quadri dell'esercito, gli ufficiali che comandano, sono usciti anch'essi dalla lotta ed è in guerra che hanno acquisito l'esperienza del comando.
Gli parlai inoltre degli istruttori sovietici che si trovavano da noi da qualche tempo e gli chiesi di inviarcene ancora degli altri. "Siccome ci manca la dovuta esperienza in materia, dissi, il livello del nostro lavoro politico nell'esercito non è all'altezza richiesta, quindi la pregherei di prendere in considerazione la questione e di aiutarci ad elevare il livello di questo lavoro. Da noi ci sono anche degli istruttori jugoslavi, aggiunsi, e non posso dire che sono sprovvisti di esperienza, ma, a dire il vero, la loro esperienza è limitata. Anch'essi sono usciti da una grande lotta di liberazione nazionale, ma malgrado ciò non sono all'altezza degli ufficiali sovietici".
Dopo avergli parlato del morale elevato del nostro esercito, della disciplina e di una serie di altri problemi, domandai al compagno Stalin di designare un compagno sovietico con il quale poter discutere più a lungo e in modo più dettagliato dei problemi del nostro esercito e delle sue necessità future.
Accennai poi al problema del rafforzamento del nostro litorale.
- In modo particolare dobbiamo rafforzare l'isola di Sazan, la fascia costiera di Vlora e di Durrës, poiché si tratta di posizioni molto delicate. E' proprio da qui che il nemico ci ha attaccato due volte. E forse di là dovremo sostenere un attacco eventuale da parte degli angloamericani e degli italiani.
- Per quanto riguarda il rafforzamento del vostro litorale, disse fra l'altro il compagno Stalin, condivido la vostra opinione. Noi, da parte nostra, vi aiuteremo, ma dovranno essere gli albanesi e non i sovietici ad utilizzare le armi e gli altri mezzi di difesa che vi forniremo. Siccome il meccanismo di alcuni di questi mezzi è complicato, dovreste inviare i vostri uomini qui da noi ad impararne l'uso.
Circa la richiesta di invio di istruttori politici presso il nostro esercito, il compagno Stalin mi spiegò che essi non potevano più continuare a farlo perché, per compiere un lavoro utile, questi istruttori innanzi tutto dovevano conoscere bene la lingua albanese, la situazione interna e la vita del popolo albanese. "Perciò sarebbe meglio, egli disse, che foste voi ad inviare i vostri uomini in Unione Sovietica per acquisire la nostra esperienza in materia e poi applicarla nelle strutture dell’esercito popolare albanese".
Poi il compagno Stalin volle essere informato delle attività della reazione interna in Albania e del nostro atteggiamento nei suoi confronti.
- La reazione interna. risposi. l'abbiamo colpita e continueremo a colpirla duramente. Abbiamo ottenuto dei successi nella lotta volta a smascherarla e a schiacciarla. Quanto alla liquidazione fisica dei nemici, questa è stata realizzata sia nel corso degli scontri diretti fra le nostre forze e le bande armate dei criminali, sia eseguendo le sentenze emesse dai tribunali popolari alla fine dei processi contro i traditori ed i stretti collaboratori degli occupanti. Nonostante i successi conseguiti in questa direzione, non possiamo dire che la reazione interna se ne stia con le braccia conserte. Non è certo in grado di organizzarsi per colpirci pericolosamente, nondimeno continua la sua propaganda contro di noi.
"Il nemico esterno appoggia il nemico interno al fine di realizzare i propri obiettivi. La reazione esterna si sforza di aiutare, di incoraggiare e di organizzare i nemici interni tramite i suoi agenti introdotti nel paese per via terra e dal cielo. Di fronte ai tentativi del nemico, abbiamo maggiormente acuito la vigilanza delle masse lavoratrici. Il popolo ha catturato questi agenti e li ha deferiti alla giustizia. I processi celebrati e le condanne pronunciate pubblicamente hanno prodotto un notevole effetto educativo fra la popolazione, hanno rafforzato la sua fiducia nella forza e nello spirito di giustizia del nostro potere popolare, e il suo rispetto verso di esso. Allo stesso tempo questi processi hanno smascherato e demoralizzato le forze reazionarie interne ed esterne".
Proseguendo questo colloquio con il compagno Stalin, trattammo a lungo i problemi della situazione internazionale e in particolare i rapporti del nostro Stato con i paesi vicini. Anzitutto feci un'esposizione della situazione alle nostre frontiere, gli parlai dei rapporti che intrattenevamo con la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia, soffermandomi però in modo particolare sui nostri rapporti con la Grecia al fine di spiegargli la situazione alla nostra frontiera meridionale. Sottolineai che i monarco-fascisti greci, non essendo riusciti a realizzare il loro sogno della "megale idea" ("grande idea") - quella cioè di annettersi l'Albania meridionale, continuavano le loro innumerevoli provocazioni alle nostre frontiere. "Il loro obiettivo, dissi al compagno Stalin, è di provocare un conflitto alle nostre frontiere e di creare, ancor prima che la guerra sia conclusa, una situazione tesa nei rapporti fra la Grecia e noi". Gli spiegai che dal canto nostro ci sforzavamo, nei limiti del possibile, di evitare le provocazioni dei monarco-fascisti greci, di non rispondere alle loro provocazioni. Solo quando, ogni tanto, colmano la misura e uccidono i nostri uomini, noi prendiamo delle contromisure e rispondiamo al fuoco per far capire a questa gente che l'Albania e i suoi confini sono inviolabili. Se intendono intraprendere delle azioni pericolose contro l'indipendenza dell'Albania, ebbene sappiano che noi siamo capaci di difendere la nostra patria.
"Nei loro disegni e nei loro tentativi di riversare sull'Albania la responsabilità della guerra civile che è scoppiata in Grecia, di screditare il nostro potere popolare nelle riunioni del Consiglio di Sicurezza e delle altre conferenze internazionali, i monarco-fascisti sono incoraggiati e sostenuti dalle potenze imperialiste". Dopo aver lungamente spiegato queste situazioni a Stalin, lo informai nelle linee generali dei nostri atteggiamenti alla commissione d'inchiesta e alle sottocommissioni appositamente istituite per esaminare i rapporti tesi fra l'Albania e la Grecia.
Riferii al compagno Stalin tutto quello che sapevamo sulla situazione dei democratici greci, poi gli parlai anche del nostro sostegno alla loro giusta lotta. Non mancai di esprimergli apertamente la nostra posizione su una serie di punti di vista dei compagni del Partito comunista di Grecia, che ci sembravano errati. Ugualmente gli espressi il mio parere sulle prospettive della lotta dei democratici greci.
Sebbene il compagno Stalin fosse stato sicuramente informato dai compagni Molotov, Viscinski ed altri degli atteggiamenti brutali e infami degli imperialisti americani e inglesi verso l'Albania* *( Cfr. Enver Hoxha: -I1 pericolo angloamericano in Albania(Memorie). Edizioni -8 Nëntori-, Tirana 1982, in italiano.), non esitai a tornare sull'argomento, ponendo l'accento sulle loro posizioni ostili ed anche brutali e subdole verso di noi alla Conferenza di Parigi. Al tempo stesso gli feci notare che la situazione nei nostri rapporti con gli angloamericani non era cambiata in nulla, che noi consideravamo sempre minaccioso il loro atteggiamento. Non contenti di continuare una propaganda molto ostile contro l'Albania in campo internazionale, gli angloamericani intraprendevano attraverso l'Italia e la Grecia delle provocazioni per via terra e dal cielo, con l'aiuto di elementi sovversivi albanesi, zoghisti, ballisti e fascisti in emigrazione e che avevano raccolto, organizzato e addestrato nei campi di raccolta creati a tal fine in Italia e altrove.
Accennai inoltre al problema del cosiddetto incidente di Corfù, che gli imperialisti inglesi avevano portato davanti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, ed anche all'esame della Corte internazionale di giustizia dell'Aia. <<L’incidente di Corfù, aggiunsi, è stato inventato di sana pianta dagli inglesi a scopo di provocazione contro il nostro paese e per trovare un pretesto per un eventuale intervento militare nella città di Saranda. Non siamo stati noi a posare le mine nel mar Ionio. Quanto a quelle che sono scoppiate, o sono state collocate dai tedeschi sin dal tempo della guerra, oppure sono stati gli inglesi a farlo intenzionalmente affinché scoppiassero nel momento in cui alcune delle loro navi avrebbero attraversato le nostre acque territoriali al largo di Saranda. Non c'era nessuna ragione che queste navi passassero lungo la nostra costa, tanto più che non ci avevano preavvisati.
Dopo lo scoppio delle mine, gli inglesi pretesero di aver subito dei danni materiali e delle perdite umane. Cercavano quindi di gonfiare l'incidente. Non sappiamo se gli inglesi abbiano veramente subito i danni di cui parlano, noi non ci crediamo. Ma anche se le loro affermazioni fossero vere, noi non possiamo assolutamente essere ritenuti responsabili dell'accaduto.
"Stiamo difendendo il nostro buon diritto presso la Corte internazionale di giustizia dell'Aia; questo tribunale però è manipolato dagli imperialisti angloamericani, che inventano le più svariate accuse per coprire le loro provocazioni e costringerci ad indennizzare gli inglesi".
Parlai inoltre al compagno Stalin della Conferenza di Mosca*,*( Dal 10 marzo al 24 aprile 1947 si riunì a Mosca la Conferenza dei ministri degli esteri dell'Unione Sovietica, degli Stati Uniti, di Gran Bretagna e di Francia. Questa Conferenza discusse questioni concernenti il Trattato di Pace con la Germania. I rappresentanti dell'Unione Sovietica, Molotov e Viscinski, sostennero a questa conferenza il diritto dell'Albania di partecipare alla Conferenza di Pace con la Germania. Questa posizione fu ugualmente sostenuta dal rappresentante francese. ma i rappresentanti della Gran Bretagna e degli Stati Uniti si opposero.) gli esposi, con l'appoggio di argomenti, il nostro punto di vista sulla dottrina Truman a proposito della Grecia e sulle ingerenze degli angloamericani negli affari interni della Repubblica Popolare d'Albania; al tempo stesso gli spiegai la nostra posizione nei confronti del piano Marshall, sottolineando che non avremo accettato "aiuti" nel quadro di questo piano infame.
Discussi con il compagno Stalin anche il problema dell'estradizione dei criminali di guerra, che erano fuggiti dal nostro paese. Noi chiedevamo, a buon diritto, ai governi dei paesi che davano asilo a questi criminali, di consegnarceli affinché rendessero conto al popolo dei loro crimini, benché fossimo convinti che non avrebbero accondisceso mai a tale richiesta, poiché questi criminali costituivano dei contingenti degli angloamericani e del fascismo in generale.
Illustrai inoltre al compagno Stalin il punto di vista del nostro Partito sui rapporti del nostro paese con l'Italia. "Questo paese, dissi, ci ha attaccato a due riprese. Ci ha messo a ferro e a fuoco, ma noi siamo marxisti, internazionalisti e, in quanto tali, desideriamo intrattenere dei rapporti di amicizia con il popolo italiano. L'attuale governo italiano, sottolineai, mantiene degli atteggiamenti reazionari verso di noi; le sue mire verso il nostro paese non differiscono da quelle dei precedenti governi italiani. Essendo sotto l'influenza degli angloamericani, questo governo vorrebbe vedere l'Albania, in un modo o nell'altro, assoggettata ai suoi interessi, cosa che non accadrà mai. E' a tal fine, proseguii, che gli angloamericani, di concerto con il governo di Roma mantengono e addestrano nel territorio italiano dei contingenti di fuorusciti, che vengono paracadutati poi come agenti sovversivi in Albania. Pur cercando di gettare la pietra e nascondere la mano, essi moltiplicano le loro attività ostili contro il nostro paese, ma non ci è difficile indovinare quali sono le loro mire. Noi desideriamo stabilire relazioni diplomatiche con questo paese, ma i governi italiani hanno una concezione negativa del problema".
Dopo avermi ascoltato con la massima attenzione, Stalin disse che gli americani e gli inglesi; indipendentemente dalle difficoltà e dagli ostacoli che ci creavano, non potevano attaccarci nelle condizioni esistenti. "Di fronte al vostro Atteggiamento risoluto, disse, non oseranno sbarcare sul vostro territorio, quindi non c'è motivo di preoccuparsi; tuttavia dovete difendere la vostra patria, prendere tutte le misure per rafforzare il vostro esercito e i vostri confini, poiché esiste il pericolo di guerra da parte degli imperialisti.
-I monarco-fascisti greci, aggiunse, stimolati e incoraggiati dagli imperialisti americani e inglesi, continueranno le loro provocazioni per crearvi degli ostacoli e non lasciarvi in pace. Gli attuali governanti di Atene hanno in seno il germe del male, poiché la guerra civile che si è scatenata nel loro paese, è diretta contro di essi e contro i loro padroni inglesi e americani.
"Per quel che riguarda l'Italia, disse il compagno Stalin, le cose stanno proprio come voi pensate. Gli angloamericani cercheranno di installarvi delle basi, di organizzare la reazione e di rafforzare il governo De Gasperi. Dovete stare molto attenti a questo riguardo e informarvi di quello che combinano là i fuorusciti albanesi. Finché non saranno conclusi i trattati, la situazione non può essere considerata normalizzata. A mio parere, per il momento non dovete allacciare rapporti con questo paese, perciò non affrettatevi".
- Anche noi la pensiamo così, dissi al compagno Stalin, non dobbiamo affrettare il passo nell'evoluzione dei nostri rapporti con l'Italia; perciò intendiamo prendere, in genere, delle misure per rafforzare i nostri confini.
"Abbiamo avanzato agli jugoslavi, proseguii. la proposta di stabilire dei contatti e cooperare per la difesa delle nostre frontiere contro un eventuale attacco greco o italiano, ma essi non hanno risposto alla nostra proposta, e ciò con il pretesto di voler discutere con noi la questione dopo averla studiata. La collaborazione da noi proposta consiste nello scambio di informazioni con gli jugoslavi sui pericoli che possono minacciarci ad opera dei nemici esterni, affinché dentro le proprie frontiere e con il proprio esercito ognuno possa prendere le adeguate misure atte a fronteggiare qualsiasi evenienza". Inoltre lo informai che avevamo schierato due delle nostre divisioni lungo le nostre frontiere meridionali.
D'altra parte, durante la conversazione sottolineai il fatto che alcuni aerei jugoslavi erano atterrati all'aeroporto di Tirana contrariamente alle regole conosciute in vigore nei rapporti fra gli Stati. "Di tanto in tanto, dissi, i compagni jugoslavi si lasciano andare, senza avvisarci, ad azioni riprovevoli di questo genere. Non è giusto che gli aerei jugoslavi sorvolino il territorio albanese senza informare il nostro Governo. Abbiamo fatto rilevare queste violazioni ai compagni jugoslavi, e questi hanno ammesso di aver sbagliato. Amicizia a parte, non possiamo permettere loro di violare la nostra integrità territoriale. Noi siamo degli Stati indipendenti è ciascuno di noi, senza pregiudicare i nostri rapporti di amicizia, deve difendere la sua sovranità e i suoi diritti, rispettando al tempo stesso la sovranità e i diritti dell'altro.
- Non è forse contento il vostro popolo dei rapporti che intrattenete con la Jugoslavia? - mi chiese a quel punto il compagno Stalin. - E' un'ottima cosa per voi avere un vicino come la Jugoslavia amica, poiché l'Albania è un paese piccolo e, in quanto tale, ha bisogno di essere potentemente appoggiato dai suoi amici.
Gli risposi che rispondeva a verità il fatto che ogni paese, piccolo o grande, ha bisogno di amici e di alleati, e che noi consideravamo la Jugoslavia un paese amico.
Discutemmo con il compagno Stalin e il compagno Molotov, fin nei minimi particolari, dei problemi della ricostruzione del paese distrutto dalla guerra e dei problemi della costruzione della nuova Albania. Tracciai loro un quadro della situazione della nostra economia, delle prime trasformazioni socialiste in questo settore e delle grandi prospettive che si schiudevano al paese, dei successi conseguiti, dei grandi problemi e delle difficoltà che ci stavano di fronte.
Esprimendo la sua soddisfazione per i successi da noi ottenuti, Stalin mi faceva ogni tanto le più svariate domande. Volle essere informato in particolare della situazione della nostra agricoltura, delle condizioni climatiche del paese, delle colture agricole tradizionali del nostro popolo, e così via.
- Quali sono i cereali che voi coltivate di più? - mi chiese.
- Innanzi tutto il mais, poi il grano, la segala...
- Il mais non teme la siccità?
- E' vero che la siccità ci provoca spesso dei gravi danni, risposi, ma a causa dell'arretratezza della nostra agricoltura e dei nostri grandi bisogni in cereali panificabili, il nostro contadino si è abituato a cavare qualcosa di più dal mais che dal grano. Stiamo prendendo intanto delle misure per creare una rete di canali di drenaggio e d'irrigazione, per prosciugare le zone paludose e gli acquitrini del paese.
Stalin ascoltava le mie risposte, mi rivolgeva delle domande minuziose e spesso interveniva nel discorso per darci consigli molto preziosi. Mi ricordo che nel corso dei colloqui avuti con lui, mi chiese su quali basi era stata attuata la Riforma agraria, qual'era la percentuale delle terre distribuite ai contadini poveri e medi, se le istituzioni religiose erano state toccate da questa riforma, e così via.
Parlando dell'aiuto che lo Stato a democrazia popolare dà alle masse contadine e dei legami della classe operaia con queste, Stalin ci rivolse delle domande circa i trattori; voleva sapere se avevamo in Albania delle stazioni di macchine e di trattori e come le avevamo organizzate. Sentita la mia risposta, si mise a svolgere tale questione e ci diede una serie di consigli utili.
- Voi, disse fra l'altro, dovete creare delle stazioni di macchine e di trattori, rafforzarle e fare in modo che queste lavorino con i loro mezzi come si deve non solo le terre delle cooperative e dei contadini, ma anche quelle dello Stato. I trattoristi debbono essere posti al servizio delle masse contadine, conoscere l'agricoltura, le colture, le terre, e tradurre in concreto le loro conoscenze al fine di accrescere in ogni modo la produzione. Ciò è molto importante, altrimenti si registreranno effetti negativi ovunque. Quando abbiamo messo su le nostre prime stazioni di macchine e di trattori, proseguì, i trattori lavoravano spesso la terra dei contadini, ciò nonostante la produzione non cresceva. E ciò per il fatto che un buon trattorista deve sapere non solo guidare il suo mezzo, ma anche essere un buon coltivatore che sa in quale momento e in quale maniera va lavorata la terra. I trattoristi, prosegui Stalin, quali elementi della classe operaia, sono in continuo, quotidiano e diretto contatto con i contadini. Debbono quindi impegnarsi con tutta coscienza per temprare l'alleanza della loro classe con le masse contadine lavoratrici".L'attenzione con la quale Stalin seguiva le nostre spiegazioni sulla nuova economia albanese e sulle vie del suo sviluppo, produssero una profonda impressione in noi. Rilevai fra l'altro in lui, sia nel corso della discussione su questi problemi che durante gli altri colloqui, un tratto meraviglioso: non si esprimeva mai con un tono di comando, né cercava di imporre il suo pensiero. Egli parlava, dava dei consigli, ed anche dei suggerimenti, accompagnandoli però sempre con queste parole: "Questo è il mio parere personale", "questo è il nostro parere. Quanto a voi, compagni, vedrete come stanno le cose e deciderete sul da fare voi stessi a seconda della vostra situazione concreta, in funzione delle vostre condizioni". Mostrava interesse per tutti i problemi.Mentre parlavo della situazione dei trasporti e delle grandi difficoltà a cui andavamo incontro in questo settore, Stalin mi chiese:
- Non so se in Albania costruite dei battelli?
- No.
- Avete o no dei pini?
- Sì, delle foreste intere.
- Allora, disse, voi possedete una buona base per costruire dei battelli per il trasporto marittimo.
Poi mi domandò come si presentava in Albania la rete ferroviaria, che moneta era in corso da noi, quali erano le nostre risorse minerarie; egli volle sapere se le nostre miniere erano state sfruttate dagli italiani, e così via.
Risposi a tutte le sue domande e Stalin concludendo la discussione, disse:
- Attualmente l'economia albanese è un'economia arretrata. Voi state compiendo il primo passo in tutti i settori. Perciò compagni, parallelamente alla vostra lotta e ai vostri sforzi, anche noi, dal canto nostro, vi aiuteremo per quanto ci sarà possibile a raddrizzare la vostra economia e a rafforzare il vostro esercito. Abbiamo esaminato le vostre richieste di aiuto, disse il compagno Stalin, ed abbiamo concordato di soddisfarle tutte. Vi aiuteremo ad equipaggiare la vostra industria e la vostra agricoltura con i mezzi necessari, a rafforzare il vostro esercito, a sviluppare l'insegnamento e la cultura. Vi forniremo a credito altre fabbriche e macchine che pagherete quando ne avrete la possibilità. Quanto agli armamenti, vi saranno consegnati gratuitamente e non avrete quindi niente da sborsare. Noi sappiamo bene che i vostri bisogni sono di gran lunga maggiori, ma per il momento è tutto quello che siamo in grado di fare, poiché noi stessi siamo ancora poveri a causa delle distruzioni causateci dalla guerra.
"Nello stesso tempo, proseguì il compagno Stalin, noi vi aiuteremo inviando nel vostro paese degli specialisti che contribuiranno ad accelerare lo sviluppo dell'economia e della cultura albanesi. Per quanto riguarda il petrolio, penso di inviarvi degli specialisti dell'Azerbaigian che sono dei maestri in materia. Dal canto suo, l'Albania deve inviare in Unione Sovietica figli di operai e di contadini affinché proseguano i loro studi e si istruiscano per promuovere il progresso del loro paese".
Durante il nostro soggiorno a Mosca, dopo ogni incontro e colloquio con il compagno Stalin, noi vedevamo sempre più da vicino in questo illustre rivoluzionario, in questo grande marxista, l'uomo semplice, cordiale, savio, il vero uomo. Egli amava il popolo sovietico con tutta la sua anima, gli consacrava tutte le sue forze e le sue energie, il suo cuore batteva solo per lui. E questi tratti si manifestavano in ogni colloquio, in ciascuna delle sue attività, dalle più importanti fino alle più comuni.
Alcuni giorni dopo il nostro arrivo a Mosca, presenziai in compagnia di Stalin e di altri dirigenti del Partito e dello Stato sovietici ad una manifestazione ginnico-sportiva a livello nazionale che si svolse allo Stadio centrale di Mosca. Con quanta passione egli segui la manifestazione! Per più di due ore tenne gli occhi inchiodati sugli esercizi degli atleti e, malgrado la pioggia che si mise a cadere verso la fine della manifestazione e le preghiere di Molotov affinché lasciasse lo stadio, egli continuò a seguire con attenzione fino alla fine lo spettacolo, a scherzare e a salutare con la mano. Mi ricordo che per ultimo nel programma c'era un cross-country di massa. La corsa volgeva al termine, gli atleti dovevano fare più volte il giro dello stadio, quando ai piedi della tribuna centrale passò un atleta rimasto in coda. Lungo e magro, egli avanzava a stento, le sue mani penzolavano avanti e indietro; malgrado tutto, egli si accaniva a correre, grondante di pioggia. Stalin lo guardava da lontano con un sorriso in cui traspariva la compassione e il calore del padre:
"Millij mooj"*, *(In russo: "Mio caro") egli fece fra sé, torna a casa, vai a riposarti e rimetterti un po'. Verrai un'altra volta! Ci saranno altri cross ... ".
Il rispetto di Stalin e il suo grande amore per il nostro popolo, l'interesse che manifestava per la storia e le usanze del popolo albanese, non si cancelleranno mai dalla mia memoria. In uno dei nostri incontri di quei giorni, nel corso della cena che Stalin offrì in onore della nostra delegazione, avemmo insieme una discussione molto interessante sull'origine del popolo albanese e la sua lingua.
- Quali sono le origini e la lingua del vostro popolo? - egli mi chiese fra l'altro. Ha esso qualche legame con i Baschi? Non credo che il popolo albanese sia venuto dalla lontana Asia, non è nemmeno di origine turca, poiché gli albanesi sono più antichi dei Turchi. Forse il vostro popolo ha delle origini comuni con gli Etruschi rimasti sulle vostre montagne, poiché una parte di essi si insediarono in Italia dove furono assimilati dai Romani ed altri andarono nella penisola iberica.
Dissi al compagno Stalin che il popolo albanese era di origine molto antica e che l'albanese era una lingua indoeuropea. "Esistono numerose teorie a tale proposito, ma la verità è che noi siamo di origine illirica. Il nostro popolo discende quindi dagli Illiri. Esiste pure una tesi secondo cui il popolo albanese è il popolo più antico dei Balcani e che l'origine preomerica degli albanesi risale ai Pelasgi.
"La teoria dei Pelasgi, gli spiegai in seguito, è stata per un certo tempo sostenuta da numerosi scienziati, in particolare dagli studiosi tedeschi. Alcuni dei nostri studiosi, conosciuti come specialisti di Omero, sono giunti alla stessa conclusione, e ciò basandosi su alcune parole impiegate nell'Iliade e nell'Odissea e che ritroviamo anche nell'odierna lingua del popolo albanese, come per esempio il vocabolo "gur" (pietra), ossia kamienj in russo. Omero mette questa parola davanti al suo equivalente in greco, il che ci dà "guri-petra". Basandosi su alcuni vocaboli come questo, tenendo conto anche dell'Oracolo di Dodona, dell'etimologia delle parole nonché della spiegazione filologica delle loro trasformazioni, questi scienziati sono giunti alla conclusione che noi discendiamo dai Pelasgi, che hanno preceduto i Greci nella penisola dei Balcani.
"Comunque sia, non ho mai inteso dire che gli Albanesi e i Baschi abbiano un'origine comune, risposi al compagno Stalin. Può darsi che esista anche quest'altra teoria cui avete accennato or ora e secondo la quale una parte degli Etruschi sarebbe rimasta in Albania, un'altra si sarebbe separata da essi per andare ad insediarsi in Italia, e che il resto infine si sarebbe trasferito di là nella penisola iberica, in Spagna. Anche questa teoria ha forse i suoi sostenitori, ma per quanto mi riguarda non ne sono al corrente".
A un certo punto Stalin mi disse:
- C'è da noi, nel Caucaso, una regione che si chiama Albania; ha forse essa qualche rapporto con il vostro paese?
- Questo lo ignoravo, risposi; sta di fatto però che molti albanesi sono stati costretti nel corso dei secoli, a causa della feroce occupazione ottomana, degli attacchi e delle feroci crociate dei sultani e dei pascià ottomani, ad abbandonare la loro patria per insediarsi in terra straniera, dove hanno costituito interi villaggi. E' quel che è successo con le migliaia di albanesi che hanno stabilito la loro dimora nell'Italia meridionale sin dal sec. XV, in seguito alla morte del nostro Eroe nazionale, Skanderbeg; attualmente zone intere di questo paese sono abitate dagli arbëresh d'Italia, i quali, pur vivendo da quattro a cinque secoli in terra straniera, continuano a conservare la loro lingua e gli antichi costumi dei loro avi. Allo stesso modo molti arbëresh si sono stabiliti in Grecia, dove zone intere sono popolate da albanesi; altri sono andati a stabilirsi in Turchia, in Romania, in Bulgaria, in America e altrove. Ma per quanto riguarda la regione del Caucaso che si chiama "Albania", gli dissi, non ne so nulla di concreto.
Stalin mi fece allora delle domande su una serie di parole albanesi. Voleva sapere quali erano i termini impiegati per designare gli strumenti di lavoro, gli articoli casalinghi e così via. Gli diedi la risposta in albanese mentre lui, dopo avermi ascoltato con attenzione, ripeteva questi vocaboli, li confrontava con i loro equivalenti nella lingua degli Albani del Caucaso. Ogni tanto sollecitava il parere di Molotov e di Mikoian sull'argomento. Si giunse alla conclusione che non esisteva alcuna similitudine nella radice delle parole confrontate.
Allora Stalin premette un bottone e subito dopo entrò il generale addetto alla sua persona; era alto di statura, estremamente premuroso e ci testimoniava molta benevolenza e simpatia.
- Il compagno Enver Hoxha ed io stiamo cercando di risolvere un problema, ma senza successo, disse Stalin al generale sorridendo. Entrate in contatto, vi prego, con il professore... (e fece il nome di un illustre linguista e storico sovietico, di cui non ricordo ora il nome) e chiedetegli da parte mia se c'è qualche legame tra gli Albani del Caucaso e quelli di Albania.
Il generale uscì, mentre Stalin prese un’arancia, me la mostrò e disse:
- In russo si chiama "apjelsin". E in albanese?
- " Portokall", risposi.
Egli confrontò di nuovo i due termini articolandoli, poi alzò le spalle. Erano trascorsi appena dieci minuti quando il generale rientrò.
- Ho appena ricevuto la risposta del professore, disse. Egli afferma che non vi è alcun dato che confermi l'esistenza di legami tra gli Albani del Caucaso e quelli di Albania. Ma ha aggiunto che in Ucraina, nella zona di Odessa, ci sono alcuni villaggi (sette circa) abitati da albanesi. Il professore dispone di dati esaurienti sull'argomento.
Raccomandai subito al nostro ambasciatore a Mosca di fare in modo che alcuni dei nostri studenti, che frequentavano la facoltà di storia in Unione Sovietica, facessero il periodo di pratica in questi villaggi allo scopo di chiarire come e quando questi albanesi si erano stabiliti ad Odessa, se conservavano la lingua e le usanze dei loro avi, ecc.
Stalin, come sempre molto attento, ci ascoltò e mi disse:
- Molto bene, è un'ottima idea. Vadano pure i vostri studenti a fare il loro tirocinio in questa regione, e insieme a loro anche alcuni dei nostri.
- Le scienze albanologiche, aggiunsi nel corso di questa conversazione per nulla protocollare con il compagno Stalin, nel passato non erano abbastanza sviluppate e di esse si sono occupate principalmente degli studiosi stranieri. Da qui la molteplicità delle teorie sulle origini del nostro popolo, della nostra lingua e cosi via. Comunque sia, una cosa è certa, tutte queste teorie concordano su un punto - che il popolo albanese e la sua lingua sono di antichissima origine. Il compito di pronunciarsi con certezza su questi problemi spetta ai nostri specialisti che il Partito e il nostro Stato prepareranno con cura, creando ad essi tutte le condizioni necessarie per il loro lavoro.
- L'Albania, disse Stalin, deve procedere poggiando sulle proprie gambe, perché ne ha tutte le possibilità.
- Sì, noi progrediremo ad ogni costo, risposi.
- Dal canto nostro, aggiunse con benevolenza il compagno Stalin, aiuteremo con tutto il cuore il popolo albanese, perché gli albanesi sono degli uomini meravigliosi.
La cena offerta dal compagno Stalin in onore della nostra delegazione si svolse in un clima molto caloroso, cordiale, intimo. Il primo brindisi egli lo fece al nostro popolo, al progresso e allo sviluppo del nostro paese, al Partito Comunista d'Albania. Poi alzò il bicchiere e brindò alla mia salute, alla salute di Hysni* *( Il compagno Hysni Kapo, allora viceministro degli Esteri della RP d'Albania, era membro della nostra delegazione che andò a Mosca nel luglio 1947.) e di tutti gli altri membri della delegazione albanese. Mi ricordo che poco dopo, avendogli parlato della strenua resistenza che il nostro popolo aveva opposto, per secoli interi, alle invasioni straniere, il compagno Stalin lo definì un popolo eroico e fece un altro brindisi alla sua salute. Mentre discorreva liberamente con me, ogni tanto si rivolgeva agli altri ospiti, scherzando con loro e formulando auguri. Era parco nel mangiare, ma teneva sempre davanti a sé un bicchiere di vino rosso e brindava sorridente ogni volta che si beveva alla salute di qualcuno.
Dopo cena il compagno Stalin ci invitò ad andare al cinema del Cremlino dove, oltre al cinegiornale, vedemmo un lungo metraggio sovietico intitolato "Il trattorista". Prendemmo posto tutt'e due sullo stesso canapè: rimasi colpito dall'attenzione con la quale Stalin seguiva questa nuova produzione della cinematografia sovietica. Alzava spesso la sua voce calda e ci commentava alcune sequenze delle vicende del film. Quello che gli piacque di più, era il modo in cui il protagonista, un trattorista di avanguardia, per guadagnarsi la fiducia dei compagni e degli agricoltori, non cessava di impegnarsi per familiarizzare con le usanze, il comportamento, le idee e le aspirazioni della gente della pianura. Lavorando e vivendo in mezzo ai contadini, questo trattorista finì per divenire un quadro dirigente onorato e rispettato. Ad un certo momento Stalin disse:
- Per poter dirigere, innanzi tutto bisogna conosce le masse, e per conoscerle bisogna avvicinarsi e vivere in mezzo ad esse.
Era mezzanotte passata quando ci alzammo per andar via. All'ultimo momento, Stalin ci invitò ad alzare i bicchieri e per la terza volta fece un brindisi "alla felicità dell'eroico popolo albanese".
Poi ci salutò tutti e, stringendomi la mano, disse:
- Trasmettete i miei cordiali saluti all'eroico popolo albanese, gli auguro molti successi.
La nostra delegazione, molto soddisfatta degli incontri e dei colloqui avuti con il compagno Stalin, lasciò Mosca il 26 luglio 1947 per far ritorno in Albania.