Biblioteca Multimediale Marxista


Genetica: Teoretica delle categorie concettuali


istcom@libero.it
http://digilander.libero.it/istcom


Tolentino, 21. Marzo. 1999

Consentite a me di dedicare questa relazione al Prof. Salvatore Notarrigo, recentemente scomparso, docente di Fisica all’Università degli Studi di Catania. Egli è stato per noi Istituto un amico prezioso, sapendoci indicare e per certi versi tracciare nuove linee di indagini proprio nel campo dell’ambiente. Negli ultimi anni aveva istituito il corso di Fisica dell’ambiente. Autore di saggi tra cui " Energia ed Ambiente", scritto assieme al Prof. Giuseppe Amata, di cui siamo debitori.
Quello che qui presentiamo è innanzitutto un estratto della relazione più complessiva, che lasciamo alla Presidenza del Convegno. Essa comunque rimanda, rinvia e sottende i lavori dell’Istituto di Studi Comunisti Karl Marx – Friedrich Engels ed in modo particolare:
Bioetica,
Manipolazione genetica e modi di produzione,
Ecologia socialista, cap. 3 e 4,
Democrazia,
La concezione materialista del mondo dinanzi alle sfide del III Millennio.
La relazione è limitata al campo specifico di questo Convegno, ossia la Manipolazione genetica, di questa ne tratta le questioni teorico concettuali e teorico definitorie. Le linee sostanziali sono da ricercare da una parte nelle categorie teoriche che sono alla base di questa branca della Genetica e dall’altra in quelle metodologiche e teorico-metodologiche della ricerca scientifica.

Diviene veramente difficile parlare di Bioetica in generale, della Genetica e della manipolazione genetica. Si sovrappongono qui in maniera confusa, disordinata idee e concezioni non sufficienti ad affrontare il problema, assieme a timori, fondati e non: ed entrambi eccitati da interessi di parte fin troppo scoperti e questo si intreccia, s’innerva su teorie e concezioni ottimistiche ed acritiche sul progresso scientifico, su di una esaltazione acritica.
Quello che ne otteniamo è un mix possente, che in tutta la sua contraddittorietà ha una sua forza e coerenza, anzi difficile da afferrare, giacché poi i singoli passano indifferentemente da un campo, un livello, un piano di discussione ad un altro in maniera indifferente a seconda se la loro idea primaria sia di accettazione o diniego. Manca cioè uno spirito critico e scientifico, che sia in grado di avere una visione corretta dei processi reali e quindi orientarsi, esprimere giudizi e così partecipare al più generale processo decisionale, ossia la Democrazia.
Fa da ostacolo a questo nuovo spirito scientifico all’altezza dei tempi in via immediata tutto il passato pensiero, quella formazione, quel bagaglio teorico-concettuale, appreso sui banchi di scuola. Fa da ostacolo infine anche quella concezione del mondo, che ciascuno ha, che quando non è critica e coerente, ma occasionale e disgregata, si finisce per appartenere simultaneamente ad una molteplicità di uomini-massa, la propria personalità è composita in modo bizzarro: si trovano in essa elementi dell’uomo delle caverne e principi della scienza più moderna e progredita, pregiudizi di tutte le fasi storiche passate grettamente localistiche ed intuizioni di una filosofia dell’avvenire proprio del genere umano unificato mondialmente.
E non bisogna credere che gli stessi ricercatori ne siano immuni. In essi il processo è molto più complesso, contraddittorio, tortuoso. Capita così che quando uno di questi discute del campo che gli é proprio parla avendo già un piede nel futuro, ma poi quando passa a trattare di argomenti estranei al suo precipita nel passato e quando discute del suo nel migliore dei casi discute con categorie quanto meno obsolete, se non contraddittorie. E se poi si va a ben scandagliare le cose si vede che poi nella loro stessa pratica scientifica quella stratificazione culturale, quella concezione generale, prodotta dalla formazione teorica di base, formatasi sui banchi di scuola, si fa pesantemente sentire, ne condiziona l’argomentazione e condiziona lo stesso modo, la stessa pratica metodologica della ricerca scientifica.
In generale questo è un processo assolutamente normale, di tutte le fasi di transizione da una società ad un’altra, da questo punto di vista è di eccezionale importanza il lavoro di Cassirer: " L’età dell’Illuminismo", ove egli dimostra la estrema confusione che esisteva sul piano teorico, ma delle stesse coscienze, delle stesse innovazioni e ricerche scientifiche, che si erano andate accumulando dal XVII secolo, che si contrapponevano l’una alle altre, mancando un più vasto quadro di riferimento generale, entro cui ciascuna venisse a configurarsi in un tutto organico con il resto.
Questo lavoro fu svolto innanzitutto da Newton con i suoi " Principia mathematica", ed in specifico con le " Regulae philosophandi" ed assieme a questo l’ "Encyclopedie" di Diderot-D’Alembert.
La fase di transizione che noi stiamo vivendo è molto di più di quella del XVIII secolo, essa assume caratteri assolutamente inediti, giacché pur tra movimenti contraddittori, quella che noi stiamo vivendo è la più possente fase di transizione che mai l’Uomo abbia attraversato: essa non ha paragoni né riscontri in tutta la pur millenaria storia dell’Uomo: questa è la transizione dalla Preistoria alla Storia dell’Uomo.
Se in passato le pur profonde innovazioni si muovevano comunque entro il solco di tutto il precedente pensiero, queste no! Queste rompono decisamente e totalmente e radicalmente con tutto il passato, proiettando l’uomo in tutta un’altra dimensione, in tutto un altro rapporto con la Natura e quindi definisce tutta un’altra concezione dell’uomo, tutta un’altra visione e coscienza di sé e del suo rapporto con la Natura. Vivendo una tale fase di profondi sconvolgimenti, occorre attrezzare gli strumenti teorici e concettuali per questo nuovo livello a cui l’Uomo è giunto.
Si tratta allora da una parte di abbandonare tutto il passato pensiero, perché non in grado di farci comprendere l’assolutamente nuovo, ma si tratta altresì di criticare tutta la precedente concezione, per giungere ad una nuova concezione in maniera critica ed organica. Quelle stratificazioni del passato, se agivano da ostacolo anche nelle precedenti fasi, anche quella del XVII secolo, ponendosi quelle innovazioni comunque dentro un solco, venivano mediate ed hanno finito per stratificarsi esse stesse, oggi invece agiscono da pesante ostacolo, macigno insormontabile, se non vengono rimosse, se non vengono cioè superate criticamente, se non vengono sottoposte ad una serrata, attenta, precisa, puntuale critica tale da individuare e rimuove le precedenti stratificazioni consolidate.
E sì perché l’aspetto più potente non è dato tanto dalle profonde innovazioni scientifiche e tecnologiche, queste ne costituiscono soltanto l’aspetto tecnico, ma quello che noi stiamo vivendo è la più possente rivoluzione culturale, concettuale, che mai abbia coinvolto il genere umano.
A parte il livello qualitativo assolutamente diverso ed inedito, ma mentre nel passato l’impatto aveva dei tempi lunghi, passando per mediazioni ideologiche, qui la trasmissione è immediata e quindi l’impatto è senza precedenti, non riuscendo qui ad agire le mediazioni ideologiche.
Ed è con questa rivoluzione scientifica e tecnologica senza precedenti ad un tempo con la più grande rivoluzione culturale, che dobbiamo fare i conti.
Lo sviluppo alto delle forze produttive, che va sotto il nome di rivoluzione scientifica e tecnologica, degli ultimi trent’anni ha introdotto modifiche da rendere obsoleto tutto il precedente pensiero e da incenerire tutte le precedenti categorie di pensiero ed apparati concettuali.
Concetti radicati quali ‘ vita’, ‘ famiglia’, ‘ normalità’, ‘ diversità’, ‘ sviluppo’ sono letteralmente inceneriti; altri quali ‘ ambiente’, ‘ rapporto soggetto-ambiente’, richiedono una profonda rivisitazione, risultando inefficaci i precedenti livelli definitori; altri infine richiedono di essere totalmente reimpostati secondo le nuove esigenze e quindi in grado di rispondere ai problemi nuovi, che per l’azione profonda dell’Uomo nella trasformazione del rapporto Uomo-Natura, vengono oggi a porsi in modo particolare l’intero impianto metodologico, apparato concettuale e categoriale della stessa ricerca scientifica, e la profonda rivisitazione dell’apparato teorico concettuale della stessa ricerca scientifica, della sua metodologia e delle procedure logiche e logico-concettuali dell’impostazione, del procedere, della ricerca, aggregazione dei dati e della metodica dell’analisi dei dati e dei risultati su cui vengono formulate poi le conclusioni della stessa ricerca scientifica.
La scienza, il procedere dell’Uomo, ci dice con insistenza che quei concetti, quell’apparato concettuale e categoriale, non corrispondono al nostro attuale livello di conoscenza scientifica e che occorre modificarli. Se la rivoluzione galileana prima di essere attinente al campo della Fisica fu anche rivoluzione culturale, lo fu perché mostrò in maniera inequivocabile che occorreva modificare il campo di lettura dei processi e che diverse angolazioni davano diverse letture e quindi spingeva a superare la fissità della metafisica aristoteliana. Non sono allora i fatti scientifici che devono rientrare dentro le nostre concezioni e convinzioni, pur profonde e sostanziate da un ricco apparato teorico concettuale, ma sono queste che devono modificarsi sulla base dei nuovi dati scientifici e delle nuove conoscenze. Il fatto chiave è che mentre la rivoluzione galileana si muoveva comunque entro i confini ed àmbiti di una tradizione di pensiero scientifica e materialista, questa no! Questa travalica tutti i confini ed àmbiti e ci sfida, ci inchioda ed in questo sfidare ed inchiodare lacera coscienze, e radicate convinzioni, facendo diventare inutile qualsiasi precedente distinzione di campi, li attraversa trasversalmente e pone a tutti le sfide e costringe tutti a farci i conti.
Si affollano però turbe di ‘ esperti’, ossia filosofi e teologi che hanno inteso, e continuano ad intendere, dover far sentire il peso delle loro conoscenze, finendo solo per confondere di più le acque. Il problema va invece posto e sollevato secondo tutta un’altra logica ed impostazione:
occorre partire dai dati scientifici a cui si amo giunti, prendere atto di questi e procedere innanzi.
Il filosofo non può pretendere la sua idea di vita, morte, e la sua idea del rapporto vita-morte, vita, famiglia, le sue idee di normalità, diversità, ambiente, rapporto soggetto-ambiente, l’intero impianto metodologico, apparato concettuale e categoriale della stessa ricerca scientifica entri, partecipi a quel processo decisionale definitorio. Né può pretendere che la scienza renda conto alla sua idea dei risultati raggiunti o che tali risultati si conformino a tale sua idea.
Il filosofo, il teologo possono solo prendere atto che la loro idea è errata, limitata o parziale e modificarla. Poco o niente serve se quella idea ha 100 o 1000 e più anni e se esiste una consolidata tradizione di pensiero ed apparato teorico-concettuale consolidato.
Il filosofo può solo prendere atto dell’inservibilità, totale o parziale, di quell’apparato e porre mano ad elaborarne uno nuovo, rispondente, come il precedente, - questo sì! – al nuovo livello di conoscenze scientifiche raggiunto ed acquisito dall’uomo.
Il voler persistere a voler mantenere un ruolo è solo ingombro.
Viene giustificato tale ingombro in nome di una funzione di ‘garanti’, di ‘ guardiani’ contro errori, come elemento frenante, di moderazione che costringendo alla moderazione, a rallentare o segnare il passo, ad una più attenta riflessione ed un porre in evidenza limiti, carenze, ecc.
Difesa questa a prima vista forte.
In realtà le cose stanno in maniera ben diversa: la loro presenza, il loro tirare per la giacca, continua ad essere di ingombro, un peso, che rallenta la marcia spedita in avanti, l’unica in grado di comprendere meglio le cose ed intelligerne limiti, carenze, il trattenere per la giacca, il costringere a zigzag, a mediazioni rallenta questo intelligere ed alcune volte può anche portare su strade false, che possono indurre a concludere errata quella strada intrapresa, risultando invece errata la mediazione, quello zigzagare. Occorre comprendere che noi stiamo vivendo una maestosa ed al tempo stesso tempestosa fase di transizione, la seconda grande transizione, dopo la transizione all’età del bronzo, per cui è normale, logico che crollino uno dopo l’altro antiche certezze e limiti ritenuti fino a ieri insuperabili: ed è per queste fasi di transizioni che occorre attrezzarsi. L’attrezzarsi per freni e cautele è delle fasi di transizioni di passaggio, ma non per quelle epocali, che segneranno un nuovo, altro, cammino dell’Uomo.
E’ questa, come si è detto, la fase di transizione epocale: ed è poi la coscienza di questa grande transizione, che viene meno, proprio in chi, il filosofo, appunto, ha maggiori e più raffinati strumenti per intelligere tale sconvolgimento epocale. La tesi sostenuta del ‘ guardiano’ in quanto teorizzazione comporta solo un maggiore ingombro ed elemento di confusione e turbativo del processo in atto, che da autentica marea montante fa rapida giustizia di ogni opposizione.
La tesi non ha sostanzialità alcuna sul piano strettamente filosofico, ossia sul piano strettamente teoretico-speculativo è un grossolano errore.
Quell’idea, quell’apparato concettuale, allorché è in maniera conclamata superato, nn costituisce più idea o apparato concettuale, ma degrada a pregiudizio, alchimia, superstizione, mito.
Sul piano strettamente storico filosofico si opera una scissione netta, profonda, irreversibile proprio ed esattamente con quell’apparato concettuale, che pur a prima vista si vuole difendere , giacché mentre quello esprimeva, sul piano teoretico-speculativo, ossia nel suo massimo momento di astrazione, il livello delle conoscenze sin lì acquisite e conclamate dall’uomo, quello che ora si difende non è più tale. Riproporlo in ben altro contesto significa, poi ed in verità, non aver compreso il valore di quell’apparato concettuale e del perché esso ha mantenuto vitalità e pregnanza per tanti secoli.
Il compito dei filosofi non è quello di porsi da ingombro, ma di essere autentici demolitori delle vecchie certezze e di quel vecchio apparato concettuale, oramai superato e che solo loro in quanto filosofi sono in grado di sottoporre a critica serrata e superandolo criticamente, aiutare così non solo la scienza a progredire più speditamente, liberandola dagli impacci del passato pensiero, a cui gli stessi scienziati e ricercatori si sono formati. Agendo da autentiche avanguardie del nuovo pensiero che si fa vita, anziché dare fiato e substanzialità a pregiudizi, miti, e paure degli uomini, che giustamente essi avvertono non essendo in grado di intelligerne le linee di fondo, aiutare la nascita e formazione di un’altra e più avanzata coscienza culturale, di un altro e più avanzato apparato concettuale, espressione e momento di massima astrazione dei nuovi livelli delle conoscenze scientifiche. E’ qui allora che viene a saldarsi la grande e feconda unità tra Filosofia e Scienza, che mano nella mano procedono sulla via di conquiste sempre più ambite, che fu già del XVI secolo ed i cui capisaldi furono Giordano Bruno e Galileo Galilei.
Difficile si diceva all’inizio, giacché si tratta di sviluppare una critica a quell’apparato teorico e teorico-concettuale, il solo che possa liberare il campo per il superamento critico della precedente, e decisamente obsoleta, vecchia concezione e di tutto il precedente apparato teorico.
Noi qui analizzeremo alcuni dei concetti base della ‘ Bioetica’ in generale e della Genetica, in riferimento alla Manipolazione genetica in particolare. Per quanto attiene l’intera disamina inerente il campo della Medicina ed al suo apparato teorico-concettuale rinviamo al lavoro ‘ Bioetica’.
Sono qui affrontate le categorie vita, morte, individuo, persona e vi è un’impostazione a larghi tratti della manipolazione genetica, ma poi letta dall’angolazione della Medicina e quindi della fecondazione assistita, sono infine affrontati i temi del trapianto d’organi e dell’eutanasia.
Il termine ‘ Bioetica’ è di per se stesso non corretto, foriero di confusione nella definizione del campo d’indagine ed il cui termine nasconde, cela, mistifica, i problemi nuovi che lo sviluppo scientifico e tecnologico pone. Il termine agisce da pesante elemento distorsivo della stessa ricerca scientifica, volendo legare ad una presunta etica lo stabilimento della fattibilità, correttezza e validità dello sviluppo scientifico. Si finisce così per fare di ‘ Etica’ una meta-categoria, una categoria metafisica avente valore di per sé e non essa stessa una categoria storica, ossia che si modifica e viene a definirsi sulla base dello sviluppo scientifico, umano ed intellettuale, dell’uomo.
Che la corrente idealista e quella metafisica in modo specifico impugni questa categoria può anche essere comprensibile, ma non lo è affatto da parte dei materialisti.
Il termine nel suo significato etimologico è: Etica della Vita. E che significa?
Il fatto è che attraverso questa categoria di pensiero, inventata nel 1971
si intende imporre alla scienza ed all’uomo quelle vecchie categorie del pensiero. E’ quell’intromissione goffa e irrazionale di filosofi e teologi di voler piegare i fatti alle proprie convinzioni, alle proprie idee di cui si è detto.
Dato lo sviluppo scientifico e tecnologico che ruolo, funzione e valenza può avere l’elaborato sin qui avutosi circa l’Etica?
Ha ancora senso volgersi indietro verso Aristotele, Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino, Kant, Hume?
Nel lavoro ‘ Bioetica’ abbiamo affrontato ampiamente questo aspetto, dimostrando tutta l’inconsistenza teorica di rileggere questi antichi pensatori, attraverso una disamina attenta e puntuale delle loro opere, mostrando come rispetto ai problemi che si pongono oggi il loro taglio della
Problematica, tutta tagliata sull’unus, sul singolo e del suo rapporto con la comunità e dei doveri e compiti della comunità nei riguardi dell’unus, ossia un’angolazione assolutamente angusta, insufficiente, che era poi l’angolazione alta, ma di quegli esatti periodi storici e non è in grado di dare risposte di oggi. Infine indicavamo come quello a cui noi stiamo assistendo è la nascita di una nuova scienza, i cui contorni non sono ancora ben definiti, anzi confusi e contraddittori, ma che il termine ‘ Bioetica’ non solo non aiuta la nascita, ma agisce da ostacolo con le sue categorie di pensiero preconfezionate; allo stesso modo per le teorie e concezioni idealiste e religiose in modo particolare, anch’esse decisamente superate e sfidate esse stesse a ridefinire e ridefinirsi rispetto ai problemi nuovi: Per una disamina specifica di tutto questo rimandiamo al lavoro dell’Istituto di Studi Comunisti K. Marx – Friedrich Engels, " Bioetica", presentato al Convegno Scientifico tenutosi in Napoli il 25. Novembre, 1995 all’Università Federico II, presso la Facoltà di Medicina, 2°Policlinico.
Lasciatici alle spalle tali questioni preliminari, possiamo entrare adesso nello specifico dei problemi inerenti la Genetica in generale e la manipolazione genetica in modo particolare.

La Genetica.
Anatomia, Fisiologia, Biochimica, Microbiologia, Immunologia e Genetica sono ora collegate e si esprimono con il comune linguaggio della Chimica; ma il loro sviluppo e progresso è stato determinato dallo sviluppo della Fisica ed in particolare della Fisica Quantistica, che hanno consentito di intelligere l’intero movimento della materia come energia, ossia la materia è energia in movimento, come passaggio ininterrotto da una forma di energia ad un’altra; ed a loro volta hanno contribuito allo sviluppo ulteriore della Fisica e tutte assieme hanno contribuito allo sviluppo dell’Ottica e della strumentistica, ricevendone da queste incremento al proprio progredire.
L’intero processo naturale ci appare come un unico grande processo del divenire della materia nelle sue infinite forme ed il divenire altro non essere che il passare della materia da un livello di organizzazione ad un altro, dato dal passare della materia da un livello di energia ad un altro.
Attraverso la Genetica siamo stati in grado di scendere in più intimi particolari della vita e cogliere più profondamente i nessi e le interconnessioni e spiegarci l’apparente casualità attraverso leggi scientifiche, così come con la Fisica Quantistica siamo riusciti a scendere in più minimi particolari della formazione della materia e della composizione della materia.
Con la scoperta del DNA prima, della sua struttura poi, della formazione dei singoli elementi e l’individuazione di ruoli e compiti dei singoli elementi della sua "doppia elica" ed infine con la comprensione dell’esistenza del ruolo e della loro funzione di particolari elementi che consentono i processi che avvengono nel DNA e che ne determinano la vita ed il suo essere, noi siamo stati in grado di spiegare scientificamente anche tutta una serie di caratteristiche e di patologie degli esseri viventi, proprio grazie all’intellezione del processo nel suo movimento più generale. Fatto questo siamo stati in grado sia di riprodurre in laboratori tale processo, ma anche e soprattutto di scindere i vari momenti del divenire del DNA e riprodurre in laboratorio tali singoli momenti. Anche qui siamo riusciti a disgiungere ciò che appariva continuo ed indivisibile e frammentarlo nel tempo e nello spazio. Siamo cioè in grado di intervenire sul processo di duplicazione del DNA e correggere una non corretta sequenza di quel frammento del DNA e poi attraverso una metodica, introdurre questo frammento ed avere che esso si sostituisce a quello errato: è questo un complesso processo di ingegneria genetica. Siamo anche in grado di introdurre un particolare elemento, che non è proprio di quel patrimonio genetico, ma che lo arricchisce per i più disparati fini: correggere deficienze, proteggerlo da determinati eventi rendendolo più resistente o abbassando la sua resistenza, per incrementare o decrementare il suo sviluppo, ecc.
Siamo così in grado di intervenire sul più generale processo riproduttivo della natura, attraverso l’ibridazione agricola ed animale.
E’ questo un antico procedimento attuato dall’uomo, quando attraverso un lungo ed accorto processo di accoppiamento di razze diverse di animali si riusciva ad ottenere quella determinata razza di cani, cavalli, mucche, o maiali, oppure ad ottenere un tipo di grano più resistente al freddo o ad un clima particolarmente umido, o un tipo di ulivo o di vite in grado di reggere un particolare freddo.
Attraverso un tale processo siamo riusciti in laboratorio a riprodurre una serie di sostanze che in natura non riusciamo ad ottenere nella quantità di cui abbisogniamo, una parte considerevole della produzione farmacologica e della produzione nel settore della trasformazione agricola avviene tramite biotecnologie.
Questi risultati raggiunti dall’uomo vanno anch’essi nella più generale direzione di modificare radicalmente il rapporto Uomo –Natura ed il rapporto necessitato dell’uomo nei confronti della realtà esterna, o Natura, contribuendo così decisamente al tramonto di tutta la vecchia impostazione e decretando il tramonto di tutto il passato pensiero. Decisive sono le sue applicazioni nella campo della riproduzione animale e vegetale.
Si aprono così davanti all’uomo sconfinate, ‘ illimitate’ possibilità di combinare e ricombinare gli elementi del DNA, acquisendo un nuovo e sconfinato potere, fino a qualche decennio fa assolutamente sconosciuto ed impensabile, determinando così la nascita e formazione di nuove/altre diverse specie animali e vegetali.
Fino ad ora lo sviluppo di queste specie e tutta la vasta gamma di ciascuna di queste è stata determinata dall’evoluzione naturale, che è avvenuta in uno stretto ed inscindibile rapporto soggetto/ambiente, struttura/funzione.
Noi siamo riusciti ad individuare gli elementi fondamentali prodotti da questi rapporti: gli enzimi, appunto. Ma noi siamo andati oltre, siamo riusciti non solo ad individuare esattamente molti di tali enzimi, ma siamo riusciti ad isolare i singoli enzimi, riprodurli in laboratorio, clonazione, essendo in grado di " sparare" questo enzima clonato nella cellula animale o vegetale che sia, superando la refrattarietà della cellula alla ricezione di DNA estraneo. Veniamo così a determinare nei fatti una specie simile a quella nella cui cellula è stato" sparato" il proiettile d’oro rivestito di DNA, ma diverso nella sostanza, ottenendo così una nuova, denominata transgenica.
Vi sono enzimi che resistono ad elevate temperature, a condizioni di elevata salinità, o.. – i cosiddetti enzimi estremofili – quelli presenti nei batteri che si trovano nei geyser o nelle acque termali, ecc.: e sono poi questi specifici enzimi, detti estremofili, quelli che rivestono particolare interesse per la Genetica e per la Manipolazione. Questo rapporto ambiente-attività enzimatica è stato il prodotto di un processo evolutivo durato miliardi di anni.
E’ così a nostra disposizione questo enorme patrimonio di varietà e versatilità di enzimi.
Essi sono a nostra completa disposizione, possiamo utilizzarli, combinandoli in miliardi di combinazioni nella maniera più disparata, per rendere una determinata specie resistente al caldo, al freddo, a… Si tratta di isolare quel particolare enzima deputato a quella funzione, estrarlo dalla cellula di quella specie naturale, che lo ha prodotto nel lungo processo di evoluzione come risposta di
quell’organismo alle condizioni ambientali in cui è venuto a trovarsi, clonarlo e innestarlo – " sparandolo" - in una specie, dotando quest’ultima di quella caratteristica di cui era sfornita.
Per fare questo abbiamo catalogato la massa degli enzimi, accoppiando a ciascuno la funzione che gli è propria ed attraverso questa catalogazione li abbiamo individuati e classificati. La forma tecnica è la denominazione che abbiamo attribuito a ciascuno di questo. Abbiamo sussunto tutta una serie di caratteristiche comuni sotto un’unica voce, che li esprimesse tutti, ed in base a questo abbiamo raggruppato e catalogato i vari tipi di enzimi e successivamente tutti i vari tipi di enzimi, sotto un’unica voce. Giungiamo così alla definizione di enzima e come ‘ sotto classi’:
ossidoreduttasi, transferasi, idrolasi, liasi, isomerasi, ligasi.
Questo processo logico va sotto il nome di astrazione.
Esso è regolato dalle leggi della logica formale, impostata da Aristotele – antico filosofo greco del IV secolo ac – sviluppata da Teofrasto e successivamente elaborata nel Medioevo.
Il processo della logica formale consiste quindi nella riduzione della diversità all’unità e nell’isolare ogni singolo elemento, incasellandolo, da tutto il restante, considerandolo a sé stante.
Ora sin quando la massa da catalogare è limitata e ciascuna sottoclasse non presenta molte diversificazioni, la logica formale assolve sostanzialmente bene il suo ruolo ed infatti è stata la logica per circa 2300 anni. La logica formale ha mostrato tutti i suoi limiti dagli inizi del XIX secolo, ma poi già dalla metà del XVIII, quando lo sviluppo scientifico ha determinato la prima grande rottura della concezione del mondo degli uomini, e si è affermata invece la visione che non esistono nette linee di demarcazione l’impianto della logica formale ha mostrato inesorabilmente tutti i suoi limiti; che in natura ogni rigidità è stata sciolta, ogni fissità scomparsa: tutti i caratteri particolari ritenuti eterni sono divenuti caduchi; che l’intera natura si muove in perpetuo flusso. Il carattere essenziale di tutta la natura, dalle parti infime alle massime, dal granellino di sabbia al sole, dai protisti agli uomini, si risolve in un eterno nascere e trapassare, in un incessante flusso, in un moto ed in cangiamento senza tregua.
Non vi sono opposizioni inconciliabili, non vi sono linee di separazione e differenze, noi e
soltanto noi introduciamo nella natura l’immobilità ed il carattere assoluto di queste opposizioni e differenze.
Tutti i fenomeni della natura sono movimento, il loro differenziarsi è dovuto soltanto al fatto che noi, uomini, percepiamo questo movimento in forme diverse.
Se troviamo nella natura opposizioni e differenze, noi e soltanto noi, introduciamo nella natura l’immobilità ed il carattere assoluto di queste opposizioni e differenze. Tutti i fenomeni della natura sono movimento ed il loro differenziarsi è dovuto soltanto al fatto che noi uomini, percepiamo questo movimento in forme diverse.
Successivamente agli inizi del XX secolo la nuova fisica di Maxwell e Poincaré incenerisce la concezione che avevamo della materia, tant’è che in alcuni ambienti filosofici e naturalisti si giunge a parlare di ‘ scomparsa della materia’: questo quando la materia viene intelletta come energia in movimento.
Questo ha comportato che lo stesso, pur giusto e corretto, processo di astrazione venisse riconsiderato e ricondotto a momento dello studio e dell’analisi e non assolutizzato. Andava cioè in un primo momento isolato l’elemento di studio ed attuato il processo di astrazione, ma successivamente andavano reintegrati i legami, i nessi che in precedenza erano stati recissi. Lo stesso processo di astrazione necessitava quindi di una rivisitazione e di una nuova definitoria, venendosi a configurare non più nella logica formale, divenuta strumento tecnico della catalogazione e primo momento della logica, ma in una nuova e più ricca logica, che assumeva il movimento della materia in infinite forme come suo asse principale e base fondamentale di tutto il suo apparato teorico concettuale e teorico-metodologico. Lo sviluppo successivo della conoscenza ha innalzato sempre più l’inefficacia della logica formale ed i limiti di un processo di astrazione configurantesi ancora dentro la logica formale.
Nell’analisi e nello studio scientifici dei processi ci si attiene ancora alla precedente metodologia logica, che fissa, isola, incasella, facendo perdere di vista il più generale e complessivo movimento e divenire della materia: eterno fluire da un livello di organizzazione all’altro e quindi del suo eterno passaggio da un livello di energia ad un altro. Si finisce così di correre il rischio da una parte di assolutizzare i risultati – che a quel livello mantengono una loro validità, ma ne acquisiscono uno diverso ad un livello diverso e quindi principi, leggi, metodi validi a quel livello non lo sono più ad un diverso livello, richiedendo un altro e diverso processo di astrazione e quindi di generalizzazione – e si corre il rischio dall’altro di non leggere correttamente i processi e consequenzialmente di tirare conclusioni ed esprimere leggi quanto meno non corrette, che portano poi a risultati contraddittori, effimeri, se non in qualche dannosi.
La situazione, cioè, che viene a crearsi è che quella teoria ha tutto un apparato concettuale e dimostrativo interno assolutamente corretto, ove i passaggi logici sono strettamente consequenziali, ma quella teoria non corrisponde ai processi reali, per cui viene ad impattarsi con il mondo oggettivo.
E’ questa una classica situazione di conflitto tra la consequenzialità interna di una teoria e la sua consequenzialità esterna, per cui i risultati non corrispondono o vi corrispondono in maniera deficitaria.
Occorre infine considerare un problema teorico assai poco considerato – e quando lo è stato, è stato letto dalle sue angolazioni meno importanti e secondarie, comportando così una disquisizione sterile, che puntualmente finiva nell’epistemologia e nella semantica – quello che le nuove teorie scientifiche, le nuove invenzioni e scoperte, si trovano nelle condizioni di dover essere espresse con un apparato linguistico: parole, termini, costruzioni e regole sintattiche, ecc. assolutamente inadeguato, proprio per la natura diversi di entrambi. Il linguaggio è sempre una stratificazione e quindi è un post, la ricerca è sempre il nuovo e quindi è un ante. Il dover piegare parole, termini, definizioni di un già dato apparato linguistico per definire, spiegare, il nuovo, comporta a volte l’uso di termini impropri, che spesso possono portare ad equivoci o a sviluppare linee consequenziali non corrette.
Capita, infine, che si utilizzano termini noti ma in tutta un’altra accezione, con tutto un altro e diverso significato, valenza e spessore. Questa problematica si esaspera quanto più lo sviluppo scientifico si innalza ed il suo progredire è tumultuoso, per cui diviene assolutamente impossibile adeguare l’apparato linguistico, che non riesce a tenere il passo.
E’ questo il caso del termine einsteniano ‘ relatività’ nella Fisica relativistica, di ‘ indeterminatezza’ nella Fisica Quantistica, che non stanno assolutamente ad indicare il " come a ciascuno pare", ma hanno in Fisica una esatta e precisa configurazione teorica e definitoria.
Situazione non dissimile è nella Scienza Medica ove i termini ‘ vita’, ‘ morte’, ‘ trapasso’, ‘ funzione’, ‘ vitalità’, ‘ organo’ non corrispondono oggi assolutamente ai livelli definitori classici, ma assumono concettualizzazione definitoria in generale ben diversa e differente a seconda dei singoli casi e delle singole branche. Ed è poi su tale gap linguistico-definitorio concettuale, che viene poi ad articolarsi un autentico caos, ove ciascuno usa il livello definitorio-concettuale che crede e riesce così! anche a dare sostanzialità logica al suo ragionamento e basi alle sue conclusioni dandogli così anche veste di credibilità.
Situazione non dissimile capita al termine ‘ Bioetica’, dei cui limiti ed intenti ideologici si è detto, ma essa vuole esprimere ed individuare una nuova Scienza, prospettando già da adesso pur nella confusione ed assoluta inefficacia del termine un’organizzazione dei saperi diversa dalla interdisciplinarietà e dalla multidisciplinarietà che integri varie scienze: Fisica, Chimica, Biologia, Zoologia, Medicina, Botanica tutte interconnesse tra di loro da un unico ceppo quello del rapporto di tali scienze con la vita dell’uomo. Essa cioè ci sta dicendo che per lo sviluppo delle conoscenze a cui l’uomo è giunto la precedente organizzazione dei saperi è insufficiente e che ne occorre un’altra, che sia in grado di farci leggere il movimento complessivo di quel particolare settore, di quel particolare rapporto. Della nascita di questa nuova scienza si è detto in " Bioetica" e lì rimandiamo.
Situazione non dissimile infine si verifica nella Genetica ed in specifico nella Manipolazione genetica, ove si finisce per usare termini teorico-concettuali e categoriali non corretti, che conduce ad una formulazione della problematica e dei lavori che conduce a conclusioni quantomeno parziali, insufficienti, insoddisfacenti, che conducono a conclusioni teoriche e generalizzazioni concettuali non corrette ed volte totalmente discutibili.
Ancora.
I ricercatori nel loro lavoro si trovano a dover operare con categorie di pensiero quantomeno insufficienti, se nn, per la maggior parte dei casi, assolutamente obsoleti se non addirittura stantii.
E questo delle categorie è campo esclusivo della filosofia ed in specifico e meglio alla Logica.
Ma in questo campo, nella situazione attuale, non è stato compiuto alcun serio lavoro, disperdendo quello che faticosamente si era pur riusciti a costruire, di ripulitura, ridefinizione, risistematizzazione ed elaborazione in grado di adeguare quelle categorie al nuove, quale risposta al nuovo dello sviluppo scientifico e tecnologico, mettendo così a disposizione dei ricercatori nuove categorie con cui operare più agevolmente, come se i problemi, le tematiche, le angolazioni di lettura siano ancora quelle degli inizi del XX secolo. Le responsabilità a riguardo dei filosofi materialisti sono gravi e lo sono ancor di più per l’accumularsi di tale ritardo ed il loro attardarsi a fare il verso a vecchie categorie, al vecchio pensiero, in un’operazione senza alcuna speranza di riuscita, quella di raschiare il fondo del barile, con l’unica scoperta, alla quale poi ed in verità sono già giunti da tempo, che a raschiare il fondo del barile ci si ritrova il barile stesso! Si verifica, così, nei migliori dei casi, che i ricercatori stretti dalla necessità di formulare sul piano della generalizzazione le loro teorie e per difenderle dal vecchio che gli si oppone, ricorrono a tali vecchie categorie, per l’occorrenza sottoposte a fine operazione di maquillage, ma poi, ed in verità di autentico restauro, ma finiscono per accontentarsi della prima cosa che capita loro sotto mano e che le loro reminiscenze scolastiche, apprese nei licei – il che è già tutto dire! – indica loro.
Finiscono così per arrampicarsi sugli specchi come è il caso della Bioetica ove si assiste alla guerra del disseppellimento di mummie: Aristotele, Kant e Hume contro Agostino e d’Aquino!
Ma senza una nuova riconcettualizzazione i ricercatori rimarranno impotenti nelle loro deduzioni e generalizzazioni dei loro stessi lavori scientifici, oltre che sul piano della generalizzazione più complessiva, ossia della Logica.
Si tratta di mettere mano a questo immane lavoro ed è qui che viene a saldarsi quella rinnovata e feconda unità tra Filosofia e Scienza, che mano nella mano procedono sulla via di conquiste sempre più ambite, che fu già del XVII secolo ed i cui capisaldi furono Giordano Bruno e Galileo Galilei, di cui come Istituto siamo fermi sostenitori.
Per quanto attiene il campo della Genetica e della Manipolazione genetica in particolare si tratta di ben comprendere quali sono i grandi assi categoriali sui quali e con i quali ci si trova a lavorare, definirli con esattezza. Vedremo come una non esatta comprensione di questi assi categoriali, l’uso di vecchie formulazioni ed apparati concettuali e definitori, porti a formulazioni e conclusioni molte volte non soddisfacenti ed a non cogliere i problemi nuovi e le profonde innovazioni, che quegli stessi studi, che i ricercatori conducono, richiedono con insistenza ed in maniera perentoria.
In via preliminare, perché da questo poi discendono quegli assi categoriali, occorre delimitare il campo di indagine ed individuare quali rapporti investe e quindi cosa va a modificare.
La manipolazione genetica – noi stiamo fermando questa branca della Genetica – interviene nel rapporto Uomo-Natura, giacché interviene nel modificare la composizione della Natura, allorquando introduce nell’ambiente esterno ( o Natura ) nuova/altra specie animale o vegetale e quindi interviene alterando/modificando il più complessivo equilibrio, innestando così un processo a catena in tutti i singoli elementi che compongono l’ambiente esterno ( o Natura ) a modificarsi per riequilibrarsi.
Una modifica genetica tendente ad ottenere una mucca ad alta produttività di latte, che sostituisce le vacche delle singole aree geografico-alimentari, comporta modifiche nella stessa fertilizzazione della terra: non viene più prodotto quel foraggio che prima veniva prodotto per la mucca autoctona e non vengono più brucate quelle erbe, ecc., che la natura di quel luogo spontaneamente produce, come risultato di quelle esatte condizioni ambientali. Questo determina modifiche delle stesse precipitazioni atmosferiche, modificando il grado di umidità, di composizione degli elementi di quel determinato ambiente.
Questo ci costringe a prendere atto definitivamente che noi formiamo una unità con la natura e che le conseguenze del nostro operare si estendono sul medio e lungo periodo, oltreché sul breve. Ad ogni passo ci viene così ricordato, e costretti ad agire di conseguenza, che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo come carne, sangue e cervello e viviamo nel suo grembo.
Tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità che ci eleva al di sopra delle altre creature di conoscere le sue leggi ed impiegarle nel modo appropriato, per gli effetti immediati a medio e lungo periodo, che vengono a determinarsi per il nostro intervento nel corso abituale della natura, che impariamo sempre di più a conoscere e riconoscere. Ma restiamo, nella fase attuale, ancora allo stadio di operare per conoscere poi gli effetti specie quelli del medio e di più del lungo periodo, permanendo la metodica di prendere in esame soltanto i risultati più vicini, i campi interrelazionati più immediati. Rimaniamo così, ancora, impotenti a dominare e regolare anche questi effetti. Ma per realizzare questo occorre un’autentica rivoluzione culturale nel metodo, nelle categorie concettuali e nell’intero apparato teorico-concettuale, mettendo a disposizione dei ricercatori questo nuovo apparato. Questa nuova visione del rapporto Uomo-Natura, prodotta dagli attuali livelli dello sviluppo scientifico e tecnologico e quindi della conoscenza e della coscienze che gli uomini hanno di sé e del loro rapporto con la Natura, determina l’incenerimento di tutta la vecchia teorica dell’antropocentrismo. E con la teoretica dell’antropocentrismo viene spazzato via l’intero edificio teorico che nel corso dei millennio gli uomini avevano pezzo per pezzo elaborato, sia l’umanesimo classico che l’umanesimo religioso, che le più disparate teorie sull’uomo. Finendo così per restare tutta questa produzione un contenitore vuoto, che sta a dire più quello che l’uomo era, del suo rapporto di necessità e di assoggettamento alle ‘ furie’, alla ‘ casualità’ di Natura.
E così da questo scheletro penzolano, oramai scarniti, i concetti di " natura matrigna", " anima",
" lotta", " dominio", " lotta per la vita", ecc. che fanno bella mostra proprio ed esattamente delle paure, dei timori dell’Uomo, che proiettava in mitiche figure retoriche e categorie di pensiero mistificanti e distorcenti. E quello scheletro non è ora più in grado di sostanziare quelle società, che nel corso dei secoli si sono succedute e di cui ne aveva costituito la coscienza e la giustificazione e legittimazione: tutto è precipitato di colpo al rango dell’alchimia, del mito, della fanfaluche.
In sintesi.
La manipolazione genetica con il suo progredire interviene nel rapporto Uomo-Natura e sul
piano teorico più complessivo mostra tutta la inadeguatezza, inconsistenza di tutta la passata teoretica, che caratterizzano le società sin qui avutesi, spingendo per una nuova, liquidando tout court il vecchio antropocentrismo.
Definito il campo di indagine, possiamo dedurci i grandi assi categoriali su cui opera la Manipolazione genetica: diversità - omologazione, di cui esiste una scarsa coscienza, se non totale assenza, perdurando invece categorie ed apparato concettuale decisamente antiquati, e questo finisce poi per condurre ad analisi e conclusioni quanto meno non soddisfacenti se non a volte non corretti. Si intrecciano, cioè, qui sia la problematica linguistica sia quel ritardo nel campo della filosofia di cui si è detto. Questo determina infine la non comprensione e l’annebbiamento dei compiti nuovi che quegli studi e ricerche invece pongono con insistenza.
Vediamo la cosa più da vicino.
E’ formulazione e quindi terminologia comune quella di parlare di " condizioni più disparate", " condizioni ambientali estremamente difficili in cui vengono a trovarsi alcuni enzimi", fino a giungere a parlare di " organismi estremofili", di " enzimi più resistenti", a " operare degli enzimi in condizioni lontane da quelle naturali".
In realtà le cose non stanno come vengono formulate e la formulazione finisce per presentare un processo non reale, che non corrisponde poi neppure agli studi che gli stessi ricercatori fanno e che poi espongono in tal modo.
La forma espositiva, infine, del comportamento degli enzimi è quanto meno imperfetta, che conduce ad errori e cela i problemi nuovi che la ricerca pone; evidenziando infine come si continuano ad utilizzare vecchie ed inefficaci categorie ed apparati concettuali e linguistici, che finiscono per non portare chiarezza e lasciare varchi ad interpretazioni mistiche, scientiste, da show.
Si intrecciano e si sovrappongono qui sia problemi del linguaggio e sia quello teorico-concettuali dell’utilizzo di vecchie ed obsolete categorie di pensiero.
Quando si descrive il processo degli enzimi all’interno di una cellula si parla di " reazioni diverse e regolate in modo da non interagire una con l’altra".
L’esposizione del processo è cattiva, sembra che si stia per assistere ad un miracolo, ad una sapiente regia, a.. Così si finisce diritto nelle braccia del fideismo, al " Regista" e se non a lui ad un suo surrogato: il determinismo meccanicistico, il teleologismo e se si ha voglia " de lo pane antico" si finisce alle " meraviglia della natura", che a tutto ha provveduto. In queste condizioni i termini di " sapienza", " intelligenza" si sprecano.
L’errore consiste nel leggere il "post festum", ossia ciascun singolo processo nella sua manifestazione ultima e nell’istante ‘ t’.
E questo già alla metà del XIX secolo conduce diritto alla metafisica, che diviene ‘ miracolo della natura’. Con l’ulteriore sviluppo delle conoscenze ove si giunge a leggere la struttura molecolare e subatomica della materia, quella visione si trasforma in ostacolo, macigno, alla lettura della realtà e quindi determina un processo di distorsione, ed in quanto tale mistificante. Questo si intreccia, si innerva sulla precedente struttura non solo categoriale ma anche linguistica, per cui vengono utilizzati vecchi termini per nuovi concetti, che da una parte non rendono appieno il nuovo, ma anzi lo omologano, finendo per creare più ostacoli ed impacci che chiarificazioni e snellimento.
L’esperienza ci ha infatti insegnato che perfezionando i semplici strumenti di indagine, e questo è stato legato agli sviluppi dell’Ottica, si modifica profondamente la nostra visione della struttura della materia e quindi viene a modificarsi il nostro concetto di vita, di complessità, di ordine, disordine.
Così letto e fissato il processo all’istante ‘t’ non riusciamo ad intelligere il momento chiave del processo, ossia l’equilibrio, il solo che ci può introdurre al concetto fondamentale della materia che è una e diviene in infinite forme e di cui noi leggiamo unicamente i singoli momenti e dei singoli momenti singole ed assai parziali e limitate ed anguste angolazioni di lettura, che per comodità fissiamo nei suoi momenti di ‘ quiete’, ossia i momenti che si ripetano con una certa sequenza ed ordine – sequenza ed ordine che noi leggiamo con gli strumenti tecnici ed il livello di conoscenza di quel momento – strumenti tecnici e livelli di conoscenza sono due aspetti della stessa medaglia, ad un determinato livello delle conoscenze in un settore corrisponde nella sua sostanza quell’apparato di strumenti tecnici e concettuali e categoriali; e quel determinato livello in definitiva non è dissimile dal più generale livello in tutti gli altri settori e quindi della conoscenza nel suo complesso di quel determinato periodo.
Lo sviluppo delle conoscenze richiede sempre più una lettura a tutto campo, non bastando più la lettura dei campi e settori più immediati, non bastando più la semplice interrelazione disciplinare e poi la multidisciplinarietà, richiede una nuova e diversa organizzazione ed organigrammarsi diverso dei saperi: gli unici in grado di intelligere il nuovo in una sua maggiore capacità di leggere il movimento complessivo della materia ed i nessi e le interdipendenze che l’operare dell’uomo mette in movimento.
Ma la lettura della " quiete" agisce da freno a questo passaggio superiore, questo limite viene poi fissato dalle classi e dagli interessi delle varie classi in lotta, incementando così la ricerca. In sostegno di questa ‘ fissità, ossia di leggere la " quiete" viene tutto il vecchio apparato concettuale e quindi tutta la precedente tradizione di pensiero e categoriale, che fino a quel momento aveva agito da sviluppo ed accelerazione di quella concezione scientifica specifica e della più generale conoscenza e coscienza scientifica e consequenzialmente della più generale concezione del mondo. E così tra questi vari momenti si innesta un processo a catena distorsivo, ove ciascuno substanzia ed è substanziato da tutti gli altri, venendosi così a configurare un sistema teorico chiuso, che trova nell’esistente la sua legittimazione teorica ed è poi dentro questo esatto, preciso, concreto, materiale, che devono essere iscritte le nuove ricerche scientifiche e le nuove conoscenze.
Sintetizziamo.
Il punto da fermare qui è allora la lettura isolata del processo, che porta a visini e concezioni fideistiche o panteistiche. Si continua cioè ad utilizzare la vecchia e non più soddisfacente categoria dell’istante ‘ t’ o quella del " post festum", anziché quella di " equilibrio", che poi ci consente di attribuire alle leggi scientifiche che formuliamo la loro giusta valenza e quindi la validità, ma anche i suoi limiti. Diversamente, utilizzando la vecchia ed insufficiente categoria, finiamo per aprire le porte alle teorie della non validità generale delle leggi scientifiche, il loro essere solo formule tecniche ed alle teorie della falsificabilità popperiana ed alla scuola di Carnap, andandoci a cacciare nel ginepraio del determinismo meccanicistico e della scolastica disquisizione ordine-caso-causa-disordine.
Quando si discute delle attività enzimatiche si arriva a formulare il concetto di condizioni normali o naturali e condizioni difficili, lontane da quelle naturali, giungendo fino alla definizione di " organismi estremofili".
Anche qui vi è una lettura unilaterale del processo. Si leggono cioè gli enzimi, il loro numero sterminato, le loro funzioni, la versatilità, specificità; si riesce persino a leggere il processo evolutivo durato miliardi di anni, ma non si legge l’ambiente, ossia il rapporto tra il soggetto e l’ambiente. Il soggetto risponde agli stimoli dell’ambiente ed in base a questo sviluppa nuove caratteristiche e funzioni o sviluppa varianti di quelli già in suo possesso - potenzialità.
Quello che qui è soggetto, lì è ambiente e quello che qui è ‘ ambiente’ lì è soggetto: ciascuno è anche l’altro. Ciascuno è causa ed effetto a seconda da dove viene letto il processo e quale momento viene fermato, allo stesso modo ciascuno è ‘ soggetto’ o ‘ ambiente’ a seconda da dove si ‘ taglia’ il processo e si dà ‘ principio’ all’analisi, lo studio.
La realtà è una e diviene in infinite forme, siamo noi che fissiamo, fermiamo – attraverso l’angolazione di lettura scelta, privilegiata che sia – un determinato momento. Ora se noi ci limitiamo al solo fermare, senza assolutizzare, il procedimento è corretto, giacché è attraverso questo ‘ isolare’, processo di astrazione, che l’uomo è in grado di apprendere, capire la realtà ed avere un rapporto positivo con essa. Il processo di astrazione è la teorizzazione e concettualizzazione proprio ed esattamente – sul piano della speculazione teorica – di questo isolare. Ma poi ci si deve ricordare di aver isolato ed occorre ricongiungere ciò che uomo ha disgiunto. Se invece assolutizziamo quell’isolare allora scadiamo nella metafisica. Nel caso in esame il non leggere il rapporto soggetto-ambiente porta poi a parlare di ‘ capacità’ dell’enzima: di qui si arriva diritto nel peggiore dei casi alla Fede, di norma a ‘ intelligenza’ e così finiamo per proiettare immagini mitiche e mistiche di processi naturali il cui elemento fondamentale di comprensione è semplicemente l’equilibrio.
Parlare di condizioni difficili per enzimi sottoposti a condizioni di temperatura che possono superare i 100° Celsius, ecc. parlare di condizioni letali contro i quali i batteri hanno sviluppato enzimi resistenti non è corretto. Si usa qui la vecchia categoria della metafisica aristoteliana di non-contraddizione e di identità, per non voler accedere alla nuova categoria unità/diversità.
Per i batteri che vivono in geyser quelle sono le condizioni assolutamente normali, diventano difficili e poi critiche fino a diventare mortali in condizioni diverse; e quelli delle cure termali le condizioni ‘ difficili’ sono quelle a temperatura attorno ai 50-60°. Certo se predefiniamo ‘ difficile’ e
‘ facile’, allora… Ma la scienza ci ha insegnato da tempo alla relatività dei concetti, dei termini e quindi alla terminologia e concetti definitori per una determinata scienza e della scienza stessa per ciascuna determinata branca, termini, definizioni ed apparati concettuali e definitori non mutuabili in altre scienze ed in altre branche della stessa scienza. Ancora una volta è proprio quella scissione tra soggetto-ambiente che ci conduce su strade tortuose e contraddittorie.
Ancora.
Quando si discute di questi organismi estremofili si parla di enzimi ‘ più resistenti’, prodotti da organismi estremofili, che si difendono da eventi letali quali le alte pressioni a cui sono sottoposti, ad alte temperature, elevate concentrazioni saline, ecc. si continua ad usare la vecchia categoria aristoteliana del principio di non-contraddizione, che è l’asse categoriale della riduzione della diversità all’unità, alla normalità; la vecchia categoria della normalità in quanto non-contraddizione e quindi la vecchia struttura della logica formale e quindi il vecchio livello del processo di astrazione e la catalogazione della logica formale che fissa, incementa, incasella facendo perdere di vista il movimento e le interrelazioni ed i rapporti di interdipendenza relazionale, il fluire costante della materia ed il suo divenire costantemente altro.
Anche qui la formulazione non è corretta.
Non è che gli enzimi del Mar Morto o delle sorgenti termali si difendono da.., meno che mai quelli sono eventi letali per loro; essi si sono sviluppati in quell’ambiente e quindi sono funzionali a quell’ambiente; il rapporto soggetto-ambiente ha determinato come sintesi dialettica proprio ed esattamente quel tipo di enzima: Ora se noi assumiamo la categoria normale quale termine di paragone e facciamo divenire questa la medietà degli enzimi, allora e solo allora possiamo usare il termine ‘ si difendono da’. Ma questo significa proprio ed esattamente ridurre la diversità alla sua medietà, igitur sussumere la diversità sotto la " normalità".
La realtà è che quell’enzima è quella realtà e quella realtà è quell’enzima: entrambi sono interdipendenti e si condizionano reciprocamente, perché proprio quel tipo di enzima dà quelle caratteristiche a quelle cure termali, a quella salinità: gli enzimi rispettivamente di queste realtà caratterizzano esattamente, individuano precisamente, intercettano esclusivamente quella realtà. Non è quindi corretto parlare di " normale".
Questo errore porta poi ad una mutuazione del concetto normale alla più generale ricerca sulla manipolazione genetica.
Sussunto sotto il termine ‘ normale’ la medietà ed individuato come ‘ più resistente’, ‘ meno resistente’ ciò che da questo parametro arbitrariamente assunto, allora si cerca di intervenire per dotare quell’enzima di quel ‘ più’ o di quel ‘ meno’ tale da omologarlo all’ambiente dove deve vivere.
Torna qui in tutta la sua importanza metodologica l’avvertimento di Parmenide, filosofo del V secolo ac:
" [..]. Perciò saranno tutte soltanto parole quando i mortali hanno stabilito, convinti che fosse vero nascere e perire, essere e non essere, cambiamento di luogo e mutazione del brillante colore.
[..]. Perché i mortali furono del parere di nominare due forme una delle quali non dovevano- .. ;
ne contrapposero gli aspetti e vi applicarono note
reciprocamente distinte: da un lato il fuoco etereo
(..) ed inoltre anche l’altro lo posero per sé
con caratteristiche opposte, la notte senza luce di aspetto denso e pesante…
Ma dal momento che tutto è denominato luce e tenebra
e queste secondo le loro attitudini sono applicate a questo ed a quello,
tutto è pieno insieme di luce e tenebra invisibile,
per l’una e l’altra, perché né con l’una né con l’altra c’è il nulla."
La mutuazione dei concetti da un capo all’altro da un punto di vista della teoretica metodologica non è corretta, giacché nel caso naturale dell’organismo detto ‘ estremofilo’ quello è il rapporto soggetto-ambiente, nel secondo caso, quello transgenico, viene catapultato in quell’ambiente quel soggetto, che quell’ambiente non ha prodotto. Produrre per esempio un enzima che rende la vite resistente al freddo per piantare tale vite in un ambiente freddo, significa catapultare quell’enzima in un ambiente che non è il suo, ed è tale solo per l’aspetto più fenomenico del problema:
situazione fredda? enzima resistente al freddo ? igitur manipolazione con enzima resistente al freddo. Ma la vite ha un suo ciclo biologico che richiede altre condizioni altre condizioni climatiche, tant’è che nel corso dei millenni in quelle zone ove noi piantiamo la vite non vi era stata in precedenza, che è cosa ben diversa dall’enzima delle cure del termali o del Mar Morto, ove invece vi è stata la formazione e sviluppo di quel tipo di enzima.
La debolezza teorica sta appunto nell’aver costruito una categoria ‘ normale’ e poi essere andati a diversificare gli altri oggetti, gli enzimi in questo caso, sulla base di quella categoria che abbiamo definito normale e sulla base se si allontano per eccesso o per difetto siamo andati a costruire la catalogazione ‘ debole’ e ‘ forte’.
Ma questo non vuol dire, neppure, non lavorare in direzione della manipolazione della vite, altrimenti si commette l’errore opposto quello di non comprendere che l’uomo a differenza di tutti gli altri animali vive proprio ed esattamente attuando un ricambio organico tra sé e la Natura, giacché per la sua complessità fisiologica non può utilizzare i prodotti che direttamente e spontaneamente la natura offre – come per tutti gli altri animali – ma deve trasformarli e renderli per sé utili. Questo ricambio organico, connaturale alla natura propria dell’uomo, viene non correttamente indicata come ‘ pressione antropica’ e tale formulazione è poi foriera di incomprensione e nn corrette analisi e foriera di approcci di metodologici e concettuali non sufficienti alla comprensione della tematica. Viene così a delinearsi la contraddizione sia della non correttezza della mutuazione dei concetti e categorie da un piano all’altro, che non giustificano di per sé la manipolazione e sia quella che l’impianto base non consente neppure la negazione della manipolazione. Il problema ruota, per la corretta soluzione, tutta attorno alla sperimentazione scientifica: essa sola è in grado di stabilire l’esatto e corretto rapporto di discendenza logica ed operativa.
Ed infatti poi se si va a ben vedere tutta la stessa discussione non verte sul fatto se fare o non fare, ma sugli effetti, sulle conseguenze, ossia sulla sperimentazione scientifica se sufficiente o non sufficiente a giustificare quell’operazione genetica. Il problema non è di facile soluzione.
La validità della sperimentazione scientifica non è un dato a sé stante, né un dato astorico. E’ il prodotto ed il risultato, ed è dato esattamente, dal livello delle conoscenze dell’uomo e dal grado di intervento dell’uomo sull’ambiente a lui esterno. Più l’intervento dell’uomo è profondo, più scende nel profondo della realtà e più rapporti di interdipendenza relazionali mette in movimento e quindi gli effetti della sua azione si snodano su di un arco di tempo più lungo. Fin quando l’uomo riusciva con l’aratro di ferro trainato dal cavallo a dissodare la terra di alcuni centimetri, la produttività della terra era minore rispetto a quella dell’aratro trainato da un trattore, giacché riesce ad interagire ed a far interagire una molteplicità di rapporti interrelazionali. Non dissimile cosa l’agire dell’uomo più complessivamente inteso.
In passato gli effetti di questo agire si sono dispiegati per centinaia di secoli, oggi invece un intervento di manipolazione ha effetti molto più immediati e molto più profondi, tanto è vero che questo ha determinato il problema che va sotto il nome di " generazione futura" e dei diritti delle generazioni future, che verrebbero lese da un’azione di un certo tipo dell’uomo presente e dei doveri degli uomini del presente di preservare le condizioni fondamentali di vivibilità del pianeta. Quindi come si vede la profondità dell’intervento dell’agire dell’uomo di oggi non solo pone problemi del tutto nuovi, quello delle ‘ generazioni future’, ma sposta completamente l’asse del problema dal singolo settore o area geografica all’intero pianeta.
La profondità dell’agire dell’uomo di oggi, con l’attuale livello delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, pone quindi due ordini di problemi alla sperimentazione scientifica: uno è quello dell’impatto a medio termine, e l’altro, ed in misura assai maggiore, quello dell’impatto a lungo termine.
Ora il problema è questo: una volta che ci si è incamminati sulla problematica dell’impatto sul medio e lungo periodo, qualsiasi sperimentazione scientifica è inadeguata, giacché sul lungo periodo possono aversi effetti devastanti non calcolabili oggi sulla base dei risultati della sperimentazione scientifica. Questa base insufficientemente definitoria consente entrambe le scappatoie: sia rinviare sine die, giacché se sappiamo a 30 anni non possiamo sapere a 31 anni, ma consente anche quella di dichiararci soddisfatti dei risultati che la sperimentazione oggi ci offre. E così il dibattito si trascina stancamente su falsi binari e su sterili contrapposizioni, che poi finiscono per costituire avvallo e giustificazione per i poteri forti: comunque definiti e definentesi: una qualsiasi società è dominata da poteri più o meno forti: anche qui è il concetto di ‘ potere forte’ ruolo e funzione che viene a modificarsi a seconda di quale tipo di società. In questo modo viene a consolidarsi come pratica e quindi con ‘ forza del consuetudinario’ una pratica non democratica, giacché i dati che vengono forniti alla comunità-uomo non sono sufficienti, giacché non rispondono al problema degli effetti del medio e lungo periodo sulla cui base essa viene a formarsi un’opinione e quindi a decidere – a questo livello dell’analisi sono indifferenti i livelli e le forme della democrazia e quindi delle decisioni.
Voi vedete bene come le tematiche si intrecciano maledettamente e richiedono una soluzione in grado di risolvere nel migliore dei modi il problema nella sua complessità e per quanto possibile al livello migliore della totalità. Il problema quindi ruota, si è detto, attorno alla sperimentazione scientifica.
E’ su questo che dobbiamo fermare la nostra attenzione.
Ora l’impianto metodologico, le categorie concettuali e gli assi su cui avviene la sperimentazione e quindi la ricerca e raccolta ed esposizione dei dati ed i criteri metodologici e teorico-concettuali delle conclusioni sono ancora quelli del precedente livello di trasformazione; essi non sono stati adeguati alla nuova realtà. Questa si muove ancora al livello di considerare i settori interrelazionali più immediati e più vicini nel rapporto causa-effetto.
In generale un prodotto passa attraverso una serie di sperimentazioni graduali per verificare se i risultati che si ottengono sono quelli che il programma di ricerca si era prefisso: nel lungo processo di verifica si constata la progressione o l’arresto della ricerca e quindi della sperimentazione. La scala ascensionale costituisce anche una esigenza oggettiva, non solo ‘ tecnica’ sperimentale: è attraverso questa che la nostra stessa conoscenza si arricchisce, impariamo nuove strade, scopriamo nuovi rapporti ed è su questa base che noi apportiamo modifiche, correzione del tiro, ecc. La sperimentazione ci dirà, in caso positivo, che quel prodotto ha una validità, che non ci ha dato effetti sostanzialmente negativi – la cui percentuale costituisce gli effetti collaterali o indesiderati – ma limitatamente a quel singolo oggetto in esame e per i campi più strettamente vicini, ma non certo delle sue interrelazioni con tutto il resto della realtà oggettiva, ove quell’oggetto della ricerca viene poi immesso. Ed infatti tutto il dibattito che si svolge proprio ed esattamente non tanto del singolo oggetto di ricerca e dei suoi campi più vicini, ma del suo impatto con il restante mondo oggettivo ed è poi questa che si dispiega sul medio e lungo periodo. La ricerca e la sperimentazione quindi isola l’oggetto della ricerca dal più complessivo rapporto che lo unisce alla realtà oggettiva e ne fa un tutt’uno, ed è proprio qui che esso va poi ad impattarsi, finendo per porre il problema delle " generazioni future".
I limiti metodologici della ricerca vengono così con forza in evidenza: il carattere cioè limitato e ristretto dell’angolazione che si assume, i campi più immediatamente vicini, appunto, e sulla cui base si ottengono i risultati della ricerca e sulla cui base si formulano le conclusioni e la sua validità e non invece il medio e lungo periodo. Ed è a questo nuovo tipo di problematica che la ricerca e la sperimentazione deve rispondere ed attrezzare risposte e per fare questo rivedere e revisionare profondamente la sua metodologia ed impianto teorico-concettuale e consequenzialmente la raccolta dei dati, il processo stesso di evoluzione del programma di ricerca e poi di sperimentazione. E’ il nuovo livello delle conoscenze dell’uomo, determinato proprio dal lavoro degli stessi ricercatori, che richiede una nuova impostazione in grado di rispondere ai nuovi problemi, risultando decisamente obsoleta la precedente per il modo nuovo in cui viene a porsi il processo di trasformazione del rapporto Uomo-Natura, per il modo nuovo di come viene a porsi l’agire dell’uomo nell’intervento con l’esterno, che è più profondo, più ricco e che non ha paragone alcuno con tutto il precedente intervento dell’uomo. Non ha paragone alcuno con tutto il precedente intervento dell’uomo, ma si pone assolutamente fuori dagli àmbiti e confini entro cui la ricerca e l’azione dell’uomo si è sin qui mossa e sviluppata. Giustamente Childe ha fatto notare che tutto lo sviluppo scientifico dell’uomo – e questo lo possiamo fermare alla seconda metà del XIX secolo e poi decisamente dai primi del XX – è già tutto dentro il solco dell’età del bronzo e della civiltà assiro-babilonese. A partire dalla metà del XX secolo l’uomo straripa abbondantemente oltre questo solco, tracciandone un altro e ben più profondo, ricco e possente.
E quella metodologia, quell’apparato metodologico-concettuale è ancora i " Principia Mathematica" e " Regulae philosophandi" di Newton, arricchito, elaborato in modo specifico con tutta la cosiddetta ‘ Logica matematica’: Russell, Whitehead, Peano e la scuola di Vienna: Carnap, ecc. Se sforzi poderosi sono stati fatti in questo campo, essi però risultano non adeguati ai nuovi compiti, giacché non escono dai confini della lettura ‘ isolata’ dei processi, difettano cioè di una concezione teorico generale della totalità. Questi studi alla fine si sono arenati, proprio perché nn riuscivano a stare al passo con gli sviluppi poderosi e tempestosi degli ultimi decenni ed in definitiva non abbandonavano l’impianto della logica formale aristotelica: l’ultimo grande è stato Geymonat. Ma tutto questo ci dice che abbiamo bisogno di un nuovo " Principia Mathematica", ossia di una nuova metodologia e concezione generale che abbracci incondizionatamente la visione della totalità; la concezione che la materia è una e diviene in infinite forme e che siamo noi che fermiamo ora questo ora quel momento di quel divenire. Di una nuova metodologia, inoltre, che abbandoni definitivamente la concezione antropocentrica e le consequenziali teorizzazioni umanistiche e retorico-umanistiche, che trovano nel crocianesimo la loro sistematizzazione al più alto livello, che successivamente alla 2a guerra mondiale si è intrecciato e fatto tutt’uno con la scuola di Vienna, venendone a costituire la retrovia salda e bunkerizzata, la casamatta decisiva e snodo centrale di tutta la teoretica del passato pensiero.
La contraddizione diviene sempre più acuta, giacché se da una parte abbiamo bisogno di restringere sempre più il campo della ricerca su parti sempre più infinitesimali del processo, e di procedere nell’isolare i singoli momenti dei singoli fenomeni, perché per il livello raggiunto dalle nostre conoscenze abbiamo bisogno di procedere nell’indagare i processi reali dei fenomeni, e quello più generale lo abbiamo a sufficienza indagato, vi ritorneremo o solo quando saremo stati in grado di accumulare una sufficiente conoscenza di questi processi infinitesimali in grado di procedere ad una nuova e più alta sistematizzazione teorica generale; dall’altra abbiamo bisogno di riconnettere quello che abbiamo isolato dal contesto più generale. E questo non ci è possibile se non elaboriamo una nuova metodica di cui si è detto, che è poi conditio sine qua non per operare la ricomposizione al livello generale poc’anzi detto. Come ben si vede tutto ci conduce costantemente a quel punto decisivo di snodo: una nuova metodica.
Gli uomini nel loro procedere vi si avvicinano: essi sono passati prima ad una nuova ed altra formulazione delle singole scienze, successivamente ad un organarsi diverso delle singole scienze in un corpus scientifico – e fin qui siamo ai " Principia Mathematica" di Newton. Successivamente essi sono giunti all’interdisciplinarietà della ricerca, per giungere ora alla multidisciplinarietà, ma questo pur loro procedere in avanti non li ha fatto in sostanza procedere di un passo, giacché essi adeguavano solamente l’organizzazione dei saperi sulla base dello scomporsi dei saperi stessi: gli specialismi, di cui si è detto, per cui alla fine il problema rimaneva al punto da cui pur si era partiti, con le modifiche successive che si erano introdotte e di grande importanza e supportate da poderosi e generosi sforzi.
Noi, per tornare al problema della sperimentazione scientifica, abbiamo quindi bisogno non solo di leggere l’interrelazione dell’oggetto della ricerca con l’ambiente ove esso verrà poi ad essere immesso ed operare, ma abbiamo anche bisogno di leggere le linee tendenziali di sviluppo, perché, poi, sono esattamente queste linee tendenziali che ci consentiranno di stabilire la validità di quel prodotto della ricerca e risolvere così il problema determinato dal nuovo livello si azione dell’uomo nell’opera di trasformazione del rapporto Uomo-Natura. Se non si introduce questo nuovo elemento – la lettura tendenziale – e si resta ancorati al precedente impianto i dati stessi della ricerca: raccolta, organizzazione, sistematizzazione dei dati e consequenziali deduzioni saranno inadeguati, per la lettura parziale del processo. Compito questo decisamente immane, giacché allo stato attuale diviene difficile individuare non solo i dati da fermare in grado di darci la tendenzialità dell’oggetto della ricerca e la tendenzialità della sua immissione nell’ambiente ove opererà. L’estremizzazione di questo concetto – che è estranea a tale trattazione – sarebbe quella di volere una risposta sicura, ossia di un qual cosa in grado di bypassare tout court l’applicazione in corpore vili, ossia l’applicazione e quindi la verifica nel reale: per questo qualcosa, occorre rivolgersi alle verità eterne ed alla metafisica, giacché solo una concezione metafisica può pensare di poter trovare una tale meta entità.
Lavoro di gran lena attende, ma alcune linee sono nel corso del XX secolo state confusamente individuate, parzialmente tracciate: si tratta di farne un bilancio e ricomporre-ripensare in maniera unitaria i contributi decisivi, per quanto attiene l’Italia – ma poi la loro proiezione è decisamente internazionale – Geymonat, Della Volpe, Lucio Lombardo Radice, Laura Conti.
Lavoro immane si diceva, ma questo è il risultato naturale proprio ed esattamente del procedere tempestoso dell’uomo, di cui proprio ed esattamente i ricercatori ne sono tra i principali artefici. Ma in questo lavoro occorre abbandonare tutto il passato pensiero, giacché quello che va colto è che nella frammentarietà, contraddittorietà, confusione e con larghi tratti mistificati e mistificanti, e quindi ideologici, quello a cui noi stiamo assistendo – e più che assistendo, stiamo operando in tal senso – è il nuovo che si, che diviene nelle forme e nei tratti possibili stretto tra i mille vincoli dell’ancient regime, della vecchia società entro la quale è costretto a muoversi e ad affermarsi e nelle condizioni non di una direzione cosciente, ma spontanea, e quindi caotica, a tratti, discontinuamente a scatti: ma è il nuovo che nasce, che si fa e facendosi determinerà nuove e più alte concezioni ed altri apparati teorico-concettuali e teorico-definitori con nuovi ed altri valori e nuovi ed altri valori e parametri fondanti: che saranno la concezione della nuova società che avanza, la coscienza che essa avrà di se stessa e del suo nuovo rapportarsi al reale e quindi del nuovo/altro modo di attuazione del processo di trasformazione .del rapporto Uomo-Natura.
Gli uomini possono resistervi sul piano della coscienza soggettiva – noi facciamo qui astrazione dagli interessi materiali di quelle classi che trovano nell’ancient regime la loro legittimazione – aggrapparsi al passato pensiero, al pur poderoso e ricco patrimonio di questo, ma poi nella pratica quotidiana si fanno portatori essi stessi di frammenti di quel nuovo che avanza e sono poi essi stessi gli elementi materiali che fanno avanzare quel nuovo, perché nel loro agire quotidiano lo fanno, opponendosi però sul piano della coscienza. Il dato centrale da cogliere è che quello a cui noi stiamo assistendo, e con il nostro operare quotidiano, spontaneo, naturale stiamo costruendo, è la fase iniziale della più grande fase di transizione mai verificatasi nella Storia, che non trova alcuna similarietà generica con tutte le precedenti fasi di transizione verificatesi, giacché costituisce la più totale e radicale rottura con tutto il passato agire dell’uomo, con tutto il passato modo di operare il processo di trasformazione del rapporto Uomo-Natura, e quindi la più radicale rottura con tutto il passato pensiero e consequenzialmente con tutte le precedenti concezioni generali di come l’uomo leggeva se stesso ed il suo rapporto con la Natura e quindi la loro coscienza. Noi stiamo cioè assistendo, e con il nostro operare quotidiano, spontaneo, naturale, stiamo costruendo gli inizi della transizione dell’Uomo dalla Preistoria alla Storia. I processi della transizione sono sempre confusi, contraddittori, laceranti, questo in modo particolare per la rottura che opera con tutto il passato, tempestosi, burrascosi, fatti di ‘ salti nel buio’ – letti così per la rottura con il precedente patrimonio teorico e di coscienza – e di tunnel interminabili, ove è difficile intravederne la fine e dove sbocca e questo può in alcuni momenti particolare dare la sensazione dell’impossibilità del suo sbocco, ed a volte, e più spesso, del non conveniente e non auspicabile ed in questi momenti, attimi paragonati con più complessivo processo storico, ma in quegli attimi interminabili, il ritorno di idee e teorie del passato, che quasi dalla terra risorgono con la forza delle certezze, del " sapore dello pane antico", ma alla fine saranno solo attimi, che staranno alle spalle degli uomini e saranno stati funzionali al superamento critico e quindi coscienza del nuovo, ed avranno anche loro svolto il ruolo nel più generale processo di affermazione del nuovo.
Crolla così il vecchio antropocentrismo, per affacciarsi l’uomo sociale o umanità sociale.