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Resistenza e Lotta di Classe

 


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Questa iniziativa si propone l’intento di rilanciare gli studi, la ricerca e la coscienza resistenziali.
Rispetto ai lavori pur poderosi , e di buon livello, sin qui avutisi, l’iniziativa vuole costituire una svolta.
Noi vorremmo innestare su questo asse portante un secondo asse di ricerca e di studi il tema cioè
“ del prima e del dopo” Resistenza:
“ del prima”,
come il momento resistenziale si inquadri e sia la continuità della tradizione di lotta, di coscienza dell’intera esperienza rivoluzionaria del popolo italiano nella sua storia millenaria e di come essa l’elabori e l’arricchisca;
“ del dopo”,
come il momento resistenziale s’incardini nella storia successiva, ossia quali modifiche ha com-portato tali da determinare gli sviluppi successivi in tutta la storia sociale, civile, culturale, econo-mica,istituzionale. ( La relazione che sarà presentata avrà questo tema e ne propone alcune linee, ritenute, sostanziali.).
Abbiamo preso una realtà, quella irpina ed abbiamo voluto sperimentare la validità di questa idea e limita-tamente al “ dopo”.
L’idea è quella di darvi continuità e tenere ogni anno un convegno che affronti di volta in volta temi diversi co-me stimolo per lo sviluppo di questo secondo asse di ricerche e studi, in grado di raccogliere forze ed intelli-genze e dar nuova linfa e nuove prospettive agli studi ed alle ricerche resistenziali, rafforzando ed estendendo così la coscienza e la memoria storica resistenziali nella prospettiva unitaria e complessiva dell’esperienza sto-rica di un popolo e del suo divenire Storia.

Avellino, 24. aprile. 2004
“ CONVEGNO: LA RESISTENZA E L’IRPINIA”
Si tende, e si è teso, a presentare la Resistenza in maniera isolata, come se non avesse un prima ed un dopo, fino a proiettarne un’immagine mitica, irreale, giacché si erano dispersi i caratteri storici, le condizioni storiche entro le quali essa matura ed entro le quali si sviluppa.

La Resistenza come atto immediato.
La Resistenza come atto immediato costituisce la lotta politica, sindacale, culturale, armata che il popolo lavoratore italiano è stato costretto a sostenere contro un nemico che aveva invaso ed occu-pato il Paese con l’aiuto attivo militare, politico, sociale di un gruppo di collaborazionisti.
Il nemico invasore, come prassi consolidata, insedia un governo fantoccio, che controlla militarmen-te, concedendo a tale governo fantoccio uno spazio del Paese, invaso ed occupato con la violenza: ta-le territorio va sotto il nome di “ Repubblica di Salò”.
Questo governo collaborazionista rappresentava sul piano militare gli interessi e le istanze della Wermacht e del III Reich; sul piano economico gli interessi di tutta la borghesia italiana, presente prevalentemente nel centro-nord del Paese, che intratteneva rapporti d’affari con il III Reich per le commesse militari che dal III Reich riceveva: produzione militare ed ausiliaria, che servivano per massacrare il popolo lavoratore e per resistere all’avanzata anglo-americana ad ovest ed a quella dell’Armata Rossa ad oriente: gli Agnelli, i Pirelli, i Donegani, i Volpe i Falck facevano soldi, che importa del resto: pecunia non olet!
Fino all’ultimo, fino ai primi giorni di aprile del 1945 la borghesia italiana cura i suoi interessi contro quelli del popolo lavoratore e contro i popoli lavoratori di tutta Europa, fa affari con il III Reich, poi fugge in Svizzera lasciando gli impianti nelle mani della ferocia nazista che assieme ai collaborazio-nisti cercavano di trasferire in Germania o distruggere e che la classe operaia ed il popolo lavoratore ha salvato, smontando pezzi e nascondendoli alla furia cieca dei nazisti e dei collaborazionisti.
La classe della grande borghesia monopolistica sta così con i nazisti nel centro-nord ed il cui rappre-sentante, il suo comitato d’affari è il governo fantoccio insediato nella città di Salò, invaso e sotto oc-cupazione militare della ferocia nazista; sta con gli anglo-americani il cui comitato d’affari era la cor-te savoiarda e parte dei ministri del governo.
Il paese è così spaccato in due: da una parte la classe della borghesia monopolistica,
dall’altra il popolo lavoratore;
non quindi in Nord e Sud, ma speculatori, grassatori, imbroglioni e truffatori, pescecani da una parte e operai, lavoratori, impiegati, tecnici, professionisti, artigiani, piccoli e medi industriali dall’altra.
Il popolo lavoratore trova nella classe operaia italiana, nel proletariato italiano, la classe d’avanguardia che unisce attorno a sé tutte le altre classi per la difesa dell’indipendenza nazionale in un ampio fronte democratico e pluralista.
E’ la fabbrica il centro di tutta la Resistenza e l’intera azione e l’intera Resistenza si dispiega come una complessa azione: legale, illegale, pacifica ed armata, politica, economica, sociale, cultura-le: scioperi, imboscamento di generi alimentari, diffusione di giornali, esperienze di repubbliche in zone liberate, la ripresa della vita democratica ed istituzionale nelle zone liberate.
La Resistenza italiana si combina con la più generale Resistenza di tutti i popoli d’Europa contro il nazismo, che trovano nell’Armata Rossa e nei suoi successi il centro motore.
Sono le vittorie di Stalingrado prima, gennaio 1943, e di Kursk, luglio 1943, che danno impulso pri-ma agli scioperi del marzo 1943 e poi alla caduta del fascismo e quindi l’inizio della lotta di resi-stenza in Italia.
Sul piano militare il periodo 1943 – 1945 costituisce una grande esperienza militare, prezioso patrimonio e laboratorio di elaborazione ed arricchimento della teoria militare, il cui tratto caratteri-stico è che è scritto dai popoli in lotta. Scrive, cioè, un nuovo capitolo della Scienza Militare: la lotta popolare, che costituirà la teoria militare dei popoli d’Asia, d’Africa ed America Latina in lotta contro l’Imperialismo negli anni Cinquanta – Settanta.
Le condizioni in cui avviene lo scontro tra formazioni partigiane ed esercito invasore sono disperate:
da una parte un esercito ben armato ed equipaggiato con sezioni logistiche: carri armati, mortai, aerei, armamento leggero, munizioni mezzi finanziari possenti ed un’organizzazione militare complessa ed articolata con gruppi dirigenti di ciascuna divisione addestrati ed il cui corso della guerra aveva salda-to alla truppa; una grande possibilità di intercambio di ufficiali e generali.
Dall’altra c’è un popolo lavoratore in un primo momento disorganizzato dal governo di Bari per scel-te e tempi, abbandonato dalla borghesia alla ferocia nazista e dei collaborazionisti ed un governo a Bari sotto la protezione inglese, un popolo lavoratore male armato, senza coordinamento militare e con formazioni e quadri militari che si formano nel corso della guerra stessa.
In questa assoluta disparità le forze partigiane infliggono pesanti sconfitte militari, inchiodando sul terreno oltre 30 divisioni e 3 di SS, e sono esse le artifici delle liberazioni di tutte le città italiane dai nazisti e dai collaborazioni italiani.
Poche sono le azioni militari anglo-statunitensi, che sostanzialmente avanzano dietro i successi parti-giani, come attestano le stesse dichiarazioni degli stati maggiori inglesi e statunitensi.
Tutto questo non è il prodotto di un’azione spontanea, del “ romanticismo militare” del singolo che va sulle montagne e spara.
E’ il risultato di una politica che ha teso ad organizzare, educare sotto il fuoco incrociato il popolo la-voratore.
Organizzazione, elaborazione teorica di una tattica e di una strategia politica e militare, mettono alla luce quadri, intelligenze, energie.
Tutto questo non è il risultato spontaneo, non nasce dal nulla.
Un popolo che non ha un’esperienza rivoluzionaria alle spalle non è in grado di mantenere una situa-zione politica e militare per oltre due anni. Non è in grado di elaborare quella ricchezza di forme di organizzazione e di lotta, quel dinamismo, quell’eccellente piegare, zigzagare, quel modulare i prin-cipi generali e le direttive militari e politiche del CLNAI alle più piccole realtà, in quelle ricchissime, infinite sfumature che una tale lotta richiede: ogni città, ogni provincia, ogni villaggio è una espe-rienza, è una sua azione politica e militare.
La Resistenza è veramente il più possente crogiuolo di infinite esperienze di lotta rivoluzionaria .
L’organizzazione non nasce all’improvviso se un popolo non ha nel corso della sua storia speri-mentato ed attuato forme di organizzazione e di lotte che ne hanno cementato il carattere, selezionato quadri, innalzato ed arricchito la coscienza rivoluzionaria e la memoria e la tradizione storiche.
Un popolo privo di una tradizione rivoluzionaria produce spontanee azioni di rivolta, che si esauri-scono subito, ma non una prolungata lotta armata, politica, sociale, culturale.
La mitologia resistenziale presenta un’organizzazione che nasce all’improvviso, che spunta all’improvviso.
E’ una visione miope, antiscientifica sul piano della Scienza della Politica e della Scienza Militare.
In verità il periodo dic. 1942 – febbraio 1943 è determinato dall’andamento militare della guerra in U.R.S.S. e dagli sviluppi della battaglia di Stalingrado , e sono questi che imprimono il ritmo agli eventi italiani. Si riannodano qui i mille e mille invisibili fili che erano stati tessuti tra il 1880-1922: le leghe contadine, l’organizzazione sindacale, le lotte sindacali, politiche e parlamentari, le lotte elet-torali per il Parlamento, i Comuni; le mille e mille riunioni: politiche, sindacali, istituzionali nel corso dei quali si era venuta tessendo la ricca e capillare rete organizzativa di milioni di donne e uomini da Nord a Sud del Paese. Questo aveva prodotto cultura, tradizione, memoria storiche. Aveva cioè tessu-to quei milioni di invisibili fili che legavano gli uomini e le donne tra di loro, oltre il puro legame po-litico ed organizzativo, che avevano determinato una cultura, una tradizione, un sentire comuni.
Fili questi che la violenza, l’incultura, la stupidità e grettezza del fascismo non avevano reciso, ma so-lo allentato e che nei momenti di crisi, nei momenti cruciali nella vita dei popoli di riannodano per le mille vie ed il popolo ritrova vecchi capi e nuovi capi, che si erano formati nella lotta di opposizione al fascismo.
Principe nella lotta e nell’opposizione al fascismo sarà il Partito Comunista d’Italia, sezione della IIIa Internazionale, l’unico che rimarrà in Italia, sin dall’inizio e tenderà a costruire una rete politica ed organizzativa, pagandone un alto prezzo di vite e migliaia di anni di confino e di carcere; un’organizzazione politica e sindacale, che nelle forme che la lotta di classe di volta in volta impone, guida scioperi, movimenti di opposizione, orienta quadri ed elementi avanzati che nel corso della lotta e dell’opposizione al fascismo maturano e vengono alla lotta.
Sarà la fabbrica il cuore, il centro, della lotta di opposizione e di lotta al fascismo nel periodo 1924-1943 e nelle fabbriche e nelle campagne il Partito Comunista d’Italia, sezione della III Internazionale, si ramifica e sarà dalle fabbriche, sciopero del 5. marzo 1943, che avrà inizio la lotta contro il fasci-smo ed il nazismo fino alla vittoria totale, finale.
Quel lavoro duro, tenace con pesantissime perdite: il Tribunale Speciale ne avrà di lavoro, consentirà la formazione di un saldo gruppo dirigente ed una organizzazione anche se nei suoi tratti essenziali in grado di esser punto di riferimento ed organizzazione delle forze che prima in poche migliaia e poi sempre in crescendo verranno alla lotta e che quel gruppo dirigente e quell’organizzazione saranno in grado di organizzare mobilitare, formare, guidare nelle svariate forme della lotta di classe: da quella sindacale, a quella politica, istituzionale, culturale, economica, militare, combinando le più disparate forme di organizzazione di lotta con la più generale esperienza di forme di lotte che il popolo lavora-tore aveva maturato e sperimentato nel corso dei secoli.
Ma la sola forza comunista, che pur raccoglieva sul campo il meritato consenso per la tenacia e lun-gimiranza nella lotta e nell’organizzazione nel periodo 1924-1943 che sul campo si era guadagnata il consenso, la direzione e l’egemonia più di tutto tra il proletariato industriale ed agricolo, a differenza di quanti a Parigi, Londra e New York avevano eletto per sede la loro opposizione al fascismo,questa sola forza comunista non poteva da sola vincere, senza il concorso delle altre forze sociali, ideali e culturali del paese: cattolici, repubblicani e socialisti e senza il concorso delle altre classi.
L’organizzazione non nasce all’improvviso, si è detto.
E quando si costruisce è sempre il risultato di una adesione convinta, che affonda le sue radici nella coscienza e quindi nella tradizione civile e culturale, che trova nei più radicati convincimenti religio-si, morali, civili, culturali, filosofici stimolo, impulso e linfa inesauribili.
L’organizzazione non nasce all’improvviso, si è detto.
Ma essa non può nascere e svilupparsi a comando o per superficiale stimolo di astratti ideali di giusti-zia. Questi, ed in rare e determinate circostanze, danno vita ad una manifestazione, ad una protesta ma mai ad una lotta prolungata e meno che mai ad una del tipo resistenziale.

La Resistenza è ben più che atto immediato, come sin qui si è sommariamente descritto.
La Resistenza è un atto profondo che scava dentro le più profonde radici storiche, economiche, poli-tiche, sociali, culturali della società italiana.
E’ il punto di arrivo, punto di snodo centrale, nodo decisivo di tutte le contraddizione dell’intera sto-ria nazionale italiana.
La Resistenza è, cioè, momento catartico di tutto il processo storico nazionale italiano.
La Resistenza è, cioè, momento di rottura profonda, irreversibile, di quel processo storico nazionale italiano, che impone e detta nuova ed altra storia degli uomini, nuova ed altra società, nuovi ed altri rapporti tra gli uomini, le istituzioni, la vita più generale.
E’ momento liberatorio degli uomini e delle coscienze.
E’ momento di esaltazione ed affermazione dell’Uomo, della sua civiltà, del suo essere e divenire Uomo, ossia del suo essere Uomo sociale.
E’ il momento che fonda una nuova società.
E’ il momento ove la vita degli uomini, la vita di singoli milioni di uomini, di milioni di singole vite atomizzate si fa coscienza della sua individualità, prorompe dalle viscere più profonde per farsi Sto-ria.
E si fa Storia spazzando d’un sol colpo idee, teorie, convinzioni sino ad minuto prima consolidate ed inattaccabili, certezze di sempre. Si libera di un sol colpo di tutte le sue miserie di secoli, di tutti quei miti, di tutti quegli infiniti fili che la tenevano soggiogata. Le “ casematte”, nell’accezione gramscia-na, si sgretolano e dalla viscere più profonde prorompe adesso il fiume inarrestabile, che è la vita de-gli uomini adesso socialmente intesa e che si leggono adesso nella loro socialità, ossia gli uomini si leggono nella loro vera ed unica realtà, liberati, cioè, da ideologie, ossia dalla subalternità.
Niente allora sarà come prima!
E’ questo tessuto profondo, questa realtà, che costituisce il cemento e la base di quell’organizzazione cosciente, convinta, la sola che può giustificare la tenuta nel difficilissimo periodo 1943 – 1945.
E’ questo tessuto che può costituire l’organizzazione solida e retrovia inaccessibile della Resistenza.
L’organizzazione è sempre la risultante di ben precise condizioni, rimanda sempre a ben più so-lide retrovie ed ancor più solidi convincimenti ideali, filosofici, politici, umani, sociali.
Ma questo può avvenire se, e solo se, confluiscono nel possente fiume della Storia degli uomini, le storie degli uomini, se concorrono tutte le tradizioni di pensiero, tutte le tradizioni di lotta ed organiz-zazione, che si fondono in una sola coscienza, nella diversità dei suoi contributi, nella diversità del suo divenire storico.
Sarà allora la Resistenza lotta di un Popolo in marcia per la sua Libertà, per la sua Indipendenza Na-zionale: popolo libero tra i popoli liberi.
Si tende a presentare la Resistenza, ossia il periodo 1943 – 1945, unicamente dal lato della lotta armata.
Certamente la difesa armata, a cui il popolo lavoratore italiano è stato costretto dalla violenza di un esercito invasore, da un pugno di sfruttatori di borghesi italiani e da poche decine di migliaia di colla-borazionisti, costituisce il momento chiave, ma esso non è l’unico e non è quello decisivo; come, poi, non lo è mai il momento militare.
L’esaltazione acritica o romantica del momento armato rivela un’errata concezione della politica, una visione militaristica ed in definitiva avventuristica.
Identificare la Resistenza con la lotta armata non corrisponde alla realtà.
Sul piano puramente numerico l’aspetto militare interessò circa 600mila uomini, aveva il supporto, il sostegno materiale: viveri, rifugio, copertura, informazione e base da cui attingere sempre nuovi qua-dri per la Resistenza, di tutto il popolo italiano, di tutte le classi e di tutti i convincimenti politici, re-ligiosi, sociali, politici.
Essa è stata lotta sindacale, lotta politica, lotta teorica, istituzionale.
E l’organizzazione non interessava unicamente il fronte armato, ma anche quello politico, sociale, sindacale: tutto si incardinava in un piano tattico generale, in un programma ed in una direzione gene-rale che venivava esercitata dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.
Va qui ricordato la multiforme e ricchissima esperienza del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, C. L. N. A. I., nel governo dei territori liberati, la politica complessiva sviluppata dai CLNAI dei vari territori e le esperienze di Repubbliche, quali quella della Val d’Ossola ed altre; il dibattito teorico alto per la prosecuzione della lotta al nemico nazista ed al nemico collaborazionista e sugli sbocchi dopo la vittoria della Resistenza ed il ritorno alla Pace conquistata.
E’ un dibattito alto, forte, che investe tutto il popolo, che investe milioni e milioni di uomini e donne, in armi o in appoggio, retrovia della lotta in armi.
E’ così la Resistenza un momento dove milioni di uomini e donne entrano prepotentemente sulla sce-na della Storia come protagonisti, discutono del loro destino.
E’, cioè, il trionfo della Democrazia e della Ragione.
Si incontrano qui Marx e Cattaneo, Garibaldi e Bosco, i fasci siciliani e le lotte della pianura padana, le cinque giornate di Milano e Cattaneo con la Val d’Ossola, la battaglia di Calatafimi con la libera-zione di Firenze, lo sciopero degli edili del 1902 con lo sciopero alla Fiat del marzo 1943; la Rivolta dei Ciompi, la repubblica cisalpina, cispadana e napoletana con gli scioperi dei ferrovieri, Pepe, Sal-vati e Morelli, la rivoluzione del 1848 con ….
Vengono riprese antiche testate del Risorgimento in una congiunzione materiale ed ideale
La resistenza è il secondo Risorgimento.
E’ la prosecuzione ed il completamento del Risorgimento ed in quanto tale rompe gli equilibri nati dall’interruzione dell’esperienza rivoluzionaria del Risorgimento.
Nel corso della Resistenza, con la velocità centuplicata del fulmine, a cui solo i periodi rivoluzionari sanno procedere, vengono al pettine tutte le irrisolte contraddizioni del sistema capitalistico italiano, che il fascismo aveva cercato con la violenza civile, culturale, militare di soffocare.
La scellerata alleanza tra agrari latifondisti del sud ed industriali del nord, su cui era stato costruito il blocco sociale che aveva dominato il Paese dal 1861 e di cui la monarchia savoiarda ne era ben e-spressione e coperchio, mostra adesso tutti i suoi limiti. Sono oramai alla coscienza di tutti i disastri di quella scelta, il suo aver cementato la società italiana, imposto scelte politiche, economiche, cultu-rali asfittiche, imbrigliato energie, intelligenze, forze. Appariva, adesso, il fascismo solo il cannone di quella scelta scellerata, che dopo il 1919-1920 era andata in pezzi e solo la violenza delle classi rea-zionarie poteva mantenere in qualche modo in piedi; e così tutta la magniloquenza di una cultura reto-rica mostrava adesso tutta la sua vacuità, il suo essere misero imbellettamento di quella putrescenza ed il fascismo il braccio armato di quella putrescenza.
Si mostrava così in tutta la sua nuda realtà, il Re è Nudo, lo stato albertino ed il fascismo e tutta la miseria culturale ed umana dei suoi quadri e delle scelte che avevano caratterizzato quell’ottantennio: 1861-1943. tutto appariva adesso insopportabile: questa coscienza, questo convincimento profondo, di “ Mai più come prima” è l’anima vera di tutta la Resistenza e che animerà tutte le scelte ed il dibattito.
E sarà: mai più come prima!
E sarà scelta irreversibile perché scritta nelle coscienze degli uomini.
E sarà: “ Mai più come prima” che anima, guida, l’intera storia successiva del popolo lavoratore ita-liano. La classe della borghesia deve fare i conti con la nuova coscienza del popolo lavoratore ed a-deguarvisi.
La lotta di classe si sposta in avanti, su nuove linee, su nuove trincee.
Milioni, decine di milioni di uomini e di donne entrano con prepotenza sulla scena da protagonisti e la Costituzione sancisce questa nuova realtà. Il voto alle donne è solo la ratifica di questo ingresso è il catenaccio che blinda la nuova realtà democratica, la nuova realtà democratica del popolo lavoratore italiano.
Contrastato e vivace sarà il dibattito sul voto alle donne, punto nevralgico della svolta democratica, punto di rottura irreversibile con tutto il passato dello statuto albertino, punto ove si addensano tutte le resistenze del passato e che vide il Partito Comunista e Togliatti tra i più fermi sostenitori, pur nella coscienza che questo non li avrebbe nell’immediato premiati, come non li premiò, ma sapevano che così facendo seminavano il vento contro tutti i tentativi di restaurazione.
E’ allora la Resistenza che segna, predetermina, tutta la vita futura economica, sociale, civile, econo-mica, umana del popolo italiano e della Repubblica italiana.
Senza quella lotta di popolo non sarebbe stata possibile la grande stagione culturale del neorealismo, che non fu solo corrente letterario-artistica e cinematografica ma che attraverserà tutta la vita, tutta la coscienza e tracciato nuovi àmbiti delle linee future.
E’ allora la Resistenza che caratterizza i partiti di massa e le grandi organizzazioni di massa.
Senza di esse sarebbe stata impossibile la realtà di democrazia partecipativa che caratterizza gli anni Cinquanta-Ottanta e che il sonno della ragione degli anni Novanta ha cercato di offuscare.
Ma tutto questo non sarebbe stato possibile se la Resistenza non avesse spazzato via la scellerata alle-anza, il vecchio blocco storico, ossia l’alleanza che saldava agrari latifondisti del sud ed industriali del nord.
E’ questo spazzar via che consente il completamento dell’azione iniziata dalla Resistenza, che con-sente, cioè, le lotte contadine, che avranno un ruolo decisivo, rivoluzionario, nell’estendere e conso-lidare il sistema democratico, civile, sociale, culturale, economico dell’Italia.
Le lotte contadine sono il completamento della Resistenza, perché sono il completamento della rivo-luzione borghese, ossia del movimento risorgimentale: 1799-1861, sono, cioè, la liquidazione del lati-fondo agrario meridionale. Sono la liquidazione di quell’intreccio tra rapporti di produzione feudali e rapporti di produzione capitalistici, che caratterizza la via italiana al capitalismo, ove i rapporti di produzione borghesi non si sviluppano sulle ceneri dei feudali, ma si innestano, si innervano sul vec-chio troncone feudale. Sarà questa la base materiale del blocco sociale che saldava gli agrari latifon-disti meridionali e gli industriali del nord. Il fascismo fu il braccio armato, violento, disperato di que-sto incestuoso sviluppo che aveva imbrigliato, deviato, sfiancato forze, energie, intelligenze e che a-veva aggravato il distacco dell’Italia dai restanti paesi europei, determinandone un ruolo subalterno nella più generale divisione internazionale del lavoro.
Sul piano teorico e culturale trovò la sua espressione nell’umanesimo retorico,nel crocianesimo e nel deturpato e violentato hegelismo di Gentile.
Le lotte contadine sono, cioè, il completamento della rivoluzione democratico-borghese.
Segnano, cioè, il punto definitivo di non ritorno della vecchia italietta savoiarda.
Le lotte contadine bruciano, e definitivamente, le campagne come riserva della controrivoluzione, come riserva e retrovia della restaurazione.
Senza le lotte contadine e la svolta che esse comportano nella liquidazione del vecchio blocco sociale, sarebbe stata impossibile la crescita e l’avanzamento dello stesso movimento operaio e sindacale ita-liano, specie nel periodo 1948-1960, la sua tenuta ed avanzamento nel periodo scelbiano, la tenuta e l’avanzamento all’assalto delle forze della reazione internazionali anglo-statunitensi del periodo 1948-1955, così come di tutto lo spostamento in avanti della società italiana.
Senza le lotte contadine, senza la liquidazione definitiva del latifondo assenteista sarebbe stata im-possibile la nazionalizzazione dell’Enel, lo sviluppo dell’Iri e dell’Eni e la parziale industrializzazio-ne del mezzogiorno con il polo chimico in Sardegna, il polo siderurgico in Puglia, il polo industriale in Sicilia, che hanno consentito la trasformazione del paese ancora inchiodato ad un sistema agrario industriale in industriale agricolo.
Sono le lotte contadine che fanno saltare definitivamente le più profonde e solide radici di quella cul-tura retorico-umanistica: la sua variante più becera ed ottusa, ossia il gentilismo, era stato liquidato nel corso della Resistenza, mentre quella crociana viene liquidata con le lotte contadine e consentire negli anni Sessanta-Settanta lo sviluppo di una cultura scientifica moderna e colmare assai parzial-mente quel divario con la cultura europea e consentire un qualche aggancio con questa.
Senza le lotte contadine, senza quella liquidazione, non sarebbe stato possibile neppure immaginare il progetto e l’operato geymonattiano, giacché sono quelle lotte contadine che liquidando il passato, portando a compimento la rivoluzione democratico borghese aprono profondi varchi, che consentono poi il passare di una concezione scientifica e lo sviluppo di studi scientifici e la ripresa su basi scienti-fiche delle stesse discipline umanistiche e quindi tra le consequenziali anche l’operato ed il progetto geymonattiani.
Caduta di stile, quindi, della Normale di Pisa, quando nella metà degli anni Novanta tenta un re-cupero di Gentile in opposizione al lascito geymonattiano. Caduta di stile giacché poi dopo le parate ed i fuochi pirotecnici quella linea gentiliano-crociana, così fortemente caldeggiata dalla Normale di Pisa, non ha avuto alcun prosieguo nel campo della ricerca né stimolo per nuovi àmbiti scientifici di ricerca a riprova, se ce ne fosse stato un qualche bisogno, della assoluta inanità del tentativo e del suo essere stato sbocco culturale, coperchio e braccio armato a difesa di quell’incestuoso intreccio di cui si è detto.

Resistenza e Coscienza Europea.
Si è discusso circa i valori dell’Europa dentro il più generale progetto di Unità Europea e della Costituzione Europea.
In verità se ne è discusso molto a sproposito ed in maniera totalmente falsa ed aberrante con la più brutale violenza ai più elementari e consolidati dati, per altro non messi in discussione.
Si è voluto sostenere essere tali valori quelli cattolici, fino a parlare di una civiltà giudaico-cattolica da dover essere posti a base della Costituzione Europea.
Adesso i più elementari dati dicono che l’Europa moderna è avanzata proprio ed esattamente nella lotta contro la concezione teorica e la coscienza cattoliche. L’intero processo rivoluzionario della sto-ria moderna: Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Olanda, ecc. ha dovuto condurre una battaglia cul-turale, politica e militare per liberarsi proprio da quella concezione e quel potere economico feudale della Chiesa che ostacolava in armi il processo rivoluzionario e la formazione degli Stati nazionali eu-ropei. In Italia, in special modo, la lotta ha assunto i toni più aspri e violenti: nel corso dei secoli è stata proprio la Chiesa ad essere impedimento militare, economico e politico all’unità nazionale e centro di raccolta dei peggiori figuri, centro di cospirazione violenta e “ pacifica”, centro logistico e finanziario contro i popoli, gli Stati nazionali e le loro libertà: pronta sempre a fare bega con i peggio-ri reazionari e con gli Stati più reazionari per la difesa dei suoi privilegi feudali e della sua struttura monarchico-schiavista.
Adesso.
Nella corso della sua storia millenaria l’Europa è stata teatro di guerre, divisioni, odi, di una guerra che ha visto tutti contro tutti. Non esiste nel corso millenario di quest’area geografica, di que-sto continente, un momento comune tale da poter costituire base di una coscienza e di una tradizione comuni.
La Resistenza ha costituito invece l’unico grande e possente momento che ha unito dall’Atlantico al Pacifico tutti i popoli d’Europa, costituendone tradizione e coscienza comuni, il Manifesto di Vento-tene nasce da questa ben precisa ed esatta realtà. Nello sforzo immane contro le orde barbariche nazi-fasciste, l’Europa intera trovava la sua unità in una lotta titanica con immane sacrificio di uomini e mezzi. In Italia come in Francia, in Grecia, Albania, Jugoslavia, Bulgaria, Romania, Polonia, Unghe-ria, Inghilterra, Olanda, Belgio e soprattutto l’U.R.S.S. si è sviluppata un’unica lotta che ha abbrac-ciato tutti i popoli in un solo sforzo in un solo anelito di Pace, Libertà, Democrazia, Progresso civile, sociale, economico.
E’ la Resistenza il valore comune di tutti i popoli d’Europa ed è la Resistenza, i suoi valori, la sua tradizione e coscienza comuni, che devono essere posti alla base dell’Europa e quindi della Costitu-zione Europea: l’Europa unita nasce dalla Resistenza e trova nella Resistenza i valori che l’accomunano e ne tracciano la via.

Amene teorie.
Si diceva della Normale di Pisa.
Se per la Normale di Pisa si può, e si deve, parlare di caduta di stile, non altrettanto si può dire delle dichiarazioni del senatore Pera.
Quelle esternazioni non hanno alcuna base scientifica, non trovano, cioè, alcuna sostanza documenta-ria. Esse costituiscono il centro di tutto un attacco alla verità storica, con la pretesa, a differenza di i-dentiche esternazioni, di voler avere una veste accademica, dotta e quindi il valore della verità ristabi-lita, stravolta, violentata, dalla versione resistenziale.
Tre sono i punti:
1. la guerra civile,
2. collaborazionisti e partigiani sullo stesso piano, ed in subordine buona fede dei collaborazionisti;
3. i valori dell’Italia liberale, cavouriana, valori fondanti della coscienza e dell’unità nazionale.

1. Guerra civile.
Sul piano della Scienza Militare e della Scienza della Politica non può essere identificata la Re-sistenza italiana con la guerra civile.
Non è sufficiente il dato che italiani combatterono contro italiani sia per l’esiguità di quanti si oppo-sero ai partigiani: quattro erano le divisioni con non più di 32-40mila uomini, stando alla fonte uffi-ciale della Wermacht e di Salò; sia sul piano sostanziale giacché la forza unica che sosteneva Salò era la Wermacht e Salò era un governo quisling. Mussolini stesso era tenuto chiuso in una stanza e sor-vegliato a vista da un ufficiale di ordinanza inviato da Hitler.
Il generale Toussant aveva il comando di tutte le truppe ed un consigliere civile tedesco era insediato in ogni prefettura e la politica economica era subalterna a quella nazista: non esisteva alcuna parven-za, neppure formale, di una qualche autonomia, lo stesso territorio non era controllato né militarmente né politicamente da Salò, che invece era sotto attacco e/o controllo del C.L.N.A.I.
“ Guerra civile” è quella nordamericana ove si contrapposero due eserciti, due governi entrambi nor-damericani, la cui forza di entrambi era data unicamente dalla loro forza militare, politica, economica e non da forze straniere in armi che sostenevano l’uno o l’altro governo. “ Guerra civile” può essere definita la rivoluzione inglese, ed in modo specifico la fase di Cromwell, ove un esercito inglese co-mandato da Cromwell si contrapponeva ad un altro esercito inglese comandato dal re; ed in genere tutte le rivoluzioni possono essere definite “ guerre civili” nel senso che vede contrapposti cittadini di uno stesso Paese in lotta per diversi interessi e quindi per diversi orientamenti, ma così è la banalità.
Voglio proprio vedere chi viene a dire essere stato il Risorgimento guerra civile!

2. Collaborazionisti e partigiani.
Sul piano del Diritto Internazionale e del Codice Militare, sia di Guerra che di Pace, i combat-tenti delle quattro divisioni fasciste e l’intero governo di Salò sono identificati tout court come spie, traditori, collaborazionisti. La pena è la fucilazione sul posto.
Per quanto attiene il Diritto Nazionale ed Internazionale: il Paese, in questo caso l’Italia, nella sua e-spressione costituzionale legittima, ossia il re e la monarchia, dopo aver destituito con atto formale il capo del Governo e con altro atto formale provveduto a nominare un nuovo Capo del Governo, Ba-doglio, e con atto sostanziale con l’arresto dello stesso e suo trasferimento sul Gran Sasso, procede alla firma della resa con gli Alleati, ossia U.R.S.S., Francia, Inghilterra, USA, contro i quali aveva di-chiarato la guerra e successivamente dichiara la guerra contro la Germania: “ la guerra continua a fianco degli Alleati anglo americani”, chiamando il popolo italiano alla lotta contro l’invasore.
In tali condizioni, venutesi a creare successivamente all’8. settembre. 1943 su decisione formale degli organi costituzionali dello Stato italiano, ossia la monarchia ed il re, condurre la lotta armata contro gli anglo-americani ed a favore dei tedeschi, contro i quali il Paese è ora in guerra, si configura come tradimento e collaborazionismo con l’esercito invasore. Chi si schierava con la Germania si schierava contro il suo Paese in guerra contro la Germania; la lotta armata con la Germania è lotta armata con-tro la Patria in guerra contro la Germania, contro il Paese, contro il popolo italiano. La presenza mili-tare della Germania all’indomani dell’8. settembre. 1943 è occupazione militare, invasione.
Questo è il Diritto consolidato ed unico in tutti i Paesi ed in tutti i secoli.
Un semplice cittadino che intellige non in armi con il nemico dandogli rifugio o fornendo in-formazioni di qualsiasi tipo è passibile di fucilazione.
Un semplice cittadino che in tempo di pace fornisce informazioni segrete ad altro paese è passi-bile dell’arresto, basta il semplice spionaggio industriale.
Ancora sul piano del Diritto.
Mussolini scappa dalla prigionia – aggravante è che ciò avviene ad opera dell’esercito inva-sore, che per liberarlo apre il fuoco contro l’esercito italiano – ed in quanto tale, in quanto eva-so, egli non ha alcun diritto politico e meno che mai di rappresentanza.
Un legittimo Tribunale aveva condannato in contumacia Mussolini per alto tradimento alla Pa-tria e intelligenza con il nemico, decretando la pena di morte da eseguirsi, secondo la prassi mi-litare, da chiunque.
Dalla allegra tesi su una pretesa guerra civile in Italia si fa discendere quella della sostanziale i-dentità tra partigiani e collaborazionisti, tra partigiani e repubblichini.
Questa consequenziale, per quanto esposto in precedenza, non sussiste, perché non sussiste il dato sperimentale della guerra civile, insistendo, invece, il dato dell’Italia in guerra contro la Germania na-zista e con gli anglo-americani.
E’ come se io dicessi adesso che nel corso della guerra civile americana i soldati del generale Lee e quelli del generale Grant sono sullo stesso piano e quelli del generale Lee erano in buona fede.
Sarei immediato zittito, facendomi notare che chi stava con Lee difendeva un sistema schiavista e sa-peva assai bene che cosa difendeva e contro chi ed in difesa di questo sparava ed uccideva, tendeva agguati, elaborava piani al fine di vincere ed estendere a tutti gli Stati Uniti d’America il sistema schiavista. Indubbiamente molti combattenti erano convinti della giustezza di quella scelta di campo, ciò non di meno tale convinzione della bontà della scelta di campo, costituiva una ben precisa, esatta, materiale difesa di ben precisi, esatti, materiali interessi e privilegi.
L’intelligenza, quindi, con la Germania è atto di ostilità contro il proprio Paese e contro le truppe an-glo-americane, la cui avanzata era, invece, favorita dall’azione della guerra partigiana. La guerra alle forze partigiane era guerra agli anglo-americani, giacché si indeboliva, rallentava l’azione della guer-ra partigiana contro la Germania, il suo indebolimento, ritardandone la fine.
In termini militari.
Le quattro divisioni consentivano alle 30 divisioni tedesche ed alle tre divisioni di SS di concen-trare il fuoco contro gli anglo-americani, che diversamente avrebbero dovuto dividere le loro forze e quindi esercitare una pressione, un volume ed una potenza di fuoco minore, aggravando le perdite umane e materiali delle forze anglo-americane.
Lo Stato Maggiore statunitense ha ufficialmente riconosciuto l’importanza della guerra partigiana nell’avanzata dell’esercito ed il sostegno ed appoggio che tale guerra partigiana ha dato anche in ri-sparmio di vita e distruzione di materiale.
Va infine detto che è esattamente la guerra partigiana, le vittorie ed il contributo decisivo che essa ha dato per la risoluzione della guerra, che ha consentito all’Italia, paese che ha perso la guerra, paese che ha scatenato la 2a guerra mondiale assieme alla Germania ed al Giappone, di poter sedere alle trattative di pace di Parigi come paese cobelligerante e quindi strappare condizioni di pace meno o-nerose, che non la Germania ed il Giappone.
L’intelligenza con il nemico di Salò ha agito da affievolimento di questa posizione di cobelligeranza e consentito alla Gran Bretagna di aver sostegno alla sua teoria di negare tale status all’Italia, che solo la ferma volontà dell’U.R.S.S. e la disponibilità degli Stati Uniti hanno imposto alla Gran Bretagna di accettare tale status. L’intelligenza con il nemico, l’operato di Salò è causa di peggiori condizioni di pace, tra cui il modo di come De Gasperi aveva dovuto accettare la soluzione di Trieste. Salò aveva accettato la dichiarazione della Germania di annessione al III Reich delle regioni dell’Alto Adige e della Venezia Giulia, facendone parte integrante del territorio tedesco: il tantosospirato sbocco sull’Adriatico della Germania e base delle operazioni germaniche in Jugoslavia. E ripeto solo lo sta-tus di cobelligeranza, conquistato sul campo di battaglia dalla lotta partigiana e non da Salò, aveva consentito, anche rispetto a tale questione, di pagarne il prezzo minore.
L’intera questione poggia su un dato reale, volgarmente e squallidamente strumentalizzato.
Il dato è la tragedia umana di due generazioni formatisi nel ventennio fascista: il crollo delle illusioni, la scoperta dell’inganno e della violenza che avevano caratterizzato il ventennio fascista, a cui aveva-no prestato sponda, il disorientamento umano, civile, intellettuale, morale.
Tratto questo che la ripresa degli studi resistenziale dovrebbe tenere in maggior considerazione, che indica però la capacità di un popolo di riaversi, rialzarsi ed alzata la testa riscattare il suo onore di po-polo libero ed amante della Pace. E con l’articolo 11 della Costituzione ha voluto esprimere, ferman-do in maniera indelebile e monito per tutte le future generazioni, proprio in un articolo della sua carta Costituzionale, questo suo travaglio, che ne aveva segnato profondamente la coscienza e l’intendere i rapporti tra gli uomini e tra i popoli.
Un affresco resta ancora l’ottimo romanzo di Giulio Preti, Giovinezza, Giovinezza, edito dalla Mon-dadori, che traccia l’evoluzione e la maturazione politica, sociale, culturale di quattro giovani dalla metà della metà del 1935 al 1945.

3. I valori dell’Italia liberale, cavouriana, valori fondanti della coscienza e dell’unità nazionale.
Indipendentemente da qualsiasi giudizio storico sull’epoca liberale, 1861 – 1922, la coscienza moderna del popolo italiano non è più quella. Essa si è arricchita nel corso della Resistenza e del cin-quantennio successivo sulla base delle modifiche che ha determinato, come la relazione ferma a lar-ghi, ma sostanziali, tratti.
Ci sono dei momenti nella storia di un popolo che segnano una svolta irreversibile e la Resistenza ha costituito questo.
Sostenere, allora, quanto l’esternazione di Pera è il non avere il senso della Storia, non comprendere che la Storia esprime un ben preciso atto materiale e che gli eventi storici sono diversi tra di loro: al-cuni segnano la storia futura, altri la consolidano, altri ancora li negano, li contraddicono, innestando processi di superamento. La natura di tali eventi non è data dalla volontà soggettiva, non è data dal giudizio che i singoli hanno di quell’evento che stanno vivendo e meno che mai la natura di tali even-ti è data dal principio: “ come ad ognuno pare”. La natura di tali eventi è data dalle condizioni stori-che più generali entro cui vanno ad inquadrarsi e ad incardinarsi e gli sviluppi, che in tale quadro, si vengono a determinare.
Compito della Scienza della Storia è quello di intelligere tali eventi nella prospettiva storica entro la quale vanno ad incardinarsi e non già quello di isolare singoli eventi e piegarli alla più sguaiata esi-genza della più triviale campagna elettorale: qui sta tutta la differenza tra lo scienziato della Storia ed il giullare della Storia.