Biblioteca Multimediale Marxista
Dall'introduzione al volume Le brigate internazionali in Spagna, 
  Editori Riuniti, Roma 1956
Questa narrazione della partecipazione delle brigate internazionali 
  alla guerra di Spagna (1936-39) è stata scritta, nella sua prima stesura, 
  in francese, a Parigi, subito dopo la caduta della Repubblica spagnola, tra 
  l'aprile e l'agosto del 1939. 
  Per la sua redazione mi è stato possibile utilizzare: il ricco archivio 
  del Commissariato generale delle brigate internazionali, di cui fui responsabile 
  dal principio alla fine della guerra; le «cronache» e le «storie» 
  delle varie brigate, che volontari di ciascuna di esse prepararono, in quello 
  stesso periodo, sotto il mio controllo; le diverse edizioni dell'organo dei 
  volontari delle brigate internazionali, Voluntarios de la libertad, e tutte 
  le pubblicazioni apparse fino allora, relative a questa o a quella unità.
  
  Nell'intento di dare alla narrazione carattere di schietta immediatezza, di 
  utilizzare nel modo migliore il prezioso materiale a disposizione e di presentare 
  i vari aspetti e problemi della lotta come furono visti e sentiti nel momento 
  stesso che si posero, ho preferito raccontare gli avvenimenti giorno per giorno, 
  nell'ordine stesso che si sono succeduti. Per questo tutta la narrazione si 
  svolge al tempo presente. Ma di rado le brigate e le altre unità internazionali 
  hanno operato assieme, su uno stesso tratto di fronte. Perciò ho dovuto 
  spesso interrompere la narrazione delle vicende di una unità per riprendere 
  il filo di quelle di un'altra, e farle avanzare tutte più o meno in ordine 
  con il calendario.
  
  In quell'estate del 1939 ero giunto già a buon punto del mio lavoro, 
  quando Hitler scatenò l'aggressione contro la Polonia ed ebbe inizio 
  la seconda guerra mondiale. Arrestato, due giorni prima ancora dello scoppio 
  della guerra, dalla polizia francese, fui rinchiuso nel campo di Vernet, consegnato 
  poi, al principio del 1942, alla polizia fascista e deportato a Ventotene, dove 
  rimasi fino alla caduta del fascismo. L'8 settembre e la guerra di liberazione 
  nazionale mi tennero in tutt'altre faccende affaccendato. Ma questo solo per 
  modo di dire. In fondo, era la stessa lotta armata contro il fascismo, iniziata 
  in Spagna, che noi garibaldini continuavamo in Italia. Molte delle esperienze 
  politiche, organizzative, militari raccolte nelle file delle brigate internazionali 
  ci furono di prezioso aiuto per capire e risolvere, nelle particolari condizioni 
  della nostra lotta liberatrice, tutti i problemi che ci si presentarono poi 
  in Italia.
  
  Nel rileggere le pagine scritte tanti anni fa e nel ripensare ai problemi ed 
  alle esperienze della partecipazione dei volontari internazionali alla guerra 
  di Spagna, mi ha colpito il grande numero di situazioni e di problemi analoghi 
  o quasi a quelli — di natura politica, militare, umana e organizzativa 
  — di fronte ai quali ci siamo poi trovati in Italia. A pensarci, persino 
  il famoso proclama di Alexander arrivato nel territorio occupato dai tedeschi 
  nel momento più critico della guerra partigiana, come un invito alla 
  smobilitazione, trova il suo riscontro politico, organizzativo ed umano, per 
  quanto riguarda i garibaldini in Spagna, nella richiesta di Pacciardi che la 
  XII brigata internazionale Garibaldi, dopo i primi mesi di duri e sanguinosi 
  combattimenti, considerasse esaurito il suo compito di solidarietà con 
  i repubblicani spagnoli e si sciogliesse, mentre la guerra infuriava più 
  che mai e le sue sorti erano ben lungi dall'essere decise.
  
  Lo scoppio della guerra mondiale, come già detto, mandò me in 
  carcere e lontano da ogni documentazione e pubblicazione sulla Spagna. Arrivai 
  in Italia letteralmente con le mani e i piedi legati — catene ai polsi, 
  catene alle caviglie. Tutto il mio patrimonio era in un fagottino che raccoglieva 
  qualche povero effetto personale, una scatola di latte condensato e alcune zollette 
  di zucchero: la riserva di ferro da conservare gelosamente per i momenti di 
  maggior fame, che mi aspettavo di dover ancora affrontare.
  
  Naturalmente, del dattiloscritto sulla guerra di Spagna non conservavo nulla 
  più che un vago ricordo. Le vicende carcerarie mie e dei miei, gli arresti 
  dei compagni e degli amici, seguiti all'occupazione tedesca di Parigi e di tanta 
  parte della Francia, pensavo che avessero finito col disperdere ai quattro venti 
  o far consumare dalle fiamme tutto quanto restava del mio lavoro. È vero 
  ch'io, quasi presago degli avvenimenti che dovevano accadere, avevo fatto fare 
  cinque copie di ogni capitolo della mia narrazione. Ogni copia l'avevo fatta 
  riporre in qualche «posto sicuro», o creduto tale. Ma, a liberazione 
  avvenuta, in Francia, non trovai più traccia dei miei dattiloscritti. 
  Non c'era più che da mettere l'animo in pace e lasciare ad altri il compito 
  di narrare le vicende delle brigate internazionali in Spagna. Ma, facendo frugare 
  tra gli archivi del Commissariato delle brigate internazionali, salvatisi, nonostante 
  le molte peripezie subite durante gli anni della guerra, riuscii alfine a recuperare 
  una copia della mia narrazione.
  
  Rileggendo le pagine scritte tanti anni fa mi è parso che non fosse inutile 
  tentarne ancora, anche a così grande distanza, la pubblicazione. Primo, 
  perché finora nulla è stato scritto, ch'io sappia, che cerchi 
  di dare un quadro d'insieme della partecipazione delle brigate internazionali 
  alla guerra di Spagna. Secondo, perché io, per la carica ricoperta alla 
  testa delle brigate internazionali durante tutto il periodo della loro esistenza 
  e, perciò, per la conoscenza personale delle unità e degli avvenimenti 
  in cui esse sono state coinvolte, sono forse, se non il solo, certo tra i pochi 
  che possono portare una testimonianza diretta e la meno incompleta su tutte 
  le vicende, i problemi, gli eroismi delle unità e dei volontari internazionali 
  in Spagna.
  
  È stato perciò anche con la coscienza di assolvere un preciso 
  dovere verso tutti i combattenti delle brigate internazionali in Spagna, e, 
  in particolare, verso i caduti, ch'io ho ripreso a curare la mia narrazione, 
  troncata improvvisamente tanti anni fa. Quella narrazione, nella prima stesura, 
  era destinata innanzitutto al pubblico francese. Ora, l'ho riscritta completamente, 
  ma, pur mantenendole sempre il suo carattere di relazione sulla partecipazione 
  di tutte le formazioni internazionali alla guerra di Spagna, ho tenuto presente 
  che essa è destinata, in primo luogo, al pubblico italiano. I volontari 
  degli altri paesi mi perdoneranno perciò se alle vicende loro, alle loro 
  lotte e ai loro eroismi non ho sempre dato, nella mia narrazione, tutto lo spazio 
  e tutta l'attenzione che meritavano.
  
  La mia narrazione si arresta alla battaglia di Brunete (luglio 1937). Perciò, 
  praticamente, riflette il primo anno di guerra in Spagna, cioè, di fatto, 
  tutte le operazioni militari di rilievo che, in un modo o nell'altro, hanno 
  avuto Madrid come obiettivo immediato o lontano. Anche in questa seconda stesura, 
  ho voluto mantenere alla narrazione il carattere di riflesso immediato del tempo 
  di allora. Per questo, essa si svolge giorno per giorno, ed ogni questione è 
  presentata di volta in volta nel suo sorgere e nel suo svilupparsi.
  
  Comprendo, però, che il lettore, il quale della guerra di Spagna ha avuto 
  scarse, monche o nessuna notizia, ha bisogno, per la migliore comprensione di 
  quello che è narrato nelle pagine che seguono, di qualche chiarificazione 
  sui precedenti che portarono alla ribellione dei generali contro il legittimo 
  governo repubblicano e sul corso che, dopo tanti sacrifici ed eroismi, ebbe 
  la lotta del popolo spagnolo, contro le caste reazionarie indigene e i loro 
  alleati fascisti italiani e tedeschi. Per questo ricorderò qui sommariamente 
  i momenti essenziali della storia di Spagna che va dalla caduta della monarchia 
  (1931) alla rivolta fascista (1936).
  
  La dittatura di Primo de Rivera, instaurata in Spagna nel 1923, sull'esempio 
  di quella mussoliniana, terminò ai primi del 1930, per le dimissioni 
  dello stesso De Rivera, in conseguenza dell'intensificarsi della protesta popolare 
  e della lotta operaia. Nell'agosto dello stesso anno, i partiti socialisti e 
  repubblicani, i partiti nazionali catalani, i rappresentanti dell'Ugt firmarono 
  il patto di San Sebastiano, per un'azione comune diretta alla liquidazione della 
  monarchia. Da parte degli iniziatori di questo patto si voleva evitare che il 
  problema fosse posto dal basso con l'azione di massa. Il 14 dicembre 1930, la 
  guarnigione della città di Jaca insorse; i comunisti invitarono gli operai 
  ad appoggiare gli insorti con uno sciopero generale; ma i socialisti non marciarono, 
  sabotarono lo sciopero e la monarchia riuscì a schiacciare l'insurrezione 
  e a far fucilare i suoi promotori: gli ufficiali Galan e Garcia Hernandez.
  
  Questa brutale repressione non riuscì però a stroncare il movimento 
  per la repubblica. Al contrario. Con la parola d'ordine «Via la monarchia!» 
  furono fatte le elezioni amministrative del 12 aprile 1931. Queste elezioni 
  dettero la vittoria al blocco dei repubblicani borghesi e dei socialisti. Alfonso 
  XIII non attese nemmeno che fossero proclamati i risultati definitivi delle 
  elezioni e fuggì all'estero. Così, il 14 aprile, fu proclamata 
  in Spagna la Seconda Repubblica (la Prima durò dal 1873 al 1874, quando 
  dopo un pronunciamento militare, Alfonso XII era stato chiamato dalle Cortes 
  a regnare in Spagna).
  
  Con l'abbattimento della monarchia ha inizio la rivoluzione democratico-borghese 
  in Spagna. Il potere passa nelle mani della coalizione dei repubblicani borghesi 
  e dei socialisti. La nuova Costituzione, approvata il 9 dicembre 1931 dalle 
  Cortes costituenti, prevede la separazione della Chiesa dallo Stato, la confisca 
  dei beni delle congregazioni religiose, la soppressione dell'ordine dei gesuiti, 
  l'abolizione delle prestazioni feudali, una parziale riforma agraria. Ma, anche 
  dopo l'approvazione di questa Costituzione, nelle campagne continuano a prevalere 
  gli ordinamenti feudali. Il 2 per cento dei proprietari terrieri possiedono 
  ancora il 67 per cento della terra coltivabile, mentre il 39 per cento dei contadini 
  hanno appezzamenti inferiori ad un ettaro. La situazione dei braccianti, dei 
  fittavoli, dei piccoli proprietari è miserevole. Sotto la pressione di 
  rivolte che scoppiano nelle campagne, nel corso delle quali i contadini passano 
  all'occupazione delle terre lasciate incolte dai latifondisti, le Cortes approvano, 
  il 21 settembre 1932, una legge di riforma agraria che prevede l'espropriazione, 
  senza indennizzo, di oltre mezzo milione di ettari di terre dei Grandi e impone 
  agli altri latifondisti di cedere a riscatto solo le cosiddette «eccedenze». 
  La validità di questa disposizione è limitata però a quattordici 
  province.
  
  Ma, anche dopo questa legge, e fino all'inizio del 1936, soltanto dodicimila 
  famiglie contadine ricevono la terra. In questo modo la questione agraria non 
  viene risolta e nemmeno viene risolta la questione nazionale. Sette milioni 
  di catalani, di baschi, di galiziani, che chiedono l'autonomia, sono delusi. 
  Il governo centrale la concede soltanto alla Catalogna e in misura molto ridotta. 
  In questo stesso periodo, la Chiesa continua a ricevere laute prebende, l'esercito 
  resta nelle mani di ufficiali monarchici e il capitale straniero ha via libera 
  nell'accaparramento delle maggiori risorse nazionali.
  
  Questa incapacità dei governanti a risolvere le varie questioni politiche 
  e sociali poste all'ordine del giorno della nazione esaspera le masse lavoratrici 
  e democratiche. Numerosi scioperi per rivendicazioni economiche e per obiettivi 
  politici si succedono durante tutto il 1932. Nel frattempo, le forze della reazione 
  clericale e feudale, sentendosi minacciate nei loro privilegi dalla pressione 
  popolare, si riorganizzano e passano all'attacco. Incoraggiate dall'avvento 
  al potere in Germania dei nazisti, queste forze organizzano nel 1933 la cosiddetta 
  Ceda (Confederazione spagnola delle destre autonome) sotto la direzione clericale 
  e fascista di Gil Robles. Dietro la Ceda marciano i grandi proprietari fondiari 
  legati al capitale finanziario, le alte sfere della Chiesa e dell'esercito, 
  con l'appoggio del Vaticano e dei circoli imperialisti stranieri.
  
  Nelle elezioni del 1933 la reazione, grazie all'opera di corruzione e di repressione 
  terroristica svolta, riesce ad ottenere la maggioranza alle Cortes. Il governo 
  filofascista di Lerroux inizia la liquidazione delle poche realizzazioni sociali 
  e politiche dei governi repubblicani e socialisti.
  
  Alle misure reazionarie dei nuovi governanti i lavoratori e gli operai rispondono 
  con grandi scioperi generali locali e di categoria a cui partecipano milioni 
  di lavoratori e che durano anche due o tre mesi. Il 4 ottobre 1934 tre membri 
  della Ceda assumono incarichi ministeriali. È evidente l'intento di dare 
  un aperto orientamento fascista a tutta la politica governativa. Il partito 
  comunista, che in tutti gli anni della repubblica, essendosi liberato dagli 
  elementi anarchisteggianti ed estremisti ch'erano alla sua direzione, ha visto 
  estendersi e consolidarsi la propria organizzazione, chiama i lavoratori allo 
  sciopero ed alla protesta di piazza.
  
  Lo sciopero generale è scatenato in tutto il paese in segno di protesta 
  contro l'entrata nel governo degli elementi fascisti della Ceda. A Barcellona, 
  il 6 ottobre, è proclamato lo Stato autonomo catalano; in varie località 
  lo sciopero sfocia nella lotta armata. Il movimento assume maggiore intensità 
  nelle Asturie, dove, per iniziativa del partito comunista, sono costituite le 
  cosiddette Alianzas obreras. Qui, gli operai costituiscono reparti armati, sconfiggono 
  le truppe governative, occupano Oviedo e altre città; il potere passa 
  praticamente nelle mani dei consigli operai e contadini. Il governo lancia contro 
  gli insorti la legione straniera, i reparti marocchini, l'aviazione e i carri 
  armati e si abbandona alla pii feroce repressione del movimento e delle organizzazioni 
  operaie.
  
  Il periodo della permanenza al potere della Ceda (1934-35) è conosciuto 
  nella storia spagnola come il «biennio nero». Il terrore è 
  instaurato nella Spagna: le famiglie contadine sono cacciate dalla terra che 
  hanno ricevuta; le conquiste sociali degli operai sono liquidate. Il partito 
  comunista, benché cacciato di fatto nell'illegalità, continua 
  a svolgere la sua azione tra i lavoratori e verso tutte le correnti democratiche 
  repubblicane per la realizzazione di un potente movimento e il gabinetto Lerroux 
  - Gil Robles, verso la fine del 1935, è costretto a dare le dimissioni. 
  Il governo che gli succede indice nuove elezioni, per il 16 febbraio 1936.
  
  Nella situazione creata dalle dimissioni del governo Lerroux - Gil Robles, dalla 
  convocazione dei comizi elettorali e dalla spinta delle masse popolari, i capi 
  socialisti e borghesi repubblicani sono costretti ad accettare la proposta di 
  unità d'azione avanzata dai comunisti. Il 16 gennaio 1936 viene così 
  firmato un patto di fronte popolare, che sancisce l'alleanza del proletariato, 
  dei contadini, della piccola e media borghesia urbana e degli intellettuali 
  progressivi e contro il fascismo. Il patto è firmato da comunisti, socialisti 
  e repubblicani borghesi. Esso prevede l'amnistia ai detenuti politici, la punizione 
  dei responsabili delle repressioni contro gli insorti antifascisti dell'ottobre 
  1934, lavori pubblici per combattere la disoccupazione, l'imposta progressiva 
  sul reddito, ecc. Nonostante il terrorismo dei fascisti, il 16 febbraio 1936, 
  i partiti del fronte popolare ottengono una schiacciante vittoria. I rapporti 
  di forza sono rovesciati alle Cortes. Viene costituito un nuovo governo repubblicano 
  democratico, sotto la direzione di Azana, il quale, nel maggio successivo, viene 
  poi eletto presidente della Repubblica.
  
  Questa vittoria del fronte popolare spagnolo ha enorme influenza sulle masse 
  popolari spagnole e degli altri paesi, dando nuovo slancio alla loro lotta contro 
  la reazione e il fascismo. Ma la reazione e il fascismo reagiscono in Spagna 
  e internazionalmente, passando al contrattacco. Un complotto è organizzato 
  contro la repubblica popolare spagnola allo scopo di annientare il fronte popolare. 
  Le cricche fasciste d'Italia e di Germania sono al centro di questo complotto. 
  Il punto d'appoggio dei fascisti in Spagna è la cosiddetta Unione militare 
  spagnola, capeggiata dai generali Sanjurjo, Mola e Franco.
  
  La reazione spagnola è costituita dal blocco dei grandi proprietari fondiari, 
  dell'oligarchia finanziaria, dell'alto clero e delle alte sfere militari. Gli 
  organizzatori del complotto fascista si pongono come obiettivo di far saltare 
  il fronte popolare, di disorganizzare l'attività del governo mediante 
  ininterrotte provocazioni e con il sabotaggio economico e politico. I capitalisti 
  chiudono le aziende; l'indice della produzione industriale scende così, 
  nel primo semestre del 1936, all'86 per cento del corrispondente semestre dell'anno 
  precedente; il numero di disoccupati raggiunge il milione, i grandi proprietari 
  fondiari minacciano di ridurre i seminativi, mentre il flusso dei capitali all'estero 
  assume enormi proporzioni. I fascisti della «falange spagnola» passano 
  al terrorismo sanguinoso contro le forze democratiche, massacrano gli attivisti 
  operai, compiono incursioni e devastazioni nelle redazioni dei giornali progressivi. 
  Le rappresentanze diplomatiche e consolari dell'Italia e della Germania forniscono 
  ai fascisti spagnoli armi, istruttori e provocatori.
  
  Il partito comunista chiede provvedimenti energici contro il complotto fascista 
  che si va organizzando quasi alla luce del giorno, esige l'attuazione del programma 
  del fronte popolare e mobilita le masse per la resistenza attiva e diretta contro 
  l'attacco fascista. Ma i partiti al governo esitano, tentennano, non sanno e 
  non vogliono condurre un'azione energica ed offensiva contro le forze della 
  reazione. È in questa situazione che, nella notte fra il 17 e il 18 luglio 
  1936, scoppia la rivolta fascista nel Marocco spagnolo e nelle isole Canarie. 
  È con le prime notizie di questa rivolta che incomincia la nostra narrazione.
  
  
  Dopo la battaglia di Brunete, con cui si chiude il nostro racconto, i fascisti 
  riprendono l'offensiva al Nord, contro Santander. Per aiutare i difensori repubblicani 
  di quella regione viene scatenata, in agosto, un'azione di grande stile in Aragona, 
  in direzione di Saragozza. Dopo accaniti combattimenti i repubblicani espugnano 
  Quinto, Belchite ed altre località. Ma questi successi locali non valgono 
  a salvare il nord, il quale, a fine ottobre, cade completamente sotto il controllo 
  dei fascisti.
  
  Franco, liberatosi in questo modo da ogni preoccupazione sul fronte settentrionale, 
  riorganizza le sue forze e vuole ritentare, per l'ennesima volta, la presa di 
  Madrid. Egli riprende in considerazione gli stessi piani già messi in 
  azione sul Jarama e a Guadalajara, nella speranza di ottenere finalmente la 
  vittoria. I preparativi fascisti per la nuova offensiva sono quasi ultimati, 
  quando il 15 dicembre 1937, le truppe repubblicane attaccano in forze Teruel. 
  Tutti i piani e tutti i preparativi fascisti sono così mandati a monte. 
  Teruel è isolata e poi occupata dai repubblicani. In fretta e furia Franco 
  deve prendere le truppe e i mezzi già concentrati per l'attacco contro 
  Madrid e scagliarsi alla riconquista di Teruel. Solo dopo due mesi di cruenti 
  e duri combattimenti in un ambiente e in un clima nordico, con 18 e 20 gradi 
  sotto zero Teruel ritorna sotto il controllo fascista.
  
  Dopo questa battaglia Franco è obbligato a rinunciare definitivamente 
  all'idea di conquistare immediatamente Madrid. Tutte le forze franchiste e legionarie 
  italiane sono allora concentrate per una grande operazione contro la Catalogna. 
  Infatti, nel marzo 1938, i fascisti penetrano in Catalogna e, il 15 aprile successivo, 
  raggiungono la costa mediterranea a Vinaroz, a sud di Tortosa. Il territorio 
  repubblicano è così diviso in due: la Spagna centrale, con Madrid 
  e Valencia, da una parte; la Catalogna, con Barcellona, dall'altra. Dalle posizioni 
  raggiunte sulla costa, i fascisti scatenano nel giugno 1938 una grande offensiva 
  contro Valencia. Ma sono ben presto costretti a sospenderla. Una brillante controperazione 
  repubblicana sull'Ebro impegna, per oltre tre mesi tutte le forze fasciste.
  
  Il patto di Monaco, concluso dalla Germania e dall'Italia con i circoli dirigenti 
  dell'Inghilterra e della Francia, appoggiati dagli Stati Uniti, porta un grave 
  colpo al popolo spagnolo in lotta. Questo patto dà coraggio ai disfattisti 
  che sono in Spagna. L'idea della capitolazione penetra così nella mente 
  degli esponenti dei partiti repubblicani borghesi, dei socialisti di destra 
  e dei dirigenti anarchici. Da questo momento, da parte repubblicana, la lotta 
  perde slancio e vigore. Quando, il 23 dicembre 1938, gli invasori fascisti lanciano 
  una nuova offensiva in Catalogna, non trovano più la ferrea resistenza 
  di prima.
  
  In questa situazione i circoli dirigenti anglo-franco-americani moltiplicano 
  gli sforzi diretti a soffocare la Repubblica spagnola. Per mezzo dei loro agenti 
  insinuati nell'alto comando dell'esercito repubblicano, essi ottengono, quasi 
  senza colpo ferire, la resa di Barcellona (26 gennaio 1939) e, poi, di tutta 
  la Catalogna. Le brigate internazionali le quali, dopo la battaglia dell'Ebro, 
  erano state ritirate sotto il controllo di una commissione internazionale nominata 
  dalla Società delle nazioni, dopo la caduta di Barcellona, ritornano 
  al combattimento. Ma non possono far altro che aiutare a proteggere la marcia 
  verso la frontiera francese delle truppe e delle popolazioni che si ritirano 
  davanti alle orde fasciste. L'8 e il 9 febbraio 1939, gli ultimi volontari internazionali 
  sfilano per l'ultima volta davanti ai loro dirigenti e passano la frontiera 
  franco-spagnola a Perthus e a PortBou in uno scenario di esodo biblico. La polizia 
  francese li avvia senz'altro ai vari campi di concentramento, già predisposti. 
  Si conclude così l'eroica e gloriosa storia delle brigate internazionali 
  in Spagna. Per i volontari internati, incominciano le sofferenze e le privazioni 
  dei campi di deportazione, fino a quando, scoppiata la seconda guerra mondiale, 
  non si presenta loro l'occasione della fuga o della rivolta per raggiungere 
  le file partigiane schierate sui vari fronti di battaglia e battersi ancora, 
  con le armi alla mano, contro l'invasore e l'oppressore nazista e fascista.
  
  Dopo la caduta di Barcellona, per accelerare la fine della Repubblica spagnola, 
  il governo inglese invia nelle acque dell'isola di Maiorca l'incrociatore Devonshire, 
  che, il 9 febbraio, costringe la guarnigione repubblicana dell'isola ad arrendersi 
  alle truppe di Franco. Il 27 febbraio, l'Inghilterra e la Francia rompono le 
  relazioni diplomatiche con il governo legittimo della Spagna e riconoscono il 
  «governo» di Franco. Il 34 marzo 1939, i traditori nascosti nel 
  comando della marina militare spagnola, per ordine ricevuto da Londra e da Parigi, 
  fanno salpare la flotta repubblicana da Cartagena, alla volta del porto francese 
  di Biserta, nell'Africa settentrionale.
  
  Gli agenti degli imperialisti anglo-franco-americani, e precisamente il generale 
  Casado, comandante delle truppe della capitale, e il dirigente socialista di 
  destra Besteiro, costituiscono a Madrid una sedicente Giunta di difesa nazionale, 
  con lo scopo dichiarato di consegnare la Spagna ai fascisti. La giunta inizia 
  la lotta contro il governo repubblicano e contro i comunisti, che tentano ancora 
  di organizzare, ad ogni costo e con tutti i mezzi, la resistenza all'invasione 
  fascista. I traditori, nel breve periodo del loro potere, per vincere la resistenza 
  popolare, fanno uccidere novemila patrioti e ne gettano in carcere oltre dodicimila. 
  Poi, aprono il fronte al nemico e, il 28 marzo 1939, l'invitta Madrid e l'intero 
  territorio repubblicano sono occupati dagli invasori stranieri e dai franchisti.
  
  Su tutta la Spagna viene così instaurato il barbaro e sanguinario regime 
  fascista. Franco si autoproclama dittatore assoluto. Tutti i partiti politici, 
  tranne la «falange» fascista, sono proibiti; tutte le riforme e 
  le trasformazioni attuate dal governo del fronte popolare sono abolite. Incomincia 
  una feroce repressione contro il popolo. Decine di migliaia di patrioti sono 
  massacrati senza inchiesta e senza processo; centinaia di migliaia di popolani 
  sono rinchiusi in campi di deportazione. I fascisti tedeschi e italiani divengono 
  i veri padroni della Spagna.
  
  La seconda guerra mondiale, scoppiata pochi mesi dopo, conferma quanto i combattenti 
  repubblicani e gli antifascisti sostennero sempre durante la guerra di Spagna; 
  che la guerra era stata provocata in territorio spagnolo dai fascisti italiani 
  e tedeschi allo scopo di procurarsi preziose basi militari ed economiche, in 
  vista della realizzazione dei loro piani di aggregazione contro i paesi democratici. 
  Questa funzione venne assolta dalla Spagna fascista, fino a che la fortuna delle 
  armi arrise a Hitler. Quando incominciarono le sconfitte della coalizione hitleriana, 
  in seguito alle vittoriose offensive dell'esercito sovietico, Franco tentò 
  di salvarsi dalla catastrofe inevitabile, cercando il contatto con i circoli 
  dirigenti dell'Inghilterra e degli Stati Uniti. Il gioco gli riuscì; 
  ed è grazie proprio all'aiuto ricevuto dall'Inghilterra e soprattutto 
  dall'America che il regime di Franco ha potuto trarsi fuori indenne dalla tempesta 
  che ha spazzato via dalla faccia della terra tutti i regimi fascisti: da quello 
  italiano e tedesco, a quello giapponese.
  
  In questi giorni si compiono vent'anni dallo scoppio della rivolta dei generali 
  fascisti. Vent'anni di sanguinosa dittatura franchista hanno condotto la Spagna 
  allo sfacelo. Ma in questi ultimi tempi le proteste popolari contro Franco e 
  il suo regime di schiavitù e di miseria si sono moltiplicate ed allargate. 
  Alla loro testa sono ancora i combattenti della guerra del 1936-39, i comunisti 
  e i loro alleati. Sono di questi giorni i grandiosi scioperi di Barcellona, 
  di Madrid, di Gijon, di Santander che hanno posto all'ordine del giorno le rivendicazioni 
  urgenti delle masse lavoratrici, ma anche le esigenze di libertà e di 
  indipendenza nazionale che costituirono la bandiera di lotta della Repubblica 
  spagnola e dei volontari di tutti i paesi accorsi a darle man forte.
  
  Molti di quei coraggiosi caddero in terra di Spagna nei propri paesi, scrivendo 
  non solo pagine luminose di eroismo e di patriottismo ma, riuscendo, in Polonia, 
  in Cecoslovacchia, in Ungheria, in Jugoslavia, in Romania, in Bulgaria, in Albania, 
  assieme a tutto il popolo, sotto la guida del partito comunista e grazie alle 
  vittorie militari dell'Unione Sovietica, a liberarsi da ogni schiavitù 
  e ad avviare il proprio paese su vie nuove di libertà e di progresso. 
  Questo prova che le esperienze, le lotte, i sacrifici di Spagna non sono stati 
  vani. Hanno contribuito a fecondare largamente il fertile terreno della libertà 
  dei popoli. Ed oggi, quanti crebbero alla scuola di eroismo e di abnegazione 
  dei combattenti repubblicani e del popolo spagnolo, quanti, sull'esempio delle 
  grandi battaglie d'allora, continuarono la propria battaglia liberatrice in 
  patria, quanti non cedettero mai alle lusinghe e agli inganni dei nemici del 
  popolo, comunque mascherati, sono ancora e sempre, come allora, a fianco dei 
  fratelli spagnoli, a cui augurano di tutto cuore la vittoria, nella dura e ventennale 
  lotta contro il barbaro regime franchista, che opprime, soffoca e dissangua 
  il popolo spagnolo, perché, anche per questo popolo, tanto caro al loro 
  cuore, torni a dispiegarsi vittoriosa la bandiera della libertà e del 
  progresso.