Biblioteca Multimediale Marxista


Contributo per un approfondimento storico.
BUGGERRU 4. sett. 1904


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Le organizzazioni sindacali CGIL – CISL – UIL hanno inteso organizzare una iniziativa forte per il 1° Centenario dell’eccidio di Buggerru, zona mineraria in provincia di Cagliari, avvenuto il 4. set-tembre. 1904, che vedrà la presenza a Buggerru il 4. settembre. 2004 di Epifani, Pezzotta, Angeletti.
In novembre a Milano vi sarà un Convegno di Studi.

A Buggerru, in Sardegna il 4 settembre. 1904 minatori in lotta per un aumento salariale, mentre si trovava-no dinanzi alla direzione della miniera in sostegno della delegazione sindacale in trattativa, viene violentemente caricata dai carabinieri: un eccidio 7 morti e decine di feriti.
La risposta del movimento operaio a livello nazionale non si fa attendere ed il 16. settembre si ha il primo scio-pero generale nazionale, con l’adesione di tutto il popolo lavoratore italiano.
La risposta padronale è la serrata politica: il re scioglie il Parlamento per nuove elezioni, con l’intento di scari-care sul movimento dei lavoratori l’odio, la rabbia, il livore di tutta la piccola e media borghesia, dei ceti di campagna ed isolare così il proletariato italiano.
A prima vista può sembrare una reazione spropositata, anche se quello del 16. settembre era il primo sciopero generale nazionale.
Le nuove elezioni, svoltesi in un pesante clima di repressione, violenze, intimidazioni, brogli, in un clima di os-sessiva caccia all’operaio sovversivo vedono un sostanziale consolidamento delle posizione del giovane Partito Socialista Italiano, costituitosi nel 1892.
La borghesia ed suoi organi di informazione sbandierano come grande vittoria la perdita di alcuni seggi del PSI; era, invece, la resa. La linea liberale doveva fare le valigie, arrendersi al movimento dei lavoratori che nel corso di venti anni aveva isolato prima e battuto dopo.
Inizia così il periodo dell’epoca giolittiana in cui la borghesia deve fare i conti con la forza del movimento or-ganizzato dei lavoratori.

Il 1904 si presenta effettivamente come spartiacque tra due fasi della storia italiana:
1860 – 1904 e 1904 – 1919.
Da una parte giunge a maturazione il complesso processo di formazione del proletariato in classe nazionale e-gemone e dirigente e quindi del suo gruppo dirigente: partito, sindacato, istituzione, cooperative.
Dall’altra si consumano gruppi dirigenti e strategie della borghesia italiana in una lotta disperata per contrastare l’ascesa della classe del proletariato.
La scelta cavouriana dell’unità nazionale, ossia della formazione del mercato unico nazionale, o come si dice del Risorgimento, consuma tutta la sua spinta propulsiva evidenziando appieno tutti i limiti e le ristrettezze, che caratterizzeranno poi sia la natura bottegaia della borghesia italiana e sia lo sviluppo asfittico del capitalismo italiano, che ne farà un “ imperialismo straccione”.
La scelta era quella di alleare la borghesia del centro-nord, sostanzialmente quella lombardo-piemontese con gli agrari latifondisti meridionali e costituire questi il blocco sociale dell’Italia, per non mobilitare le masse popola-re: contadini, artigiani, lavoratori, artigiani, per non dover dare spazi ed agibilità a questi.
In sostanza: i rapporti di produzione capitalisti non sorgono sulle ceneri di quelli feudali, ma si innestano sul vecchio troncone feudale. E’ questa la “ via italiana al capitalismo”.
Federico Engel, nella sua lettera del 26. gennaio. 1894 a Turati descrive la situazione italiana:
“ La borghesia, giunta al potere durante e dopo l’emancipazione nazionale non seppe né volle com-pletare la sua vittoria. Non ha distrutto i residui di feudalità né ha riorganizzato la produzione nazionale sul modello borghese moderno. Incapace di far partecipare il paese ai relativi e temporanei vantaggi del regime capitalista, gliene impose tutti i carichi, tutti gli inconvenienti. Non contenta di ciò, perdette per sempre, in ignobili bindolerie bancarie, quel che le restava di rispettabilità e di credito.”.
Dopo il periodo 1860-1876 alla destra cavouriana succede con un’operazione trasformistica – anche questa sarà una costante nella vita politica e culturale italiane, prodotto di quella “ via italiana” –
succede la “ sinistra” borghese con Crispi.
L’avvento al potere della Sinistra borghese non si differenzia dalla precedente politica della Destra, si ha una graduale fusione del personale politico dei due gruppi borghesi: trasformismo.
Sinistra e destra non rappresentavano interessi di classi contrastanti, ma piuttosto interessi molteplici di gruppi in cui erano suddivise le forze economiche dominati in Italia. Con un tale “ trasformismo” i partiti si degradano a consorterie e clientele, diventano strumento di difesa degli interessi e delle ambizioni di questo o quel gruppo. Il deputato in Parlamento mercanteggia il suo voto: propone la costruzione di questa o quella strada, l’abolizione di questa o quella tassa, in base ad accordi con le cricche che lo avevano portato al Parlamento.
La “ sinistra” svolge una politica di compromesso con le forze del cattolicesimo reazionario – anche questa è un’altra caratteristica del processo politico italiano: la presenza di un capitale finanziario sostanzialmente paras-sitario, legato a rendite fondiarie, immobiliari e speculative, il capitale finanziario vaticano, che copre, e si fa scudo, tali suoi interessi attraverso la mobilitazione del sentimento popolare religioso: il cattolicesimo. Non so-lo si insabbia il processo di eversione della proprietà ecclesiastica ma nel contempo si consente attraverso l’aumento di conventi, ecc. – che invece con la Destra erano stati ridotti – l’estensione della proprietà immobi-liare e fondiaria vaticana.
Con le tariffe doganali del 1887, fortemente protezionistiche mentre si crea un’atmosfera artificiale per il profit-to degli industriali, non più costretti a battersi contro la concorrenza straniera, si favoriscono i grandi proprietari terrieri ed i latifondisti, specie meridionali, che hanno la sicurezza, così, di un alto e stabile prezzo del grano.
Il periodo 1880 – 1904, che vede la formazione del proletariato in quanto classe nazionale egemone e diri-gente, si apre con la “ Lettera ai miei amici di Romagna” di Andrea Costa che segna la separazione del movi-mento operaio italiano dal patronato del capitale, che si era esercitato con il cavourismo prima (1848–1860) ed il mazzinianesimo ( 1861 – 1871 ), poi.
La forma naturale, spontanea, di rigetto, di questa rottura fu l’estremismo. La forma che esso prende, l’anarchismo, è determinata dalle specifiche condizioni del capitalismo italiano, ossia della “ via italiana al capi-talismo”.
La lettera di Costa segna la rottura con l’anarchismo e l’avvio di un complesso processo di formazione di picco-li gruppi, organizzazioni su base locale, regionale o tutt’al più interregionale.
L’intero processo è stimolato dallo sviluppo della lotta di classe che queste organizzazioni imprimeranno con la loro azione di organizzazione e di lotta e dallo sviluppo delle contraddizioni del sistema capitalistico mondiale: affermazione dell’Imperialismo, quale fase suprema del capitalismo.
Questo comporta profonde modifiche e lacerazioni nel blocco sociale borghese con fazioni e frazioni che si staccano per essere attratte verso il proletariato. In primo luogo si opera una scissione tra l’ala democratica e quella reazionaria, che determina l’approdo di forze intellettuali borghesi al proletariato che, in quella fase, l’arricchiranno ( Turati, Labriola, ecc. ).
Al tempo stesso all’interno delle stesse forze, cavouriana e mazziniane, presenti nel movimento operaio si ha un processo di chiarificazione e divisione tra un’ala destra ed un’ala sinistra, di cui parte prenderà parte attiva al processo di formazione del Partito Socialista Italiana, confluendovi ( De Marinis, Maffi, ecc. ) ed unitamente a questo la formazione di gruppi operai ( Osvaldo Gnocchi Viani, Lazzari ).
Questo processo si coniuga, e ne è stimolato, dalle lotte che il proletariato italiano conduce per miglioramenti salariali, per la democrazia, per la costituzione ed affermazione delle sue organizzazioni: il sindacato, le coope-rative, il partito.
Il proletariato italiano, diretto dalle sue avanguardie, in questo periodo si forma e si afferma come classe nazio-nale egemone e dirigente.
E’ infatti il proletariato che diviene il centro decisivo della trasformazione democratica del Paese, ove le orga-nizzazioni sindacali svolgeranno un ruolo importante e per certi tratti decisivo. E’ grazie alla saggia direzione delle avanguardie del proletariato che viene conquistato una prima forma di suffragio universale maschile e an-cora limitato per censo e basato sul saper leggere e scrivere. Esse, se pur divise, sanno unirsi su questo punto ed essere l’anima ed il motore della Lega della Democrazia, E’ questa lotta che pone il proletariato al centro della scena nazionale e che determina un’egemonia e l’attrazione di forze intellettuali e strati democratici borghesi. E’ nel corso di questa battaglia che si avranno scissioni significative nel blocco borghese, prima fra quella all’interno della rivista “ Cuore e Critica” che sposta Turati ed una parte consistente della rivista nel campo del proletariato e che si traduce nella fondazione della rivista “ Critica Sociale”.
Ed è questa azione che intacca decisamente l’egemonia ed il credito del blocco sociale borghese, che risponde con la più brutale e feroce repressione.
“ Nel periodo 1890-1900 la borghesia si pone risolutamene il problema di organizzare la propria dittatura e lo risolve con una serie di provvedimenti di carattere politico ed economico da cui è determinata la successiva sto-ria italiana.”
Il periodo in esame vede uno sviluppo ed estensione della lotta di classe: lotte di operai, contadini, braccianti, dirette dalle organizzazioni operaie, ove le organizzazioni sindacali, le Borse del Lavoro ed altre strutture, as-solvono ad un ruolo decisivo. A nulla varranno le leggi reazionarie di scioglimento delle organizzazioni dei la-voratori, esse dovranno essere ritirate e si risolveranno in un rafforzamento del politico, organizzativo ed ege-monico del proletariato.
Alle lotte operaie si uniscono possenti movimenti popolari, primo tra tutti quello che attraversa la Sicilia del 1893 ed in cui si affermano nuovi dirigenti del movimento popolare: Bosco, Barbato, De felice. La repressione è spietata: centinaia di morti, migliaia gli arresti, stato di assedio. Vengono sciolti i circoli dei lavoratori in tutta Italia, le organizzazioni sindacali, le società operaie: viene abolito il diritto di associazione. Contro i capi si im-bastisce un mostruoso processo per “ cospirazione”.
La risposta del popolare lavoratore non si fa attendere.
Nelle elezioni del 1895 Barbato e De Felice, imprigionati per i moti in Sicilia, vengono eletti nei collegi eletto-rali di Milano, Cesena e Roma; mentre Andrea Costa candidato a Palermo si vede negato il collegio per pochis-simi voti.
Questo costituisce un ulteriore momento centrale nel processo di formazione della coscienza nazionale del pro-letariato e quindi della sua formazione in classe nazionale egemone e dirigente.
Erano questi movimenti e lotte che proseguivano il movimento ascensionale iniziato nel 1870:
nel 1871 gli scioperi furono 26, salirono a 64 nel 1872, a 103 nel 1873; dopo il 1878 si furono i primi scioperi agricoli; e trovano la loro prosecuzione in un ulteriore e maggiore movimento ascensionale.
La carestia del 1897 suscita una serie di rivolte popolari nel 1898. Già nei primi mesi del 1898 si hanno rivolte locali in Sicilia, ad Ancona, nelle Marche, in Umbria a Firenze, a Voltri; nei mesi successivi il movimento si espande. La polizia spara sulla folla a Modica e Troina in Sicilia, a Firenze ed a Livorno.
Il 6. maggio. 1898 il popolo milanese insorge, la borghesia schiera contro il popolo lavoratore l’artiglieria pe-sante: cannoni contro il popolo lavoratore, un eccidio, centinaia i morti, migliaia i feriti ed altrettanti gli arresta-ti. La borghesia scioglie non solo le organizzazioni socialiste ma anche quelle repubblicane e perfino quelle cat-toliche: i dirigenti Turati e De Andreis sono condannati con un pretesto a dodici anni di reclusione. In questo periodo un qualsiasi pretesto veniva utilizzato per incarcerare dirigenti sindacali, che avevano organizzato scio-peri o lotte di resistenza.
La borghesia è oramai allo sbando: accecata dal furore colpisce all’impazzata seminando confusione al suo stes-so interno ed aggravando il suo isolamento al suo stesso interno.
Il XIX secolo si chiude con l’eccidio di Milano.
Ma il nuovo, il XX, secolo vede lo sviluppo ulteriore della lotta di classe con forte moto ascensionale. Esso si caratterizza per l’offensiva finale del proletariato per la liquidazione del vecchio gruppo dirigente borghese, che aveva oramai trascinato il paese nell’odio e nella confusione e sul piano internazionale ne aggravava l’isolamento.
Nel 1901 si hanno 1671 scioperi, di cui 1042 nell’industria e 629 nell’agricoltura. Sia nell’industria che nell’agricoltura prevalgono gli scioperi di conquista su quelli difensivi: aumenti salariali e diminuzione dell’orario di lavoro. Aumenta la durata degli scioperi. Si calcola che nel solo 1901 i lavoratori strappano aumenti salariali per circa 150milioni di lire. Crescono e si sviluppano le Camere del Lavoro: ne erano rimaste in piedi nel 1898 4 e 19 nel 1900; ma salgono nel 1901 a 58, sono 71 nel 1902. Gli eccidi accompagnano le ma-nifestazioni operaie.
Il tentativo di cambiare il cavallo in corsa con Giolitti nel 1903 non sortisce alcun effetto.
Questo un elenco incompleto del periodo 1901-1904:
Berra Ferrare, 27 giugno 1901: 3 morti e 23 feriti; Cassano del Murge ( Bari ), 5. agosto. 1902: 1 morto e 4 feri-ti; Candela ( Foggia ), 8. settembre 1902 : 5 morti e 10 feriti; Giarratana ( Ragusa ), 13. ottobre. 1902: 2 morti e 50 feriti; Setacciato ( Campobasso ) 23 febbraio 1903, 3 morti e 30 feriti; Putignano ( Bari ) 14. marzo 1903: 8 feriti; Camajore ( Lucca ) 21. maggio, 1903: 3 morti ed 1 ferito; Torre Annunziata ( Napoli ) 31. marzo 1903: 7 morti e 40 feriti, Cerignola, 7. maggio 1904: 3 morti e 14 feriti; Buggerru ( Cagliari ) 4 settembre. 1904: 7 morti e 20 feriti.

Alcune riflessioni.
Il dato storico da fermare è l’importanza fondamentale, esclusiva, dell’azione del proletariato, che imprime una svolta alla società italiana, connotandola sia in senso democratico e sia nel senso dell’ammodernamento industriale.
E’ il proletariato che abbatte limiti, vincoli, legacci, rapporti compromissori che limitavano, soffocavano, osta-colavano lo stesso sviluppo economico capitalistico, soffocavano la società civile, istituzionale, culturale, politi-ca.
Con la “ sinistra” vincoli e legacci – come si è visto – non erano stati allentati, ma stretti ancora di più e lo svi-luppo economico, industriale, era schiacciato da questi legacci, che tagliavano lo stesso sviluppo capitalistico fuori dalle grandi correnti di sviluppo del capitalismo mondiale.
Ad una classe borghese, a cui competeva la risoluzione di tali problemi, ad una classe borghese bottegaia, iner-te, incapace, profondamente accattona, senza alcuna coscienza e respiro statali e nazionali, si oppone un proleta-riato che si fa carico dei più generali problemi del Paese, che imprime così un respiro ed una coscienza naziona-li.
E’ questa una caratteristica fondamentale nella storia di questo Paese, a differenza di altri: Francia, Inghilterra, Stati Uniti.
Essa vede da una parte il proletariato motore delle trasformazioni del Paese, che si trascina al seguito la borghe-sia, imponendole scelte anche di rinnovamento ed ammodernamento industriali, oltre che civili, politici, sociali, culturali.
Vede dall’altra una borghesia che quando decide di poter fare a meno del proletariato, perché si sente forte – e lo è sempre per qualche accordo e svendita con qualche paese imperialista, di cui si mette al servizio – e recide-re il suo rapporto con il proletariato, dando vita a furiosi attacchi al proletariato ed alle sue organizzazioni, tra-scina sempre il Paese tutto nell’avventura ed a disastri.
Puntualmente poi compete al proletariato ed alle sue organizzazioni condurre una dura battaglia prima per liquidare quel blocco affaristico, che prima di cedere il passo provvede sempre a lasciare una striscia di sangue e di violente repressioni e scelte illiberali, e poi avviare il rinnovamento, ripristinando le precedenti condizioni di vita civile, democratica e sociale ed ampliarle, riposizionandole sulle grandi coordinate delle sfide dei tempi.