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Seconda riflessione teorica

Durante i sei mesi di assoluto silenzio seguiti alla repressione scatenatasi dopo la morte di Feltrinelli, le BR hanno il tempo per compiere una seconda riflessione teorica, pubblicata nel marzo 1973,[1] che integra quella elaborata un anno e mezzo prima. Alcuni temi, già presenti nel documento del settembre 1971, vengono ripresi e sviluppati; altri, come quello della lotta di classe nel Sud, sono inediti.
Il documento, scritto sotto forma di intervista, prende le mosse dalla dura repressione in atto: evitando lo scontro frontale, le BR hanno avuto il tempo per "contrattaccare in silenzio su obbiettivi economici" uscendone rafforzate.[2]
Riguardo al terrorismo, vi si sottolinea che esso è "una componente della politica padronale." Le BR sostengono di non essere un gruppo, ma di lavorare all'interno di ogni manifestazione dell'autonomia operaia per unificare i livelli di coscienza intorno alla proposta strategica della lotta armata: si tratta di un lavoro che tende alla costruzione nelle fabbriche e nei quartieri popolari delle articolazioni dello stato proletario.
Di fronte all'attacco della borghesia tre sono secondo le BR le tendenze della sinistra non riformista: 1) quella liquidazionista, "piatta ripetizione del modello terzinternazionalista," che dà per scontata la sconfitta della classe operaia e fa coincidere la crescita del processo rivoluzionario con quella del proprio gruppo; 2) quella centrista, rappresentata dagli organismi autonomi che esauriscono la loro esistenza nella tattica del giorno per giorno e mancano di una consistente alternativa strategica; 3) quella infine della resistenza, che non dà affatto per scontata la sconfitta.
Le BR si riferiscono a quest'ultima tendenza.
Quanto ai gruppi essi sono una "realtà" del passato, sopravvivenze inadeguate allo sviluppo ulteriore del processo rivoluzionario. Il PCI invece è "una grande forza democratica che persegue con coerenza una strategia esattamente opposta alla nostra," ma non sembra utile "attaccarlo con raffiche di parole": a misura in cui la linea del potere proletario e della lotta armata si consoliderà, gli elementi del PCI sapranno certamente fare la loro scelta.
Queste in sintesi le tesi esposte dalle BR nel documento.
L'intervista viene integralmente riprodotta da "Potere Operaio del Lunedí" che ritiene di compiere "un dovere di informazione politica," mentre, sempre secondo PO, nessuno spazio andrebbe dato, per esempio, alla relazione introduttiva al convegno dei CUB di AO, che sono definiti "senza interesse, senza storia, insomma cose morte.”[3]
"Diverso è lo spessore politico delle esperienze delle BR" continua PO che passa a discutere sui temi proposti dal documento formulando una serie di critiche che possono essere cosí riassunte: non è vero che i padroni puntino alla sconfitta del movimento operaio sul terreno armato. Al contrario lo stato si avvale di tutte le sue articolazioni: impresa, esercito, scuola, partiti, sindacati. Solo dopo che il proletariato avrà distrutto lo stato; i padroni punteranno alla lotta armata.
È inoltre errato ritenere che, siccome la lotta armata è il livello piú alto della lotta di classe, i nuclei che la praticano costituiscono la direzione politica dell'intera organizzazione: è questa una utilizzazione "onnivora" della lotta armata rispetto alle altre forme di lotta. Al contrario non esistono momenti di lotta gerarchicamente distinti, altrimenti la giusta esigenza di porre all'odg il problema della lotta armata, si rovescia nel dilemma opportunista: o facciamo la lotta armata, o mettiamoci a dormire.[4]
Lotta Continua prende lo spunto dal documento, che però non fa conoscere ai propri lettori, per una "chiarificazione teorica e pratica nei confronti di questa organizzazione clandestina." Tre sono sostanzialmente i concetti piú aspramenti criticati da LC nell'articolo dal titolo Velleitarismo pratico e confusione ideologica: 1) il "vaneggiamento" di una sorta "di strategia del silenzio" e il carattere autodelatorio di certi passi dell'intervista (attacco su obbiettivi economici, ecc.); 2) la genericità, sia politica che storica, del termine "campo della resistenza" che costituisce un vero retroterra di una linea di "lotta armata per le riforme"; 3) il carattere di autoesaltazione e "fochista" implicito nelle affermazioni: "Le BR sono i primi nuclei di guerriglia" ... "intorno ad esse vanno organizzandosi i militanti comunisti che pensano alla costruzione del 'partito armato del proletariato."'[5]
A questa presa di posizione di LC replica polemicamente PO che coglie l'occasione, nel lunghissimo articolo Chi è senza peccato, per esporre un'ampia autocritica dei giudizi espressi due settimane prima sullo stesso giornale:

Non basta mordere (era) un articolo tutto improntato sulla necessità che l'azione politica militare si articoli attorno ad un programma complessivo e che attacca le BR perché questo programma complessivo non sarebbe che una parte! Chi è senza peccato lanci la prima pietra [...] è il caso di dire. Una siffatta argomentazione è una base per criticare tutti i gruppi esistenti a partire dall'affermazione che sono "gruppi" e non partito, ma non fa procedere di un passo la discussione [...]. Insomma l'articolo citato andrebbe commentato "basta col mordersi la coda [...]. Dobbiamo essere grati a LC: l'attacco sferrato contro le BR dal loro giornale, la grossolanità delle argomentazioni e delle accuse, lo sfacciato opportunismo che le sostiene non hanno fatto breccia, hanno provocato anzi l'effetto opposto tra i compagni, cioè una richiesta di informazioni politiche piú precise [...]. Chi sono dunque i compagni delle BR? Sono compagni proletari che hanno condotto le lotte dell'autunno caldo nelle fabbriche del Nord, e che hanno, attraverso una lunga riflessione teorico-politica, scelto la via della clandestinità, nella convinzione che questa sola permetta la costruzione di una organizzazione autonoma per la lotta armata. Si potrà non essere d'accordo con la scelta di costruire un'organizzazione autonoma per la lotta armata; è difficile sostenere che esista altra via che quella della clandestinità per costruirla [...]. Forse altrettanto importante del mordere è il sapere fuggire [...]." Autonomia ed attacco, organizzare la resistenza e contemporaneamente il potere proletario armato: questi termini sono sempre usati assieme nei documenti di questi compagni. Ma non solo nei documenti scritti: molto piú interessante è notare che tutte le azioni delle BR sono azioni di giustizia proletaria" di contrattacco" di rappresaglia e" insieme, rappresentazioni del potere proletario. Per questo esse parlano direttamente ai proletari" agli studenti" agli operai [...].
E' chiaro che questo orizzonte non dà posto all'insinuazione che le BR rappresentano se stesse come "fuoco guerrigliero" [...]. Semmai la critica che si può rivolgere alle BR è contraria: quella di rappresentarsi talvolta in maniera troppo semplice come funzione diretta del potere proletario in formazione [...]. Noi crediamo che i compagni delle BR si muovono con piena lealtà all'interno del processo di costruzione della forza organizzata dell'autonomia operaia.
I compagni delle Brigate Rosse" così come quelli delle assemblee" così come quelli dei gruppi che hanno compiuto una rigorosa critica di se stessi" possono iniziare questa lunga marcia vittoriosa.
[6]


Nel dibattito a distanza cui stiamo assistendo rimangono del tutto assenti due tra i piú importanti gruppi "storici" della sinistra extraparlamentare: Manifesto ed Avanguardia Operaia. Il primo non si mostra convinto dell'esistenza delle BR,[7] il secondo le ritiene diretta emanazione del SID.

Riportiamo qui di seguito integralmente il documento intervista delle Brigate Rosse:

1. Come vedete le scelte politiche della vostra organizzazione dopo due anni di lavoro?
Ci sembra che lo sviluppo della situazione politica italiana abbia confermato la scelta di fondo che abbiamo fatto nei primi mesi del '70.
La crisi di regime non si è affatto risolta in senso riformista e non ci sono prospettive di soluzioni in tempi apprezzabili. Al contrario" la formazione di un governo di centro-destra con l'esclusione dei socialisti" il rilancio dei fascisti come "forza parallela," l'attacco frontale al movimento dei lavoratori e la militarizzazione sempre piú arrogante dello scontro politico e sociale stanno a dimostrare che il fronte politico borghese persegue con accresciuto accanimento l'obbiettivo di una restaurazione integrale della sua dittatura e quindi di una sconfitta politica senza mezzi termini della classe operaia.

2. L'assassinio di Feltrinelli e l'attacco contro le Brigate Rosse non dimostrano al contrario la debolezza o meglio l'immaturità di una scelta di tal genere?
La debolezza di una linea politica non deriva dai rapporti di forza che l'organizzazione che la rappresenta è in grado di stabilire in una fase iniziale.
L'attacco scatenato contro di noi dalla borghesia a maggio nasceva proprio dall'errato convincimento che si poteva neutralizzare la forza politica della proposta strategica della lotta armata per il comunismo sfruttando la debolezza organizzativa che ci caratterizzava.
Proprio quest'errore di valutazione politica ha fatto fallire l'operazione poliziesca e noi ci siamo rafforzati.
Infatti non accettando il terreno che ci veniva proposto di uno "scontro frontale" tra le Brigate e l'apparato armato dello stato, abbiamo avuto tutto il tempo per contrattaccare "in silenzio" su obiettivi economici e rafforzare di conseguenza il nostro impianto organizzativo dimostrando nel contempo la "debolezza politica" di questo stato di polizia pur così "forte" nelle sue strutture militari.

3. Da piú parti vi è stata mossa l'accusa di "terrorismo." Qual è il suo fondamento?
Il "terrorismo" nel nostro paese ed in questa fase dello scontro è una componente della politica condotta dal fronte padronale a partire dalla strage di piazza Fontana per determinare un arretramento generale del movimento operaio e una restaurazione integrale degli antichi livelli di sfruttamento.
In particolare con questa politica il padronato ha puntato a realizzare tre obbiettivi fondamentali:
- favorire la crescita del blocco reazionario oggi al potere e delle sue componenti interne o parallele piú fasciste nella prospettiva di ristabilire il controllo della situazione nelle fabbriche e nel paese;
- smorzare le spinte rivoluzionarie ed indirizzare in senso social-pacifista il movimento delle lotte maturato in questi anni, prospettando lo spauracchio del "salto nel buio";
- screditare le organizzazioni rivoluzonarie e addebitare alla sinistra provocazioni antioperaie e fasciste, secondo gli schemi degli opposti estremismi e dell'equivalenza di ogni manifestazione di violenza.
Il nostro impegno nelle fabbriche e nei quartieri è stato fin dall'inizio quello di organizzare l'autonomia proletaria per la resistenza alla controrivoluzione in atto ed alla liquidazione delle spinte rivoluzionarie tentata dagli opportunisti e dai riformisti.
Organizzare la resistenza e costruire il potere proletario armato seno le parole d'ordine che hanno guidato e guidano il nostro lavoro rivoluzionario. Cosa ha a che fare col "terrorismo" tutto questo?

4. Qual è dunque il filo conduttore del vostro intervento in questa fase?
Con la costruzione delle Brigate Rosse abbiamo voluto creare un polo strategico in grado di porsi almeno i piú urgenti tra i problemi sollevati dal movimento di resistenza proletario.
Non abbiamo costruito un nuovo gruppo ma abbiamo lavorato all'interno di ogni manifestazione dell'autonomia operaia per unificare i suoi livelli di coscienza intorno alla proposta strategica della lotta armata per il comunismo.
Oggi possiamo dire che il sasso scagliato ha mosso le acque: il problema dell'organizzazione proletaria armata è stato fatto proprio da tutto il campo rivoluzionario.
Si tratta dunque di fare un passo avanti ed imporre nella lotta la linea di costruzione del potere proletario armato contro le tendenze militariste o comunque errate.
MILITARISTA è la deviazione di chi pensa che attraverso l'azione armata intesa come fatto esemplare sia possibile "mettere in movimento la classe operaia."
GRUPPISTA è la deviazione che attribuisce ad un nucleo di samurai la funzione ed i compiti della lotta armata.
Entrambe queste posizioni hanno un denominatore comune: la sfiducia nelle capacità rivoluzionarie del proletariato italiano.
Noi crediamo che l'azione armata sia solo il momento culminante di un vasto lavoro politico attraverso il quale si organizza l'avanguardia proletaria, il movimento di resistenza, in modo diretto rispetto ai suoi bisogni reali e immediati. In altri termini per le Brigate Rosse l'azione armata è il punto piú alto di un profondo lavoro di classe: è la sua prospettiva di potere.
Proprio per questo siamo convinti che per andare avanti sulla strada della lotta armata è ormai necessario svolgere un lavoro di unificazione politica di tutte le avanguardie politico-militari che si muovono nella stessa prospettiva.

5. Intendete un lavoro di unità politica tra i gruppi?
I gruppi sono realtà del passato, sopravvivenze inadeguate allo sviluppo ulteriore del processo rivoluzionario.
L'unità che noi intendiamo costruire è quella di tutte le forze che si muovono nella prospettiva della lotta armata per il comunismo.

6. Potete essere piú precisi?
Nella sinistra non riformista operano in questo momento tre tendenze fondamentali:
- La prima è quella liquidazionista che dà per scontata la sconfitta politica della classe operaia e si prepara ad un lavoro di "partito" per gestire il "riflusso" nel lungo periodo di crisi.
Coloro che portano questa tendenza pensano ad uno sviluppo organizzativo per linee interne ed identificano, operando una grossolana semplificazione, la crescita del processo rivoluzionario con quella del proprio gruppo. Mentre il fronte padronale ha scelto la via "della guerra civile strisciante," essi assestano la loro attività sul terreno dell'agitazione e della propaganda.
Da questo errore prende il via la riproposta di un modello terzinternazionalista che noi consideriamo una piatta ripetizione di un'esperienza storica del movimento operaio già battuta in passato e senza fiato per l'avvenire.
- La seconda è quella centrista che pur non dando per certa la sconfitta politica della classe operaia imposta la sua iniziativa nel senso di una serie successiva di battaglie mai ricomposte in un disegno unitario di una guerra. Questa tendenza è rappresentata dagli organismi autonomi di fabbrica e di quartiere che esauriscono la loro esistenza nella tattica e si illudono di poter costruire sulla politica del "giorno per giorno" una consistente alternativa strategica. In concreto il problema che questi compagni devono ancora risolvere sta tutto in questa domanda: "organismi autonomi" oppure "organismi dello stato proletario"?
- La terza è quella della resistenza che non dà affatto per avvenuta la sconfitta della classe operaia.
È questa la tendenza che sa cogliere le forme nuove entro cui si muove l'iniziativa proletaria e lavora a proiettarle sul binario strategico della lotta armata per il comunismo: sul terreno della guerra di classe rivoluzionaria. È su questa ultima tendenza che si appoggia prevalentemente la linea di costruzione del potere proletario armato.
L'unità che intendiamo costruire è dunque in primo luogo quella di tutte le forze che compongono il campo della resistenza: forze che dal '45 pur ai margini delle linee ufficiali del movimento operaio hanno però sempre espresso la continuità delle spinte rivoluzionarie della classe operaia e forze di piú recente tradizione che arricchiscono coi contenuti del '68 e del '69 il patrimonio dell'autonomia.

7. Sin qui non abbiamo sentito parlare del Partito comunista italiano. Perché?
Il Partito comunista è una grande forza democratica che persegue con coerenza una strategia esattamente opposta alla nostra. Non sembra né utile, né importante continuare ad attaccarlo con raffiche di parole. Sul terreno rivoluzionario anche la lotta ideologica si appoggia alla capacità di far vivere nella storia le proprie convinzioni politiche. Così siamo convinti che a misura in cui la linea della resistenza, del potere proletario e della lotta armata si consoliderà politicamente e organizzativamente nel movimento operaio, gli elementi comunisti che ancora militano o credono in quel partito sapranno certamente fare le loro scelte.

8. Quando parlate di resistenza in che modo considerate lo sviluppo delle forze rivoluzionarie al Sud?
Un progetto rivoluzionario in Italia è impensabile senza la partecipazione attiva dei proletari del Sud. Purtroppo le esigenze rivoluzionarie delle masse meridionali sono attualmente distorte a causa del fallimento delle strategie riformiste. Temporaneamente la borghesia fascista è riuscita ad egemonizzare strati popolari di alcune zone del Sud e ad organizzarne la "rabbia" intorno ad obbiettivi niente affatto rivoluzionari. Sta ora alle forze operaie d'avanguardia del Nord riaprire il discorso di unità politica col Meridione. E' un compito urgente a cui dobbiamo dedicare la massima attenzione per evitare che l'azione della borghesia nel Meridione si riversi contro la classe operaia del Nord.

9. Ma come è possibile lavorare in questo senso di fronte alla fragilità delle strutture politiche della sinistra nel Sud?
Nel Sud non mancano certo le spinte rivoluzionarie, anzi da un certo punto di vista esse esprimono livelli avanzatissimi. E la borghesia sa bene che se saltassero i meccanismi di controllo sociale l'ondata rivoluzionaria avanzerebbe con molta decisione. Per questo lo stato, il governo ed i padroni danno fiato al "meridionalismo" delle clientele fasciste e si assumono la responsabilità di una "tendenza eversiva" che di fatto è eversiva solo in rapporto alle lotte operaie.
Ad aumentare la confusione contribuiscono poi le forze riformiste che, difendendo questo "stato democratico" che per il Sud è solo repressione e sfruttamento, di fatto aiutano la destra a stabilire un'egemonia sulle forze proletarie che tendono a muoversi contro il sistema.

10. Stando cosí le cose, chi può dare l'avvio ad un'inversione di tendenza?
Meglio essere chiari: non certo quei gruppi intellettuali della sinistra meridionale che passano il loro tempo a studiare "le fasi dello sviluppo capitalistico nel meridione" o "il divario storico tra Nord e Sud" che nel frattempo continua a crescere. Anche quei gruppi che hanno puntato tutto sull'agitazione e sulla propaganda politica hanno poche probabilità di dare alle spinte rivoluzionarie ricorrenti uno sbocco strategico.
Per sbloccare la situazione occorre che si consolidi una avanguardia armata che sappia unire nella lotta contro i fascisti, le borghesie locali e gli organi repressivi dello stato, la nuova classe operaia, i braccianti, i disoccupati ed il sottoproletariato.

11. Su quali terreni intendete sviluppare la vostra attività nel prossimo futuro?
Ci sono due tipi di attività che stiamo portando avanti di pari passo con continuità e decisione: il lavoro di organizzazione clandestina e il lavoro di organizzazione delle masse.
Per lavoro clandestino intendiamo il consolidamento di una base materiale economica, militare e logistica che garantisca una piena autonomia alla nostra organizzazione e costituisca un retroterra strategico al lavoro "tra le masse."
Per lavoro di organizzazione delle masse intendiamo la costruzione nelle fabbriche e nei quartieri popolari delle articolazioni dello stato proletario: uno stato armato che si prepara alla guerra.

12. Potete chiarire quest'ultimo punto?
Il problema che dobbiamo risolvere è quello di far assumere alle spinte rivoluzionarie che vengono dal movimento di resistenza una dimensione di potere.
Si richiede per questo uno sviluppo organizzativo a livello di classe che sappia rispettare i livelli di coscienza che li operano, ma sappiamo nello stesso tempo unificarli e farli evolvere nella prospettiva strategica della lotta armata per il comunismo.
Le Brigate Rosse sono i primi nuclei di guerriglia che operano in questa direzione. Per questo intorno ad esse vanno organizzandosi i militanti comunisti che pensano alla costruzione del partito armato del proletariato.

13. Quali criteri guidano il vostro intervento nello scontro di classe in questa fase?
Ci muoviamo su tempi lunghi, sappiamo che questa non è la fase della guerra e proprio per questo lavoriamo per crearne le premesse di coscienza e di organizzazione: ecco il criterio. Tutte le nostre azioni tendono a questo risultato.
Un po' dovunque si verifica che il movimento di resistenza popolare si caratterizza per una generale volontà di scontro con la borghesia e per un'altrettanto generale incapacità di praticarlo con efficacia sui terreni imposti. Il nostro intervento va nel senso di risolvere questa contraddizione.
Non ricerchiamo il clamore delle azioni esemplari, ma insieme alle avanguardie proletarie impostiamo i problemi:
- della GUERRA AL FASCISMO che non è solo quello delle camicie nere di Almirante, ma è anche quello delle camicie bianche di Andreotti e della Democrazia Cristiana;
- della RESISTENZA NELLE FABBRICHE per colpire i nemici, i sabotatori e i liquidatori dell'unità e della lotta operaia, per contendere palmo a palmo l'iniziativa padronale che sulla sconfitta politica del movimento operaio vuol far passare qualche altro decennio di sfruttamento e di oppressione;
- della RESISTENZA ALLA MILITARIZZAZIONE DEL REGIME che non vuol dire lottare per la difesa degli spazi democratici, ma per la distruzione delle strutture armate dello stato e delle sue milizie parallele.

14. Un'ultima domanda: pensate ad uno sviluppo del processo rivoluzionario a livello nazionale o continentale?
Il conseguimento di una dimensione europea e mediterranea dell'iniziativa rivoluzionaria è un obiettivo importantissimo. Esso ci è imposto dalle strutture sovranazionali del capitale e del potere. Lavorare per la sua maturazione vuol dire soprattutto sviluppare la guerra di classe nel proprio paese, ma anche essere pronti a sostenere quelle iniziative concrete di appoggio o di lotta richieste dal movimento rivoluzionario e comunista internazionale.

  1. BRIGATE Rosse, gennaio 1973, pubblicato su "Potere Operaio," n. 44, 11 marzo 1973.
  2. Ibidem.
  3. "Potere Operaio," n. 44, 11 marzo 1973.
  4. Ibidem.
  5. "Lotta Continua," 15 febbraio 1973.
  6. "Potere Operaio," n. 46, 25 marzo 1973.
  7. "il Manifesto," 17 gennaio 1973.