Biblioteca Multimediale Marxista
CHE COSA VOGLIAMO
Noi crediamo che la più gran parte dei mali che affliggono 
  gli uomini dipende dalla cattiva organizzazione sociale, e che gli uomini, volendo 
  e sapendo, possono distruggerli.
  La società attuale è il risultato delle lotte secolari che gli 
  uomini han combattuto tra di loro. Non comprendendo i vantaggi che potevano 
  venire a tutti dalla cooperazione e dalla solidarietà, vedendo in ogni 
  altro uomo (salvo al massimo i più vicini per vincoli di sangue) un concorrente 
  ed un nemico, ha cercato di accaparrare, ciascun per sé, la più 
  gran quantità di godimenti possibile, senza curarsi degli interessi degli 
  altri.
  Data la lotta, naturalmente i più forti, o i più fortunati, dovevano 
  vincere, ed in vario modo sottoporre ed opprimere i vinti.
  Fino a che l'uomo non fu capace di produrre di più di quello che bastava 
  strettamente al suo mantenimento, i vincitori non potevano che fugare o massacrare 
  i vinti ed impossessarsi degli alimenti da essi raccolti.
  Poi, quando con la scoperta della pastorizia e dell'agricoltura un uomo potette 
  produrre più di ciò che gli occorreva per vivere, i vincitori 
  si accorsero che era più comodo, più produttivo e più sicuro 
  sfruttare il lavoro altrui con un altro sistema: ritenere per sé la proprietà 
  esclusiva della terra e di tutti i mezzi di lavoro, e lasciar nominalmente liberi 
  gli spogliati, i quali poi, non avendo mezzi di vivere, erano costretti a ricorrere 
  ai proprietari ed a lavorare per conto loro, ai patti che essi volevano.
  Così, man mano, attraverso tutta una rete complicatissima di lotte di 
  ogni specie, invasioni, guerre, ribellioni, repressioni, concessioni strappate, 
  associazioni di vinti unitisi per la difesa, e di vincitori unitisi per l'offesa, 
  si è giunti allo stato attuale della società, in cui alcuni detengono 
  ereditariamente la terra e tutta la ricchezza sociale, mentre la grande massa 
  degli uomini, diseredata di tutto, è sfruttata ed oppressa dai pochi 
  proprietari.
  Da questo dipendono lo stato di miseria in cui si trovano generalmente i lavoratori, 
  e tutti i mali che dalla miseria derivano: ignoranza, delitti, prostituzione, 
  deperimento fisico, abiezione morale, morte prematura. Da questo, la costituzione 
  di una classe speciale (il governo), la quale, fornita di mezzi materiali di 
  repressione, ha missione di legalizzare e difendere i proprietari contro le 
  rivendicazioni dei proletari; e poi si serve della forza che ha, per creare 
  a se stessa dei privilegi e sottomettere, se può, alla sua supremazia 
  anche la stessa classe proprietaria. Da questo la costituzione di un'altra classe 
  speciale (il clero), la quale con una serie di favole sulla volontà di 
  Dio, sulla vita futura, ecc., cerca d'indurre gli oppressi a sopportare docilmente 
  l'oppressione, ed al pari del governo, oltre di fare gli interessi dei proprietari, 
  fa anche i suoi propri. Da questo, la formazione di una scienza ufficiale che 
  è, in tutto ciò che può servire agl'interessi dei dominatori, 
  la negazione della scienza vera. Da questo, lo spirito patriottico, gli odii 
  di razza, le guerre, e le paci armate talvolta più disastrose delle guerre 
  stesse. Da questo, l'amore trasformato in tormento o in turpe mercato. Da ciò 
  l'odio più o meno larvato, la rivalità, il sospetto fra tutti 
  gli uomini, l'incertezza e la paura per tutti.
  Tale stato di cose noi vogliamo radicalmente cambiare. E poiché tutti 
  questi mali derivano dalla lotta fra gli uomini, dalla ricerca del benessere 
  fatta da ciascuno per conto suo e contro tutti, noi vogliamo rimediarvi sostituendo 
  all'odio l'amore, alla concorrenza la solidarietà, alla ricerca esclusiva 
  del proprio benessere la cooperazione fraterna per il benessere di tutti, alla 
  oppressione ed all'imposizione scientifica la verità.
  Dunque:
  1. Abolizione della proprietà privata della terra, delle materie prime 
  e degli strumenti di lavoro, perché nessuno abbia il mezzo di vivere 
  sfruttando il lavoro altrui, e tutti, avendo garantiti i mezzi per produrre 
  e vivere, siano veramente indipendenti e possano associarsi agli altri liberamente, 
  per l'interesse comune e conformemente alle proprie simpatie.
  2. Abolizione del governo e di ogni potere che faccia la legge e la imponga 
  agli altri: quindi abolizione di monarchie, repubbliche, parlamenti, eserciti, 
  polizie, magistratura ed ogni qualsiasi istituzione dotata di mezzi coercitivi.
  3. Organizzazione della vita sociale per opera di libere associazioni e federazioni 
  di produttori e di consumatori, fatte e modificate secondo la volontà 
  dei componenti, guidati dalla scienza e dall'esperienza e liberi da ogni imposizione 
  che non derivi dalle necessità naturali, a cui ognuno, vinto dal sentimento 
  stesso della necessità ineluttabile, volontariamente, si sottomette.
  4. Garantiti i mezzi di vita, di sviluppo, di benessere ai fanciulli, ed a tutti 
  coloro che sono impotenti a provvedere a loro stessi.
  5. Guerra alle religioni ed a tutte le menzogne, anche se si nascondono sotto 
  il manto della scienza. Istruzione scientifica per tutti e fino ai suoi gradi 
  più elevati.
  6. Guerra alle rivalità ed ai pregiudizi patriottici. Abolizione delle 
  frontiere, fratellanza fra tutti i popoli.
  7. Ricostruzione della famiglia, in quel modo che risulterà dalla pratica 
  dell'amore, libero da ogni vincolo legale, da ogni oppressione economica o fisica, 
  da ogni pregiudizio religioso.
  Questo il nostro ideale.
VIE E MEZZI
Abbiamo esposto a sommi capi qual è lo scopo che vogliamo 
  raggiungere, quale l'ideale pel quale lottiamo.
  Ma non basta desiderare una cosa: se si vuole ottenerla davvero bisogna impiegare 
  i mezzi adatti al suo conseguimento. E questi mezzi non sono arbitrari, ma derivano, 
  necessariamente, del fine cui si mira e dalle circostanze nelle quali si lotta, 
  giacché ingannandosi sulla scelta dei mezzi, non si raggiungerebbe il 
  fine propostosi, ma un altro, magari opposto, che sarebbe conseguenza naturale, 
  necessaria, dei mezzi adoperati. Chi si mette in cammino e sbaglia strada, non 
  va dove vuole, ma dove lo porte la strada percorsa.
  Occorre, dunque, dire quali sono i mezzi che, secondo noi, conducono allo scopo 
  prefissoci, e che noi intendiamo adoperare.
  Il nostro ideale non è di quelli il cui conseguimento dipende dall'individuo 
  considerato isolatamente. Si tratta di cambiare il modo di vivere in società, 
  di stabilire tra gli uomini rapporti di amore e solidarietà, di conseguire 
  la pienezza dello sviluppo materiale, morale e intellettuale, non per un individuo 
  solo, non per i membri di una data classe o di un dato partito, ma per tutti 
  quanti gli esseri imani, - e questo non è cosa che si possa imporre colla 
  forza, ma deve sorgere dalla coscienza illuminata di ciascuno ed attuarsi mediante 
  il libero consentimento di tutti.
  Nostro primo compito quindi deve essere quello di persuadere la gente.
  Bisogna che noi richiamiamo l'attenzione degli uomini sui mali che soffrono 
  e sulla possibilità di distruggerli, bisogna che suscitiamo in ciascuno 
  la simpatia pei mali altrui ed il desiderio vivo del bene di tutti.
  A chi ha fame e freddo noi mostreremo come sarebbe possibile, e facile, assicurare 
  a tutti la soddisfazione dei bisogni materiali. A chi è oppresso e vilipeso, 
  noi diremo come si può vivere felicemente in una società di liberi 
  e di uguali, a chi è tormentato dall'odio e dal rancore, noi additeremo 
  la via per raggiungere, armando i propri simili, la pace e la gioia del cuore.
  E quando saremo riusciti a far nascere nell'animo degli uomini il sentimento 
  di ribellione contro i mali ingiusti ed evitabili di cui si soffre nella società 
  presente, ed a far comprendere quali sono le cause di questi mali e come dipenda 
  dalla volontà umana l'eliminarli, quando avremo ispirato il desiderio 
  vivo, prepotente, di trasformare la società per il bene di tutti, allora 
  i convinti, per impulso proprio e per la spinta di coloro che li han preceduti 
  nella convinzione, si uniranno e vorranno, e potranno, attuare i comuni ideali.
  Sarebbe - lo scopo lo abbiamo già detto - assurdo ed in contraddizione 
  col nostro scopo il voler imporre la libertà, l'amore fra gli uomini, 
  lo sviluppo integrale di tutte le facoltà umane, per mezzo della forza. 
  Bisogna dunque contare sulla libera volontà degli altri, e la sola cosa 
  che possiamo fare è quella di provocare il formarsi ed il manifestarsi 
  di detta volontà. Ma sarebbe però egualmente assurdo e contrario 
  al nostro scopo l'ammettere che coloro i quali non la pensano come noi c'impediscano 
  di attuare la nostra volontà, sempre che essa non leda il loro diritto 
  ad una libertà eguale alla nostra.
  Libertà dunque per tutti di propagare ed esperimentare le proprie idee, 
  senza altro limite che quello che risulta naturalmente dall'eguale libertà 
  di tutti.
  Ma a questo si oppongono - e si oppongono colla forza brutale - coloro che sono 
  beneficiari degli attuali privilegi e dominano e regolano tutta la vita sociale 
  presente.
  Essi hanno in mano tutti i mezzi di produzione, e quindi sopprimono non solo 
  la possibilità di esperimentare nuovi modi di convivenza sociale, non 
  solo il diritto dei lavoratori di vivere liberamente col proprio lavoro, ma 
  anche lo stesso diritto alla esistenza, ed obbligano chi non è proprietario 
  a lasciarsi sfruttare ed opprimere se non vuole morire di fame.
  Essi hanno polizie, magistrature, eserciti creati appositamente per difendere 
  i loro privilegi e perseguitano, incarcerano, massacrano coloro che vogliono 
  abolire quei privilegi e reclamano mezzi di vita e la libertà per tutti.
  Gelosi dei loro interessi presenti e immediati, corrotti dallo spirito di dominazione, 
  paurosi dell'avvenire, essi, i privilegiati, sono, generalmente parlando, incapaci 
  di uno slancio generoso, sono incapaci benanco di una più larga concezione 
  dei loro interessi. E sarebbe follia sperare ch'essi rinunzino volontariamente 
  alla proprietà ed al potere, e si adattino ad essere gli eguagli di coloro 
  che oggi tengono sottoposti.
  Lasciando da parte l'esperienza storica (la quale dimostra che mai una classe 
  privilegiata si è spogliata, in tutto o in parte, dei suoi privilegi, 
  e mai un governo ha abbandonato il potere se non vi è stato obbligato 
  dalla forza o dalla paura della forza), bastano i fatti contemporanei per convincere 
  chiunque che la borghesia ed i governi intendono impiegare la forza materiale 
  per difendersi, non solo contro l'espropriazione totale, ma anche contro le 
  più piccole pretese popolari, e son pronti sempre alle più atroci 
  persecuzioni, ai più sanguinosi massacri.
  Al popolo che vuole emanciparsi non resta altra via che quella di opporre la 
  forza alla forza.
  Risulta da quanto abbiamo detto che noi dobbiamo lavorare per risvegliare negli 
  oppressi il desiderio vivo di una radicale trasformazione sociale, e persuaderli 
  che unendosi, essi hanno la forza di vincere, dobbiamo propagare il nostro ideale 
  e preparare le forze morali e materiali necessarie a vincere le forze nemiche, 
  e ad organizzare la nuova società, e quando avremo la forza sufficiente 
  dobbiamo, profittando delle circostanze favorevoli che si producono o creandole 
  noi stessi, fare la rivoluzione sociale, abbattendo colla forza il governo, 
  espropriando colla forza i proprietari, mettendo in comune i mezzi di vita e 
  di produzione, ed impedendo che nuovi governi vengano ad imporre la loro volontà 
  e ad ostacolare la riorganizzazione sociale fatta direttamente dagl'interessati.
  Tutto questo però è meno semplice di quello che potrebbe a prima 
  giunta parere.
  Noi abbiamo da fare cogli uomini quali sono nell'attuale società, in 
  condizioni morali e materiali disgraziatissime, e c' inganneremmo pensando che 
  basta la propaganda per elevarli a quel grado di sviluppo intellettuale e morale 
  che è necessario all'attuazione dei nostri ideali.
  Tra l'uomo e l'ambiente sociale vi è un'azione reciproca. Gli uomini 
  fanno la società come essa è e la società fa gli uomini 
  come essi sono, e da ciò risulta una specie di circolo vizioso. Per trasformare 
  la società bisogna trasformare gli uomini, e per trasformare gli uomini 
  bisogna trasformare la società.
  La misura abbruttisce l'uomo, e per distruggere la miseria bisogna che gli uomini 
  abbiano coscienza e volontà. La schiavitù educa gli uomini ad 
  essere schiavi, e per liberarsi della schiavitù v'è bisogno di 
  uomini aspiranti a libertà. L'ignoranza fa si che gli uomini non conoscano 
  le cause dei loro mali e non sappiano rimediarvi, e per distruggere l'ignoranza 
  bisogna che gli uomini abbiano il tempo ed il modo di istruirsi.
  Il governo abitua la gente a subire la legge ed a credere che la legge sia necessaria 
  alla società, e per abolire il governo bisogna che gli uomini siano persuasi 
  dalla sua inutilità e del suo danno.
  Come uscire da questo circolo vizioso?
  Fortunatamente la società attuale non è stata formata dalla volontà 
  illuminata di una classe dominante, che abbia potuto ridurre tutti i dominati 
  a strumenti passivi ed incoscienti dei suoi interessi. Essa è il risultato 
  di mille lotte intestine, di mille fattori naturali ed umani agenti casualmente 
  senza criteri direttivi e quindi non vi sono divisioni nette né tra gli 
  individui né tra le classi.
  Infinite sono le varietà di condizioni materiali, infiniti i gradi di 
  sviluppo morale ed intellettuale, e non sempre - diremmo quasi molto raramente 
  - il posto che uno occupa in società corrisponde alle sue facoltà 
  ed alle sue aspirazioni. Spessissimo alcuni individui cadono in condizioni inferiori 
  a quelle a cui sono abituati, ed altri, per circostanze eccezionalmente favorevoli, 
  riescono ad elevarsi a condizioni superiori a quelle in cui sono nati. Una parte 
  notevole del proletariato è già arrivata ad uscire dallo stato 
  di miseria assoluta, abbruttente, o non ha mai potuto esservi ridotta; nessun 
  lavoratore, o quasi nessuno, si trova nello stato d'incoscienza completa, di 
  completa acquiescenza alle condizioni che gli fanno i padroni. E le stesse istituzioni, 
  quali sono state prodotte dalla storia, contengono delle contraddizioni organiche 
  che sono come dei germi di morte, i quali sviluppandosi producono la dissoluzione 
  dell'istituzione e la necessità della trasformazione.
  Da ciò la possibilità del progresso, ma non la possibilità 
  di portare, per mezzo della propaganda, tutti gli uomini al livello necessario 
  perché vogliamo o facciano l'anarchia, senza un'anteriore graduale trasformazione 
  dell'ambiente.
  Il progresso deve camminare contemporaneamente, parallelamente negli individui 
  e nell'ambiente. Dobbiamo profittare di tutti i mezzi, di tutte le possibilità, 
  di tutte le occasioni che ci lascia l'ambiente attuale, per agire sugli uomini 
  e sviluppare la loro coscienza ed i loro desideri, dobbiamo utilizzare tutti 
  i progressi avvenuti nella coscienza degli uomini per indurli a reclamare ed 
  imporre quelle maggiori trasformazioni sociali che sono possibili e che meglio 
  servono ad aprire la via a progressi ulteriori.
  Noi non dobbiamo aspettare di poter fare l'anarchia ed intanto limitarci alla 
  semplice propaganda. Se facessimo così, presto avremmo esaurito il campo, 
  avremmo convertiti cioè, tutti quelli che nell'ambiente attuale sono 
  suscettibili di comprendere ed accettare le nostre idee, e la nostra ulteriore 
  propaganda resterebbe sterile, o se delle trasformazioni di ambiente elevassero 
  nuovi strati popolari alla possibilità di ricevere idee nuove, ciò 
  avverrebbe senza l'opera nostra, e quindi con pregiudizio delle nostre idee.
  Noi dobbiamo cercare che il popolo, nella sua totalità o nelle sue varie 
  frazioni, pretenda, imponga, prenda da sé tutti i miglioramenti, tutte 
  le libertà che desidera, mano mano che giunge a desiderarle ed ha la 
  forza d'imporle, e, propagando sempre tutto intero il nostro programma e lottando 
  sempre per la sua attuazione integrale, dobbiamo spingere il popolo a pretendere 
  ed imporre sempre di più, fino a che non ha raggiunto l'emancipazione 
  completa.
LA LOTTA ECONOMICA
L'opposizione che, oggi, più direttamente preme sui 
  lavoratori e che è la causa principale di tutte le soggezioni morali 
  e materiali cui i lavoratori sottostanno, è l'oppressione economica, 
  vale a dire lo sfruttamento che i padroni ed i commercianti esercitano su di 
  loro, grazie all'accaparramento di tutti i grandi mezzi di produzione e di scambi.
  per sopprimere radicalmente e senza pericolo di ritorno questa oppressione, 
  occorre che il popolo tutto sia convinto del diritto che esso ha all'uso dei 
  mezzi di produzione, e che attui questo suo diritto primordiale espropriando 
  i detentori del suolo e di tutte le ricchezze sociali e mettendo quello e queste 
  a disposizione di tutti.
  ma si può ira stesso metter mano a questa espropriazione? Si può 
  oggi passare direttamente, senza gradi intermedi, dall'inferno in cui si trova 
  ora il proletariato, al paradiso della proprietà comune?
  I fatti dimostreranno di che cosa i lavoratori sono oggi capaci.
  Compito nostro è quello di preparare il popolo moralmente e materialmente 
  a questa necessaria espropriazione, e di tentarla e ritentarla, ogni volta che 
  una scossa rivoluzionaria ce ne presenta l'occasione, fino al trionfo definitivo. 
  Ma in che modo possiamo preparare il popolo? In che modo preparare le condizioni 
  che rendano possibile, non solo il fatto materiale dell'espropriazione, ma l'utilizzazione, 
  a vantaggio di tutti, della ricchezza comune?
  Abbiamo detto antecedentemente che la sola propaganda, parlata o scritta, è 
  impotente a conquistare alle nostre idee tutta quanta la grande massa popolare. 
  Occorre una educazione pratica, la quale sia a volta a volta causa ed effetto 
  di una graduale trasformazione dell'ambiente. Occorre che a mano che si sviluppano 
  nei lavoratori il senso di ribellione contro le ingiuste e inutili sofferenze 
  di cui sono vittime, ed il desiderio di migliorare le loro condizioni, essi, 
  uniti e solidali tra loro, lottino per il conseguimento di quel che desiderano.
  E noi, e come anarchici e come lavoratori, dobbiamo provocarli ed incoraggiarli 
  alla lotta e lottare con loro.
  Ma sono possibili, in regime capitalistico, questi miglioramenti? Sono essi 
  utili, dal punto di vista della futura emancipazione integrale dei lavoratori?
  Qualunque siano i risultati pratici della lotta per i miglioramenti immediati, 
  l'utilità principale sta nella lotta stessa. Con essa gli operai imparano 
  che il padrone ha interessi opposti a loro e che essi non possono migliorare 
  le loro condizioni, ed anche meno emanciparsi, se non unendosi e diventando 
  più forti dei padroni. Se riescono ad ottenere quello che vogliono, staranno 
  meglio, guadagneranno di più, lavoreranno di meno, avranno più 
  tempo e più forza per riflettere alle cose che loro interessano, e sentiranno 
  subito desideri maggiori, bisogni maggiori. se non riescono, saran condotti 
  a studiare le cause dell'insuccesso ed a riconoscere la necessità di 
  maggiore energia, e comprenderanno infine che a vincere sicuramente e definitivamente 
  occorre distruggere il capitalismo. La causa della rivoluzione, la causa dell'elevamento 
  morale del lavoratore e della sua emancipazione non possono che guadagnare dal 
  fatto che i lavoratori si uniscono e lottano per i loro interessi.
  Ma, ancora una volta, è possibile che i lavoratori riescano, nell'attuale 
  stato di cose, a migliorare realmente le loro condizioni?
  Ciò dipende dal concorso di una infinità di circostanze.
  Malgrado ciò che dicono alcuni, non esiste una legge naturale (legge 
  dei salari), la quale determina la parte che va al lavoratore sul prodotto del 
  suo lavoro, o se legge si vuol formulare, essa non potrebbe essere che questa: 
  il salario non può scendere normalmente al disotto di quel tanto da non 
  lasciare nessun profitto al padrone.
  E' chiaro che nel primo caso gli operai morrebbero e quindi non riscuoterebbero 
  più salario, e nel secondo i padroni cesserebbero dal far lavorare e 
  quindi non pagherebbero più salari. Ma tra questi due estremi impossibili 
  vi sono una infinità di gradi, che vanno dalle condizioni miserabili 
  di molti lavoratori agricoli, fino a quelle quasi decenti degli operai dei buoni 
  mestieri nelle grandi città.
  Il salario, la lunghezza della giornata e tutte le altre condizioni del lavoro 
  sono il risultato della lotta tra padroni e lavoranti. Quelli cercano di dare 
  ai lavoranti il meno che possono e di farli lavorare fino ad esaurimento completo, 
  questi cercano, o dovrebbero cercare, di lavorare meno e guadagnare il più 
  che possono. Dove i lavoratori si contentano di tutto, o, anche essendo scontenti, 
  non sanno opporre valida resistenza ai padroni, sono presto ridotti a condizioni 
  animalesche di vita, dove invece essi hanno un concetto alquanto elevato del 
  modo come dovrebbero vivere gli esseri umani, e sanno unirsi e, mediante il 
  rifiuto di lavoro e la minaccia latente o esplicita di rivolta, imporre rispetto 
  ai padroni, là essi sono trattati in modo relativamente sopportabile. 
  In modo che può dirsi che il salario dentro certi limiti, è quello 
  che l'operaio (non come individuo, s'intende, ma come classe) pretende.
  Lottando dunque, resistendo contro i padroni, i lavoratori possono impedire, 
  fino ad un certo punto, che le loro condizioni peggiorino ed anche ottenere 
  dei miglioramenti reali. E la storia del movimento operaio ha già dimostrato 
  questa verità.
  Bisogna però non esagerarsi la portata di questa lotta combattuta tra 
  operai e padroni sul terreno esclusivamente economico. i padroni possono cedere, 
  e spesso credono innanzi alle esigenze operaie energicamente espresse, fino 
  a quando non si tratti di pretese troppo grosse; ma quando gli operai incominciassero 
  (ed è urgente che incomincino) a pretendere un tale trattamento che assorbirebbe 
  un'espropriazione indiretta, è certo che i padroni farebbero appello 
  al governo e cercherebbero di costringere colla violenza gli operai a restare 
  nella loro posizione di schiavi salariati.
  Ed anche prima, ben prima che gli operai possano pretendere di ricevere in compenso 
  del loro lavoro l'equivalente di tutto ciò che han prodotto, la lotta 
  economica diventa impotente a continuare a produrre il miglioramento delle condizioni 
  dei lavoratori.
  Gli operai producono tutto e senza di loro non si può vivere; quindi 
  sembrerebbe che rifiutando il lavoro essi potessero imporre tutto ciò 
  che vogliono. Ma l'unione di tutti i lavoratori, anche di un sol mestiere, anche 
  di un sol paese, è difficile ad ottenere, ed all'unione degli operai 
  si oppone l'unione dei padroni. Gli operai vivono alla giornata e, se non lavorano, 
  presto mancano di pane, mentre i padroni dispongono, mediante il denaro, di 
  tutti i prodotti già accumulati, e quindi possono tranquillamente aspettare 
  che la fame abbia ridotti a discrezione i loro salariati. L'invenzione o l'introduzione 
  di nuove macchine rende inutile l'opera di un gran numero di operai ed accresce 
  il grande esercito dei disoccupati, che la fame costringe a vendersi a qualunque 
  condizione. L'immigrazione apporta subito nei paesi dove gli operai riescono 
  a star meglio, delle folle di lavoratori famelici che, volendo o no, offrono 
  ai padroni il modo di ribassare i salari. E tutti questi fatti, derivanti necessariamente 
  dal sistema capitalistico, riescono a controbilanciare il progresso della coscienza 
  e della solidarietà operaia: spesso camminano più rapidamente 
  di questo progresso e lo arrestano e lo distruggono. Ed in tutti i casi resta 
  sempre il fatto primordiale che la produzione, in sistema capitalistico, è 
  non già per soddisfare, come sarebbe naturale, nel miglior modo possibile, 
  i bisogni dei lavoratori. Quindi il disordine, lo sciupìo delle forze 
  umane, la scarsezza voluta dei prodotti, i lavori inutili e dannosi, la disoccupazione, 
  le terre incolte, il poco uso delle macchine, ecc., tutti mali che non si possono 
  evitare se non levando ai capitalisti il possesso dei mezzi di lavoro e quindi 
  la direzione della produzione.
  Presto dunque si presenta per gli operai, che intendono emanciparsi o anche 
  solo di migliorare seriamente le loro condizioni, la necessità di difendersi 
  contro il governo, la necessità di attaccare il governo, il quale, legittimando 
  il diritto di proprietà e sostenendolo colla forza brutale, costituisce 
  una barriera innanzi al progresso, che bisogna abbattere colla forza se non 
  si vuole restare indefinitivamente nello stato attuale o peggio.
  Dalla lotta economica bisogna passare alla lotta politica, cioè alla 
  lotta contro il governo; ed invece di opporre ai milioni di capitalisti gli 
  scarsi centesimi a stento accumulati dagli operai, bisogna opporre ai fucili 
  ed ai cannoni, che difendono la proprietà, quei mezzi migliori che il 
  popolo potrà trovare per vincere la forza con la forza.
LA LOTTA POLITICA
Per la lotta politica intendiamo la lotta contro il governo. 
  Governo è l'insieme di quegl'individui che detengono il potere, comunque 
  acquistato, di far legge ed imporla ai governai, cioé al pubblico.
  Conseguenza dello spirito di dominio e della violenza con cui alcuni uomini 
  si sono imposti agli altri, esso è nello stesso tempo creatore e creatura 
  del privilegio e suo difensore naturale.
  Erroneamente si dice che il governo compie oggi la funzione di difensore del 
  capitalismo, ma che abolito il capitalismo esso diventerebbe rappresentante 
  e gerente degli interessi generali. Prima di tutto il capitalismo non si potrà 
  distruggere se non quando i lavoratori, cacciato il governo, prendano possesso 
  della ricchezza sociale ed organizzino la produzione ed il consumo nell'interesse 
  di tutti, da loro stessi, senza aspettare l'opera di un governo il quale, anche 
  a volerlo, non sarebbe capace di farlo.
  Ma v'è di più: se il capitalismo fosse distrutto e si lasciasse 
  sussistere un governo, questo, mediante la concessione di ogni sorta di privilegi, 
  lo creerebbe di nuovo poiché, non potendo contentar tutti, avrebbe bisogno 
  di una classe economicamente potente che lo appoggi in cambio della protezione 
  legale e materiale che ne riceve.
  Per conseguenza, non si può abolire il privilegio e stabilire solidamente 
  e definitivamente la libertà e la uguaglianza sociale se non abolendo 
  il governo, non questo o quel governo, ma l'istituzione stessa del governo.
  Però in questo, come in tutti i fatti d'interesse generale, più 
  che in qualunque altro, occorre il consenso della generalità, e perciò 
  dobbiamo sforzarci di persuadere la gente che il governo è inutile e 
  dannoso, e che si può vivere meglio senza governo.
  Ma, come abbiamo già ripetuto, la sola propaganda è impotente 
  a convincere tutti e se noi volessimo limitarci solo a predicare contro il governo, 
  aspettando, altrimenti inerti, il giorno in cui il pubblico sarà convinto 
  della possibilità ed utilità di abolire completamente ogni specie 
  di governo, quel giorno non verrebbe mai.
  Sempre predicando contro ogni specie di governo, sempre reclamando la libertà 
  integrale, noi dobbiamo favorire tutte le lotte per le libertà parziali, 
  convinti che nella lotta s'impara a lottare, e che incominciando a gustare un 
  po' di libertà si finisce col volerla tutta. Noi dobbiamo sempre essere 
  col popolo, e quando non riusciamo a fargli pretender molto, cercare che almeno 
  cominci a pretender qualche cosa, e dobbiamo sforzarci perché apprenda, 
  poco o molto che voglia, a volerlo conquistare da sé, e tenga in odio 
  ed in disprezzo chiunque sta o vuole andare al governo.
  Poiché il governo tiene oggi il potere di regolare, mediante le leggi, 
  la vita sociale ed allargare o restringere la libertà dei cittadini, 
  noi non potendo ancora strappargli questo potere, dobbiamo cercare di diminuirglielo 
  e di obbligarlo a farne l'uso meno dannoso possibile. Ma questo lo dobbiamo 
  fare stando sempre fuori e contro il governo, premendo su di lui mediante l'agitazione 
  della piazza, minacciando di prendere per forza quello che si reclama. Mai dobbiamo 
  accettare una qualsiasi funzione legislativa, sia essa generale o locale, poiché 
  facendo così diminuiremmo l'efficacia della nostra azione e tradiremmo 
  l'avvenire della nostra causa.
  La lotta contro il governo si risolve, in ultima analisi, in lotta fisica, materiale.
  il governo fa legge. Esso dunque deve avere una forza materiale (esercito e 
  polizia) per imporre la legge, poiché altrimenti non vi ubbidirebbe che 
  chi vuole ed essa non sarebbe più legge, ma una semplice proposta che 
  ciascuno è libero di accettare e di respingere. Ed i governi questa forza 
  l'hanno, e se ne servono per potere con leggi fortificare il loro dominio e 
  fare gl'interessi delle classi privilegiate, opprimendo e sfruttando i lavoratori.
  limite all'oppressione del governo è la forza che il popolo si mostra 
  capace di opporgli.
  Vi può essere conflitto aperto o latente, ma conflitto v'è sempre, 
  poiché il governo non si arresta innanzi al malcontento ed alla resistenza 
  popolare se non quando sente il pericolo dell'insurrezione.
  Quando il popolo sottostà docilmente alla legge, o la protesta è 
  debole e platonica, il governo fa i comodi suoi senza curarsi dei bisogni popolari, 
  quando la protesta diventa viva, insistente, minacciosa, il governo, secondo 
  che è più o meno illuminato, cede o reprime. Ma sempre si arriva 
  all'insurrezione, perché se il governo non cede, il popolo finisce col 
  ribellarsi, e se il governo cede, il popolo acquista fiducia in sé e 
  pretende sempre di più, fino a che l'incompatibilità tra libertà 
  e l'autorità diventa evidente e scoppia il conflitto violento.
  E' necessario dunque prepararsi moralmente e materialmente perché lo 
  scoppio della lotta violenta la vittoria resti al popolo.
  L'insurrezione vittoriosa è il fatto più efficace per l'emancipazione 
  popolare, poiché il popolo, scosso dal giogo, diventa libero di darsi 
  quelle istituzioni che egli crede migliori, e la distanza che passa tra la legge, 
  sempre in ritardo, ed il grado di civiltà a cui è arrivata la 
  massa della popolazione, è varcata d'un salto. L'insurrezione determina 
  la rivoluzione, cioè il rapido attuarsi delle forze latenti accumulate 
  durante la precedente evoluzione.
  Tutto sta in ciò che il popolo è capace di volere.
  Nelle insurrezioni passate il popolo, inconscio delle ragioni vere dei suoi 
  mali, ha voluto sempre molto poco, e molto poco ha conseguito.
  Che cosa vorrà nella prossima insurrezione?
  Ciò che dipende in parte dalla nostra propaganda e dall'energia che noi 
  sapremo spiegare.
  Noi dovremo spingere il popolo ad espropriare i proprietari e mettere in comune 
  la roba, ed organizzare la vita sociale da sé stesso, mediante associazioni 
  liberamente costituite, senza aspettare gli ordini di nessuno e rifiutando di 
  nominare o riconoscere qualsiasi governo, qualsiasi corpo costituito, che sotto 
  un nome qualunque (costituente, dittatura, ecc...) si attribuisca, sia pure 
  a titolo provvisorio, il diritto di far legge ed imporre agli altri colla forza 
  la propria volontà.
  E se la massa del popolo non risponderà all'appello nostro, noi dovremo 
  - in nome del diritto che abbiamo di esser liberi anche se gli altri vogliono 
  restare schiavi e per l'efficacia dell'esempio - attuare da noi quanto più 
  potremo delle nostre idee, e non riconoscere il nuovo governo, e mantener viva 
  la resistenza, e far sì che le località dove le nostre idee saranno 
  simpaticamente accolte si costituiscano in comunanze anarchiche, respingano 
  ogni ingerenza governativa, stabiliscano libere relazioni con le altre località 
  e pretendano di vivere a modo loro.
  Noi dovremo, soprattutto, opporci con tutti i mezzi alla ricostituzione della 
  polizia e dell'esercito, e profittare dell'occasione propizia per eccitare i 
  lavoratori delle località non anarchiche e profittare della mancanza 
  di forza repressiva per imporre quelle maggiori pretese che a noi riesca d'indurli 
  ad avere.
  E comunque vadano le cose, continuare sempre a lottare, senza un'istante di 
  interruzione, contro i proprietari e contro i governanti, avendo sempre in vista 
  l'emancipazione completa, economica, politica e morale, di tutta quanta l'umanità.
CONCLUSIONE
Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo 
  sfruttamento dell'uomo sull'uomo; noi volgiamo che gli uomini, affratellati 
  da una solidarietà cosciente e voluta, cooperino tutti volontariamente 
  al benessere di tutti; noi volgiamo che la società sia costituita allo 
  scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo 
  possibile sviluppo morale e materiale; noi volgiamo per tutti pane, libertà, 
  amore, scienza.
  E per raggiungere questo scopo supremo noi crediamo necessario che i mezzi di 
  produzione siano a disposizione di tutti, e che nessun uomo, o gruppo di uomini 
  possa obbligare gli altri a sottostare alla sua volontà né esercitare 
  la sua influenza altrimenti che con la forza della ragione e dell'esempio.
  Dunque: espropriazione dei detentori del suolo e del capitale a vantaggio di 
  tutti ed abolizione del governo.
  Ed aspettando che questo si possa fare: propaganda dell'ideale, organizzazione 
  delle forze popolari, lotta continua, pacifica o violenta secondo le circostanze, 
  contro il governo e contro i proprietari, per conquistare quanto più 
  si può di libertà e di benessere per tutti.