Biblioteca Multimediale Marxista


La condizione dei giovani in Italia e i compiti del PMLI sul fronte giovanile


Sommario: I giovani sono una classe? I giovani nella lotta di classe La disoccupazione giovanile Gli studenti Il servizio militare I minori I giovani nel meridione Nelle periferie urbane La droga I suicidi L'amore e il sesso La musica I giovani e i partiti Il volontariato Le nostre proposte I compiti dei marxisti-leninisti

I problemi delle masse giovanili italiane sono stati, sono e sempre saranno al centro dei pensieri, delle premure e dell'azione politica del PMLI. Lo dimostrano i significativi sforzi che il nostro Partito senza soluzione di continuità ha compiuto in campo giovanile attraverso l'elaborazione e la propaganda di importanti documenti relativi alla condizione giovanile e il lavoro di massa sul fronte giovanile che è stato possibile svolgere in base alle nostre forze concrete.

Tra gli altri atti, ricordiamo l'Appello ai giovani rivoluzionari del 9 febbraio 1978, la giornata di studio della linea del PCI e della FGCI sui giovani del 15 dicembre 1984, il Documento sulla riforma della scuola media superiore del 1° Maggio 1986, il Documento per il decennale del Settantasette del 17/2/87, il Documento per il ventennale del Sessantotto del 14/12/88, le Commemorazioni pubbliche di Mao dedicate ai giovani nel 1982 e 1988, l'Appello alle ragazze e ai ragazzi dell'8 Marzo 1989, il saluto alle ``Pantere'' universitarie del 20 febbraio 1990. Un posto particolare occupano le parti dedicate ai giovani nei Rapporti dell'Ufficio politico ai tre Congressi nazionali del PMLI.

In tutti questi documenti sono concentrate le nostre idee e proposte strategiche e politiche, fatte circolare al massimo dagli ammirevoli militanti del PMLI nelle scuole, nelle Università, nei luoghi di lavoro, nelle periferie urbane e nelle manifestazioni giovanili di massa.

Vanno inoltre ricordate le esperienze nel lavoro di massa realizzate dal Partito tra l'82 e l'85 attraverso il Comitato dei giovani dell'Isolotto, Argingrosso, Le Torri, Legnaia e Soffiano di Firenze e il Comitato ``6 Ottobre'' dei giovani di Firenze sui temi rispettivamente dell'emarginazione e della disoccupazione giovanile e della lotta per la pace e contro la guerra imperialista.

E' giunto ora il momento, visto che sono finalmente maturate le condizioni soggettive, di analizzare attentamente l'attuale situazione della gioventù italiana, allo scopo di avere una visione generale e collettiva del problema e di stabilire i compiti principali del PMLI sul fronte giovanile.

Soffriamo nel vedere la gioventù italiana costretta dalla classe dominante borghese e dal suo governo Amato a vivere in disumane e intollerabili condizioni economiche e sociali, sfruttata, oppressa e subalterna al sistema capitalistico.

Soffriamo nel vedere la gioventù in balia del regime neofascista e delle cosche parlamentari. Un regime spietato coi giovani, coi lavoratori, con le masse popolari e il Mezzogiorno, ai quali fa pagare interamente l'alto prezzo della recessione che attanaglia l'economia mondiale capitalistica e l'adeguamento di quella italiana alle direttive varate a Maastricht.

Questa situazione richiederebbe uno sviluppo sempre più impetuoso della lotta di classe, invece, salvo alcuni bagliori, si deve registrare che essa segna ancora il passo e comunque non è diretta contro il dominio del capitalismo, dell'imperialismo e del neocolonialismo per abbatterlo.

La forte ribellione operaia e popolare alla maxistangata da 93 mila miliardi e alla legge finanziaria '93 del governo neofascista e affamatore del popolo Amato, ha squarciato per un po' le fosche nubi, ma non ha saputo far cadere il governo e fargli ingoiare i provvedimenti antipopolari. Questo a causa dei sindacalisti collaborazionisti che hanno gettato acqua sul fuoco e frantumato, deviato e bloccato il grandioso movimento di lotta che era improvvisamente esploso con tanta forza e determinazione.

Avanguardie di studenti hanno partecipato a questa lotta, ``assaggiando'' la violenza reazionaria delle ``forze dell'ordine'', come è accaduto a Roma lo scorso 2 ottobre. Una fiammella che si è accesa e però subito rispenta, a dimostrazione che la lotta di classe non ha uno sviluppo adeguato alle necessità del momento poiché la voce e l'influenza borghese e controrivoluzionaria del PDS e del PRC risultano tuttora troppo forti rispetto a quelle proletarie rivoluzionarie del PMLI.

La gioventù, rileva Mao, costituisce ``la forza più attiva e vitale della società''. Questa verità è ben conosciuta sia dal proletariato che dalla borghesia, e ciascuna di queste due classi fa di tutto per utilizzare ai propri fini la forza e la vitalità dei giovani.

I giovani rappresentano la perpetuazione di una nazione e ogni classe della stessa nazione tende a stringere a sé la gioventù. Il proletariato ricerca l'appoggio attivo dei giovani per scardinare e abbattere il vecchio mondo e costruirne uno interamente nuovo, mentre la borghesia vuole con sé i giovani per conservare il suo dominio sul proletariato e le masse lavoratrici. Perciò la lotta per l'egemonia dei giovani è un elemento centrale della lotta di classe fra il proletariato e la borghesia. Dagli esiti di questa lotta dipende in ultima analisi l'avanzata della rivoluzione e del socialismo o della controrivoluzione e del capitalismo.

Temporaneamente il piatto della bilancia pende dalla parte della borghesia, delle sue istituzioni e dei suoi governi centrale e locali, delle cosche parlamentari, di chi nega e sabota la lotta di classe. Riflettendo da materialisti sappiamo però che prima o poi le cose cambieranno e che il piatto della bilancia penderà dalla parte del proletariato. E' solo questione di tempo. In larga misura dipenderà dallo sviluppo e dal radicamento del PMLI su scala nazionale.

Le masse giovanili non potranno certo rimanere in eterno nel riflusso in cui sono state costrette dai revisionisti e dai neorevisionisti. A un certo punto prima o poi si risveglieranno e riprenderanno il cammino da dove l'hanno interrotto, con una maggiore consapevolezza ed esperienza. Spetta ai marxisti-leninisti riportare i giovani alla ribalta della lotta contro il capitalismo e per il socialismo.

I - LA COLLOCAZIONE DI CLASSE DEI GIOVANI

I giovani non costituiscono né una classe, né un gruppo sociale omogeneo. I giovani nel loro insieme costituiscono un gruppo sociale composito ed eterogeneo, profondamente diviso al suo interno in base all'origine di classe e all'appartenenza politica dei suoi vari settori.

La collocazione di classe infatti è determinata dal rapporto che si ha coi mezzi di produzione e a seconda della divisione del lavoro e della gerarchia che si generano nella produzione sociale. Nel caso dei giovani studenti non vi è alcun tipo di rapporto con i mezzi di produzione, nel caso dei giovani lavoratori il rapporto è di diversi tipi, poiché vi sono giovani operai, impiegati, tecnici, ecc.

L'appartenenza allo stesso gruppo generazionale - così come l'appartenenza allo stesso sesso o l'avere lo stesso colore della pelle - non determina affatto una collocazione automatica nella stessa classe sociale. Avere la stessa età è del tutto secondario rispetto alla collocazione e alla divisione di classe.

L'esperienza dimostra che non tutti i giovani sono accomunati dagli stessi interessi, problemi ed esigenze, a parte quelli propri dell'età. Non tutti sono coinvolti in egual misura nelle battaglie di classe generali e in quelle per i problemi specifici della condizione giovanile. Questo perché all'interno della gioventù si riflettono le classi, le contraddizioni di classe e la lotta di classe.

In ogni caso i giovani si dividono in sinistra, centro e destra, siano essi studenti, operai, disoccupati, sottoproletari, piccolo-borghesi e finanche borghesi. La nostra attenzione, ovviamente, va in primo luogo ai giovani di sinistra. Sia perché essi costituiscono la nostra base giovanile naturale, sia perché solo attraverso loro possiamo conquistare il centro, o parte di esso, e isolare e battere la destra giovanile.

A causa della devastazione ideologica e politica operata dai revisionisti e dai neorevisionisti, la gioventù di sinistra non si presenta più con gli stessi caratteri rivoluzionari di ieri, almeno per quanto riguarda l'attaccamento al socialismo e ai grandi maestri del proletariato internazionale di cui ha perso persino memoria. Ciò nonostante è ancora viva in essa l'avversione verso le ingiustizie sociali, il fascismo, l'imperialismo, il colonialismo e il razzismo. Su ciò bisogna far leva al fine di elevare la sua coscienza e combattività politiche, sicuri che saprà ripetere le epiche gesta delle generazioni passate e appena precedenti.

Naturalmente nell'ambito della gioventù di sinistra, gli interlocutori principali e privilegiati dal PMLI sono i giovani operai e braccianti, apprendisti o meno. Intorno a loro dobbiamo considerare i disoccupati e i giovani in cerca di prima occupazione, poi i giovani lavoratori occupati anche attraverso i ``contratti di formazione e lavoro''. Quindi gli studenti di origine proletaria e i figli dei lavoratori a basso e medio reddito, poi i giovani sottoproletari della periferia urbana, infine i giovani emarginati (handicappati e consumatori di droghe, per esempio).

Solo se riusciremo a radicarci nella gioventù di sinistra avremo la possibilità di farci largo nel grande mare della gioventù.

Dal momento che il nostro Partito è il partito della classe operaia, i problemi della parte giovanile del proletariato devono essere messi al primo posto in assoluto nel lavoro giovanile del PMLI. La classe operaia è la nostra stessa classe, è la classe di cui siamo al servizio, per la quale ci sacrifichiamo e per la quale rivendichiamo l'emancipazione. E' la classe guida e regina del nostro Partito, della lotta di classe e della rivoluzione socialista. E' la classe guida e regina della dittatura del proletariato e del socialismo.

Non rifiutiamo di lavorare fra i giovani sottoproletari e piccolo-borghesi, ma sarebbe un errore mortale spostare l'asse centrale della nostra attività politica e delle nostre attenzioni e premure dai giovani operai e braccianti ad altri settori giovanili diversi dal proletariato. E' una scelta di fondo che determina la linea e l'orientamento strategico, politico e pratico del Partito verso i giovani lavoratori e studenti.

Ci sono due strade parallele, e quindi orientate verso le stesse coordinate strategiche, per arrivare ad assolvere questo nostro compito. La prima è quella di sviluppare fino in fondo il nostro lavoro sindacale, dando spazio in esso ai problemi dei giovani operai, lavoratori e disoccupati. La seconda è quella di sviluppare il lavoro giovanile in quanto tale concentrandoci nel mondo studentesco, da dove passano inevitabilmente i figli del proletariato e da dove escono anche i futuri proletari. Ma di questo tratteremo più avanti.

II - I GIOVANI E LA LOTTA DI CLASSE IN ITALIA

La storia della partecipazione dei giovani alla lotta di classe in Italia nel secondo dopoguerra può essere divisa in tre fasi.

La prima fase, durata fino al 1977, ha avuto un carattere rivoluzionario poiché era forte e incessante l'influenza del socialismo e della lotta per il socialismo. Ciò dipendeva soprattutto dall'opera degli ultimi due grandi maestri del proletariato internazionale, Stalin e Mao, sia riguardo alla costruzione del socialismo in Urss e in Cina, sia riguardo alla lotta anticapitalista, antimperialista e antifascista su scala mondiale.

La seconda fase, durata dal 1978 al 1990, possiamo definirla intermedia poiché costituisce un passaggio tra la fase rivoluzionaria e quella attuale riformista. Infatti proprio in questo periodo nella gioventù di sinistra cominciano a farsi strada le influenze democratico-borghesi e riformiste, anche se ancora contrastate da spinte anticapitalistiche e antimperialiste.

La terza fase, iniziata a fine 1990 e tuttora in corso, ha un carattere riformista poiché è netta l'influenza della classe dominante borghese sui giovani, specie dopo la ignominiosa capitolazione dei partiti e dei regimi revisionisti che hanno consegnato l'Urss e i paesi dell'Est alla borghesia e al capitalismo e sono passati armi e bagagli nel campo capitalista e imperialista.

LA FASE RIVOLUZIONARIA

Nei primi anni del secondo dopoguerra i giovani contribuiscono alle lotte operaie e contadine, ma è nel 1960 che essi assurgono a grandi protagonisti della lotta di classe.

La Rivolta antifascista del luglio '60 rappresenta una delle pagine più gloriose della storia del proletariato e del movimento giovanile. I giovani dalle ``magliette a strisce'', prevalentemente operai e figli di operai e del popolo, si oppongono al governo clerico-fascista Tambroni e al tentativo del MSI di rialzare la testa. Si battono con coraggio nelle piazze affrontando la battaglia con le ``forze dell'ordine'', denunciano a fondo e combattono con tutti i mezzi, anche con la violenza di massa, il regime capitalistico. Viene posto all'ordine del giorno il socialismo, si va ben al di là delle posizioni espresse dal vertice revisionista del PCI che tende a frenare la carica rivoluzionaria della Rivolta.

I giovani e la classe operaia ingaggiano una memorabile battaglia antifascista di massa che nel giro di pochi giorni, sia pure a prezzo di un numero alto di vite umane falciate dalla polizia, riesce a ottenere la vittoria e a buttare giù il governo della reazione guidato dal DC Tambroni.

I giovani ritornano grandi protagonisti nella Grande Rivolta del Sessantotto che rappresenta il più grande avvenimento della storia della lotta di classe del dopoguerra in Italia. Non fu una fiammata di un giorno o di un mese, ma una Grande Rivolta studentesca, operaia e popolare che sprigionò la sua massima forza nel quadriennio di fuoco che va dal '67 al '70 e i cui ultimi bagliori arrivano fino al '74-'75.

Vengono al pettine antichi e nuovi nodi sociali e politici, esplodono con violenza inaudita le contraddizioni tra il proletariato e la borghesia, tra il capitale e il lavoro, anche se la scintilla parte dal movimento studentesco ed è questo a sostenere l'urto maggiore dello scontro di classe.

Il Sessantotto ha un carattere chiaramente rivoluzionario, antimperialista, anticapitalista, antifascista, antistituzionale e antirevisionista, sia pure con delle differenziazioni, delle particolarità e delle tonalità diverse tra movimento studentesco e movimento operaio e popolare. Anche sulla base della spinta e dell'influenza della Grande rivoluzione culturale proletaria cinese guidata da Mao, le masse si ribellano al capitalismo e al revisionismo moderno, impersonato dai dirigenti del PCI che negano il marxismo-leninismo, la lotta di classe, la rivoluzione e il socialismo.

La Grande Rivolta del Sessantotto segna l'irrompere delle masse studentesche nell'arena politica su posizioni di sinistra, rivoluzionarie. Per la prima volta dal dopoguerra, a livello di massa, gli studenti si rivoltano contro la scuola borghese, il governo e l'intero ordinamento capitalistico. Nel luglio '60 solo delle avanguardie studentesche si erano battute in piazza contro Tambroni. Ora scendeva in lotta la stragrande maggioranza degli studenti attivi.

In precedenza il movimento studentesco era un serbatoio, una riserva della reazione e dei fascisti. La nuova esaltante situazione è il riflesso dell'ingresso nell'Università e nelle scuole medie-superiori dei figli delle masse popolari, e ancor più delle contraddizioni interne nel Paese e dell'avanzata del socialismo e della rivoluzione nel mondo.

Come mai era accaduto nel passato, un'intera generazione di giovani diventa soggetto politico, attore e protagonista del più grande sconvolgimento sociale dell'Italia repubblicana.

La piazza e la rivolta non sono più prerogative dei soli uomini. Le studentesse, rompendo il secolare cordone ombelicale con la famiglia e con ogni idea, pregiudizio e subalternità antifemminile, prendono in pugno il loro destino e si affiancano ai ragazzi nella lotta conquistando nella pratica la parità dei sessi, ancor prima di vederla tradotta, sia pure in parte, nelle leggi dello Stato.

La partecipazione in massa delle ragazze alla lotta di classe sferra una spallata decisiva ai vecchi e retrogradi rapporti familiari, di coppia e interpersonali, ai tabù sessuali e all'immagine feudale e borghese della donna madonna, madre, sposa, vergine e casalinga, e avvia un grande movimento di lotta per la soppressione di ogni forma di subalternità della donna nella scuola, nel lavoro, nella società, nella famiglia e nella politica.

Il femminismo solo in un secondo tempo - per l'accondiscendere del PCI e per i gravi errori degli ``ultrasinistri'' - riuscirà a corrompere la coscienza della maggioranza di queste nuove e fresche energie rivoluzionarie facendole deviare verso lidi - il separatismo e la ``differenza sessuale'' - che allontanano le masse delle donne dalla via classica e comprovata dell'emancipazione femminile. Al suo posto hanno ripreso campo vecchie concezioni retrograde e antifemminili sulla maternità, la famiglia, il matrimonio, la casalinghità, e persino vecchi tabù sessuali come la verginità, riscoperte e sostenute oggi dal femminismo targato PDS e PRC in perfetta sintonia con la propaganda martellante di DC e Chiesa cattolica.

Il Sessantotto è stato un duro e violento conflitto di classe che ha lasciato dietro di sé una scia di sangue, incarcerazioni, processi, persecuzioni giudiziarie e poliziesche e licenziamenti che ancora oggi gridano giustizia. Non sfuggono alla repressione né "Il Bolscevico", né il compagno Giovanni Scuderi personalmente.

Solo alla lunga i revisionisti fecero rifluire la lunga ondata del Sessantotto, dopo aver lavorato ai fianchi e in modo subdolo per riprendere il controllo del movimento studentesco, depotenziandone la carica rivoluzionaria e riconducendolo gradualmente nell'alveo parlamentare, istituzionale e costituzionale.

Anche gli ``ultrasinistri'' fecero la loro parte con un'influenza nefasta che finì coll'impedire che i rivoluzionari autentici si riunissero inun solo Partito marxista-leninista, che le masse si avvalessero dell'esperienza storica del proletariato internazionale; che il marxismo-leninismo-pensiero di Mao fosse il pensiero guida del Sessantotto e che i movimenti di lotta esprimessero fino in fondo e correttamente tutta la loro carica rivoluzionaria.

Fu in questo periodo che iniziò, grazie ai primi 4 pionieri del Partito, la gestazione del PMLI.

Dieci anni dopo, nel '77, i giovani scendono di nuovo in campo in un'epica lotta anticapitalista.

L'ondata del Settantasette è stata meno lunga di quella del Sessantotto e il suo respiro ideale più corto, ma il segno che ha lasciato nella storia non è meno importante e profondo. Insieme al Sessanta e al Sessantotto costituisce un punto di riferimento, un passaggio, un salto di qualità della lotta di classe in Italia e della maturazione delle coscienze e dell'attività rivoluzionaria delle masse. Rappresenta una pietra miliare della storia del movimento operaio e giovanile italiano. Anche se non fu un movimento proletario, a composizione e direzione proletaria, il movimento del Settantasette non può che appartenere a questa storia perché il suo attacco politico e frontale fu rivolto contro il governo, le istituzioni, le Forze armate borghesi e l'intero sistema capitalistico e non solo contro i baroni universitari.

Il Settantasette è una stagione di lotta intensissima che attraversa l'intero Paese. Esso dà la spinta finale alla Fondazione del PMLI. Il movimento esplode nel momento in cui si faceva particolarmente acuta la disoccupazione giovanile, si avvertivano i primi sintomi della restaurazione scolastica dopo il Sessantotto e cominciavano a cadere le illusioni sui reali natura e scopi della direzione del PCI. La lotta è contro il governo e il ministro della Pubblica Istruzione Malfatti, ma forte è anche l'accanimento contro i riformisti e i revisionisti: per tutti ne fa le spese Luciano Lama, segretario generale della Cgil. Il 17 febbraio viene cacciato dagli studenti dell'Università di Roma dove si era recato per tenere un comizio con l'obiettivo di far desistere e quindi rifluire il movimento.

Il 12 marzo per le strade della capitale, assediata dalla polizia di Cossiga, sfilarono 100 mila giovani, presenti alcuni Fondatori del PMLI.

Dalla grande battaglia del Settantasette scaturiscono i seguenti insegnamenti: 1) Solo la lotta di massa anticapitalistica incide nella realtà sociale e muove in avanti la ruota della storia. 2) Il riformismo e il pacifismo frenano e sabotano lo slancio rivoluzionario delle masse. 3) L'ultrasinistrismo, l'avventurismo e il terrorismo frantumano il movimento di massa e lo spingono al suicidio. 4) Senza un Partito rivoluzionario, senza una teoria rivoluzionaria e senza l'egemonia dei rivoluzionari non si può dare respiro strategico e una continuità alla lotta di massa e non c'è rivoluzione.

LA FASE INTERMEDIA

Chiusa col Settantasette la fase rivoluzionaria, all'inizio degli anni ottanta si avvia la fase intermedia della storia del movimento giovanile italiano. La destra revisionista, approfittando della situazione internazionale di estrema tensione tra gli Usa e l'Urss, riesce a spostare l'attenzione delle masse studentesche dalla lotta contro il capitalismo italiano per il socialismo alla lotta per la pace, non vissuta però su un piano antimperialista. Si coglie al balzo l'occasione per inoculare nei giovani a forti dosi il veleno dell'idealismo, del pacifismo e della non violenza.

Il movimento per la pace vede comunque i giovani in prima fila. A partire dal 27 settembre 1981 - dalla memorabile marcia dei 70 mila da Perugia ad Assisi - è un susseguirsi di manifestazioni di massa per la pace, contro la guerra e contro l'installazione dei missili nucleari in Italia. Le più grandi si svolgono a Roma (500 mila il 24 ottobre '81), a Comiso (oltre 100 mila il 4 aprile '82), Roma (300 mila il 5 giugno '82). A questi grandi appuntamenti nazionali è presente il PMLI che compie grandi sforzi per cercare di dare un carattere antimperialista al movimento per la pace.

Nell'83 il governo Craxi spinge l'Italia nell'avventura militare imperialista in Libano. A Firenze, sotto la spinta del PMLI che agisce attraverso alcuni organismi di massa da esso promossi, gli studenti e i giovani raccolgono migliaia di firme per chiedere il ritiro immediato dei militari italiani dal Libano. Ne scaturisce un movimento studentesco e giovanile che il 6 ottobre '83 porta in piazza ben 5.000 ragazze e ragazzi. E' un ``trionfo'' della linea politica antinterventista e della linea tattica e di fronte unito del nostro Partito. In seguito l'organismo di massa che raccoglie e indirizza la lotta dei giovani fiorentini - il Comitato ``6 Ottobre'' - porterà la sua protesta di piazza direttamente all'allora ministro della Difesa Spadolini e al presidente della Repubblica in carica Pertini.

Il 22 ottobre 1983 un milione di manifestanti invade Roma. Sono soprattutto giovani. Il PMLI è presente con una delegazione. E' l'apice della lotta popolare e giovanile contro le due superpotenze, i missili dell'imperialismo e le avventure militari di Craxi e Spadolini.

Dopo il ritiro italiano dal Libano gli studenti e i giovani di Firenze, sempre ispirati e diretti indirettamente dal PMLI, si lanciano nella lotta per la denuclearizzazione della città: il 24 novembre 1984 cinquemila studenti accompagnano con una grande e vivace manifestazione la consegna di 13 mila firme al sindaco del capoluogo toscano.

Quella del Comitato ``6 Ottobre'' rappresenta un'esperienza pilota del lavoro di massa giovanile e studentesco.

Durante le lotte per la pace e contro la guerra emerge una forte partecipazione dei giovanissimi, ragazze e ragazzi di 14-16 anni, che riempiono le piazze d'Italia. Tale estesa partecipazione troverà la sua consacrazione col movimento dei ``Ragazzi dell'85''. In questa occasione si verifica una vera e propria esplosione dei giovanissimi, con in testa le ragazze delle scuole medie superiori di tutto il Paese. Sono proprio le studentesse del II Liceo artistico di Milano a dare il via al risveglio studentesco. In questo movimento le ragazze svolgono un ruolo di avanguardia e di direzione insieme ai loro coetanei come mai era avvenuto a questo livello nel passato, aprendo così fra l'altro una nuova fase della cooperazione fra ragazze e ragazzi nella lotta per i propri comuni diritti. Questo nuovo ruolo delle ragazze nei movimenti di lotta verrà confermato e ulteriormente esteso nel movimento delle ``Pantere'' e delle ``Tigri'' del '90 allorché le studentesse dimostrano di aver maturato le loro capacità di analisi, elaborazione ed espressione politica e spiccate doti di direzione e organizzative al pari dei loro compagni uomini.

Quello dei ``Ragazzi dell'85'', diversamente dai movimenti del Sessanta, Sessantotto e Settantasette più direttamente e consapevolmente politici e contestativi del sistema capitalistico anche perché inseriti in una differente situazione politica nazionale e internazionale, è il primo grande movimento studentesco composto in prevalenza dagli studenti medi che oggettivamente e nei fatti muove una critica radicale alla politica scolastica, giovanile e sociale governativa.

Siamo di fronte a una novità politica di rilevante portata. Essa indica chiaramente che la maturazione politica dei giovani è più precoce del passato e che una moltitudine di giovani e giovanissimi hanno preso coscienza nella pratica che il governo e il sistema capitalistico non soddisfano i loro bisogni scolastici e sociali. Le lotte studentesche dimostrano pure che i giovani sono capaci di organizzarsi, mobilitarsi e battersi per la risoluzione dei loro problemi. Tanto che la saldatura ideale tra questo movimento e quelli precedenti avviene proprio su questa base, cioè della comune consapevolezza che niente ci viene regalato dall'alto e che ogni cosa di cui si ha bisogno e diritto si conquista solo con la lotta di massa.

Con i ``Ragazzi dell'85'' il rapporto studenti universitari-studenti medi è esattamente rovesciato rispetto al Sessantotto. Non è una ``rottura col passato'', ma il risultato di un lungo e complesso processo che ha differenziato la popolazione studentesca superiore e universitaria. Per esempio la scolarizzazione ha interessato solo marginalmente l'Università. La composizione sociale tuttora sbilanciata verso le classi medio-alte e le persistenti affinità con la categoria degli intellettuali privilegiano tra gli universitari un approccio alla lotta politica spiccatamente ideologico, più complesso e condizionato da una molteplicità di fattori sovrastrutturali.

Diversamente tra gli studenti medi notiamo un'attenzione maggiore alla politica concreta e una partecipazione più appassionata e assidua alla pratica e alle lotte sociali, vissuta da loro in prima persona in quanto figlie e figli di operai e lavoratori.

La rivendicazione dell'autonomia, insistentemente riproposta dai ``Ragazzi dell'85'', è tutt'altro che una novità ma ha rimbalzato in modo ricorrente di ondata in ondata giacché è l'unico mezzo a disposizione dei movimenti di massa per sfuggire alla presenza asfissiante dei partiti del palazzo e all'abbraccio mortale delle istituzioni. Autonomia in contrapposizione alla lottizzazione, autonomia intesa come indipendenza e non come apoliticità.

La fisionomia del movimento studentesco è cambiata per effetto di processi interni al pianeta scuola ma anche perché tra le nuove generazioni si è registrato un incessante e generalizzato abbassamento dell'età in cui ragione, socialità e protagonismo politico le catapultano al centro degli avvenimenti e della dialettica di classe che fanno la storia di un paese. Il nostro Partito ha saputo individuare per tempo e appoggiare con entusiasmo questa tendenza come un segno di maturità e di progresso.

I quattordici-diciottenni hanno dato gambe, cuore e cervello al movimento dei ``Ragazzi dell'85''. Sensibili a ogni tipo di sopraffazione e ingiustizia, vi si opposero anima e corpo.

Nell'85 gli studenti a una sola voce rivendicano il diritto allo studio, scuole, strutture e servizi adeguati, un insegnamento efficiente, scientifico e democratico, la cancellazione delle tasse scolastiche e universitarie imposte con la Finanziaria '86 e il lavoro. Una grande manifestazione nazionale dei giovani per il lavoro, cui partecipa anche il PMLI, si svolge a Napoli il 10 dicembre 1985.

Con tutte le sue forze il nostro Partito, laddove è presente, si batte per contendere l'egemonia del movimento agli opportunisti di destra, rappresentati da FGCI e DP, e agli opportunisti di ``sinistra'' rappresentati dai cosiddetti autonomi. Anche per questo una folta delegazione del Partito partecipa alla manifestazione nazionale studentesca del 16 novembre 1985 a Roma che in pratica conclude questa ondata di lotta di massa degli studenti.

Cinque anni dopo ritornano sulla scena gli universitari. Ma non più con la ``grinta'' e con parole d'ordine rivoluzionari come nel Sessantotto e nel Settantasette. Da Palermo prende corpo un movimento che coinvolge i principali atenei del Paese, in specie quelli meridionali.

Le studentesse e gli studenti si battono per respingere la controriforma del ministro PSI Ruberti che si incentra sulla privatizzazione mascherata delle Università, conformemente a quanto dettato dal ``piano di rinascita democratica'' di Gelli e della P2 che avanza in tutti i settori dello Stato.

E' la Rivolta delle ``Pantere'', dal nome del felino difficilmente afferrabile eletto a simbolo dagli studenti. Un esemplare era scappato nei pressi di Roma proprio in quei giorni. Le occupazioni degli atenei si susseguono, creando difficoltà al governo Andreotti-Craxi. Il movimento esprime nelle sue posizioni più avanzate degli elementi di lotta antifascista e antipiduista che sembrano preludere a grandi sviluppi, che poi però non ci saranno.

Anche gli studenti medi scendono in campo, con l'effigie della ``tigre''. Già il 3 febbraio '90 150 mila ``Pantere'' e ``Tigri'' assaltano Ruberti in una grande manifestazione nazionale a Roma. La lotta in pratica si concluderà con la manifestazione nazionale dei 100 mila a Napoli, svoltasi il 17 marzo.

Al suo interno il movimento è fortemente influenzato da PCI, DP, Orlando e il suo movimento, Verdi e ``autonomi'' che si mobilitano in vista delle elezioni amministrative in programma a maggio. Nonostante i grandi e generosi sforzi del PMLI, impegnato con tutte le sue forze con alla testa il Segretario generale del Partito, per sostenere e orientare gli studenti in lotta, specie in occasione dell'assemblea nazionale delle ``Pantere'' svoltasi a Firenze, il movimento finisce con l'arenarsi.

Ciò è dovuto essenzialmente al tradimento messo in atto dai dirigenti del PCI da un lato e dagli ``ultrasinistri'' dall'altro che, pur con diversi gradi di responsabilità, pugnalano alle spalle il movimento: lo dividono e lo sfiancano, riempiono la sua strada di una serie di trappole istituzionali, parlamentari, elettoralistiche, collaborazioniste e capitolazioniste.

Gli opportunisti di destra e di "sinistra'' hanno piano piano disarmato le masse studentesche, creato ad arte spaccature e frazioni, facendo in modo che la lotta non proseguisse nemmeno fino all'obiettivo minimo del ritiro dei progetti governativi. Strumentalmente costoro si sono occupati degli universitari al solo scopo di ottenere il loro voto nelle elezioni amministrative.

Cosicché la "Pantera'' non è riuscita a investire del problema la classe operaia e le masse in genere, a tenere ferme le gloriose occupazioni antifasciste delle facoltà e a dar vita a un Coordinamento nazionale strettamente legato alla realtà di base.

Negli studenti più combattivi non c'era la consapevolezza che con quel tipo di direzione e di strategia in ultima analisi subalterne a Ruberti non si poteva vincere. Non c'era la consapevolezza che il movimento doveva contare sulle proprie forze, che per svilupparsi doveva mettere in discussione l'intera istituzione universitaria borghese, il suo carattere di classe, la sua organizzazione e i suoi poteri, fino a rivendicare l governo studentesco dell'Università. Non c'era la consapevolezza che bisognava adottare una chiara strategia anticapitalista e usare tutti i metodi di lotta di massa necessari per raggiungere gli obiettivi.

LA FASE RIFORMISTA

La ``Pantera'' poteva facilmente aprire una nuova fase rivoluzionaria del movimento studentesco e giovanile se gli studenti avessero avuto la stessa coscienza politica di quelli del Sessantotto e del Settantasette. Ma così non è stato perché ormai si era interamente compiuto il processo di deideologizzazione e decomunistizzazione dei giovani portato avanti gradualmente dai dirigenti del PCI e della FGCI. Gli avvenimenti dell'Est dell'89 hanno poi dato il colpo di grazia allo spirito rivoluzionario della gioventù di sinistra.

In conseguenza di ciò il movimento studentesco e giovanile è entrato in una fase riformista. Non c'è rigetto del socialismo ma nemmeno quell'attaccamento che un tempo caratterizzava la gioventù di sinistra. Per colpa dei revisionisti, dei neorevisionisti e dei trotzkisti il socialismo ha perso molto del suo smalto e della sua forza di attrazione verso i giovani d'oggi, i più piccoli dei quali non ne hanno nemmeno la memoria.

Il socialismo non è più la stella che illuminava e guidava le lotte dei giovani fino agli anni settanta, ma non per questo si può dire che il capitalismo abbia sostituito il socialismo nella mente e nell'aspirazione dei giovani. Tutt'altro.

La gioventù di sinistra non ama affatto il capitalismo, ma non si accorge di acquisire gradualmente una mentalità e una pratica sociale borghesi e di muoversi e di lottare su un piano riformistico. Basta vedere come si sono mossi i giovani operai e lavoratori nelle lotte contrattuali della primavera del 1990, nelle manifestazioni contro la guerra nel Golfo Persico del 1991, nella recente ribellione contro la manovra economica del governo Amato. Basta vedere come si stanno muovendo i giovani in genere nelle lotte contro il razzismo e contro la mafia.

Contro questi orrendi mostri i giovani scendono in piazza con grande generosità e combattività ma non arrivano a mettere in discussione il sistema capitalistico che li genera. Ha così buon gioco il governo Amato, il quale fa credere che basta battersi sul piano culturale e morale e cooperare con le istituzioni per arrivare a sconfiggere la mafia e il razzismo.

In questo modo si tenta di cancellare le contraddizioni di classe e la lotta di classe, mentre si inculcano nella mente dei giovani l'interclassismo, la pace sociale, il solidarismo cristiano, il pacifismo e la nonviolenza.

Il risultato è che i giovani non capiscono che la mafia è tutt'uno con questo Stato capitalistico e che il razzismo antisemita e antimmigrati è inestirpabile se non si combattono l'imperialismo, il capitalismo, il neocolonialismo, il sionismo. Non capiscono che dietro la parola d'ordine ``Siamo tutti ebrei'' si nasconde la volontà dell'imperialismo di accreditare la religione ebraica e la politica espansionista, razzista, antipalestinese e imperialista di Israele. Non capiscono che per prima cosa va combattuto e buttato giù il governo Amato se si vuol dare davvero un colpo alla mafia e al razzismo.

III - I GIOVANI E L'ELETTORALISMO E IL PARLAMENTARISMO BORGHESI

In tutta la storia del movimento giovanile, a partire dalle prime elezioni politiche del dopoguerra, si rileva una forte influenza dell'elettoralismo e del parlamentarismo sui giovani, persino nei momenti più alti della lotta di classe come nel Sessantotto.

Le ragioni sono molteplici: la cultura dominante dello ``Stato di diritto'', cioè dello Stato borghese, e i dogmi della democrazia borghese, inculcati nella scuola e nell'Università ottundono e corrompono la mente del popolo e delle nuove generazioni; la grancassa propagandistica del governo, dei mass-media e dei partiti parlamentari condiziona pesantemente le scelte dell'elettorato; la borghesia, a seconda delle necessità, escogita sempre nuovi raggruppamenti parlamentari per attirare nelle urne l'elettorato; è difficile sottrarsi ai ricatti economici, sociali, clientelari, morali e psicologici; le campagne terroristiche e intimidatorie contro l'astensionismo scoraggiano a praticarlo; le illusioni elettorali e parlamentari sono le ultime a morire.

Cosicché alla fine, anche chi si batte con molto coraggio nelle piazze ed ha una certa sfiducia del parlamentarismo, va lo stesso a votare finché almeno trova nella scheda una qualsiasi falce e martello. A meno che l'autentica falce e martello del PMLI non riesca a illuminare le loro menti e finalmente divenga il simbolo di tutti gli sfruttati e oppressi d'Italia.

ELEZIONI POLITICHE

Ma vediamo come si sono comportati i giovani, non solo quelli di sinistra, nelle elezioni politiche del dopoguerra, le uniche che possiamo prendere a riferimento perché le altre (amministrative, regionali, europee o i referendum), non consentono di avere dati certi sulla distribuzione del voto giovanile e sulle schede nulle e bianche.

L'elettorato giovanile complessivo risulta dalla differenza tra gli aventi diritto al voto per la Camera e gli aventi diritto al voto per il Senato; analogamente l'astensionismo giovanile si può desumere dalla differenza dell'astensionismo (inteso come non voto, voto nullo o bianco) registratosi al Senato coll'astensionismo della Camera.

Con lo stesso metodo abbiamo calcolato la distribuzione del voto giovanile tra i partiti concorrenti alle elezioni.

Questo metodo, per quanto sia il più diffuso e, in mancanza d'altro, il più vicino alla realtà, è fortemente approssimativo e soggetto a più di un limite. Tant'è che spesso dà luogo a paradossi e risultati contraddittori, poiché non può tenere conto della mobilità del voto, cioè della rilevante fetta di elettrici ed elettori che votano per un partito al Senato e per un altro alla Camera o di chi vota nullo o bianco al Senato e per un altro partito alla Camera e viceversa. Fenomeno che è venuto crescendo con le numerose liste che si presentano alla Camera e non sempre né dappertutto al Senato. Di qui l'impossibilità di quantificare il voto giovanile con esattezza scientifica. Si pensi che un semplice scambio di voto tra Camera e Senato, provoca nel complesso uno spostamento di ben quattro voti: il partito x (o l'astensionismo) avrà 4 alla Camera e -1 al Senato. Il partito y (o l'astensionismo) avrà -1 alla Camera e 4 al Senato; in totale appunto 4.

Occorre peraltro notare che con lo stemperarsi delle differenze politiche e programmatiche tra partito e partito parlamentare, è sempre più credibile che l'elettorato voti due partiti diversi alla Camera e al Senato. Ciò è dovuto anche al meccanismo uninominale del Senato ove si votano le liste con un candidato unico indicato dal partito, mentre alla Camera la scelta è più ampia e il singolo candidato può influenzare l'orientamento del voto anche al di là della sua collocazione partitica.

Ci auguriamo che in futuro si possa compiutamente attingere a nuove e più attendibili metodologie e indagini statistiche che stanno compiendo solo ora i primi passi. Ci riferiamo in particolare al cosiddetto exit-poll cioè al voto di uscita, un'indagine fondata sul campionamento che ha cominciato a essere praticata alle politiche del '92 con risultati significativi.

E' utile ricordare che l'elettorato giovanile della Camera è composto dai giovani tra i 18 e i 25 anni e quello del Senato dai giovani che abbiano compiuto i 25 anni. Fino alle elezioni politiche del '76 il limite minimo d'età per il voto alla Camera era di 21 anni, che fino ad allora costituiva la maggiore età.

Osservando la distribuzione del voto giovanile dal 1948 al 1992 si evince anzitutto che lungo tutto il corso della storia elettorale si è registrato un 90 e più per cento di giovani che regolarmente finisce col recarsi alle urne.

Fino a qui il partito che ha catturato un maggior numero di voti è la DC. Questo partito, oltre ad avvalersi delle leve governative che detiene ininterrottamente dal dopoguerra e del relativo beneficio del voto clientelare e di ``scambio'', gode del massiccio appoggio elettorale del Vaticano, della Chiesa cattolica italiana e delle sue organizzazioni, come Cl, Acli, Mcl, Azione Cattolica, il volontariato di ispirazione cattolica, che garantiscono un controllo stretto su larghe fette di giovani credenti.

Rilevante il voto dei giovani al PCI. Vanno però considerati i suoi alti e bassi fino al 1979, anno in cui i giovani di sinistra iniziano ad abbandonare elettoralmente e organizzativamente questo partito.

Nel '48, in lista unica col PSI, riceve il 36% dei consensi giovanili. Un voto di progresso, ideologico, molto importante. Nel '53, quando il PCI si batte contro la legge truffa targata DC, diventa per la prima e ultima volta il 1• partito tra i giovani. Nelle due successive tornate politiche cala rispettivamente di 8 punti e di 4 punti percentuali, nonostante che alle politiche del '63 partecipino i giovani protagonisti della Rivolta antifascista del Sessanta.

Proprio nel '68, alleandosi col PSIUP e con i trotzkisti di ``Potere operaio'' e di altri raggruppamenti, il PCI raggiunge il record percentuale tra i giovani col 45,5%, riuscendo a inglobare quasi un milione e 400 mila voti. Questo successo non intacca il risultato dell'astensionismo, che a sua volta realizza il record storico. Il che conferma che il movimento del Sessantotto fin dai suoi primi passi spostò a sinistra politicamente e socialmente centinaia di migliaia di giovani.

Nel '72 il PCI è in flessione rispetto alle precedenti elezioni. Nel '76, anno dell'avanzata delle ``sinistre'' e della batosta alla DC, hanno diritto di voto per la prima volta i diciottenni. Il PCI ottiene quasi 2 milioni di voti giovanili, il 36%. Berlinguer spenderà la grande spinta elettorale alleandosi con la DC sulla base della strategia del cosiddetto ``compromesso storico'' che lo renderà inviso al movimento del Settantasette e alla gioventù di sinistra più avanzata politicamente. Nel '79 infatti il PCI crolla al 22 per cento fra i giovani, a fronte di un balzo dell'astensionismo giovanile e di una certa affermazione delle liste che si pongono alla sua sinistra. A Botteghe Oscure suona l'allarme e il vertice revisionista composto da Berlinguer, Natta, Occhetto, Cossutta, lancia l'``alternativa democratica''. L'elettorato la respinge sia nell'83 che nell'87, quando ormai solo il 16,3% dei giovani vota PCI.

Si vede che più il PCI svende alla borghesia la lotta di classe, più crolla tra i giovani, irreversibilmente. Dopo la trasformazione del PCI ormai neoliberale nel PDS subalterno al neofascismo e all'imperialismo il distacco elettorale dei giovani si manifesta in maniera eclatante.

Alle politiche del 5 aprile 1992 il PDS non va oltre un 10,2% di voti giovanili. Una disfatta che non è drenata neppure dal partito neorevisionista e trotzkista di Garavini e Cossutta, che si attesta allo 0,6 per cento di voti giovanili. Rispetto all'87, quando PCI e DP sommati raggiunsero tra i giovani il 18,5%, la perdita di PDS e PRC sommati, è di ben 7,7 punti percentuali.

Fino al '68 è il PCI a rappresentare la posizione parlamentare più a sinistra, coperto a sinistra dal PSIUP.

Nel '76, per catturare il voto giovanile di protesta, spuntano i radicali e DP che ricevono rispettivamente il 2,3 e l'8,7% dei consensi giovanili. Nel '79 alla Camera si presenta il PdUP per recuperare in parlamento la protesta a sinistra del PCI. Il raggruppamento pidiuppino ottiene 500 mila voti in gran parte di giovani ostili al ``compromesso storico''. Sono però i radicali a far breccia, con un 14,6 per cento tra i giovani. Un 4,2% va alla Nuova Sinistra Unita (NSU). Nell'83 rimangono solo DP e PR, che calano. DP si arresta al 3,4%, il PR al 4,1%. Insieme non arrivano a mezzo milione di voti giovanili.

Allarmata, la classe dominante borghese tira ``fuori dal cilindro'' i Verdi, per fermare comunque all'interno del palazzo la protesta giovanile. Essi raccolgono il 5,1% dei voti espressi dai giovani.

Nel 1992 la situazione si modifica ancora. Vengono presentate un'infinità di liste, non ci sono più né il PCI, né DP. Il voto giovanile, al pari di quello degli adulti, si frammenta e differenzia fortemente tra zona e zona del Paese. Al Nord si afferma la Lega Nord di Bossi che diventa 3• partito nazionale tra i giovani, raccogliendo il 10,5 per cento pari a oltre 670 mila voti. In certe zona del Sud si afferma soprattutto La Rete che raccoglie consensi, anche se è difficile quantificarli con soddisfacente attendibilità giacché al Senato Orlando e compari hanno presentato pochissime liste e quindi il raffronto Camera-Senato risulta quantomai improprio. Il PSI è più che dimezzato tra i giovani: 12,9% rispetto al 29,7% dell'87. Si è infranta l'``onda lunga'' craxiana, iniziano a pesare gli scandali che coinvolgono sempre più uomini del garofano. Dal canto loro i Verdi arretrano all'1,1 per cento, quasi scompaiono tra i giovani. Consensi dei 18-25enni sono andati anche a liste locali, corporative e qualunquistiche create ad arte per deviare, disgregare e persino rendere inutile anche sul piano formale il voto delle nuove generazioni. Complessivamente un risultato che ha evidenziato ancora una volta la perniciosa influenza dell'elettoralismo tra i giovani, mentre si va progressivamente indebolendo la caratterizzazione a sinistra del voto giovanile, ``specchio'' indiretto anche della fase di riflusso che attraversa il movimento giovanile e studentesco.

Esaminiamo ora il non voto giovanile. Questo importante aspetto è ben radicato in tutta la storia elettorale. Già nel '48 alla prima elezione dell'Italia repubblicana costituiva il 7,1%, pari a 231.461 unità sui 3.242.745 giovani aventi diritto. A questa cifra come a tutte le altre sui non votanti andrebbero aggiunte le schede bianche e nulle giovanili il cui calcolo è davvero poco attendibile.

Il fatto poi che il numero dei giovani non votanti (dato certo) risulta non di rado superiore a quello totale dei giovani astenuti (non voto + voto nullo + voto bianco), ricavato quale differenza tra l'astensionismo totale registrato alla Camera e astensionismo totale registrato al Senato (dato tutt'altro che certo), conferma la validità del discorso sulla mobilità del voto espresso dallo stesso elettore nelle due Camere, calcolato in almeno 15%.

Nel '53 i giovani non votanti sono il 6 per cento. Le polemiche sulla legge truffa voluta dalla DC hanno l'effetto di richiamare i giovani al voto. Dal '58 riprende a salire la percentuale fino al '63, l'elezione più vicina al movimento dei giovani dalle ``magliette a strisce''. Si arriva al '68, quando con il 9,8 per cento si tocca il massimo storico dei giovani non votanti e si sfonda il tetto delle trecentomila unità in assoluto su un corpo elettorale giovanile di poco superiore ai 3 milioni. Nonostante l'alleanza PCI-PSIUP, moltissimi giovani, in pieno movimento del Sessantotto (le elezioni si tengono a maggio), scelgono la via astensionista per sfidare sprezzantemente il capitalismo e i suoi lacché.

Nel '72, a fronte di una flessione generalizzata del numero dei non votanti, i giovani che si rifiutano di votare si attestano all'8,4 per cento.

Il '76 merita una riflessione a parte. Si è detto dell'estensione del voto alla Camera per i diciottenni e dell'affermazione del PCI. Si è detto che DP, radicali e lo stesso PSI succhiano consensi alla protesta astensionista, che si fermerà al 6,6% tra i giovani. Il '76 è l'anno delle illusioni sul ``cambiamento''. Si squaglieranno con l'avvento della ``solidarietà nazionale'' e l'appoggio del PCI al governo Andreotti.

L'esperienza serve alle nuove generazioni che nel '79 puniscono il PCI e fanno tornare prepotentemente alla ribalta l'astensionismo giovanile. Su 5.841.317 giovani aventi diritto, il 9,5% pari a 553.825 unità, non si reca a votare. Anche il totale generale degli astenuti ha un balzo di 4 punti, nonostante il PdUP, evidenziando che si tratta di una punizione da sinistra al PCI.

Nell'83 c'è un recupero percentuale sui non votanti giovani, che si fermano all'8,6%. Nuovo salto nell'87, con 626.244 ragazze e ragazzi che non vanno a votare pari al 9,4% per cento dei 6.631.852 aventi diritto. Un record in termini assoluti. Alle politiche del 5 aprile scorso i giovani astenuti incrementano la posizione attestandosi al 10,2% nonostante l'infinità di ``specchietti per le allodole'' che hanno condizionato le loro scelte elettorali.

Da un'analisi qualitativa dei risultati alle politiche '92 risulta una notevole disomogeneità del voto giovanile nella penisola come conseguenza del diverso andamento registratosi nel voto adulto. Si conferma una divisione in tre aree elettorali col Nord dove l'avanzata della Lega si è alimentata di notevole apporto di voti giovanili (il 36% addirittura in Lombardia) a discapito pesantemente della DC che perde soprattutto i consensi giovanili in modo tanto più devastante se li rapportiamo a quelli ottenuti nel Meridione. Dove, peraltro, si registrano i più alti tassi di non voto appunto tra quei giovani che per le misere e bestiali condizioni in cui sono condannati hanno maturato un istintivo rifiuto di ciò che è istituzionale (brilla il risultato della Campania in cui contrariamente al voto nazionale i giovani non votanti, pari al 18,5% dell'elettorato giovanile, superano la percentuale complessiva dei non votanti campani). Nel Sud miete consensi giovanili la DC, forte di una capillare e antica presenza sul territorio, nella società civile e nelle istituzioni culturali pubbliche e private della Chiesa cattolica e delle sue organizzazioni giovanili che godono di uno scandaloso monopolio.

Possiamo concludere traendo alcune caratteristiche dell'attuale comportamento giovanile sul terreno elettorale: sono i più sensibili verso le tendenze e i comportamenti generali orientandosi con maggior rapidità verso le novità; caricano la loro scelta di valori protestatari intendendola manifestare apertamente ancora col loro voto quantunque vengano meno a qualsiasi scelta ideale anticapitalistica e siano facili prede del trasversalismo e dell'omologazione neofascista e di quei partiti che si propongono come novità esteriori dei partiti tradizionali come appunto sono La Rete, Lega, Lista Pannella, ``Alleanza democratica'', ecc.; sono i più condizionati dalle illusioni elettoralistiche borghesi e i meno condizionati dalle clientele e dai ricatti economici e sociali delle cosche parlamentari.

La vergognosa vicenda di Tangentopoli, la corruzione e la degenerazione in cosche dei partiti parlamentari indubbiamente hanno dato un colpo durissimo alla credibilità del parlamento e delle istituzioni e ai partiti che le occupano e le gestiscono. Si notano già vistose crepe nell'elettoralismo e nel parlamentarismo.

Sarebbe però pericoloso pensare a una fuga in massa dal partecipazionismo elettorale perché la classe dominante borghese si è già mobilitata per drenarla ed evitarla attraverso nuove trappole elettorali.

Dovremo quindi sudare le classiche sette camicie per modificare la situazione e volgerla a nostro vantaggio. Dovremo intensificare e sviluppare le nostre campagne astensionistiche, specie nei confronti dei giovani e degli studenti.

ELEZIONI SCOLASTICHE E UNIVERSITARIE

Le elezioni scolastiche e universitarie degli ``organi collegiali'', istituiti nel 1974 allo scopo di intrappolare gli studenti nelle istituzioni e impedire lo sviluppo fin lì tumultuoso del movimento studentesco, mostrano una diversità rispetto a quelle politiche. Questa diversità sta nel fatto che il corpo elettorale è omogeneo, vive gli stessi problemi, almeno in ogni scuola e in ogni facoltà, ha un rapporto diretto e quotidiano con gli eletti, ne può valutare di persona il comportamento e le realizzazioni.

Anche nelle elezioni scolastiche e universitarie fanno breccia le promesse e le illusioni delle varie liste, che vanno da quelle ispirate e promosse dal PRC a quelle dei fascisti del MSI, nonostante che poi nel concreto non risolvano nemmeno uno dei problemi delle masse studentesche.

Purtroppo non possediamo dei dati completi sui risultati di queste elezioni perché il ministero della Pubblica Istruzione non li fornisce. E ciò non ci consente di fare un'analisi sull'orientamento del voto studentesco verso le liste. Ciascuna di esse canta vittoria perché di fatto è impossibile smentirle su un piano dei risultati nazionali. Anche per le elezioni scolastiche in corso sia l'organizzazione giovanile della Quercia, sia le altre, hanno iniziato il balletto delle cifre locali tirando acqua al proprio mulino.

D'altronde il silenzio ufficiale non fa che confermare quanta poca importanza abbiano gli ``organi collegiali'', istituzioni in cui gli studenti fanno meno che la figura delle ``belle statuine'' mentre il potere reale sta saldamente nelle mani delle gerarchie scolastiche e del governo.

Allorquando, dopo il 1985, le elezioni sono state imposte in orario scolastico e intere classi vengono portate in pratica di ``forza'' ai seggi, la partecipazione alle elezioni degli studenti delle scuole medie superiori oscilla tra l'80 e il 90%.

Nell'82-83 non si recarono a votare il 32,4% degli studenti medi; nell'89-90 tale percentuale scende all'11,3. Vedremo dove si assesterà questo dato nelle elezioni in corso.

Nelle elezioni universitarie, invece, la percentuale di votanti è sempre stata al di sotto del 20% e nel caso delle ultime elezioni svoltesi nel 1991 è risultata addirittura inferiore al 10%. Si vede che la maggiore esperienza e indipendenza familiare e quindi la minore ricattabilità delle studentesse e degli studenti universitari permette loro di sottrarsi alla trappola degli organi di governo degli atenei, nei quali la rappresentanza studentesca è del tutto formale, minoritaria e priva di alcun potere.

DIRITTO DI VOTO, ELEGGIBILITA' E MAGGIORE ETA' A 16 ANNI

Le ragazze e i ragazzi sotto i 18 anni non contano nulla in questa società. Sono completamente esclusi dal potere politico e statale, e non hanno voce in capitolo neanche in quelle istituzioni o in quei servizi sociali che li riguardano più da vicino come la scuola, gli uffici di collocamento, i centri sportivi e ricreativi, i consultori, i centri per i tossicodipendenti, ecc. che vengono gestiti calpestando le loro esigenze e i loro bisogni.

Questa condizione politica e civile si riflette su tutta la vita sociale e personale dei giovani e soprattutto delle ragazze. Conosciamo fin troppo bene il ritornello ``finché non sei maggiorenne, fai come dico io'', suggerito dall'ideologia dominante ai genitori affinché esercitino il loro pieno controllo sui figli e mantengano una ferrea gerarchia familiare.

Ridicoli e fuorvianti appaiono i tentativi ad esempio di alcuni Comuni di dar vita a consigli comunali di ragazzi sotto i 14 anni, ai quali vengono chiesti ``pareri consultivi'' sui progetti dei ``grandi'' che riguardano i ``piccoli''.

Per andare incontro alle nuove esigenze dei giovanissimi, in particolare per liberare le ragazze dalla sottomissione familiare non c'é che un modo: riconoscere la maggiore età, il diritto di voto e di eleggibilità, anche per la Camera e il Senato, a sedici anni.

Solo così le ragazze e i ragazzi possono partecipare a pieno titolo e fino in fondo alla vita sociale, scolastica e politica del Paese.

Qualcuno in questa nostra rivendicazione potrebbe scorgere una contraddizione con l'astensionismo elettorale del PMLI. Ma non c'è contrasto tra le due cose, poiché con una si tratta di affermare un diritto e una parificazione piena dei sedicenni, con l'altra di calare il diritto di voto nella realtà spendendolo per l'astensionismo marxista-leninista.

IV - PROBLEMI, ESIGENZE E TENDENZE DEI GIOVANI D'OGGI

LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

Al primo posto dei problemi dei giovani d'oggi vi è senza dubbio il lavoro. Lo confermano i dati, lo confermano tutte le inchieste condotte negli ultimi dieci anni in cui le ragazze e i ragazzi a stragrande maggioranza hanno detto che questo è il problema centrale, la preoccupazione quotidiana e per il futuro, specie delle ragazze.

Sono più di 2 milioni i giovani disoccupati nel nostro Paese, circa il 25% dei giovani in età lavorativa. Il 66% è costituito da ragazze. Nelle regioni settentrionali il tasso di disoccupazione giovanile oscilla tra l'8% circa della Lombardia e il 24% della Liguria. Nelle regioni centrali oscilla tra il 16% delle Marche e il 32% del Lazio. Nelle regioni meridionali non si scende mai sotto il 26% (Abruzzi), mentre si sale in Puglia al 32%, Campania 47%, Sicilia 48% e Calabria addirittura 53%. Queste ultime sono le quattro regioni di fatto in mano alla criminalità organizzata.

Data anche l'attuale congiuntura economica recessiva, molti di questi giovani rischiano di non lavorare mai nel corso della propria vita o comunque rischiano di vivere all'insegna di lavori precari, a nero e malpagati.

Quantunque sappiamo bene che il lavoro salariato comporta sfruttamento e alienazione ed è incapace di dare una qualche soddisfazione alle capacità manuali e intellettuali dei giovani e del lavoratore in genere, dobbiamo ribadire che negando il lavoro ai giovani il capitalismo nega loro l'indipendenza economica, li costringe alla precarietà, all'emarginazione sociale, alla subalternità familiare e a vivere di assistenza. Inoltre li rende potenziali vittime delle centrali criminali e del clientelismo elettorale delle cosche parlamentari.

I GIOVANI OCCUPATI

I problemi dei giovani operai e lavoratori sono legati allo sfruttamento capitalistico che si intensifica nelle fabbriche, nei campi, in ogni luogo di lavoro, mentre vengono calpestati i diritti democratici e sindacali. I giovani lavoratori, specie le ragazze, vengono relegati nelle qualifiche più basse a svolgere mansioni sovente del tutto estranee a ciò che hanno studiato e per le quali sono stati ufficialmente assunti.

Dilagano il lavoro precario, a tempo determinato, part-time, stagionale. Sopravvivono fenomeni medioevali come il ``caporalato'' nel Sud, specie per il lavoro femminile.

Quella della gioventù operaia e lavoratrice è una realtà troppo poco indagata dalle istituzioni. Dati relativi al 1991 parlano di circa 500 mila giovani apprendisti (324.000 maschi e 199.000 femmine) e di 238 mila ragazze e ragazzi assunti a Contratto di formazione e lavoro (Cfl). Le ragazze sono poco più di un terzo. I Cfl risultano in calo nel Centro-Nord perché si sono attenuati alcuni dei fortissimi vantaggi fiscali concessi ai padroni.

Queste parole toccanti di una giovane operaia della Fiat Mirafiori danno una chiara idea di qual è la condizione dei giovani in fabbrica: ``Il primo giorno che sono entrata in Fiat mi sono messa a piangere perché trovarmi lì dentro, in quella specie di città, con tutte quelle linee che correvano da tutte le parti, con tutta quella fatica a starci dentro... Ho provato uno spavento terribile. Le prime notti non riuscivo a dormire, mi svegliavo continuamente, con un pugno allo stomaco al pensiero di dover tornare lì. E poi i turni, l'alzarsi all'alba, la tua vita che è imprigionata da quegli orari e da quella fatica: perché dopo otto ore di lavoro in linea ti senti distrutta fisicamente e psicologicamente. Il lavoro ti svuota mentalmente, perché sul lavoro tu non puoi pensare, non devi pensare; devi separare il corpo dalla mente e se, mentre lavori, riesci a pensare a qualcos'altro bene, altrimenti diventi proprio come una macchina''. Così si vive nelle fabbriche del pescecane Agnelli nel 1992, non nell'immediato dopoguerra. Lo conferma un giovane operaio del reparto verniciatura sempre di Mirafiori: ``La vera vita è fuori; dentro questi cancelli c'è solo morte. Bisogna starci il meno possibile''.

Se questo è uno spaccato significativo della realtà giovanile operaia in una grande fabbrica, figurarsi la situazione dei giovani costretti a lavori a nero, malpagati e dequalificati. Ragazze e ragazzi che per poche migliaia di lire lavorano, senza alcuna assicurazione e tutela, anche per 9-10 ore al giorno. Tutti, quando sono intervistati, si dicono disposti a fare qualsiasi lavoro purché stabile e a salario pieno.

I GIOVANI A SCUOLA E ALL'UNIVERSITA'

Mille sono i problemi dei giovani che studiano, sia a scuola che all'Università. All'origine di questi problemi sta il fatto che la scuola e l'Università italiane sono borghesi da cima a fondo, sono di classe per contenuti culturali, ordinamenti, finalità, indirizzi, metodi didattici e pedagogici e per come in concreto discriminano e selezionano i figli del popolo e inculcano loro l'ideologia e la morale dominanti e li educano nel rispetto della gerarchia sociale e del lavoro capitalistico.

Questi sono i maggiori problemi: Alto tasso di evasione dall'obbligo scolastico specie nel Mezzogiorno e alto tasso di abbandono e ripetenze ai livelli più alti dell'istruzione. Macroscopiche differenze tra Nord e Sud per quel che riguarda l'edilizia e i percorsi scolastici, sovraffollamento delle aule, doppi e tripli turni nonostante il calo costante della popolazione scolastica. Esami di maturità ipotecati dalla meritocrazia. Forti tasse d'iscrizione, vertiginoso aumento del costo dei libri di testo e del materiale didattico. Mense, laboratori e biblioteche sono del tutto inadeguati e insufficienti. Sono cospicui i finanziamenti statali a istituti e atenei privati (ai quali oltretutto è praticamente regalata l'istruzione linguistica), in barba allo stracciatissimo dettato costituzionale. L'obbligo scolastico è ancora fermo ai 14 anni. Non esiste informazione sessuale. E' venuto fuori inoltre - ma si sapeva - che i libri scolastici sono pieni di omissioni e stravolgimento a sfondo politico e religioso. Numero chiuso in diverse facoltà, selezione spietata dei giovani di estrazione operaia e popolare, meritocrazia, nozionismo, autoritarismo e totale subalternità degli studenti alle autorità scolastiche e accademiche.

All'elenco dei problemi va aggiunto il restringimento degli spazi di democrazia e del diritto di assemblea e la negazione del diritto di sciopero sia per motivi politici che scolastici. Vanno inoltre citati i percorsi scolastici e universitari di serie A, B e C, con discriminazioni palesi ai danni dei meno abbienti, dei meridionali e delle ragazze. Si pensi alle nette differenze del valore del titolo di studio tra licei e istituti professionali o tecnici o, a livello universitario, tra la ``laurea breve'' e il ``dottorato di ricerca'' e la normale laurea, nonché gli elitari progetti di studio tipo ``Erasmus'' e ``Comett'', riservati a un pugno di privilegiati che serviranno dal punto di vista economico, politico, ideologico e istituzionale la superpotenza europea.

Anche i bambini dell'asilo nido navigano in ``brutte acque'': nella capitale la metà dei piccoli che chiedono l'iscrizione ai nidi comunali vedono respinte le domande; a Palermo ben 30 mila bambini sono senza l'asilo.

Vediamo altri dati eclatanti per scuola e Università. A Torino le rette per le scuole comunali sono triplicate in 8 anni: nell'84 agli asili nido si pagavano 115 mila lire, ora 345 mila circa; alle materne nell'84 si pagavano 60 mila lire, ora circa 185 mila; alle elementari nell'84 si pagavano 45 mila lire, ora 100 mila circa.

Sono quasi mezzo milione le aule inagibili, di cui 130 mila fatiscenti, 140 mila senza sistemi di sicurezza e 22 mila anguste, malsane e piene di arredi ad alta infiammabilità.

A Napoli il 60% degli istituti è in condizioni precarie, mancano duemila aule e 12 mila banchi. I doppi turni interessano 50 mila alunni. In questa città, come a Milano, si sono già susseguite diverse manifestazioni studentesche di protesta represse dalla polizia come è accaduto a Napoli.

A livello universitario, mentre si perde il conto degli aumenti delle tasse d'iscrizione e dei pasti alle mense, a tutt'oggi solo uno studente ogni 3 matricole raggiunge la laurea. La percentuale è tra le più basse rapportate ai paesi industrializzati. La legge sul ``diritto allo studio'', in vigore da circa un anno, non fa che accentuare le discriminazioni essendo improntata al neofascismo.

Con la nuova legislatura sono cambiati sia il ministro della Pubblica Istruzione che quello dell'Università, rispettivamente Rosa Russo Jervolino e Sandro Fontana, entrambi DC. Cambiano i suonatori ma non la musica. Lo slogan governativo dominante rimane quello dell'``autonomia'', ossia la linea della progressiva privatizzazione scolastica e universitaria in nome dell'adeguamento ``europeo'' del sistema d'istruzione italiano, cioè del suo pieno ed efficiente asservimento alle necessità ``competitive'' dell'economia italiana.

Scuola e Università si trovano in una grave situazione di sfascio, ma il capo dello Stato, il reazionario e anticomunista Scalfaro, all'apertura dell'anno scolastico si è rivolto agli studenti per chiedere loro di collaborare con la scuola borghese e il regime neofascista.

LEVA E ``NUOVO MODELLO DI DIFESA''

Il ``servizio di leva'' è uno dei problemi generali particolarmente sentito dalle masse giovanili. Un problema che riguarda sia i ragazzi che le ragazze dal momento che è divenuto realtà il progetto che vuole anche le donne nell'esercito professionale.

Non ci soddisfa l'attuale ``servizio di leva'' poiché esso si svolge all'insegna del militarismo fascista e imperialista e dell'oppressione dei giovani da parte delle gerarchie militari. Il ``nonnismo'' non è altro che una diretta conseguenza del militarismo.

I giovani in ``servizio di leva'' sono vessati e umiliati dai ``superiori'', vengono sradicati dalla propria città e regione e mandati per 12 lunghi mesi all'altro capo d'Italia e costretti a vivere non come esseri umani ma come numeri con poche migliaia di lire di paga giornaliera.

Questo stato di cose è per noi intollerabile e chiediamo che il ``servizio militare'' abbia una durata di sei mesi, sia svolto nella regione di residenza, che i soldati di leva ricevano una paga mensile pari al 50% del salario medio degli operai dell'industria e che svolgano il periodo di leva nell'ambito di un ``modello di difesa'' di carattere veramente difensivo, senza alcuna velleità di voler piantare la bandiera nazionale al di fuori dei confini dell'Italia.

Si è assistito invece a un proggressivo spostamento a destra della discussione parlamentare e istituzionale sul tema, fino ad arrivare a una vera e propria controriforma attraverso il disegno di legge (ddl) presentato dal ministro della difesa, il socialfascista Andò, e approvato dal governo Amato il 27 novembre scorso.

Secondo tale ddl sparirebbe l'esercito di leva a vantaggio di un esercito di volontari professionisti, composto in pratica da bellicosi mercenari. Parlano chiaro le cifre: la componente di leva passerebbe dalle 215 mila unità attuali alle 60 mila circa future; la componente di volontari passerebbe dalle 13 mila unità attuali alle 70 mila circa del futuro.

Un'inversione di rapporto assai pericolosa, che ufficializza l'esercito interventista. In pratica si mette nero su bianco quanto già sperimentato durante la guerra del Golfo Persico che ha visto la partecipazione in prima linea dell'Italia all'aggressione imperialista all'Irak.

Al regime neofascista serve un esercito ``snello'', dotato di ``mezzi moderni'' e di nuclei operativi sempre pronti a catapultarsi in avventure militari ovunque nel mondo siano in gioco ``interessi vitali'' dell'imperialismo italiano o delle alleanze imperialiste di cui esso fa parte (Nato, Ueo, Cee, Onu, ecc.).

A tal proposito la relazione che accompagna il ``Nuovo modello di difesa'' è esplicita, là dove afferma che ``L'Italia non potrebbe tutelare i propri interessi e rendere credibile il proprio ruolo se non disponesse di una politica e, quindi, di un potenziale militare credibile ed efficiente,atto a corrispondere in misura adeguata alla sua statura internazionale''. Linea confermata da Andò, che a "La Repubblica" del 29 novembre, ha dichiarato: ``Da quando sono caduti i muri e sono scomparse alcune obbedienze, cominciano ad esplodere conflitti locali. Questa situazione ci impone di partecipare a missioni di pace, a missioni dell'Onu, ai contingenti multinazionali, che prevedono interventi rapidi. Perciò servono forze armate meno numerose e più efficienti, un esercito professionale''.

Fosse vivo, anche Mussolini esulterebbe, tanto è nitida la volontà espansionista, neocolonialista e guerrafondaia della classe dominante borghese e del suo governo. E' per aver denunciato questa linea imperialista e interventista che i marxisti-leninisti hanno subito, dall'86 a oggi, due gravi processi che hanno coinvolto il Segretario generale e altri dirigenti e militanti del Partito.

La controriforma dell'esercito introduce per la prima volta il reclutamento delle donne nelle Forze armate attraverso il volontariato. Si calcola che dovrebbero essere così assorbite circa 7-8 mila donne su un totale di circa 70 mila militari professionisti. La stragrande maggioranza verrà arruolata come soldatesse semplici, ma potranno raggiungere anche i gradi di sottufficiali e ufficiali.

Ribadiamo il nostro netto e deciso rifiuto verso l'inserimento delle donne in queste Forze armate. Col pretesto di riconoscere la parità uomo-donna in campo militare il governo Amato vuole in realtà asservire le donne alla politica interventista, espansionista e guerrafondaia dell'imperialismo italiano. L'arruolamento delle donne serve infatti ad allargare il serbatoio dei volontari, a rendere più efficiente l'esercito professionale, soprattutto nel campo logistico e dei servizi, e a offrire una copertura di massa all'interventismo italiano. Illuminanti sono le parole di Andò rilasciate a Panorama del 29/11/92: ``Le donne soldato sono un incentivo a fare bene. La loro presenza renderà più vivibile l'ambiente di lavoro, e più disciplinati e operosi anche i soldati''.

Inoltre l'esclusione delle donne dall'esercito di leva dimostra che il governo non vuole affatto inserire le donne nelle Forze armate su un terreno di parità.

Noi non siamo contrari a livello di principio con le donne soldato. Ma per poter essere favorevoli alla ferma militare femminile, che comunque non dovrebbe avere carattere volontario, il governo dovrebbe cambiare radicalmente linea, da una politica estera e militare espansionista e interventista dovrebbe passare a una politica esclusivamente di difesa del territorio nazionale e di pace verso i paesi arabi e islamici e tutti i paesi del Mediterraneo, dell'Africa e del mondo intero; dovrebbe rompere le alleanze imperialiste con gli Usa, la Cee, la Nato e la Ueo; dovrebbe trasformare gli indirizzi, l'equipaggiamento e l'armamento delle Forze armate in modo da renderle adatte alla guerra partigiana e territoriale e infine dovrebbe armare e istruire i giovani e il popolo all'uso delle armi per la difesa nazionale.

La controriforma dell'esercito prevede anche un ``servizio civile nazionale'' obbligatorio alle dipendenze dirette della presidenza del Consiglio. Tale ``servizio civile'', come spiega l'articolo 4 del ddl governativo, ``ha il compito di concorrere al bene della collettività impegnandosi in attività di carattere sociale, in generale, in interventi per pubbliche calamità e umanitari, anche al di fuori del territorio nazionale''. In pratica a questo servizio obbligatorio saranno destinati d'ufficio i giovani idonei a prestare servizio, ma fisicamente non perfetti rispetto al modello ``Rambo'' che si vuol instaurare.

Noi siamo contrari al ``servizio civile nazionale'' obbligatorio sia per la forma di reclutamento prevista, sia perché i ragazzi di ``serie B'' saranno supersfruttati dalle Forze armate, dallo Stato e dal governo per ``attività utili'', ovvero ancora una volta come manodopera gratuita o semigratuita da utilizzare per coprire le falle statali in campo sociale, della protezione civile e dell'ambiente.

La controriforma dell'esercito inoltre penalizza fortemente l'obiezione di coscienza. Essa prevede che le domande siano esaminate da un non meglio precisato ``consiglio nazionale'' e che la loro accettazione sia sancita con ``decreto'' del ministro della Difesa. Se la domanda viene accolta l'obiettore svolgerà il ``servizio civile nazionale'', se verrà respinta potrà ricorrere alla giustizia ordinaria. Settori cattolici hanno già bollato giustamente il ``consiglio nazionale'' come un ``tribunale delle coscienze''.

I MINORI

"E' assurdo presentare un'Italia nella quale nessuno si occupa di minori: questo offende non solo il governo e il parlamento, ma le decine di migliaia di amministratori locali che si interessano di infanzia. Stiamo facendo la nostra parte''. Questo ha ipocritamente dichiarato il 6 novembre 1991 l'allora ministro degli Affari sociali (oggi ministro della Pubblica istruzione e presidente del Consiglio nazionale della DC), Rosa Russo Jervolino ad un convegno dell'associazione ``Telefono azzurro'' sulla condizione minorile. A smentire il ministro ci pensano i dati, oltre all'ultima ricerca dell'Unicef presentata a giugno di quest'anno, nella quale si parla di ``condizione degli adolescenti che si fa sempre più a rischio'' e si denuncia la ``preoccupante'' assenza di interesse e di studio da parte della comunità scientifica e delle autorità nazionali''.

La legge n. 977 del 1967 ha formalmente sancito l'illegalità del lavoro per i minori di 15 anni, ma il risultato è che il fenomeno è diventato ``invisibile'', poiché l'Istat ha smesso di raccogliere i dati a riguardo. I minori svolgono anche lavori pesanti, nocivi e pericolosi: li troviamo nei cantieri edili, nelle piccole fabbriche, nelle officine. Le percentuali di giovanissimi occupati tra i 14 e i 17 anni nel 1986 era questa, raffrontata col 1977: Nord Ovest 57% (77,1%); Nord-Est 61,7% (75,3%); Centro 58,0% (61,2%); Sud e Isole 45,5% (56,1%). In tutto sono circa 350 mila i giovanissimi lavoratori.

I 14-17enni disoccupati erano nel 1986 (raffrontati sempre col 1977). Nord-Ovest 42,9% (23,0%); Nord-Est 38,3% (24,5%); Centro 42,0% (38,8%); Sud e Isole 55,5% (43,9%).

A Napoli i bambini costretti al lavoro nero sono trentamila. Se ne calcolano decine e decine di migliaia in tutto il Paese, considerato che moltissimi sono ``occupati'' saltuariamente, stagionalmente o part-time. In alcune aree meridionali si stima che il lavoro minorile coinvolga tra il 20 e il 50 per cento dei ragazzi tra i 10 e i 14 anni.

Gli adolescenti con pochi anni di scuola sono quelli che hanno maggiori difficoltà a trovare un'occupazione regolare. D'altronde gli abbandoni nella scuola dell'obbligo sono circa 100 mila l'anno, dai 37 ai 40 mila solo a Napoli e hinterland. La media nazionale è del 9,6 per cento, nel capoluogo campano sale al 33%. A Palermo il 60% della popolazione ha solo la licenza elementare. La selezione classista fa sì che solo 6 ragazzi su 10 finiscano la scuola dell'obbligo senza una o più bocciature. Nell'86 la media nazionale delle bocciature nella prima classe della scuola media inferiore era dell'11,6%, nel Mezzogiorno del 17%. Il 50,74% delle scuole frequentate da minori non è in regola con le norme antincendio, oltre la metà si trova nel Sud; il 31,71% è privo del certificato igienico-sanitario. 130 mila sono considerate ``a rischio statico'', 143 mila scarseggiano di servizi igienici e di sicurezza, 60 mila sono situate in edifici malsani e angusti. Il 90% degli oltre 100 mila studenti costretti ai doppi turni scolastici è nel Mezzogiorno.

Recenti stime parlano di 1 milione di minori ``a rischio'' su 8.800 mila ``under 18'' e di almeno 60 mila arruolati da mafia, camorra, 'ndrangheta e quarta mafia. Un prete di Palermo ha rivelato che la mafia organizza dei ``corsi'' per addestrare i ``baby killer''. Si moltiplicano i ragazzini che si ``mettono in proprio'' per taglieggiare i commercianti o smerciare droghe. Secondo la ``Commissione parlamentare antimafia'', nel quartiere napoletano di Secondigliano, il 15% dei minori è coinvolto nello spaccio di droghe. Sarebbero metà del totale i minori che consumano droghe.

Nel 1991 sono stati denunciati per vari reati ben 45 mila minori, contro i 20 mila del 1986. Ne vengono condannati circa il 20%. Cresce il numero delle ragazze. Sempre a Secondigliano il 23% dei minori passa per gli istituti di pena.

Vediamo il rapporto tra situazione sociale e fenomeni di ``devianza'' minorile. L'80% degli arrestati viene da quartieri poveri e degradati, l'89% ha un livello basso di istruzione, tanto che il 20 per cento risulta addirittura analfabeta. Basta pensare agli asili nido: servono solo il 5,2 per cento dei bambini italiani, al Sud l'1,8. Solo a Palermo mancano almeno 10 mila posti all'asilo per i bambini dai 3 ai 5 anni dei quartieri più poveri. A Napoli c'è un asilo nido ogni 12.537 bambini. L'assenza o la scarsissima presenza di servizi sanitari e sociali è concausa dei problemi minorili. Ad esempio la mortalità infantile su scala nazionale è del 9,5 per mille, a Napoli del 40 per mille circa.

Circa la violenza e gli abusi sui minori, se ne stimano 20 mila all'anno. I padri delle vittime appartengono a ceti sociali bassi, 28% operai, 4,5% disoccupati: la miseria c'entra, eccome! Non ci sono invece cifre sulla prostituzione e lo sfruttamento dei minori per la pornografia. E' risaputa l'esistenza di un ``mercato'' dei bambini poveri per le adozioni e per prelevarne organi da destinare ai figli di famiglie ricche: ecco dove finiscono spesso la gran parte delle centinaia di bambini che ``spariscono'' annualmente in Italia.

Nel quartiere S. Frediano di Firenze il 98% dei bambini ha una bicicletta, ma non sa dove usarla. Lo spazio verde a Firenze dovrebbe essere pari a mq. 9 a testa, in realtà ce n'è solo mq. 2,7. Risultano in aumento i suicidi tra i giovanissimi.

Insomma da qualsiasi lato si affronti il problema si scopre che il barbaro regime neofascista succhia il sangue ai minori, li defrauda del diritto stesso all'infanzia, all'istruzione e a una vita sociale adeguata. O stanno per la strada o stazionano per ore e ore davanti alla Tv. E la colpa certo è del capitalismo, non della Tv in quanto tale, come sostengono certi filosofi borghesi, che vorrebbero salvare il sistema capitalistico dalle sue responsabilità passate e presenti.

I GIOVANI DEL MERIDIONE

Le masse giovanili del Mezzogiorno vivono nella miseria, nella disoccupazione, nella militarizzazione e rappresentano il serbatoio della mafia, della camorra e della 'ndrangheta.

Emigrano di meno rispetto al passato perché ormai nemmeno il Nord Italia può offrire lavoro e casa e per il crescente razzismo sobillato in particolare dalla Lega Nord che aumenta le difficoltà dell'inserimento dei giovani al Nord.

Da più parti si sente parlare di ``nuova'' questione meridionale e si specula su certe differenze che pure esistono tra zona e zona del Sud, tuttavia rimane il fatto che le masse del Mezzogiorno sono in balia della criminalità organizzata, del grande capitale del Nord e di una borghesia locale che della corruzione, dell'avidità, del clientelismo e del connubio con la ``piovra'' ha da sempre fatto le sue ragion d'essere e la condizione prima del suo dominio reazionario e di tipo feudale.

Il sottosviluppo del Sud è un elemento congenito del capitalismo italiano e quindi ad esso è funzionale. Malgrado oltre un secolo di ipocrite promesse e impegni, mai realizzati, lo Stato borghese e i governi centrale e locali succedutisi (quale che fosse la loro composizione partitica) non hanno affatto risolto, né avviato a soluzione la questione meridionale. Tutt'oggi il 26,4% degli abitanti del Sud è povero, si tratta di circa 5 milioni e mezzo di donne e uomini.

Per i giovani meridionali la vita è un inferno. Nell'89 si contavano 1 milione e 200 mila disoccupati di età compresa tra i 14 e i 29 anni, il 70,5% della disoccupazione meridionale e il 41,7% di quella nazionale. A causa dell'ancora forte presenza di ragazze casalinghe nel Sud (44% nella classe di età tra i 25 e i 29 anni contro il 20,5% del Nord), la disoccupazione femminile giovanile al Sud è al 52,4%, mentre nel Centro-Nord è del 62,8%. Solo 450.000 ragazze meridionali di età compresa tra i 14 e i 29 anni su 2.700.000 lavorano, pari al 16,7%, a fronte del 42,8% del Nord.

Due dati per la scuola, altri li abbiamo citati nel paragrafo precedente. Il 39,2% dei giovani del Sud si ferma dopo la scuola dell'obbligo. In Sardegna - per non citare sempre Napoli e Palermo - la scuola dell'obbligo e il biennio delle medie superiori hanno tassi di ripetenze fra i più alti d'Italia, il rapporto tra iscritti e licenziati dalla scuola media inferiore è tra i peggiori d'Italia. Il tasso di scolarità dei 14-18enni sardi è più basso di diversi punti della media nazionale. Altissima la percentuale di studenti di Cagliari costretti a doppi e tripli turni: nell'88 alle superiori erano il 70%.

Sulla terribile condizione scolastica, lavorativa e sociale dei minori del Sud si è detto in precedenza.

Se la situazione è questa, aggravata dal degrado ambientale e dall'imbarbarimento della vita sociale specie nei quartieri più poveri delle città del Sud, è chiaro che col capitalismo, col regime neofascista e mafioso non ci sarà futuro per i giovani meridionali.

I GIOVANI DELLA PERIFERIA URBANA

Le cosche parlamentari amministrano le città sulla base delle esigenze economiche, sociali e culturali del capitale. Perciò le città, come d'altronde l'intero Stato capitalistico, sono costruite a immagine e somiglianza della borghesia. Tutto risponde alla logica del profitto dei padroni e del soddisfacimento degli interessi e necessità delle classi agiate. I bisogni e le esigenze dei lavoratori, delle masse popolari, dei giovani e degli immigrati sono regolarmente ignorati e calpestati.

Nelle città italiane e in particolare nelle periferie urbane delle metropoli e del Sud, regnano la disoccupazione, una crescente povertà, l'inquinamento dell'ambiente e il caos urbanistico. Si langue nella emarginazione, nella solitudine e alla mercé delle droghe e della criminalità organizzata. Nelle periferie del Nord e del Sud gli unici luoghi di aggregazione e incontro proposti ai giovani sono i marciapiedi, le strade, i bar o le birrerie. In questa deprimente disgregazione, in queste spettrali periferie ghetto e dormitorio dove la vita sociale non può che imbarbarirsi, spesso si finisce col perdere ogni interesse alla vita e si muore socialmente, culturalmente e politicamente.

Manca tutto e non solo al Sud: case, servizi e strutture sociali, culturali e ricreative, spazi verdi e sportivi attrezzati. Quel poco che esiste è controllato da privati, bisogna pagarselo.

Noi vogliamo città multirazziali governate dal popolo e al servizio del popolo. Vogliamo che l'asse politica delle città si sposti verso le periferie urbane e i bisogni delle masse lavoratrici, popolari e giovanili.

Oggi i giovani non hanno voce in capitolo in niente che non sia strettamente controllato dal palazzo. Vogliamo invece che siano create strutture sociali, ricreative e sportive pubbliche da dare in gestione direttamente ai giovani. L'autogestione e la democrazia diretta sono la via maestra per sottrarsi e opporsi alla lottizzazione, alla spartizione, alla corruzione pubblica e al clientelismo e nel contempo per soddisfare le esigenze associative e di iniziativa delle masse giovanili. Ciò serve anche ai giovani per esprimere liberamente la loro socialità, fantasia, creatività, voglia di contare, di essere protagonisti della trasformazione della società, rompendo la cappa dell'isolamento, della solitudine e della disgregazione sociale.

LA DROGA

La droga ha campo libero specie nelle periferie urbane delle metropoli, ma ormai ovunque, anche nelle province più ``tranquille'' e a ``misura d'uomo'' in mano al PDS. Essa falcidia le nuove generazioni, è un cancro che va estirpato dalle radici che affondano nello sfascio e nella degenerazione della società capitalistica.

I tossicodipendenti italiani sono calcolati in circa 300mila, i consumatori saltuari di droghe in un milione circa. Essi sono lasciati soli e senza cure dallo Stato. Nel '78 morirono 62 tossici, nell'89 furono 965. Nel lustro '85-'89, sono quasi quadruplicati. In testa alla triste graduatoria c'è sempre la ``ricca'' Lombardia. L'identikit del tossicodipendente ``tipo'', tracciato dal Censis sette mesi fa, è quello di un giovane di età compresa tra i 19-39 anni, maschio, disoccupato o senza regolare retribuzione, con titolo di studio basso.

La droga e il mercato della morte che gli ruota attorno, sono funzionali alla classe dominante borghese. Grazie a questo mercato si può assicurare il controllo di migliaia e migliaia di giovani tossicodipendenti che per forza di cose sono ``deviati'', cioè costretti al disimpegno politico e sociale, impossibilitati a lottare contro le vere cause che li spingono nel baratro della droga. I comportamenti ``asociali'', i fenomeni di piccola delinquenza legati alla diffusione degli stupefacenti possono essere controllati con relativa facilità, compresa la via assistenziale oltre a quella della repressione.

L'attuale enorme sviluppo del commercio della droga, fonte di profitti favolosi, è parte integrante dell'economia capitalistica internazionale, coinvolge governi e uomini politici, banche mondiali e grandi imprese, ingrassa eperpetua il dominio della criminalità organizzata che nel nostro Paese si chiama mafia, camorra, 'ndrangheta e ``quarta mafia''.

Dopo la vomitevole campagna che riunì intorno a Craxi vecchi e nuovi fascisti, P2, destra democristiana e destra ``sociale'', nel 1990 venne approvata la legge 162 che sanciva come reato il consumare droghe, senza distinzione alcuna tra leggere e pesanti. Tale legge neofascista, conosciuta come Vassalli-Jervolino, dal nome dei due ministri firmatari, ha creato una ``caccia'' ai tossicodipendenti col risultato che una valanga di consumatori e piccoli spacciatori ha varcato la soglia delle ``patrie galere'', al punto che ormai un detenuto su tre degli oltre 39 mila in totale, è appunto tossicodipendente. Ne è conseguito pure un ingolfamento degli uffici giudiziari, alle prese con un'infinità di piccoli procedimenti invece che con i grandi reati, i grandi scandali e crimini che piagano l'Italia.

Il governo spergiura che la legge 162/90 funziona, ma il grande traffico di droga è solo intaccato, mentre il numero dei morti per "overdose" dal '91 al '92 è leggermente diminuito unicamente perché le prefetture hanno l'obbligo del silenzio sui dati relativi e perciò essi sono fasulli. In poche parole, come mussolinianamente volevano Craxi, Gelli e la reazione, la 162 ha "ripulito" il Paese dai tossicodipendenti, non ha affatto eliminato o ridimensionato il problema.

Di fronte alla nuova barbarie creata dalla legge 162 si è sviluppato un vivace dibattito che ha fatto emergere un grosso fronte favorevole alla legalizzazione della droga.

Nel frattempo Svizzera e Olanda stanno mettendo in atto esperimenti di sommistrazione controllata dell'eroina ai tossicodipendenti a ``scopo terapeutico'' sotto controllo medico. E' in pratica il primo tentativo mondiale di una forma di legalizzazione delle droghe pesanti, peraltro in netto contrasto con le tesi dei proibizionisti che tuttora prevalgono all'Europarlamento e in Italia. Vedremo i risultati.

Noi siamo contro la droga, ma essa non si combatte con la legge 162. Questa legge va affossata perché il consumo non può in alcun modo essere considerato reato. La malattia non si cura uccidendo il paziente. Vanno perciò subito tolte dalla clandestinità tutte le droghe leggere. Occorre altresì depenalizzare il consumo delle droghe pesanti e procedere alla somministrazione controllata di eroina, cocaina, morfina e metadone tramite strutture pubbliche, in condizioni igieniche ottimali e senza che ciò comporti alcuna repressione e schedatura poliziesca dei tossicodipendenti.

Legalizzare le droghe leggere e depenalizzare il consumo di quelle pesanti non significa affatto eliminare il mercato nero sul quale si fonda buona parte dell'impero economico criminale. Significa solo assestargli un duro colpo e farlo arretrare, impedire a chi gestisce il traffico un controllo asfissiante e capillare su interi quartieri e zone e su decine di migliaia di giovani. E' ovvio che ancora esisterà il mercato nero, poiché è illusorio sperare che tutti i tossicodipendenti si rivolgano alle strutture pubbliche, tuttavia esso sarà notevolmente ridimensionato e costretto a inventarsi nuovi sbocchi.

Noi chiediamo che lo Stato destini alla lotta contro la droga il frutto dei sequestri ai danni di produttori e trafficanti, partendo dalla costruzione di attrezzati centri di cura e disintossicazione. Nella scuola deve essere istituita una seria, scientifica informazione contro l'uso delle droghe e sui loro effetti.

Comunque sia la lotta alla droga si può vincere solo sul piano politico, rimuovendo i fattori economici e sociali che ne facilitano l'espansione, in primo luogo dando un lavoro stabile e a salario pieno ai giovani e a tutti i disoccupati, sviluppando il Mezzogiorno, risanando le periferie urbane, facendo della scuola e dell'Università un servizio sociale goduto dal popolo e dal popolo controllato, dando la casa a chi ne ha bisogno, incrementando i servizi sociali pubblici.

In ultima analisi solo affossando il capitalismo si affosserà il mostro della droga, nell'immediato gli si possono però spuntare gli artigli.

I SUICIDI GIOVANILI

Si susseguono, nonostante il tentativo neofascista di imporre un "black-out" sull'argomento, le notizie sull'agghiacciante stillicidio di suicidi di giovani e giovanissimi. Una catena di morti che ha coinvolto 315 ragazze e ragazzi sotto i 24 anni nel 1990 e 271 nel 1991. Lo scorso anno 382 giovani sotto i 24 anni tentarono di suicidarsi. A questi vanno aggiunti i suicidi "mascherati" da incidenti automobilistici e "overdose" di droga.

A suicidarsi sono di più i maschi, a tentare il suicidio sono di più le femmine. In testa alla tragica classifica c'è la Lombardia, seguono l'industrializzato Piemonte e l'Emilia-Romagna a governo di ``sinistra''. Il Sud, ad eccezione della Sicilia, è meno toccato dal fenomeno.

Negli ultimi 20 anni in quasi tutta Europa si è registrato un aumento dei ``comportamenti suicidari'' tra i giovani di età compresa tra i 10 e i 24 anni. Stesso discorso vale per gli Usa.

Si tolgono la vita giovani sia proletari che di famiglia borghese, abitanti sia di grandi che di piccole città. Spesso il gesto è compiuto individualmente, talvolta collettivamente: ha fatto storia il suicidio dei tre giovani altoatesini, quello della giovane coppia sposata da 3 mesi di Bolzano e quello di un 14enne fiorentino che cercò di coinvolgere una coetanea.

Quasi sempre si tratta di scelte ben maturate e coscienti. Ecco alcuni messaggi lasciati da chi si è suicidato: ``mi sento inutile''; ``sono stanco di vivere''; non sopporto questa vita''; ``questa vita è senza prospettive''. Si scorge in queste parole una critica contro questa società, tanto che può sembrare, e lo è in fondo, un estremo segnale di insoddisfazione e protesta - per noi inaccettabile, ma comprensibile rispetto alle ragioni di chi lo compie - lanciato contro il sistema oppressivo e sfruttatore.

Sociologi e psicologi si sono affannati nel cercare le ragioni di gesti ``inspiegabili'' messi in atto da adolescenti e ragazzi che teoricamente dovrebbero solo conoscere la ``felicità'' e la ``voglia di vivere''. C'è chi dà la colpa alla ``famiglia'', chi alla ``crisi dei valori'', chi al ``crollo delle ideologie''. Rari coloro che fanno riferimento alle cause sociali come disoccupazione, emarginazione e solitudine da un lato, competizione sfrenata, individualismo, carrierismo, sopraffazione del più forte sul più debole dall'altro.

Al di là delle ragioni specifiche contingenti, non c'è alcun ``mistero'' sulle cause che fanno scattare la molla del suicidio. Non è l'``immaturità'', né la disgregazione del rapporto genitori-figli, né il mancato ``ruolo educativo'' della scuola, questioni che incidono solo in piccola parte. E'questa società che non offre prospettive, non garantisce un avvenire degno di essere vissuto, getta i più deboli nella disperazione totale.

L'AMORE E IL SESSO

I giovanissimi italiani, dicono le statistiche ufficiali, sono ignoranti in materia di sesso. Pur essendosi abbassata a 17 anni per i maschi e 15 per le femmine l'età media del primo rapporto sessuale completo, alcune ricerche hanno evidenziato che i giovani sanno poco o nulla su tali questioni. In particolare l'uso del contraccettivo è ancora marginale e moltissimi ricorrono alla cosiddetta pillola del ``giorno dopo'', senza nemmeno conoscerne gli effetti collaterali.

Questa disinformazione è dovuta alla totale assenza di informazione sulla sessualità da parte dello Stato e delle istituzioni che dovrebbero esservi preposte. I giovani italiani infatti risultano pieni di tabù e complessi a livello sessuale assolutamente inconcepibili; dichiarano che la società e la scuola non hanno loro insegnato niente su questi argomenti. D'altronde la introduzione della informazione sessuale nella scuola dell'obbligo, al di là di quelli che dovrebbero essere i contenuti, è ben lungi dal concretizzarsi specie per le resistenze della DC e di altri settori delle cosche parlamentari omologate ideologicamente e culturalmente alle teorie più retrograde e oscurantiste della dottrina cattolica.

In questo quadro non va dimenticato che nell'86 il parlamento approvò una legge che vietava l'amore tra i minorenni, anche se consensuale, equiparandolo in pratica alla ``violenza sessuale'', se il rapporto viene consumato tra minori di anni 14 con partners maggiorenni.

La sessualità insomma è vista come un delitto, diventa uno strumento di ricatto e coercizione morale delle nuove generazioni, per farle crescere alle soglie del 2000 nel pregiudizio e nei tabù medievali, nel cieco rispetto dei dogmi cattolici sui quali si è retta fin qui la classe dominante borghese. Il regime neofascista preferisce la clandestinità e la repressione della sessualità giovanile invece di stimolare e favorire una piena maturità attraverso una seria, scientifica, democratica informazione sessuale e contraccettiva a partire dalla scuola dell'obbligo, la quale dovrebbe coinvolgere i giovani anche grazie all'aiuto degli esperti oltreché degli insegnanti.

LA MUSICA

Proprio negli ultimi mesi è tornata di moda una qualche forma di ``impegno politico'' da parte dei cantautori italiani, si sono rivisti megaconcerti con scopi ``umanitari'' e ``sociali''. Addirittura settori della stampa borghese hanno individuato proprio nei cantautori italiani ``ribelli'' gli unici soggetti in grado di ``dare la linea'' alle nuove generazioni attraverso canzoni piene di slogan e di ``certezze''.

Senz'altro quello musicale è oggi un fenomeno capace di coinvolgere più o meno direttamente le ragazze e i ragazzi, senz'altro attraverso la musica e i grandi concerti le nuove generazioni trovano una forma di protagonismo, per lanciare dei segnali all'intera società. In realtà però i giovani rimangono emarginati, neutralizzati, chiusi in un ghetto artificioso, avulso dalla realtà quotidiana. Per quanto si possano operare delle distinzioni tra cantautore e cantautore, il risultato è sempre che i giovani attraverso i megaconcerti e l'industria discografica vengono defraudati, spogliati, strumentalizzati non solo economicamente, ma soprattutto dal punto di vista sociale e politico. Da elementi attivi e d'avanguardia nella lotta contro l'imperialismo, il colonialismo, il razzismo, la mafia e la corruzione, contro l'oppressione e lo sfruttamento capitalistici, essi vengono trasformati in semplici e docili spettatori o peggio in consumatori di un prodotto culturale e musicale che riflette comunque le idee e la cultura della classe dominante borghese, in particolare l'individualismo.

Indipendentemente dalla volontà soggettiva di chi partecipa ai concerti o si riempie la casa di dischi di ``protesta'', è in atto una gigantesca operazione commerciale e finanziaria orchestrata dalle grandi case discografiche e da "sponsor" ben interessati a cui in pratica non si sottrae nessun ``campione'' della musica d'autore nostrana, ex ``arrabbiati'', e oggi ``pentiti'' come Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Edoardo Bennato e Francesco Guccini.

Il fatto è che attraverso la musica, cosiccome attraverso i fumetti, le riviste, ecc., destinati soprattutto a un pubblico di giovanissimi, il regime neofascista riesce a garantirsi un forte controllo culturale e politico e una ferrea strumentalizzazione economica delle masse giovanili viste come soggetti passivi da riempire di frivolezze, falsi miti e spot pubblicitari a partire dalla prima infanzia.

La nostra si badi bene non è affatto opposizione di principio alla musica, ai concerti, al rock, al rap e compagnia bella. Ben sappiamo della funzione sostanzialmente progressista e democratica, anche se fortemente impregnata di pacifismo e idealismo, esercitata dal rock all'inizio degli anni sessanta. Diciamo solo che c'è musica e musica, e soprattutto c'è modo e modo di usarla nel contesto sociale.

In una società divisa in classi, in un mondo profondamente diviso fra paesi ricchi e poveri dove dominano l'imperialismo e il neocolonialismo, la musica come il teatro, il cinema, e l'arte in genere, non possono mai essere definite neutrali, universali, assolute. Esse esprimono sempre le idee, i valori, i sentimenti di una determinata classe: in Italia non possono che essere espressione o dell'ideologia e della cultura borghesi o di quelle proletarie.

Il ``solidarismo'', il ``pacifismo'', il ``trasgressivismo'' e anche l'interclassismo e il ribellismo individuale che trasudano dai testi delle canzoni della stragrande maggioranza dei musicisti attuali, quantunque apparentemente sembrino contrastare i ``valori'' e la realtà borghesi e capitalistici esaltati da altri musicisti smaccatamente ``integrati'', sono in verità parte integrante della concezione del mondo borghese e imperialista, non intaccano in alcun modo il regime neofascista.

Quel che si vuol dire è che nessun concerto di ``protesta'', nessun disco ``impegnato'', nessun cantante ``anticonformista'', può surrogare la lotta di classe e la partecipazione di massa dei giovani alla lotta di classe stessa, che rimangono le vie maestre per l'emancipazione ideologica, culturale, politica, economica e pratica.

I GIOVANI, I PARTITI E L'ASSOCIAZIONISMO

Tutte le inchieste e i sondaggi degli ultimi 2-3 anni sottolineano che i giovani ``rifiutano'' i partiti. E' quanto emerge anche dal rapporto Censis su ``L'orizzontalità del mondo giovanile'', presentato il 24 giugno 1992.

Tale rapporto registra un calo nella già bassa percentuale di giovani iscritti ai partiti parlamentari negli ultimi cinque anni, -3,1%. Stesso discorso per le organizzazioni sindacali, -0,6%, e per quelle a carattere religioso, -5,8%, sempre in riferimento agli ultimi cinque anni.

Questi dati sono il riflesso, da un lato, della trasformazione dei partiti in cosche parlamentari e della loro compenetrazione con mafia, P2 e massoneria, nonché della ignobile vincenda di Tangentopoli. Dall'altro della negligenza e inettitudine dei partiti del palazzo verso i bisogni delle nuove generazioni, considerate solo come ``spremivoti'' per le elezioni o utili a creare una base di massa a questo o quel progetto neofascista.

Approfittando della situazione di riflusso della lotta di classe e della fase riformista che attraversa il movimento giovanile e studentesco - le cui responsabilità ricadono essenzialmente come detto sul partito revisionista ieri e su quello neorevisionista oggi - la classe dominante borghese è riuscita progressivamente a spostare gli interessi dei giovani dall'impegno politico e dalla lotta di classe contro il capitalismo, ad un impegno individuale in campo sociale e fortemente influenzato dal riformismo, dal pacifismo, dalla nonviolenza, dalla solidarietà generica e interclassista. Solo il 3% dei giovani, osserva il Censis, vuole ancora la rivoluzione, mentre il 60% delle ragazze e ragazzi tra i 14 e i 24 anni aspira a una pace idealistica e il 56% a un ambiente ``migliore''.

Nell'illustrare il rapporto citato, il direttore del Censis, Nadio Delai, ha sostenuto che ``le giovani generazioni risultano talmente omologate da non rappresentare più un fermento''. Anche se sappiamo che questa affermazione è ``vera'' solo temporaneamente, quali sono i suoi ``retroscena'' politici, e che tale omologazione investe in misura diversa la sinistra, il centro e la destra giovanile, essa rappresenta una ``fotografia'' che purtroppo non si discosta molto dalla realtà che vede un ``ritorno'' dei giovani al privato, alla famiglia e ai sentimenti.

Ciò vale anche per le ragazze che sono sempre più sospinte a omologarsi a un ruolo femminile tradizionale all'interno dei rapporti sociali, familiari, di coppia e interpersonali. Un ruolo che, nella sostanza, le riconduce al classico modello di stampo borghese e cattolico - oggi esaltato anche dalle femministe del PDS e del PRC - di donna in primo luogo madre, moglie, fidanzata, casalinga, subordinata, e comunque non pienamente indipendente, dall'autorità maschile.

Il Censis rileva che ``i giovani tendono a delegare alla famiglia di provenienza la responsabilità e, soprattutto, i costi che la costruzione del proprio futuro comporta''. In pratica il rapporto non più conflittuale di larghe fasce dei giovani con la famiglia d'origine unitamente all'enorme estensione della disoccupazione giovanile determinano una permanenza ``eccezionalmente prolungata'' nella casa natìa, tanto che, secondo l'inchiesta, la gioventù italiana è la più ritardataria d'Europa nello sganciarsi dalla famiglia e costruirsi la propria vita indipendente.

Questo quadro - che possiamo riscontrare in tante scuole, Università e quartieri - tuttavia non è statico e immutabile. E' contrastato dall'attuale ripresa di un certo tipo di impegno politico. Vediamo infatti che quando scoppiano le contraddizioni, tipo quella attuale contro il razzismo e la mafia, i giovani tornano in massa a riempire le piazze, sia pure con tutti i limiti già detti.

I giovani di oggi, comunque, sono sensibili all'associazionismo. Il Censis ha riscontrato un forte aumento della partecipazione giovanile a forme di associazionismo tematico. Rispetto a cinque anni orsono c'è un 47,5% nelle associazioni studentesche, +3,1% nelle associazioni a carattere sociale e di volontariato, +2% non meglio specificate associazioni di categoria, +0,4% associazioni ecologiste. Viene calcolato che il 51% dei giovani italiani, di cui il 43,8% ragazze, spende parte del proprio tempo libero in associazioni.

Un dato importante che dobbiamo volgere a nostro favore per svegliare i giovani alla lotta di classe e all'impegno politico e partitico. Non c'è infatti un rigetto totale e generale della politica da parte dei giovani, ma solo di questi partiti parlamentari e della loro sporca politica.

I GIOVANI E IL VOLONTARIATO

Con la progressiva omologazione ideologica e politica dei partiti di origine operaia si è assistito all'esplosione del volontariato, fino a non molti anni orsono istituzione marginale e di interesse quasi esclusivo dei cattolici.

Oggi il volontariato è un fenomeno di massa che coinvolge circa 5 milioni di uomini e donne, soprattutto del ``ceto medio''. Vi partecipano centinaia di migliaia di giovani perché trovano in esso un mezzo per esprimere il loro altruismo e la loro volontà di essere utili al popolo.

Il cosiddetto ``esercito della bontà'' opera nei più svariati settori dell'assistenza sanitaria e sociale, della tutela ambientale e dei beni culturali, della protezione civile e in altri settori.

I volontari svolgono un lavoro gratuito che fa risparmiare allo Stato ben 11 mila miliardi l'anno. Questo spiega perché è stato istituzionalizzato e perché gode del sostegno del governo e di tutte le cosche parlamentari.

Mentre nel passato il volontariato era indipendente e autonomo dalle istituzioni, dopo l'approvazione della legge quadro 266/91 è divenuto subalterno al governo, allo Stato e al sistema capitalistico. Senza che i giovani volontari ne abbiano piena coscienza. Non si rendono conto che il volontariato tappa le falle del sistema capitalistico ed è di fatto una supplenza, un surrogato, a costo zero o quasi, dei servizi sociali, previdenziali, assistenziali e civili che lo Stato avrebbe il dovere di erogare alla popolazione.

Affascinati dalla parola d'ordine della solidarietà, essi non capiscono che tale parola d'ordine interclassista e di stampo cattolico ha lo scopo di stemperare i conflitti di classe, far passare la ``pace sociale'' e integrare il proletariato e le masse, senza che se ne accorgano, nel regime neofascista, anche quando al volontariato si intende attribuire il ruolo di strumento per ``rifondare lo Stato''.

La ``solidarietà'' tanto magnificata è tutt'altra cosa della solidarietà di classe, dell'internazionalismo proletario, che fanno parte della cultura, della tradizione e della storia di lotta del proletariato. Essa è il classico, vecchio e ipocrita assistenzialismo borghese, individuale, volontario e privato. La ``carità'' verso i bisognosi, l'aiuto ai poveri e agli affamati del Terzo mondo ed altre ``opere pie'' di questo tipo sono meno che niente se non si denunciano e soprattutto se non si combattono le cause di tutto ciò in Italia e nel mondo, che sono la divisione in classi della società, il capitalismo, l'imperialismo, il colonialismo, il neocolonialismo, il razzismo e l'apartheid, che vanno distrutti.

E' nostro compito aprire gli occhi dei giovani sulla natura, il carattere e gli scopi politici del volontariato affinché il loro grande spirito di sacrificio e la loro disponibilità a servire le masse non vengano indirizzati verso il volontariato ma nella lotta di classe e per costruire dei movimenti di massa capaci di ottenere dal governo centrale e dalle amministrazioni locali opere e misure che vadano a vantaggio dei lavoratori e delle masse popolari per soddisfare quei bisogni primari cui hanno pieno diritto, a vantaggio dei poveri, il cui esercito è calcolato in nove milioni di unità ed è destinato ad aumentare in breve di 400 mila unità, grazie alla ``cura'' del governo Amato.

V - LA PROPOSTA DEL PMLI AI GIOVANI

Nonostante che il socialismo abbia pressoché perso ogni influenza sulle nuove generazioni, o perché non ne hanno memoria storica o perché ne ricevono dalla borghesia, dai revisionisti e neorevisionisti un'immagine ripugnante, noi dobbiamo riproporlo con molta forza ad esse, certi che il socialismo tornerà di moda e finirà col sostituirsi al capitalismo.

Con molta fiducia dobbiamo proporre alle ragazze e ai ragazzi di essere gli alfieri della lotta per il socialismo.

Dobbiamo convincerli che i caratteri di classe dell'attuale società non si possono cambiare restando al suo interno e collaborando con essa. Dobbiamo convincerli che bisogna radere al suolo il capitalismo per dare le ali alla gioventù e assicurarle un avvenire sereno e felice e costruire una nuova società senza più sfruttatori e sfruttati, oppressori e oppressi, emarginazione e solitudine giovanile. Dobbiamo convincerli che il socialismo nasce dalle ceneri del capitalismo, non dalla collaborazione economica, sindacale, istituzionale e governativa con la classe dominante borghese.

``Chi vuole l'emancipazione del proletariato e di tutta l'umanità - ha detto con chiarezza il compagno Giovanni Scuderi - l'estinzione dello Stato e dei partiti, l'autogoverno del popolo, l'abolizione delle classi, dei conflitti di classe, della guerra di qualsiasi tipo, giusta e ingiusta, rivoluzionaria e controrivoluzionaria, e di ogni forma di violenza, la soppressione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e della proprietà privata capitalista, la giustizia sociale, la completa e autentica parità tra la donna e l'uomo, il benessere dei lavoratori, l'abolizione del sottosviluppo e degli squilibri territoriali, il risanamento ecologico, non può non volere il socialismo. Cioè quel sistema sociale che consente, attraverso l'esercizio della dittatura del proletariato, di passare al comunismo dove finalmente, gradualmente e per fasi successive, si può realizzare tutto ciò. Un'altra strada non esiste, è pura utopia se non un autoinganno o un inganno vero e proprio.

``Come dimostrano i fatti e l'esperienza storica mondiale e come insegnano i maestri del proletariato, perdurando il capitalismo, l'imperialismo, il colonialismo e il razzismo non è possibile aspirare all'uguaglianza sociale, al benessere sociale, alla democrazia e alla libertà autentiche, alla pace sociale, alla nonviolenza, all'aiuto reciproco tra i lavoratori e alla solidarietà di classe, a un'alta moralità e spiritualità. Bisogna passare dal socialismo e andare verso il comunismo per soddisfare queste sacrosante aspirazioni millenarie, da quando dal comunismo primitivo il mondo ha visto l'apparizione delle classi, della proprietà privata e delle dittature successive degli schiavisti, dei feudatari e dei borghesi.

``I nostri modelli di socialismo sono quelli costruiti da Lenin e Stalin e da Mao, anche se il nostro disegno di socialismo, delineato al III Congresso nazionale del PMLI, svoltosi nel dicembre 1985, corrisponde alla realtà del nostro Paese e non è una copia meccanica di quelli.

``Certo è che da quelle due grandi esperienze storiche, noi abbiamo ricavato la profonda convinzione che al centro di tutte le nostre attenzioni nel socialismo ci deve essere la rivoluzione ininterrotta secondo la teoria di Mao, il pieno coinvolgimento delle masse rivoluzionarie nella costruzione del socialismo, la trasformazione della concezione del mondo delle masse, la proletarizzazione del Partito''. ("Discorso di Commemorazione di Mao dell'8.9.91").

Il socialismo rappresenta l'unica via di uscita dal regime neofascista operante e in via di organizzazione secondo le linee del famigerato ``piano di rinascita democratica'' di Gelli e della P2. Il socialismo rappresenta l'unica reale strategia per combattere il governo neofascista e affamatore del popolo Amato, impegnato a pilotare l'ingresso dell'economia capitalista italiana nel mercato unico europeo secondo le direttive capestro del trattato di Maastricht, approvato a larghissima maggioranza dal parlamento italiano.

Siamo consapevoli che il socialismo non è dietro l'angolo, ma tuttavia esso rimane sempre la mèta storica del proletariato.

Prima o poi ci arriveremo ma non certo per via parlamentare, legale e costituzionale. La classe dominante non lo permetterebbe mai. Solo l'insurrezione di massa potrà abbattere la dittatura della borghesia.

Un tempo la gioventù di sinistra non aveva alcun problema circa la necessità della rivoluzione socialista. Oggi il suo atteggiamento è alquanto diverso. La predicazione della nonviolenza ha corrotto largamente la sua coscienza rivoluzionaria. Dobbiamo quindi convincere le ragazze e i ragazzi che la lotta di classe non sempre si può fare con i guanti bianchi. A un certo punto, quando le contraddizioni non si possono risolvere pacificamente e i padroni e il loro Stato cominciano a menare le mani, non si può certo stare inermi a ricevere le botte. Bisogna reagire, rispondendo colpo su colpo.

E' assurdo considerare la nonviolenza come la "Stella polare", la "nuova rivoluzione" dei popoli oppressi.

La nonviolenza non può essere vista al di fuori, al di sopra o come alternativa alla lotta di classe e alla lotta armata. Essa può avere una sua validità, un suo peso e un suo spazio solo se inserita in un processo rivoluzionario. Essa può essere utilizzata dal proletariato e dai popoli rivoluzionari fino a quando non sono maturi i tempi per uno scontro più acuto e violento a livello di massa con le classi dominanti sfruttatrici, quando l'esperienza e il livello di coscienza delle masse non sono ancora sufficienti e la nonviolenza, purché sia attiva e combattiva, può servire a smascherare il nemico di classe, a mettere in mostra il suo volto repressivo, violento e reazionario.

Ma la nonviolenza deve avere la sensibilità e la disponibilità a tirarsi indietro allorché la lotta di classe e la lotta di massa esigono metodi di lotta più avanzati, più duri e violenti quali i picchetti, il blocco di strade, autostrade, aeroporti, porti e ferrovie, occupazioni di fabbriche e scuole, assalti alle sedi comunali, provinciali e regionali, e quando diventa inevitabile lo scontro con le forze di polizia.

La nonviolenza non può che tirarsi indietro, quando è tempo di insurrezione, quando matura lo scontro decisivo per la conquista del potere politico da parte del proletariato.

"La rivoluzione non è un pranzo di gala- rileva Mao -, non è un'opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un'insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un'altra". (Rapporto dell'inchiesta sul movimento contadino nello Hunan, marzo 1927, Opere scelte, vol. I, pag. 25)

VI - I COMPITI PRINCIPALI DEL PMLI SUL FRONTE GIOVANILE

Al fine di conquistare le nuove generazioni alla causa del socialismo siamo chiamati a superare molti ostacoli e grandi difficoltà. Bisogna essere coscienti che oggi più che mai non basta definirsi rivoluzionari e sventolare la bandiera rossa per vedere accorrere frotte di ragazze e ragazzi nel PMLI.

Questo non deve però preoccuparci oltremodo. Come sempre il nostro lavoro politico deve essere svolto con serietà, serenità, fiducia e perseveranza, affrontando uno alla volta i problemi che ci propone la lotta di classe, senza farsi prendere dall'ansia o peggio indietreggiare di fronte a qualche eventuale insuccesso. La Lunga Marcia politica e organizzativa del PMLI non è un'autostrada comoda, ma uno stretto e tortuoso sentiero di montagna, un'impresa straordinaria che non ha precedenti nella storia del movimento operaio nazionale e internazionale.

Ma quali sono i nostri compiti principali sul fronte giovanile nei campi ideologico e politico, economico e sociale, scolastico e universitario e organizzativo? Eccoli in dettaglio:

IN CAMPO IDEOLOGICO E POLITICO

1) ATTENERSI ALLA LINEA DELLE TRE COSE CHE BISOGNA FARE BENE OGGI PER RAFFORZARE IL PARTITO E FARE BENE LA LOTTA DI CLASSE

Questo compito è decisivo e sovrasta qualsiasi altro. Esso è il segreto del successo anche per il lavoro giovanile.

Il Documento del 20 febbraio 1988 scaturito dalla 4ª Sessione plenaria del 3° Comitato centrale del PMLI ha indicato che le tre cose da fare bene oggi sono:

1) studiare e applicare la linea del Partito;

2) concentrarsi sul lavoro di massa;

3) migliorare la qualità delle organizzazioni e dei militanti del Partito.

"Queste tre cose costituiscono un tutto unico, tre aspetti dello stesso problema che vanno affrontati simultaneamente e non in momenti diversi e uno dopo l'altro secondo l'ordine indicato. Sono talmente interconnessi che qualsiasi movimento si compia nell'ambito di ciascuno di essi produce inevitabilmente degli effetti benefici sugli altri.

Queste tre cose da fare hanno tutte quante la stessa importanza e urgenza, ma è chiaro che le ultime due derivano dalla prima, poiché sono la conseguenza della sua comprensione e realizzazione.

Lo studio e l'applicazione della linea politica del Partito viene dunque ad essere la chiave di volta del rafforzamento del Partito.

Lo studio della linea del Partito è attualmente un compito primario, poiché si riscontrano qua e là, ai vari livelli, un'insufficiente assimilazione della linea del Partito. Questa debolezza di preparazione e formazione politiche incide sensibilmente sulla qualità, l'immagine, l'azione e la ``presa'' del Partito''.

Neanche a livello giovanile ci si può ritenere soddisfatti di come viene studiata e applicata la linea del Partito. Sia i dirigenti che i militanti devono studiare di più i Documenti del CC e dell'Ufficio politico, delle Commissioni e "Il Bolscevico" perché senza avere idee chiare sarà impossibile trasmettere efficacemente le nostre parole d'ordine ai giovani. Se non si studia bene, non si può sperare di applicare correttamente la linea del Partito, di dare le gambe alle nostre proposte marxiste-leniniste.

Lo studio deve essere vivo, mirato, attivo e intelligente, non burocratico, generico e a caso, passivo e ottuso. Esso deve sempre tenere presente i problemi che abbiamo in quel determinato momento da risolvere.

E' indispensabile legare lo studio della linea generale a quello specifico della linea giovanile, poiché essi si integrano e completano. Lo studio della linea generale del Partito ci serve per avere una visione d'insieme della lotta di classe e della linea strategica del Partito entro cui collocare e orientare il lavoro giovanile. Lo studio della linea giovanile ci serve per sapere concretamente ciò che bisogna fare nel lavoro giovanile di propaganda, agitazione, mobilitazione e organizzazione.

Dobbiamo studiare la linea giovanile al solo scopo di applicarla. Per questo è necessario partecipare alle lotte giovanili e studentesche assumendo posizioni attive e d'avanguardia. Ma non si può parteciparvi a casaccio, senza una preparazione specifica e mirata sulla base delle tre fasi che precedono l'azione. Com'è noto, la prima fase è quella della conoscenza della situazione, del rilievo dei dati e dell'individuazione della contraddizione principale. La seconda quella dell'elaborazione della linea, delle parole d'ordine, della tattica e delle rivendicazioni. La terza quella della stesura dell'intervento (scritto, orale, giornalistico) con cui ci presentiamo alle masse.

Solo con una tale preparazione è possibile far penetrare gradualmente la nostra linea nei movimenti giovanili e studenteschi, e competere da pari a pari con le forze politiche che attualmente ne detengono l'egemonia.

La seconda cosa da fare bene oggi per rafforzare il Partito e fare bene la lotta di classe è di concentrarsi sul lavoro di massa. Ma come va tradotta questa parola d'ordine generale nel lavoro giovanile? La risposta ce la fornisce il Documento dell'88 quando afferma che ``sul fronte giovanile dobbiamo concentrare con fermezza il lavoro nel mondo studentesco... Bisogna lavorare sodo e con assiduità fra gli studenti anche per acquistare il più presto possibile quelle forze che ci consentano di operare fra i disoccupati e nelle periferie urbane.

Il che non significa estraniarci completamente da quello che accade in tutti gli altri settori della gioventù. Tutto dipende dalle forze che abbiamo in quel momento a disposizione e da una valutazione dialettica della situazione, pronti comunque a rientrare rapidamente nel lavoro studentesco.

Solo se dovessero crearsi dei movimenti di massa di disoccupati oppure di giovani della periferia urbana e di altri quartieri popolari, e non avessimo altre forze da impiegarvi, potremmo rivedere la direttiva sul lavoro giovanile.

Diversa naturalmente si presenterebbe la situazione se potessimo disporre di giovani disoccupati e della periferia urbana. In questi casi vale il principio generale che ciascun militante del Partito deve operare in primo luogo nel proprio ambiente e settore sociale.

Comunque sia, quanto prima raccoglieremo dei frutti dal lavoro studentesco, tanto più velocemente ci sarà consentito di allargare e completare il lavoro di massa giovanile''.

Migliorare la qualità delle organizzazioni e dei militanti del Partito, è la terza cosa da fare bene oggi per rafforzare il Partito e fare bene la lotta di classe.

Fatte salve le indicazioni generali già conosciute, questo significa che sul fronte giovanile le organizzazioni di Partito devono urgentemente conoscere a fondo la realtà giovanile dell'ambiente in cui operano e i militanti studenti del Partito devono calarsi profondamente nella propria scuola e facoltà. Essi devono essere capaci di stimolare, mobilitare e organizzare gli studenti sui loro problemi quotidiani e creare via via le condizioni soggettive per sviluppare il movimento di lotta. Essi in primo luogo devono costruirsi una solida base di massa tra gli studenti della propria scuola o facoltà e acquistare "sul campo" i galloni di "leader" studenteschi, e da lì partire per allargare la loro influenza politica sulle assemblee generali di scuola e di facoltà fino a quelle interscolastiche, cittadine o di ateneo.

In tutti i fronti del nostro impegno politico, da quello primario sindacale a quello giovanile e femminile ecc., il lavoro di massa è decisivo ai fini del radicamento e dello sviluppo del Partito da una parte, e dell'elevazione della coscienza e dell'attività politiche dei lavoratori, dei pensionati, dei disoccupati, degli studenti nonché della risoluzione dei problemi di questi dall'altra.

Ora che è definitivamente finito il lungo periodo della grande semina, che ci ha visto fortemente impegnati in questi ultimi quattro anni, per far conoscere il Partito alla base del PCI e del PRC, tutte le nostre energie devono essere dedicate al lavoro di massa là dove siamo presenti, come organizzazioni di Partito e come militanti.

Dobbiamo fare ogni sforzo per forgiare quell'anello fondamentale che ci manca entrando risolutamente e con competenza in merito alle questioni specifiche della propria città, quartiere, fabbrica, scuola, ateneo.

Dobbiamo quindi addentrarci sempre più nelle problematiche giovanili e del mondo studentesco. Allo scopo bisogna aprire nuovi canali d'informazione diretta e indiretta e avere un responsabile del lavoro giovanile per ogni istanza che segua gli avvenimenti che riguardano gli studenti e faccia dei servizi giornalistici per "Il Bolscevico".

2) TRASMETTERE AI GIOVANI LA STORIA, GLI INSEGNAMENTI E GLI IDEALI DEL MOVIMENTO OPERAIO NAZIONALE E INTERNAZIONALE

La memoria storica del proletariato è stata cancellata nella mente dei giovani dalla borghesia, dalla reazione, dai riformisti, dai revisionisti e dai neorevisionisti. I giovani sanno poco o niente, e comunque in maniera deformata, dell'esperienza storica del socialismo in Urss e in Cina, delle lotte di liberazione dei popoli oppressi dall'imperialismo, della lotta contro la dittatura nazista di Hitler e quella fascista di Mussolini, della lotta anticapitalistica e antifascista della classe operaia italiana. Sanno poco persino del Sessantotto e del Settantasette.

Anche quando il socialismo andava col vento in poppa, anche quando la lotta di classe si sviluppava in Italia, in Europa e nel mondo, è sempre stato un problema per i marxisti-leninisti trasmettere alle giovani generazioni la storia, gli insegnamenti e gli ideali del movimento operaio. Troppa era la disparità dei mezzi tra quelli di cui disponevamo noi e quelli a disposizione della borghesia. Solo che allora, nonostante tutte le bugie, le falsità e le calunnie della borghesia, erano i fatti che parlavano e la scena era illuminata dal proletariato al potere in più paesi, dalla rivoluzione mondiale in ascesa, dalla presenza, dal pensiero e dall'opera dei grandi maestri del proletariato internazionale.

Mentre ora, capovoltasi quella situazione e allontanandosi nel tempo gli eventi rivoluzionari del passato ed essendo così piccolo e senza mezzi il nostro Partito è divenuto più facile per la borghesia e i suoi servi sradicare nella memoria delle nuove generazioni le imprese e le conquiste storiche del proletariato italiano e internazionale e la grande opera di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao.

Ciò nonostante noi dobbiamo contendere ai falsificatori della storia ogni spazio e fare l'impossibile per ristabilire la verità storica in aderenza al punto di vista materialistico e dialettico. Non dobbiamo permettere che le nuove generazioni crescano nell'ignoranza e nella manipolazione della storia e del reale significato di quegli avvenimenti che hanno caratterizzato il XIX e il XX secolo.

Tutto questo chiama a precise responsabilità, oltre all'Ufficio politico e al CC, in particolare la Commissione centrale per il lavoro giovanile e la Redazione centrale de "Il Bolscevico". Bisogna sfruttare le ricorrenze della storia del movimento operaio nazionale e internazionale in modo adeguato e prepararvisi per tempo. L'anno venturo avremo più di un'occasione per far brillare la stella del socialismo in modo da far capire ai giovani che ricercano la giustizia sociale, l'emancipazione, la libertà e la democrazia che le possono avere solo nella società socialista e che per conquistarla non c'è altra via che la via della Rivoluzione d'Ottobre.

3) PROPAGANDARE AI GIOVANI NELLE DOVUTE FORME GLI IDEALI DEL SOCIALISMO E DEL MARXISMO-LENINISMO- PENSIERO DI MAO

E' nostro dovere proletario rivoluzionario irrinunciabile e imprescindibile armare la gioventù degli ideali del socialismo e ``nutrirla'' con le opere immortali di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao.

Dobbiamo far capire ai giovani che solo facendo proprio il progetto di società socialista e l'ideologia che la ispira possono avere una corretta comprensione dei fenomeni politici e sociali contemporanei, di quelli che li riguardano direttamente e di quelli generali, e di tutto quanto concerne lo Stato, la democrazia borghese, il neofascismo, l'imperialismo, il razzismo, la rivoluzione socialista, la dittatura del proletariato, il revisionismo.

Due sono i metodi fondamentali e universali per propagandare il socialismo e il marxismo- leninismo-pensiero di Mao: farne conoscere direttamente le opere, innanzitutto i ``testi sacri'' dei grandi maestri del proletariato internazionale; farne emergere la superiorità e giustezza attraverso le proposte concrete che avanziamo su ogni questione ideologica, politica, strategica, rivendicativa che è all'ordine del giorno a livello giovanile.

Anche nel lavoro giovanile dobbiamo quindi impegnarci nel legare il particolare al generale. Il che significa vedere, e far vedere, la situazione specifica e concreta in esame nel quadro generale del Paese e secondo la nostra strategia anticapitalista.

In questi casi non si tratta tanto di prospettare il socialismo, quanto di far capire, e far prendere coscienza, che il fenomeno in esame è causato dal capitalismo e dal suo governo centrale o locale. Solo quando il dibattito si sposta su questioni ideologiche e strategiche è possibile interessare le masse studentesche e giovanili alle nostre proposte strategiche e al socialismo.

Propagandare il socialismo e il marxismo-leninismo-pensiero di Mao per via diretta è più facile ma è meno accettabile, specie con questi ``chiari di luna'', mentre farlo per via indiretta è più difficile ma più efficace.

4) ELEVARE LA COSCIENZA POLITICA DEI GIOVANI

Si è visto che l'attuale livello medio di coscienza delle masse giovanili è riformista, le tendenze rivoluzionarie e anticapitalistiche sono appena percettibili e inquinate dai neorevisionisti, dagli ``ultrasinistri'', dagli operaisti e dagli anarchici. Le idee e le tesi dominanti sono quelle interclassiste, solidariste cattoliche, pacifiste e nonviolente.

Per invertire la rotta ed elevare la coscienza politica e la combattività dei giovani e degli studenti occorre in primo luogo soffiare sul fuoco della lotta di classe. Bisogna spingere gli studenti, i giovani, i disoccupati affinché le fabbriche, le scuole, le Università, le periferie urbane e il Mezzogiorno, si rivoltino contro il governo Amato, contro i vampiri capitalisti, contro le gerarchie scolastiche e universitarie, contro le giunte locali, contro la mafia, la camorra, la 'ndrangheta e la ``quarta mafia'', il razzismo.

Più movimento c'è, più lotta di massa c'è, più è facile che le nostre parole d'ordine penetrino nelle masse giovanili e che riusciamo a contendere l'egemonia dei giovani alla classe dominante borghese e alle organizzazioni giovanili dei partiti del palazzo.

Dobbiamo essere sensibili, pronti e abili nel cogliere i momenti più favorevoli in cui esplodono le contraddizioni a livello nazionale, cittadino o di quartiere per spingere i giovani alla lotta, alzare il livello dell'azione e del dibattito politico, mettere all'indice i governanti e far apprezzare le nostre posizioni.

IN CAMPO SCOLASTICO E UNIVERSITARIO

1) TRASMETTERE AL MOVIMENTO STUDENTESCO LA LINEA SCOLASTICA E UNIVERSITARIA DEL PMLI

Affinché il movimento studentesco abbia un orientamento e una direzione anticapitalistica dobbiamo anzitutto trasmettere agli studenti la linea scolastica e universitaria del PMLI fondata sui capisaldi del potere agli studenti nelle scuole e nelle Università, dell'istruzione pubblica intesa come servizio sociale goduto dal popolo e dal popolo controllato, dell'alleanza del movimento studentesco con il movimento operaio nella lotta contro il capitalismo e l'imperialismo, per il socialismo.

Il controllo popolare della scuola media superiore e dell'Università si può realizzare solo con il governo stabile e permanente da parte degli studenti.

Questo significa che le studentesse e gli studenti devono rivendicare la maggioranza, con voto deliberativo, in tutti gli organismi che governano e organizzano la vita scolastica e universitaria. La maggioranza studentesca deve essere espressione genuina della volontà degli studenti e pertanto non può che essere vincolata all'assemblea generale, ossia rispondere ai principi della democrazia diretta secondo i quali l'assemblea generale degli studenti è in ogni circostanza sovrana, ha il potere di esprimere e revocare in qualsiasi momento il mandato ai propri rappresentanti nei radicalmente nuovi organi di governo scolastico e universitario e detta loro la linea, le rivendicazioni, la condotta e le modalità della gestione scolastica.

La conquista della maggioranza studentesca porta con sé che gli attuali organi di governo della scuola e dell'Università, strutturati per rispondere alle esigenze del grande capitale, della borghesia e del governo, siano completamente abbattuti e ridisegnati nella forma, nei contenuti e nelle competenze in modo da essere adeguati alle effettive necessità delle masse studentesche.

Nei nuovi organi del governo scolastico e universitario la maggioranza studentensca verrà quindi completata dai rappresentanti del personale docente e non docente, con esclusione assoluta dei privati, eletti, con diritto di revoca, dalle rispettive assemblee generali, secondo un uso corretto della democrazia diretta.

La battaglia per il potere studentesco nella scuola e nell'Università è una battaglia strategica fondamentale per gli studenti e per tutto il nostro popolo.

In ogni caso dobbiamo invitare gli studenti a organizzarsi al di fuori e contro gli ``organi collegiali'' attraverso le Assemblee generali e la democrazia diretta. Dobbiamo far sì che questi formidabili strumenti politici e organizzativi tornino in auge come ai tempi del Sessantotto, Settantasette, '85 e '90.

Occorre portare le nostre parole d'ordine e le nostre rivendicazioni nel dibattito e nel movimento studentesco e battersi per farle affermare. Solo così si potrà fare apprezzare alle larghe masse studentesche la nostra linea e renderla sempre più aderente e funzionale alle reali necessità del movimento verificandola, aggiustandola e arricchendola nella pratica.

Nel lavoro studentesco dobbiamo sempre tenere presenti i 4 obiettivi strategici del lavoro di massa e i 4 insegnamenti della lotta delle masse*.

Dobbiamo conquistare al Partito gli studenti più avanzati e combattivi e tramite loro sforzarsi di conquistare l'egemonia del movimento studentesco.

Abbiamo ormai appurato che dall'esterno delle scuole e delle Università si può fare solo della propaganda e talvolta della agitazione politica, ma non si può arrivare a una trasmissione corretta e completa della nostra linea e a una mobilitazione di massa degli studenti.

Per arrivare a questo bisogna conquistare al Partito gli studenti più avanzati, i "leader" naturali del movimento studentesco.

Dobbiamo saperli individuare durante le lotte, contattarli per farci illustrare la situazione della loro scuola, spingerli a combattere con noi ad essere dei marxisti-leninisti. Senza forzare i tempi, al momento opportuno va posta loro la questione della militanza nel PMLI.

Gli studenti simpatizzanti, che non se la sentono di entrare nel Partito o che non sono idonei alla militanza marxista-leninista, vanno ugualmente responsabilizzati e attivizzati affinché lottino per far affermare la nostra linea. Dobbiamo far loro capire che solo seguendo le indicazioni e la linea del PMLI possono contrastare il passo alla privatizzazione e avviare la lotta per il governo studentesco della scuola e dell'Università.

Nelle scuole e nelle facoltà dove siamo presenti dobbiamo fare fuoco e fiamme per denunciare il carattere borghese, antipopolare e antistudentesco della scuola e dell'Università, per acuire le contraddizioni tra le masse studentesche e le istituzioni e il governo, per sostenere le rivendicazioni degli studenti e per mobilitare questi alla lotta.

Nelle città dove non abbiamo compagni studenti il lavoro studentesco va concentrato nelle scuole e nelle facoltà più combattive e dove otteniamo maggiori simpatie e consensi.

2) APPLICARE LE SETTE INDICAZIONI SUL LAVORO STUDENDESCO

Il lavoro studentesco comporta una serie di questioni tattiche e di fronte unito di estrema importanza da cui non si può prescindere se non si vuole rischiare di ``fare un buco nell'acqua''.

Per avere una visione corretta del problema e per muoversi nella giusta direzione, occorre rifarsi alle 7 indicazioni che il compagno Scuderi fornì al Partito durante la Rivolta delle ``Pantere'' universitarie.

Queste 7 illuminanti indicazioni strategiche e tattiche, pur essendo riferite direttamente a problematiche dell'Università, sono tuttora attualissime e applicabili anche alla realtà delle scuole medie superiori e all'intero lavoro di massa giovanile.

Esse sono:

1) Assumere nel movimento studentesco una posizione di punta, di avanguardia, facendo però ben attenzione a non sopravanzare di molto la coscienza media delle masse studentesche con cui operiamo.

2) Avere chiara in mente la strategia e la linea universitaria del Partito e adottare le "tattiche adeguate" per farle comprendere e accettare dalle masse studentesche in lotta. La strategia e la linea costituiscono la mèta, la tattica il percorso per raggiungerla. Se sbagliamo metodi, mezzi, proposte e linguaggio la mèta non si raggiungerà mai. In altri termini ciò significa che occorre dipanare il nostro discorso gradualmente, per assaggi senza scoprire subito le carte, in modo da saggiare il terreno, valutare le reazioni delle masse e delle varie forze politiche e via via aggiustare il tiro, sulla base degli umori, della volontà e delle esigenze delle masse, e al contempo dello sviluppo delle contraddizioni col nemico, in questo caso la controriforma Ruberti e il governo, e all'interno del movimento studentesco.

Noi siamo convinti che la linea politica del Partito è quella vincente, ma non possiamo imporla alle masse, è nostro compito agire con grande "abilità tattica" per farla accettare a loro.

Così come bisogna stare attenti a non cadere nel codismo e nell'opportunismo di destra, dobbiamo altrettanto vigilare a non cadere nell'``ultrasinistrismo'', nelle fughe in avanti, non tenendo conto della realtà che ci sta di fronte. Bisogna sempre stare attenti a non offrire il fianco alla destra revisionista e agli opportunisti di ``sinistra'', ma agire per creare una situazione da attirare sulle posizioni marxiste-leniniste, convenientemente esposte, la sinistra della destra revisionista e la destra degli ``ultrasinistri'', legando e rappresentando le masse studentesche in lotta sulle posizioni più avanzate possibili. Bisogna praticare la massima attenzione alla "tattica" per evitare di bruciare le carte che abbiamo in mano e bruciarsi assieme ad esse. In sintesi, dobbiamo legare al particolare la nostra parola d'ordine ``Gli studenti devono essere i padroni dell'Università''.

3) Conformare la nostra azione ai 4 obiettivi strategici del lavoro di massa, ai 4 insegnamenti della lotta delle masse e alle 3 fasi che precedono l'azione.

4) Stare in prima linea nelle manifestazioni di piazza, nelle prime file delle assemblee generali e prendere la parola ogni volta che lo riteniamo necessario durante le assemblee e le commissioni di lavoro.

5) Non staccarci mai dalle masse studentesche e operare intelligentemente per non farsi emarginare dai vari leader spontanei o dei raggruppamenti politici.

6) Stringere i rapporti con le studentesse e gli studenti più avanzati e combattivi e cercare di formare con essi l'avanguardia di sinistra che unisca e trascini tutto il resto delle masse studentesche in lotta.

7) Entrare in una commissione di lavoro. La più utile e produttiva per noi al momento attuale sembra essere quella della stampa (o centro stampa che dir si voglia), alla quale è devoluto il compito di fungere da portavoce delle assemblee generali. Se non fosse possibile, in alternativa, entrare in quella che elabora i documenti.

3) RILANCIARE LA PIATTAFORMA RIVENDICATIVA DEL PMLI PER GLI STUDENTI MEDI E UNIVERSITARI

Dobbiamo invitare gli studenti medi e universitari a battersi contro ogni ipotesi di privatizzazione della scuola e dell'Università; per togliere qualsiasi forma di finanziamento pubblico alla scuola e all'Università private cattoliche e non; per la completa gratuità degli studi dalle materne fino all'Università per quel che concerne l'iscrizione, i libri di testo, il materiale didattico e i trasporti; per elevare l'obbligo scolastico a 16 anni con un biennio uguale per tutti; contro la ``riforma'' degli esami di maturità su basi selettive di stampo neofascista; per la costruzione di nuove strutture scolastiche e universitarie debitamente attrezzate; per la garanzia di un posto di lavoro non appena terminati gli studi; per l'abolizione dell'ora di religione nella scuola pubblica; per il divieto dei doppi e tripli turni; per estendere il limite di reddito per l'accesso al presalario; perché siano costruite, o riattrezzate, adeguate strutture per ospitare gli studenti fuori sede; per aumentare le mense universitarie e perché forniscano pasti di buona qualità a prezzo politico; perché sia riconosciuto agli studenti il diritto di organizzazione politica, di riunione e di indire assemblee in orario scolastico, anche sui problemi della lotta di classe e aperte all'intervento di operai e lavoratori, non vincolate ad alcuna restrizione da parte delle autorità scolastiche; perché sia riconosciuto il diritto di indire nelle scuole conferenze pubbliche su qualsiasi tema e argomento scelto dagli studenti; perché sia riconosciuto agli studenti il diritto di sciopero e di manifestazione in difesa dei propri diritti e rivendicazioni, a sostegno delle lotte della classe operaia e delle masse popolari e su qualsiasi altra questione di loro interesse (mafia, razzismo, terrorismo, disoccupazione, pace, ecc.); per l'abrogazione delle norme disciplinari fasciste tuttora vigenti e dei decreti delegati che hanno istituito gli ``organi collegiali''.

IN CAMPO ECONOMICO E SOCIALE

1) RILANCIARE LA PIATTAFORMA RIVENDICATIVA DEL PMLI SUL LAVORO AI GIOVANI

Al centro della nostra piattaforma rivendicativa per l'occupazione c'è la richiesta di un lavoro stabile e a salario pieno a tutti i giovani appena terminati gli studi. Rifiutiamo perciò il ``salario d'inserimento''.

Inoltre rivendichiamo: piani straordinari per l'occupazione giovanile che impegnino Stato, regioni, province e comuni, imprenditori privati e pubblici, ad assumere nei settori dell'industria, artigianato, commercio, turismo e pubblica amministrazione una quota parte di giovani disoccupati; assunzioni nel pubblico impiego e nella pubblica amministrazione allargata (settori statali e aziende municipalizzate, per quel poco che rimangono ancora), attraverso il "turn-over" e il completamento delle piante organiche; ripristino immediato dell'età pensionabile a 55 anni per le donne e 60 per gli uomini; rifiuto del meccanismo di calcolo delle pensioni riferito all'intera vita lavorativa dei nuovi assunti e ripristino della precedente normativa riferita al salario percepito negli ultimi cinque anni; rifiuto dell'ampliamento di contribuzione da 15 a 20 anni necessari a ottenere la pensione di vecchiaia; divieto di licenziamento; abolizione dell'apprendistato; abolizione dei Contratti di formazione e lavoro e trasformazione di quelli in atto in assunzioni a tempo indeterminato; abolizione della chiamata nominativa e obbligo di assunzione tramite le liste di collocamento controllate dai disoccupati; obbligo di rispettare una presenza pari al 50% di donne e ragazze avviate al lavoro; riduzione generalizzata dell'orario di lavoro settimanale a 35 ore a parità di salario; rivalutazione dell'indennità di disoccupazione pari al salario medio degli operai dell'industria.

L'indennità di disoccupazione deve essere estesa anche ai giovani in cerca di prima occupazione pari a una cifra non inferiore alle 700 mila lire mensili indicizzate. Ciò non ha niente a che vedere col ``reddito minimo garantito'' che piace alla sinistra del regime neofascista e ai sindacalisti collaborazionisti, poiché esso si risolve nell'istituzionalizzare il mercato della disoccupazione, nel sabotaggio del movimento per il lavoro, in assistenzialismo e, comunque, in sottosalario. In ogni caso siamo nettamente contrari a legare il ``reddito minimo'' ai cosiddetti ``lavori socialmente ed ambientalmente utili'', che non sono altro che forme mascherate di supersfruttamento giovanile e un surrogato del lavoro stabile e a salario pieno.

Infine, riforma e superamento, in prospettiva, dell'ufficio di collocamento con un sistema di avviamento al lavoro autogestito dai giovani, dai disoccupati e dalle loro organizzazioni rappresentative, che possa avvalersi di un insieme di strumenti conoscitivi e di intervento nel mercato del lavoro.

2) RILANCIARE LA PIATTAFORMA RIVENDICATIVA DEL PMLI PER I GIOVANI DELLA PERIFERIA URBANA

Dobbiamo dare ai giovani delle periferie urbane degli impulsi incisivi e necessari per combattere la loro emarginazione sociale. Là dove ne esistono le condizioni soggettive e oggettive, dobbiamo organizzarli e proporre loro di battersi su piattaforme rivendicative che abbiano al centro lo spostamento dell'asse politico nelle città verso i quartieri ghetto e dormitorio e i bisogni delle masse popolari.

In questo quadro va rivendicata la realizzazione e il finanziamento di Centri giovanili autogestiti, di strutture sociali, ricreative, culturali e sportive pubbliche da dare in gestione direttamente ai giovani; realizzazione di un piano di edilizia popolare per costruire mono-bilocali per le giovani coppie e per i giovani che vogliono vivere in modo indipendente dalla famiglia d'origine; creazione con relativa attrezzatura di spazi verdi destinati ai giovani e ai bambini; realizzazione di strutture di soggiorno a prezzi politici per il turismo giovanile di massa, che possano essere utilizzate nel corso dell'anno anche per alloggiare provvisoriamente i giovani residenti; realizzazione o attrezzatura di strutture dove i gruppi giovanili di artisti (musica, teatro, ecc.) possano esprimersi liberamente e gratuitamente; concessione ai giovani e a tutta la popolazione dell'uso gratuito delle strutture sportive incluse le palestre scolastiche in orario pomeridiano e serale a chi voglia praticare sport a livello non agonistico.

3) ELABORARE UNA PIATTAFORMA RIVENDICATIVA SPECIFICA PER I GIOVANI DEL MEZZOGIORNO

Abbiamo visto che il Mezzogiorno è in uno stato di lenta agonia economica, sociale e politica, che in questa zona del Paese i problemi risultano ingigantiti e moltiplicati per mille. Dobbiamo fare uscire il nostro amato Sud dalla miseria nera e dal sottosviluppo. Dobbiamo nell'immediato spingere le masse giovanili meridionali ad ``alzarsi in piedi'' contro l'oppressione mafiosa e lo Stato borghese neofascista, corrotto e mafioso, per costringere il governo Amato a combattere realmente la disoccupazione e a portare quest'area del Paese al più presto ai livelli del Centro e del Nord.

Esiste una piattaforma rivendicativa generale del PMLI per il Sud, lanciata col Documento del CC del 7 Novembre 1986. Lì ci sono tante indicazioni, altre sono comuni a piattaforme rivendicative di settore come quelle per il lavoro, le periferie urbane, la scuola e l'Università.

Manca però una piattaforma specifica per i giovani del Sud. E' nostro dovere elaborarla, ma ciò sarà possibile quando avremo una conoscenza diretta adeguata della condizione giovanile nel Mezzogiorno e in base agli elementi che sapranno fornirci le istanze meridionali del PMLI.

IN CAMPO ORGANIZZATIVO

Per far divampare la lotta di classe, per dare ai movimenti studentesco e giovanile un orientamento e una direzione anticapitalistici, per abbattere il capitalismo, per instaurare il socialismo, il nostro principale e fondamentale compito in campo organizzativo è quello di conquistare al PMLI le ragazze e i ragazzi più avanzati e combattivi. Ne abbiamo bisogno anche per conquistare nuove forze fresche, nuove energie rivoluzionarie, per assicurare l'avvenire al nostro Partito.

Dobbiamo convincere i giovani che oggi più che mai è necessario schierarsi col proletariato e non con la borghesia, col marxismo-leninismo-pensiero di Mao e non col liberalismo, col socialismo e non col capitalismo, col PMLI e non con le cosche parlamentari, anche se si chiamano PDS, PRC, La Rete, Verdi, che vogliono solo integrare la gioventù nell'attuale società.

Dobbiamo mostrare ai giovani col nostro esempio di militanti proletari rivoluzionari che entrare nel PMLI significa compiere la più alta scelta di vita, rompere con la borghesia, il riformismo e l'individualismo, discriminarsi dal vecchio mondo per abbracciare quello nuovo.

Dobbiamo far superare ai giovani certi pregiudizi spiegando loro che la militanza politica marxista-leninista è la più entusiasmante forma di realizzazione della propria personalità: che non è vero che la necessaria disciplina di Partito, il centralismo democratico, la struttura organizzativa di tipo bolscevico, schiacciano la personalità dei singoli militanti. Mentre è vero il contrario: a risultare schiacciati sono l'individualismo, l'arrivismo, l'egoismo, lo scissionismo, il burocraticismo e l'autoritarismo, a vantaggio del lavoro collettivo, dell'altruismo rivoluzionario, dello spirito di servizio verso il proletariato e il popolo lavoratore, del rispetto e dell'aiuto reciproci, dell'unità basata sulla lotta ideologica attiva, sulla critica e autocritica e sulla incessante lotta per la trasformazione di se stessi e del mondo.

La militanza di Partito, per chi mira veramente alla trasformazione radicale della società, non può essere surrogata dall'impegno nelle associazioni e nei movimenti di massa.

Non chiediamo ai giovani di entrare nel Partito per fare numero e fornire della manovalanza, gli chiediamo di venire con noi per divenire alfieri coscienti della lotta per il socialismo, protagonisti attivi e di prima fila della lotta di classe, pionieri di una nuova generazione di rivoluzionari, animati dello stesso spirito proletario rivoluzionario della gioventù del 1892 e del 1921 che voleva partecipare alla fondazione di un autentico partito rivoluzionario e dei Fondatori del PMLI che nel 1977 l'hanno finalmente realizzato.

All'interno del Partito, a tutti i livelli, alle ragazze e ai ragazzi vanno affidati compiti e ruoli adeguati alle loro forze e capacità senza alcuna discriminazione di sesso. Possono avere benissimo posti dirigenti poiché l'età e l'anzianità nel nostro Partito non fanno grado. Sono la fedeltà al marxismo-leninismo- pensiero di Mao e alla linea proletaria rivoluzionaria e la capacità di saperla mettere in pratica coinvolgendo i compagni e le masse a costituire i requisiti base per essere eletti o nominati dirigenti.

Dobbiamo riporre grande fiducia nei giovani militanti, sicuri che saremo ripagati. In particolare dobbiamo puntare alla conquista dei giovanissimi, a cominciare dalle ragazze e ragazzi di 14 anni, per i quali le porte del Partito sono spalancate fin dal 1987. Mao ha detto che la gioventù è "come il sole alle otto o alle nove del mattino", il sole che risveglia la natura e stempera i rigori della notte: sarebbe un delitto politico privarci dei suoi raggi, visto che sono proprio le studentesse e gli studenti giovanissimi che riempiono di più le piazze nella lotta contro il risorgente razzismo.

Nella gioventù riponiamo maggiormente le nostre speranze per il compimento del Grande balzo in avanti sul piano organizzativo e del proselitismo che ci porterà finalmente alla celebrazione del 4• Congresso nazionale del PMLI.

Viva la gioventù italiana che non si arrende all'imperialismo, al capitalismo e al regime neofascista!

Viva la lotta di classe!

Viva, viva, viva il PMLI e i suoi intrepidi militanti che non hanno paura di morire di mille ferite per disarcionare l'imperatore!

Viva, viva, viva il socialismo!

Viva, viva, viva il marxismo- leninismo-pensiero di Mao!

Il Comitato centrale del PMLI

7 dicembre 1992

* I 4 obiettivi strategici del lavoro di massa sono: 1) Soddisfare le esigenze delle masse da noi organizzate. 2) Acuire le contraddizioni tra esse e le istituzioni borghesi e il partito revisionista. 3) Elevare incessantemente la loro coscienza politica e il loro grado di combattività. 4) Attirare delle simpatie e dei nuovi militanti verso il nostro Partito.

I 4 insegnamenti della lotta delle masse sono: 1) Che è possibile sottrarre le masse al controllo del palazzo e dei revisionisti e mobilitarle purché si mettano al centro della lotta le loro rivendicazioni immediate e vive e si sappia cogliere il momento favorevole in cui il loro stato d'animo è teso verso il combattimento e l'azione. 2) Che i movimenti di massa non durano a lungo, non avanzano e non riescono a raggiungere i loro obiettivi se non sono guidati da un'avanguardia decisa, preparata e coerente. 3) Che da parte del PMLI non è possibile conquistare la testa dei movimenti di massa se i compagni che operano in essi non sono padroni della linea di massa generale e specifica del settore e non sanno applicarla. E anche quando deteniamo la direzione dei movimenti di massa questi o non decollano o si arenano o rifluiscono a causa dello stesso motivo. 4) Che il coinvolgimento degli elementi più attivi dei movimenti di massa nel lavoro di direzione, organizzazione e mobilitazione delle masse è per noi essenziale per unire la sinistra e tramite essa trascinare il resto del movimento.