Biblioteca Multimediale Marxista


Bilancio del primo Piano Quinquennale


RAPPORTO ALL'ASSEMBLEA PLENARIA COMUNE DEL COMITATO
CENTRALE DELLA COMMISSIONE CENTRALE DI CONTROLLO
DEL PARTITO COMUNISTA (BOLSCEVICO) DELL'U.R.S.S.
7 GENNAIO 1933

CAPITOLO I
L'importanza internazionale del Piano quinquennale
Compagni! Quando è apparso il piano quinquennale la gente era lungi dal presupporre ch'esso potesse avere una grande importanza internazionale. Al contrario, molti pensavano che il piano quinquennale fosse affare privato dell'Unione Sovietica, affare importante e serio, ma comunque affare privato, nazionale dell'Unione Sovietica.
La storia ha mostrato, tuttavia, che l'importanza internazionale del piano quinquennale è incommensurabile. La storia ha mostrato che il piano quinquennale non è cosa che riguardi privatamente l'Unione Sovietica, ma è cosa che riguarda tutto il proletariato internazionale.
Già molto tempo prima dell'apparizione del piano quinquennale, nel periodo in cui stavamo terminando la lotta contro gli invasori stranieri e ci mettevamo sulla strada dell'edificazione economica; già in quel periodo Lenin diceva che la nostra edificazione economica ha una profonda importanza internazionale, che ogni passo in avanti del potere sovietico sulla strada dell'edificazione economica suscita un'eco profonda negli strati più diversi della popolazione dei paesi capitalistici e divide gli uomini in due campi: il campo dei seguaci della rivoluzione proletaria e il campo dei suoi avversari.
Lenin diceva allora:
« Attualmente, è per mezzo della nostra politica economica che esercitiamo la nostra influenza principale sulla rivoluzione internazionale. Tutti guardano alla Repubblica sovietica della Russia, tutti i lavoratori di tutti i paesi del mondo, senza alcuna eccezione e senza alcuna esagerazione. Questo lo abbiamo raggiunto... Su questo terreno la lotta si è trasferita sull'arena mondiale. Se adempiamo questo compito, avremo certamente e definitivamente vinto su scala mondiale. Perciò le questioni della edificazione economica acquistano per noi un'importanza assolutamente eccezionale. Su questo fronte dobbiamo riportare la vittoria con un miglioramento progressivo, lento, graduale — un progresso rapido è impossibile — ma continuo». (« Discorso di chiusura della Conferenza del P.C.(b)R. del 26-27 maggio 1921 »., vol. XXVI, pp. 410-411, ed. russa).
Questo venne detto nel periodo in cui stavamo terminando la guerra contro gli invasori stranieri, quando dalla lotta militare contro il capitalismo passavamo alla lotta sul fronte economico, al periodo dell'edificazione economica.

Da allora sono passati molti anni, e ogni passo compiuto dal potere sovietico nel campo dell'edificazione economica, ogni anno, ogni trimestre ha confermato brillantemente la giustezza di queste parole del compagno Lenin.
Ma la più brillante conferma della giustezza delle parole di Lenin l'ha data il piano quinquennale della nostra edificazione, l'hanno data la apparizione di questo piano, il suo sviluppo, la sua realizzazione. In realtà, nessun passo compiuto sulla via dell'edificazione economica nel nostro paese sembra aver suscitato negli strati più diversi dei paesi capitalistici dell'Europa, dell'America, dell'Asia, un'eco pari a quella che è stata suscitata dal piano quinquennale, dal suo sviluppo, dalla sua realizzazione.
Nei primi tempi il piano quinquennale venne accolto dalla borghesia e dalla sua stampa con derisione. « Fantasia », « delirio », « utopia », così essi battezzavano allora il nostro piano quinquennale. Dopo, quando si incominciò a vedere che l'attuazione del piano quinquennale dava dei risultati reali, suonarono l'allarme, affermando che il piano quinquennale minacciava l'esistenza dei paesi capitalistici, che la sua realizzazione avrebbe provocato un'inondazione di merci nei mercati europei, un rafforzamento del dumping e un aumento della disoccupazione. Poi, non avendo dato dei risultati nemmeno questo trucco utilizzato contro il potere sovietico, incominciò la serie dei viaggi nell'U.R.S.S. di differenti rappresentanti di aziende d'ogni sorta, di organi della stampa, di società di diversa natura, ecc., allo scopo di vedere coi propri occhi ciò che, a propriamente parlare, accade nell'U.R.S.S. Non parlo qui delle delegazioni operaie, che sin dal primo apparire del piano quinquennale manifestarono il loro entusiasmo per le iniziative e per i successi del potere sovietico, e si dimostrarono pronte ad appoggiare la classe operaia dell'U.R.S.S.
Da quel momento incominciò pure la scissione della cosiddetta opinione pubblica, della stampa borghese, delle associazioni borghesi di ogni sorta, ecc. Gli uni affermavano che il piano quinquennale aveva fatto fallimento completo e che i bolscevichi si trovavano sull'orlo dell'abisso. Gli altri assicuravano, al contrario, che benché i bolscevichi siano dei cattivi soggetti, il piano quinquennale cionondimeno sarebbe riuscito e i bolscevichi, a quanto pare, avrebbero raggiunto il loro scopo.
Non è forse superfluo ch'io citi i giudizi di ogni sorta di organi della stampa borghese.
Prendiamo, ad esempio, il giornale americano: « New York Times ». Alla fine di novembre 1932 questo giornale scriveva:
« Un piano industriale di cinque anni, che si è posto lo scopo di sfidare il senso della proporzione, che cerca di raggiungere il suo scopo "senza badare alla spesa", come Mosca si è vantata spesso con orgoglio, non è in realtà un piano. E' una speculazione ».
Risulta che il piano quinquennale non sarebbe nemmeno un piano, ma una vuota speculazione. Ed ecco il giudizio del giornale borghese inglese « Daily Telegraph » alla fine del novembre 1932:
« Come prova pratica della "economia pianificata", il piano è completamente fallito ».
Giudizio del « New York Times » nel novembre 1932:
« La campagna di collettivizzazione è vergognosamente fallita. Essa ha portato la Russia sull'orlo della fame ».
Giudizio del giornale borghese polacco « Gazeta Polska » nell'estate 1932:
« La situazione sembra dimostrare che il governo sovietico, con la sua politica di collettivizzazione delle campagne, si è cacciato in un vicolo cieco ».
Giudizio del giornale borghese inglese « Financial Times » nel novembre 1932:
« Come risultato della loro politica, Stalin e il suo partito si trovano davanti al fallimento del sistema del piano quinquennale e all'abbandono di tutti i compiti che esso doveva risolvere ».
Giudizio della rivista italiana « Politica »:
« Sarebbe assurdo pensare che quattro anni di lavoro di un popolo di 160 milioni di persone, quattro anni di tensione economica e politica sovrumana, da parte del regime, di una forza come quella che rappresenta il regime bolscevico, non abbiano creato nulla. Al contrario, essi hanno creato molto. Ciononostante la catastrofe è un fatto evidente per tutti. Se ne sono convinti amici e nemici, bolscevichi e antibolscevichi, oppositori di destra e di sinistra ».
Infine, ecco il giudizio della rivista borghese americana « Current History »
« Uno sguardo alla situazione attuale della Russia porta quindi alla conclusione che il programma quinquennale è fallito tanto in rapporto agli obiettivi dichiarati quanto e ancora più radicalmente in rapporto ad alcuni suoi principi sociali fondamentali ».
Tali sono i giudizi di una parte della stampa borghese.
Val forse la pena di criticare gli autori di questi giudizi? Penso che non ne vale la pena. Non ne vale la pena perché questi uomini « dalla testa dura » appartengono alla specie dei fossili del periodo medioevale, per i quali i fatti non hanno importanza e che, in qualsiasi modo venga da noi realizzato il piano quinquennale, ripeteranno sempre le stesse cose.
Passiamo ai giudizi di altri organi di stampa, procedenti dallo stesso campo borghese.
Ecco il giudizio del noto giornale francese « Le Temps » nel gennaio 1932:
« L'U.R.S.S. ha vinto il primo turno, industrializzandosi senza l'aiuto del capitale straniero ». Giudizio dello stesso « Temps » nell'estate 1932:
« Il comunismo compie la ricostruzione a ritmi giganteschi, mentre il regime capitalista permette di avanzare solo a lenti passi... In Francia, dove la proprietà privata della terra è ripartita all'infinito tra singoli proprietari, è impossibile meccanizzare l'agricoltura. I Soviet, invece, industrializzando l'agricoltura hanno risolto il problema. Nella gara con noi i bolscevichi sono stati vincitori ».
Giudizio della rivista borghese inglese « Round Table »:
« Le realizzazioni del piano quinquennale sono un fenomeno stupefacente. Le fabbriche di trattori di Kharkov e di Stalingrado, la fabbrica di automobili "Amo" a Mosca, la fabbrica di automobili di N.-Novgorod, la centrale idroelettrica del Dniepr, le grandiose acciaierie dì Magnitogorsk e del Kusnietsk, tutta una rete di officine di costruzioni meccaniche e di prodotti chimici negli Urali, i quali si trasformano in una Rhur sovietica, tutte queste e altre realizzazioni industriali in tutto il paese provano che l'industria sovietica, malgrado tutte le difficoltà, prospera e si rafforza come una pianta ben curata... Il piano quinquennale ha gettato le basi dello sviluppo futuro e ha rafforzato straordinariamente la potenza dell'U.R.S.S. ».
Giudizio della rivista borghese inglese « Financial Times »:
« I successi che sono stati ottenuti nell'industria delle costruzioni meccaniche non ammettono dubbi. L'esaltazione di questi successi nella stampa e nei discorsi non è affatto infondata. Non si deve dimenticare che la Russia, un tempo, produceva solo le macchine e gli strumenti più semplici... E' vero che anche ora le cifre assolute dell'importazione di macchine e di strumenti aumentano; ma la proporzione delle macchine importate è in continua diminuzione rispetto a quelle che vengono prodotte nella stessa U.R.S.S. ... L'U.R.S.S. attualmente produce tutti i macchinari necessari per la sua industria metallurgica ed elettrica. Essa ha saputo creare una propria industria automobilistica. Essa ha creato una produzione di strumenti e di utensili, a partire dai piccoli strumenti di precisione sino alle presse più pesanti. Per quanto riguarda le macchine agricole, l'U.R.S.S. non dipende più dall'importazione estera. In pari tempo il governo sovietico prende delle misure per non permettere che il ritardo nella produzione di carbone e del ferro minacci la realizzazione del piano quinquennale in quattro anni. Non vi è dubbio che le officine giganti di costruzione recente assicurano un notevole aumento della produzione dell'industria pesante ».
Giudizio del giornale borghese austriaco « Neue Freie Presse » all'inizio del 1932:
« Si può maledire il bolscevismo, ma bisogna conoscerlo. Il piano quinquennale è un nuovo colosso che bisogna prendere in considerazione per lo meno dal punto di vista economico ».
Giudizio del capitalista inglese Gibson Jarvie, presidente della banca « United Dominion », nell'ottobre 1932:
« Tengo a dichiarare che non sono né comunista né bolscevico, sono capitalista e individualista convinto... La Russia progredisce, mentre troppe nostre fabbriche sono chiuse e circa 3 milioni di persone del nostro popolo cercano disperatamente lavoro. Il piano quinquennale è stato deriso e si è predetto il suo fallimento. Ma siate certi che in regime di piano quinquennale hanno fatto più di quanto si ripromettevano... In tutte le città industriali che ho visitato sorgono nuovi quartieri, costruiti secondo un piano determinato, con vie larghe, adorne di alberi e di giardini, con case del tipo più moderno, scuole, ospedali, circoli operai e con gli inevitabili nidi e giardini d'infanzia, dove si ha cura dei bambini delle madri che lavorano... Non cercate di sottovalutare i russi e i loro piani e non fate l'errore di sperare che il potere dei Soviet possa crollare... La Russia d'oggi è un paese che ha un'anima e un ideale. La Russia è un paese di un'attività sorprendente. Credo che le aspirazioni della Russia siano sane... La cosa più importante, forse, è che tutta la gioventù e gli operai in Russia posseggono una cosa che purtroppo oggi manca nei paesi capitalistici: la speranza ».
Giudizio della rivista borghese americana « Nation », nel novembre 1932:
« I quattro anni del piano quinquennale hanno apportato in verità delle realizzazioni magnifiche. L'Unione Sovietica ha lavorato con una intensità da tempi di guerra per realizzare il compito creativo di costruire le basi di una nuova vita. Il volto del paese si trasforma letteralmente, in modo che diventa impossibile riconoscerlo... Ciò è vero per Mosca con le sue centinaia di vie e di corsi da poco asfaltati, di nuovi edifici, di nuovi sobborghi e un anello di nuove fabbriche alla periferia. Ciò è vero anche per le città meno importanti. Nuove città sono sorte nelle steppe e nei deserti, e non poche città senza importanza, ma almeno cinquanta città con una popolazione da 50 a 250 mila abitanti. Tutte sono sorte negli ultimi quattro anni, ognuna di esse è il centro di una nuova azienda o di una serie di aziende costruite per lo sfruttamento delle ricchezze naturali. Centinaia di nuove centrali elettriche locali e numerosi giganti come la centrale elettrica del Dniepr fanno gradualmente diventare una realtà la formula di Lenin: "Il socialismo è il potere sovietico più l'elettrificazione"... L'Unione Sovietica ha organizzato la produzione in serie di un numero infinito di oggetti, che la Russia prima non aveva mai prodotto: trattori, mieto-trebbiatrici, acciai fini, caucciù sintetico, cuscinetti a sfere, potenti motori Diesel, turbine di 50 mila chilowatt, materiale telefonico, macchine elettriche per l'industria mineraria, aeroplani, automobili, biciclette e centinaia di tipi di nuove macchine. Per la prima volta nella storia la Russia produce alluminio, magnesite, apatite, iodio, potassio e molti altri prodotti preziosi. I punti di riferimento nelle pianure sovietiche non sono più le croci e le cupole delle chiese, ma gli elevatori di grano e le torri dei sili. I colcos costruiscono case, stalle, porcili. L'elettricità penetra nel villaggio, la radio e il giornale lo hanno conquistato. Gli operai imparano a lavorare sulle macchine più moderne. I giovani contadini costruiscono e mettono in azione macchine agricole più grosse e più complicate di quelle che l'America non abbia mai viste. La Russia comincia a "pensare per macchine". La Russia passa rapidamente dal secolo del legno al secolo del ferro, dell'acciaio, del cemento e dei motori ».
Giudizio della rivista riformista inglese di "sinistra" « Forward », nel settembre 1932:
« Quel che colpisce è l'enorme lavoro che vien fatto nell'U.R.S.S. Nuove fabbriche, nuove scuole, nuovi cinematografi, nuovi club, nuove case enormi: dappertutto costruzioni nuove. Molte di esse sono già finite, altre sono ancora circondate dalle impalcature... È difficile raccontare al lettore inglese ciò che è stato fatto negli ultimi due anni e ciò che si sta ancora facendo. Bisogna aver visto tutto questo, per credervi. I nostri propri successi, realizzati durante la guerra, sono inezie in confronto a ciò che si fa nell'U.R.S.S. Gli americani riconoscono che anche nel periodo della febbre costruttiva più intensa negli Stati occidentali, ivi non vi fu nulla di simile all'attuale febbrile attività creatrice dell'U.R.S.S. Negli ultimi due anni si sono compiuti nell'U.R.S.S. tanti cambiamenti, che si rinuncia persino a immaginarsi che cosa vi sarà in questo paese fra altri dieci anni... Levatevi dalla testa i fantastici racconti di terrore dei giornali inglesi, che mentono in modo così caparbio e così assurdo a proposito dell'U.R.S.S. Levatevi dalla testa tutte le mezze verità e le impressioni, basate sull'incomprensione, che sono messe in giro da intellettuali dilettanti i quali guardano l'U.R.S.S. con aria di protezione, attraverso gli occhiali della classe media, ma non hanno la minima idea di ciò che avviene laggiù... L'U.R.S.S. costruisce una nuova società su basi sane. Per raggiungere questo scopo bisogna correre un rischio, bisogna lavorare con entusiasmo, con un'energia tale che non ha precedenti nel mondo, bisogna lottare contro difficoltà enormi, inevitabili quando si vuole edificare il socialismo in un paese immenso, isolato dal resto del mondo. Ma avendo visitato questo paese per la seconda volta in due anni, ho avuto l'impressione che esso si è messo sulla via di un progresso sicuro, che esso pianifica, crea e costruisce e tutto ciò in una misura tale che è una sfida lanciata al mondo capitalista nemico ».
Tali sono le discrepanze e la divisione negli ambienti borghesi, di cui gli uni sono per l'annientamento dell'U.R.S.S. col suo piano quinquennale che pretendono fallito, mentre gli altri sono visibilmente per una collaborazione commerciale con l'U.R.S.S. contando, evidentemente, di poter ricavare qualche profitto dai successi del piano quinquennale.
A parte si pone la questione dell'atteggiamento della classe operaia dei paesi capitalistici verso il piano quinquennale, verso i successi dell'edificazione socialista nell'U.R.S.S. Ci si potrebbe limitare a riportare qui il giudizio di una delle numerose delegazioni operaie, che ogni anno vengono nell'U.R.S.S., non foss'altro che la delegazione operaia belga, per esempio. Questo giudizio è tipico per tutte le delegazioni operaie, senza eccezione, si tratti di delegazioni inglesi o francesi, tedesche o americane o di altri paesi. Ecco questo giudizio:
« Siamo colpiti d'ammirazione davanti alla grandiosa edificazione che abbiamo osservato durante il nostro viaggio. A Mosca, come a Makeievka, a Gorlovka, a Kharkov e a Leningrado abbiamo potuto constatare con quale entusiasmo vi si lavora. Tutte le macchine sono dell'ultimo modello. Le officine sono pulite, con molta aria e molta luce. Abbiamo visto come nell'U.R.S.S. viene prestata agli operai l'assistenza medica e sanitaria. Le abitazioni operaie sono costruite nelle vicinanze delle officine. Nei quartieri operai sono organizzate scuole e giardini d'infanzia; i bambini sono circondati dalle cure più premurose. Abbiamo potuto osservare la differenza tra le vecchie e le nuove fabbriche, tra le vecchie e le nuove abitazioni. Tutto ciò che abbiamo visto ci ha dato una chiara visione della forza enorme degli operai, i quali, sotto la direzione del partito comunista costruiscono una nuova società. Abbiamo osservato nell'U.R.S.S. una grande ascesa culturale, mentre negli altri paesi regna il regresso in tutti i campi, regna la disoccupazione. Abbiamo potuto vedere quali terribili difficoltà i lavoratori sovietici incontrano sul loro cammino. Tanto maggiormente comprendiamo la fierezza con la quale essi ci mostrano le loro vittorie. Siamo convinti che essi supereranno tutti gli ostacoli ».
Ecco qual è l'importanza internazionale del piano quinquennale. Ci è bastato compiere due o tre anni di lavoro costruttivo, ci è bastato mostrare i primi successi del piano quinquennale, perché tutto il mondo si dividesse in due campi, il campo di coloro che non si stancano d'insultarci e il campo di coloro che sono stupefatti dei successi del piano quinquennale, senza parlare del fatto che in tutto il mondo esiste e si rafforza il nostro proprio campo, il campo della classe operaia dei paesi capitalistici, che si rallegra dei successi della classe operaia dell'U.R.S.S. ed è pronta ad appoggiarla, con gran terrore della borghesia del mondo intero.
Che cosa significa ciò?
Ciò significa che l'importanza internazionale del piano quinquennale, l'importanza internazionale dei suoi successi e delle sue conquiste non ammettono dubbi.
Ciò significa che i paesi capitalistici sono gravidi della rivoluzione proletaria, e che appunto perché sono gravidi della rivoluzione proletaria la borghesia vorrebbe attingere negli insuccessi del piano quinquennale un nuovo argomento contro la rivoluzione, mentre al contrario il proletariato cerca di attingere e attinge effettivamente nei successi del piano quinquennale un nuovo argomento a favore della rivoluzione, contro la borghesia di tutto il mondo.
I successi del piano quinquennale mobilitano le forze rivoluzionarie della classe operaia di tutti i paesi contro il capitalismo, questo è il fatto innegabile.
Non vi può essere dubbio che l'importanza rivoluzionaria internazionale del piano quinquennale è veramente incommensurabile.
Con tanto maggior attenzione dobbiamo quindi considerare la questione del piano quinquennale, del suo contenuto, dei suoi compiti fondamentali.
Con tanto maggior cura dobbiamo analizzare il bilancio del piano quinquennale, il bilancio della sua esecuzione e della sua messa in pratica.

CAPITOLO II
Il compito fondamentale del Piano quinquennale
e i mezzi per realizzarlo
Passiamo ora alla questione del piano quinquennale in sé. Che cosa è il piano quinquennale?
In che cosa consisteva il compito fondamentale del piano quinquennale?
Il compito fondamentale del piano quinquennale consisteva nel far passare il nostro paese, con la sua tecnica arretrata, talora medioevale, a una tecnica nuova, moderna.
Il compito fondamentale del piano quinquennale consisteva nel trasformare l'U.R.S.S. da paese agrario e debole, dipendente dai capricci dei paesi capitalistici, in un paese industriale e potente, interamente libero e indipendente dai capricci del capitalismo mondiale.
Il compito fondamentale del piano quinquennale consisteva nell'eliminare completamente, trasformando l'U.R.S.S. in un paese industriale, gli elementi capitalistici, nell'allargare il fronte delle forme economiche socialiste e nel creare una base economica per la soppressione delle classi nell'U.R.S.S., per l'edificazione di una nuova società socialista.
Il compito fondamentale del piano quinquennale consisteva nel creare nel nostro paese un'industria capace di riattrezzare e riorganizzare, sulla base del socialismo, non solo l'industria nel suo assieme, ma anche i trasporti e l'agricoltura.
Il compito fondamentale del piano quinquennale consisteva nel fare passare sulla via della grande economia collettiva la piccola economia rurale sparpagliata, per assicurare la base economica del socialismo nelle campagne ed eliminare così la possibilità di restaurazione del capitalismo nell'U.R.S.S.
Infine, il compito del piano quinquennale consisteva nel creare nel paese tutte le premesse tecniche ed economiche necessarie per il maggiore aumento possibile della capacità di difesa del paese, per permettergli di organizzare una risposta vigorosa a tutti i tentativi d'intervento militare dall'estero, a tutti i tentativi di aggressione armata dall'estero, da qualunque parte essi vengano.
Da che cosa era dettato questo compito fondamentale del piano quinquennale, quale ne era la giustificazione?
Era dettato dalla necessità di liquidare l'arretratezza tecnica ed economica dell'Unione Sovietica, che la condannava a un'esistenza poco invidiabile; dalla necessità di creare nel paese condizioni tali che dessero la possibilità all'Unione Sovietica non solo di raggiungere, ma col tempo anche di superare tecnicamente ed economicamente i paesi capitalistici più progrediti.
Dalla considerazione che il potere sovietico non può reggersi a lungo sulla base di un'industria arretrata, che soltanto una grande industria moderna, la quale non solo non la ceda in nulla all'industria dei paesi capitalisti, ma possa col tempo esserle superiore, può costituire un fondamento reale e sicuro per il potere sovietico.
Dalla considerazione che il potere sovietico non può reggersi a lungo su due basi opposte, sulla grande industria socialista che annienta gli elementi capitalistici, e sulla piccola azienda contadina individuale che genera gli elementi capitalistici.
Dalla considerazione che sino a che non sarà dato alle piccole aziende contadine il fondamento della grande produzione, sino a che le piccole aziende contadine non saranno riunite in grandi aziende collettive, il pericolo di restaurazione del capitalismo nell'U.R.S.S. è il pericolo più reale di tutti i pericoli possibili.
Lenin diceva:
« La rivoluzione ha fatto sì che la Russia, per ciò che si riferisce alla sua struttura politica, ha raggiunto in pochi mesi i paesi avanzati.
Ma ciò non basta. La guerra è inesorabile; essa pone la questione con una accuratezza spietata: o perire, o raggiungere i paesi più progrediti e superarli anche economicamente... Perire oppure lanciarsi avanti a tutto vapore. Così la storia pone il problema ». (« La catastrofe che minaccia e come lottare contro di essa », vol. XXI, p. 191, ed. russa).
Lenin diceva:
« Fino a quando vivremo in un paese di piccoli contadini, esisterà in Russia, per il capitalismo, una base economica più solida che per il comunismo. E' necessario ricordarlo. Chiunque osserva attentamente la vita della campagna e la confronta con quella della città, sa che le radici del capitalismo non le abbiamo estirpate e che le fondamenta, le basi del nemico interno non le abbiamo scalzate. Questi si appoggia sulla piccola azienda, e per poterlo scalzare c'è un solo mezzo: dare all'economia del paese, agricoltura compresa, una nuova base tecnica, la base tecnica della grande produzione moderna... Solo quando il paese sarà elettrificato, quando avremo dato all'industria, all'agricoltura e ai trasporti la base tecnica della grande industria moderna, solo allora vinceremo definitivamente ». (« Rapporto sull'attività del Consiglio dei Commissari del popolo all'Ottavo Congresso dei Soviet », vol. XXVI, pp. 46-47).
Queste sono le tesi cui si è ispirato il partito nell'elaborare il piano quinquennale, nel determinare il compito fondamentale del piano quinquennale.
Così si presenta il problema del compito fondamentale del piano quinquennale.
Ma la realizzazione di un piano così grandioso non può essere incominciata in modo disordinato, come capita. Per realizzare un piano simile bisogna innanzitutto trovare l'anello principale del piano, perché solo dopo aver trovato l'anello principale e averlo afferrato, si possono tirare a sé i restanti anelli del piano. In che cosa consisteva l'anello principale del piano quinquennale?
L'anello principale del piano quinquennale consisteva nell'industria pesante, col suo asse, le costruzioni meccaniche. Solo l'industria pesante, infatti, è in grado di ricostruire e mettere in piedi tanto l'industria nel suo complesso, quanto i trasporti e l'agricoltura. Da essa bisognava incominciare la realizzazione del piano quinquennale. Di conseguenza la ricostituzione dell'industria pesante doveva essere posta alla base della realizzazione del piano quinquennale.
Anche a proposito di questo abbiamo una indicazione di Lenin:
« La salvezza per la Russia non sta solo in un buon raccolto della azienda contadina — questo è ancora poco — e non solo in una buona situazione dell'industria leggera, che rifornisce i contadini di oggetti di consumo — anche questo è ancora poco — ci è necessaria anche una industria pesante... Senza salvezza dell'industria pesante, senza ricostituzione di essa, non potremo costruire nessuna industria, e senza industria siamo finiti, in generale, come paese indipendente... L'industria pesante ha bisogno di sovvenzioni dello Stato. Se non le troviamo, siamo finiti, non dico nemmeno come Stato socialista, ma come Stato civilizzato ». (« Cinque anni di rivoluzione russa e prospettive della rivoluzione mondiale », vol. XXVII, p. 349, ed. russa).
Ma la ricostituzione e lo sviluppo dell'industria pesante, particolarmente in un paese così arretrato e povero come era il nostro all'inizio del piano quinquennale, è una delle cose più difficili, perché l'industria pesante richiede, come si sa, un gigantesco impiego di capitali e un minimo di forze tecniche sperimentate, senza di che la restaurazione dell'industria pesante è semplicemente impossibile. Sapeva il partito, si rendeva conto il partito di questo? Sì, lo sapeva. E non solo lo sapeva, ma lo dichiarava ai quattro venti. Il partito sapeva in che modo è stata costruita l'industria pesante in Inghilterra, in Germania, in America. Sapeva che l'industria pesante è stata costruita in questi paesi o con l'aiuto di grandi prestiti, o con la spogliazione di altri paesi, o seguendo contemporaneamente entrambe queste vie. Il partito sapeva che queste due vie sono precluse al nostro paese. Su che cosa dunque faceva assegnamento? Faceva assegnamento sulle forze proprie del nostro paese. Faceva assegnamento sul fatto che avendo il potere dei Soviet e fondandoci sulla nazionalizzazione del suolo, dell'industria, dei trasporti, delle banche, del commercio, possiamo introdurre un regime di rigida economia, per accumulare in misura sufficiente i mezzi necessari alla ricostituzione e allo sviluppo dell'industria pesante. Il partito diceva chiaramente che questa opera avrebbe richiesto dei gravi sacrifici e che, se volevamo raggiungere lo scopo, dovevamo addossarci apertamente e consapevolmente questi sacrifici. Il partito contava di condurre a termine questa opera con le forze interiori del nostro paese, senza crediti a condizioni schiavistiche e senza prestiti esteri.
Ecco che cosa diceva Lenin a questo proposito:
« Ci dobbiamo sforzare di costruire uno Stato in cui gli operai mantengano la loro direzione sui contadini, la fiducia dei contadini, e con la più grande economia eliminino dai rapporti sociali ogni traccia di qualsiasi sperpero inutile.
Dobbiamo ridurre il nostro apparato di Stato alla più grande economia. Dobbiamo eliminare in esso tutte le tracce di sperpero, lasciategli in così grande misura dalla Russia zarista e dal suo apparato burocratico e capitalista.
Non sarà questo il regno della grettezza contadina?
No. Se manterremo alla classe operaia la direzione sui contadini, avremo la possibilità, a prezzo della più grande economia nella gestione del nostro Stato, di ottenere che anche la più piccola somma risparmiata sia messa da parte per lo sviluppo della nostra grande industria meccanizzata, per lo sviluppo dell'elettrificazione, dell'estrazione idraulica della torba, per condurre a termine la centrale elettrica del Volkhov, ecc.
Questa e solo questa è la nostra speranza. Solo allora, per dirla con una metafora, saremo in grado di passare da un cavallo all'altro, e precisamente dalla povera rozza contadina, del mugik, dal ronzino dell'economia, adatto a un paese contadino rovinato, al cavallo che il proletariato cerca e non può non cercare per sé, al cavallo della grande industria meccanizzata, dell'elettrificazione, della centrale elettrica del Volkhov ecc. ». (« Meglio meno, ma meglio », ibid., p. 417).
Passare dalla povera rozza contadina al cavallo della grande industria meccanizzata, questo era lo scopo che il partito perseguiva elaborando il piano quinquennale e lottando per la sua realizzazione.
Stabilire un regime di economia la più rigorosa e accumulare i mezzi necessari al finanziamento dell'industrializzazione del nostro paese, questa era la strada su cui ci si doveva mettere per poter ricostituire l'industria pesante e realizzare il piano quinquennale.
Compito ardito? Strada difficile? Ma il nostro partito si chiama partito di Lenin appunto perché non ha il diritto di temere le difficoltà.
Anzi, la certezza del partito che il piano quinquennale era realizzabile e la fiducia nelle forze della classe operaia erano così forti, che il partito ritenne possibile porsi il compito di realizzare questa opera difficile non in cinque anni, come stabiliva il piano quinquennale, ma in quattro anni: esattamente in quattro anni e tre mesi, se si aggiunge il trimestre supplementare.
Questa è la base da cui ebbe origine la famosa parola d'ordine: « Il piano quinquennale in quattro anni ».
E che cosa è accaduto?
I fatti hanno mostrato, in seguito, che il partito aveva ragione.
I fatti hanno mostrato che senza questo ardire e questa fiducia nelle forze della classe operaia, il partito non avrebbe potuto ottenere la vittoria di cui oggi giustamente siamo fieri.

CAPITOLO III
Bilancio del Piano quinquennale in quattro anni
nell'industria
Passiamo ora al bilancio della realizzazione del piano quinquennale. Quale è nell'industria il bilancio del piano quinquennale in quattro 'anni?
Abbiamo ottenuto, in questo campo, la vittoria?
Sì, l'abbiamo ottenuta. E non solo l'abbiamo ottenuta, ma abbiamo fatto più di quello che noi stessi ci aspettavamo, più di quello che potevano aspettarsi le teste più calde del nostro partito. Questo non lo negano oggi nemmeno i nostri nemici. Tanto meno possono negarlo i nostri amici.
Non avevamo industria siderurgica, base dell'industrializzazione del paese. Ora l'abbiamo.
Non avevamo industria di trattori. Ora l'abbiamo.
Non avevamo industria automobilistica. Ora l'abbiamo.
Non avevamo industria di costruzione di macchine utensili. Ora l'abbiamo.
Non avevamo una seria industria chimica moderna. Ora l'abbiamo. Non avevamo una vera e seria industria di costruzione di macchine agricole moderne. Ora l'abbiamo.
Non avevamo industria aeronautica. Ora l'abbiamo.
Nella produzione di energia elettrica eravamo all'ultimo posto. Ora siamo arrivati a uno dei primi posti.
Nella produzione dei derivati della nafta e del carbone eravamo all'ultimo posto. Ora siamo arrivati a uno dei primi posti.
Avevamo una sola base carbonifera e metallurgica nell'Ucraina, con la quale andavamo avanti a stento. Siamo riusciti non solo a risollevare questa base, ma a creare in Oriente una nuova base carbonifera e metallurgica, che è l'orgoglio del nostro paese.
Avevamo una sola base dell'industria tessile, nel Nord del nostro paese. Siamo riusciti a far sì che tra poco avremo due nuove basi dell'industria tessile, nell'Asia centrale e nella Siberia occidentale.
E non solo abbiamo creato questi nuovi rami industriali, ma li abbiamo creati su tale scala e in tali proporzioni da far impallidire, al confronto, la scala e le proporzioni dell'industria europea.
E tutto ciò ha avuto come risultato che gli elementi capitalistici sono stati definitivamente e irrevocabilmente eliminati dall'industria mentre l'industria socialista è diventata la sola forma d'industria nell'U.R.S.S.
E tutto ciò ha avuto come risultato che il nostro paese da paese agrario è diventato un paese industriale, perché il peso specifico della produzione industriale relativamente alla produzione agricola è aumentato dal 48 % all'inizio del piano quinquennale (1928) al 70 % alla fine del quarto anno del piano quinquennale (1932).
E tutto ciò ha avuto come risultato che alla fine del quarto anno del piano quinquennale siamo riusciti ad adempiere il 93,7 % del programma complessivo della produzione industriale per cinque anni, aumentando il volume della produzione industriale più di tre volte rispetto al livello d'anteguerra, e più di due volte rispetto al livello del 1928. Per quanto riguarda il programma produttivo dell'industria pesante abbiamo realizzato il piano quinquennale al 108 %. E' vero che nell'industria non abbiamo adempiuto il 6 % del programma generale del piano quinquennale. Ma ciò si spiega col fatto che, dato il rifiuto dei paesi limitrofi a firmare con noi dei patti di non aggressione, e date le complicazioni in Estremo Oriente, abbiamo dovuto, al fine di rafforzare la nostra difesa, adattare rapidamente una serie di officine alla produzione di mezzi di difesa moderni. Questo adattamento, data la necessità di un certo periodo preparatorio, provocò l'arresto della produzione in queste officine per un periodo di quattro mesi, il che non poteva non avere delle ripercussioni sull'adempimento del programma generale di produzione previsto dal piano quinquennale pel 1932. Questa operazione ci ha permesso di colmare completamente le lacune che esistevano nella capacità difensiva del paese. Essa non poteva però non avere una ripercussione negativa sull'adempimento del programma di produzione previsto dal piano quinquennale. Non vi può essere nessun dubbio che senza questa circostanza fortuita non solo avremmo adempiuto, ma avremmo certamente superato le cifre del piano quinquennale.
Infine, tutto ciò ha avuto come risultato che l'Unione dei Soviet da paese debole, impreparato alla difesa, si è trasformato in un paese possente per la sua capacità difensiva, in un paese pronto ad ogni eventualità, in un paese che è capace di produrre in massa tutti gli strumenti di difesa moderni e di munire di essi il proprio esercito nel caso di aggressione dall'esterno.
Questo è, nelle linee generali, il bilancio del piano quinquennale in quattro anni nell'industria.
Giudicate ora voi stessi che cosa valgano, dopo tutto ciò, le ciance della stampa borghese circa il « fallimento » del piano quinquennale nell'industria.
E come vanno le cose nei paesi capitalistici, che stanno attualmente attraversando una crisi durissima, per quanto riguarda lo sviluppo della loro produzione industriale?
Ecco i dati ufficiali a tutti noti.
Mentre il volume della produzione industriale dell'U.R.S.S. alla fine del 1932 è salito al 334 % rispetto al livello d'anteguerra, il volume della produzione industriale nello stesso periodo è disceso negli Stati Uniti all'84 % del livello d'anteguerra, in Inghilterra al 75 %, in Germania al 62%.
Mentre il volume della produzione industriale dell'U.R.S.S. alla fine del 1932 è salito al 219 % rispetto al livello del 1928, il volume della produzione industriale, nello stesso periodo, è disceso negli Stati Uniti al 56 %, in Inghilterra all'80 %, in Germania al 55 %, in Polonia 54 %.
Che cosa dimostrano questi dati, se non che il sistema industria capitalista, nella contesa col sistema sovietico, non ha resistito alla prova, che il sistema industriale sovietico ha tutti i vantaggi sul sistema capitalista?
Ci si dice che è bene si siano costruite molte nuove fabbriche, si siano gettate le basi dell'industrializzazione, ma che sarebbe stato molto meglio rinunciare alla politica d'industrializzazione, alla politica d'estensione della produzione dei mezzi di produzione, o almeno, mettere queste cose in secondo piano per produrre più cotone, più scarpe, più vestiti e altri oggetti di largo consumo. Oggetti di largo consumo se ne sono prodotti meno di quello che occorrerebbe, e ciò creerebbe certe difficoltà.
Ma allora bisogna sapere e bisogna rendersi conto dove ci avrebbe condotto una simile politica di rinvio dei compiti dell'industrializzazione. Certo, del miliardo e mezzo di rubli in valuta che in questo periodo sono stati spesi per attrezzare la nostra industria pesante, ne avremmo potuto riservare la metà per l'importazione di cotone, di pelli, di lana, di caucciù, ecc. In questo caso avremmo avuto più tessuti, più scarpe, più vestiti, ma non avremmo né un'industria di trattori, né un'industria automobilistica, non avremmo un'industria siderurgica degna di qualche rilievo, non avremmo metallo per la fabbricazione di macchine e, di fronte all'accerchiamento dei paesi capitalistici attrezzati con la tecnica più moderna, saremmo disarmati. In questo caso ci saremmo privati della possibilità di rifornire l'agricoltura di trattori e di macchine agricole, e quindi saremmo restati senza pane. Ci saremmo privati della possibilità di riportare la vittoria sugli elementi capitalistici del paese, e avremmo quindi incredibilmente aumentato le probabilità di restaurazione del capitalismo. Non possederemmo, in questo caso, tutti quei mezzi di difesa moderni ,senza i quali è impossibile l'indipendenza d'uno Stato, senza i quali un paese diventa l'oggetto delle operazioni militari dei nemici esterni. La nostra situazione sarebbe più o meno analoga, in questo caso, alla situazione della Cina odierna, che non ha una sua industria pesante, non ha una sua industria di guerra e viene spennacchiata da tutti quelli che vogliono darsene la pena.
In una parola, in questo caso avremmo avuto un intervento militare, non avremmo avuto dei patti di non aggressione, ma la guerra, una guerra pericolosa e mortale, una guerra sanguinosa e ineguale, poiché in questa guerra saremmo stati quasi disarmati di fronte a nemici aventi a loro disposizione tutti i moderni mezzi d'attacco.
Ecco come si mettono le cose, compagni.
E’ chiaro che un potere statale che si rispetti, che un partito che si rispetti non poteva collocarsi da un punto di vista così disastroso.
E appunto perché il partito ha respinto tale orientamento controrivoluzionario, appunto per questo esso ha ottenuto una vittoria decisiva nella realizzazione del piano quinquennale nell'industria.
Con la realizzazione del piano quinquennale e con l'organizzazione della vittoria nel campo dell'edificazione industriale il partito ha seguito la politica di sviluppare l'industria col ritmo più celere. Il partito ha spronato, per così dire, il paese, accelerando la sua corsa in avanti.
Ha fatto bene il partito a seguire la politica dei ritmi più rapidi che fosse possibile?
Sì, ha fatto assolutamente bene.
Non si può non spronare un paese che è rimasto addietro di cento anni e che per la sua arretratezza è minacciato da un pericolo mortale. Solo in questo modo si poteva dare al paese la possibilità di riattrezzarsi rapidamente sulla base d'una tecnica nuova e di prendere finalmente la strada maestra.
Inoltre, non potevamo sapere in che giorno gli imperialisti attaccheranno l'U.R.S.S. e interromperanno la nostra edificazione, ma che essi potrebbero attaccarci in qualsiasi momento, sfruttando la debolezza tecnica ed economica del nostro paese, su questo non poteva esserci dubbio. Perciò il partito è stato obbligato a spronare il paese, per non perdere tempo, per sfruttare sino all'ultimo la tregua e riuscire a creare nell'U.R.S.S. le fondamenta dell'industrializzazione, che sono la base della sua potenza. Il partito non aveva la possibilità di attendere e di manovrare e ha dovuto seguire la politica dei ritmi più celeri che fosse possibile.
Infine, il partito doveva rimediare nel più breve tempo possibile alla debolezza del paese nel campo della sua difesa. Le condizioni del momento, l'incremento degli armamenti nei paesi capitalistici, il fallimento dell'idea del disarmo, l'odio della borghesia internazionale per l'U.R.S.S., tutto ciò spingeva il partito a forzare il lavoro per l'incremento della capacità difensiva del paese, base della sua indipendenza.
Ma aveva il partito la possibilità reale di applicare la politica dei ritmi più celeri che fosse possibile? Sì, l'aveva. Aveva questa possibilità non solo perché era riuscito a imprimere a tempo al paese un rapido movimento in avanti, ma soprattutto perché poteva appoggiarsi, nella nuova grande opera costruttiva, sulle officine e sulle fabbriche vecchie o rimesse a nuovo, che gli operai, gli ingegneri e il personale tecnico già dominavano, e che davano quindi la possibilità di realizzare dei ritmi di sviluppo che fossero i più rapidi possibili.
Ecco su quale base si sono prodotti, nel periodo del primo piano quinquennale, la rapida ascesa dell'edificazione nuova e l'entusiasmo di una costruzione di ampio respiro, ecco su quale base sono sorti gli eroi e gli udarnichi delle nuove costruzioni, su quale base è sorta la pratica dei ritmi di sviluppo impetuosi.
Si può dire che nel secondo piano quinquennale bisognerà seguire la stessa politica, di ritmi più celeri che sia possibile?
No, non lo si può dire.
In primo luogo, come risultato della realizzazione vittoriosa del piano quinquennale abbiamo già adempiuto nell'essenziale il suo compito principale: abbiamo dato all'industria, ai trasporti, all'agricoltura, la base di una tecnica nuova, moderna. C'è ancora bisogno, dopo ciò, di spronare e
spingere avanti il paese? E' chiaro che ora questo non è indispensabile.
In secondo luogo, come risultato della realizzazione vittoriosa del piano quinquennale, siamo già riusciti a portare la capacità difensiva del paese all'altezza dovuta. C'è ancora bisogno dopo ciò di spronare e spingere avanti il paese? E’ chiaro che ora questo non è indispensabile.
Infine, come risultato della realizzazione vittoriosa del piano quinquennale, siamo riusciti a costruire decine e centinaia di nuove grandi fabbriche e complessi industriali muniti di nuovi mezzi tecnici complicati. Ciò vuol dire che nel volume della produzione industriale, nel secondo piano quinquennale, la parte principale non l'avranno più, come è avvenuto nel periodo del primo piano quinquennale, le fabbriche vecchie, di cui possediamo già la tecnica, ma l'avranno le fabbriche nuove, la cui tecnica non la possediamo ancora e dobbiamo assimilare. L'assimilazione delle nuove aziende e della nuova tecnica presenta però delle difficoltà assai più grandi che l'utilizzazione delle officine o delle fabbriche vecchie o rimesse a nuovo, la cui tecnica è già stata assimilata. Essa richiede più tempo per elevare la qualifica degli operai, degli ingegneri e del personale tecnico e per impadronirsi dei nuovi metodi, necessari allo sfruttamento integrale della nuova tecnica. Non è chiaro, dopo tutto ciò, che anche se lo volessimo, nel corso del secondo piano quinquennale, particolarmente nei primi due o tre anni del secondo piano quinquennale, non potremmo seguire una politica di ritmi di sviluppo più celeri che sia possibile?
Ecco perché penso che nel secondo piano quinquennale bisognerà seguire un ritmo meno celere di sviluppo della produzione industriale. Nel corso del primo piano quinquennale l'aumento annuale della produzione industriale è stato in media del 22 %. Penso che nel secondo piano quinquennale bisognerà attenersi a un aumento medio annuale della produzione industriale del 13-14 %. Per i paesi capitalistici un ritmo simile di aumento della produzione industriale è un ideale inaccessibile. E non solo un ritmo simile di sviluppo della produzione industriale, persino un aumento annuo medio del 5 % costituisce oggi per essi un inaccessibile ideale. Non per niente essi sono paesi capitalistici. Altra cosa è il paese dei Soviet, con il suo sistema economico sovietico. Col nostro sistema economico possiamo perfettamente e dobbiamo realizzare un aumento annuo della produzione del 13-14 % come minimo.
Nel corso del primo piano quinquennale abbiamo saputo organizzare l'entusiasmo, il pathos della nuova edificazione e abbiamo ottenuto successi decisivi. Ciò è molto bene. Ma ora ciò non basta più. Ora dobbiamo completarlo con l'entusiasmo, col pathos per l'assimilazione delle nuove officine e della nuova tecnica, con un serio aumento della produttività del lavoro, con una seria riduzione del costo di produzione.
Questo è ora l'essenziale.
Solo su questa base, infatti, potremo riuscire, verso la seconda metà del secondo piano quinquennale, ad assicurare un nuovo possente slancio tanto nel campo dell'edificazione che nel campo dell'aumento della produzione industriale.
Infine alcune parole sui ritmi stessi e sulle percentuali d'aumento annuo della produzione. I nostri dirigenti dell'industria si occupano poco di questa questione. E’ invece un problema molto interessante. Che cosa sono le percentuali d'aumento della produzione, che cosa si nasconde propriamente dietro ogni percentuale di aumento? Prendiamo per esempio il 1925, nel periodo di ricostituzione. L'aumento della produzione ammontava in quell'anno al 66 %. La produzione globale dell'industria ammontava a 7 miliardi e 700 milioni di rubli. Il 66 % di aumento significava allora in cifre assolute un po' più di 3 miliardi di rubli. Di conseguenza, ogni uno per cento di aumento era allora equivalente a 45 milioni di rubli. Prendiamo ora l'anno 1928. Esso dette un aumento del 26 %, cioè, come percentuale, quasi un terzo del 1925. La produzione globale dell'industria ammontava allora a 15 miliardi e 500 milioni di rubli. L'aumento annuo complessivo ammontava in cifre assolute a 3 miliardi e 280 milioni di rubli. Di conseguenza ogni uno per cento di aumento era allora equivalente a 126 milioni di rubli, cioè costituiva una somma quasi tripla di quella del 1925, allorché la percentuale di aumento era del 66 %. Prendiamo, infine, l'anno 1931. L'aumento fu del 22 %, cioè un terzo del 1925. La produzione globale dell'industria raggiunse allora 30 miliardi e 800 milioni di rubli. L'aumento complessivo in cifre assolute fu di 5 miliardi e 600 milioni di rubli e qualcosa. Ogni uno per cento di aumento era quindi equivalente a più di 250 milioni di rubli, cioè sei volte di più che nel 1925, quando avevamo un aumento del 66 %, e il doppio del 1928, quando avevamo un aumento del 26 % e qualcosa.
Che cosa vuol dire tutto ciò? Vuol dire che nello studio dei ritmi di aumento della produzione non ci si può limitare alla sola analisi dell'ammontare totale delle percentuali di aumento: bisogna anche sapere che cosa sta dietro a ogni uno per cento di aumento e quale è la somma totale dell'aumento annuo della produzione. Per l'anno 1933, ad esempio, prevediamo un aumento del 16 %, cioè un aumento quattro volte minore dell'aumento del 1925. Ciò però non vuole ancora dire che l'aumento della produzione in questo anno sia esso pure quattro volte minore. L'aumento della produzione nel 1925 ammontava in cifre assolute a più di tre miliardi e ogni uno per cento era eguale a 45 milioni. Non v'è ragione di porre in dubbio che nel 1933, il tasso dell'aumento essendo del 16 % l'aumento della produzione in cifre assolute non sarà inferiore a 5 miliardi di rubli, cioè sarà quasi il doppio del 1925 e ogni uno per cento di aumento sarà equivalente almeno a 320-340 milioni di rubli, cioè ad una somma almeno sette volte più grande di ogni uno per cento di aumento nel 1925.
Ecco come si presentano le cose, compagni, quando si esamina il problema dei ritmi e delle percentuali di aumento in modo concreto.
Tale è il bilancio del piano quinquennale in quattro anni nell'industria.

CAPITOLO IV
Bilancio del Piano quinquennale in quattro anni
nell'agricoltura
Passiamo all'esame del bilancio del piano quinquennale in quattro anni nell'agricoltura.
Il piano quinquennale nell'agricoltura è il piano quinquennale della collettivizzazione. Per quali considerazioni il partito ha proceduto alla collettivizzazione?
Il partito ha considerato che per consolidare la dittatura del proletariato e edificare la società socialista è necessario, oltre all'industrializzazione, anche il passaggio dalla piccola azienda contadina individuale alla grande azienda agricola collettiva, munita di trattori e di macchine agricole moderne, perché essa è l'unica base solida del potere sovietico nelle campagne.
Il partito ha considerato che senza la collettivizzazione è impossibile mettere il nostro paese sulla strada maestra dell'edificazione delle fondamenta economiche del socialismo, è impossibile liberare milioni di contadini lavoratori dalla miseria e dall'ignoranza.
Lenin ha detto che:
« Con la piccola azienda non ci si libererà dalla miseria ». (« Discorso alla prima riunione per il lavoro nella campagna », vol. XXIV, p. 540, ed. russa).
Lenin ha detto che:
« Se continueremo a confinarci, come per il passato, nelle piccole aziende, anche se liberi cittadini su terra libera, saremo sempre minacciati di inevitabile rovina ». (« Discorso sulla questione agraria al Primo Congresso dei deputati contadini », vol. XX, p. 417, ed. russa).
Lenin ha detto che:
« Soltanto col lavoro comune, in artel, associato, potremo uscire dal vicolo cieco in cui ci ha cacciato la guerra imperialista ». (« Discorso alla prima riunione per il lavoro nella campagna », vol. XXIV, p. 537, ed. russa).
Lenin ha detto che:
«E'necessario passare alla lavorazione in comune della terra nelle grandi aziende modello; senza di che non potremo uscire dalla rovina, dalla situazione davvero disperata in cui si trova la Russia ». (« Discorso sulla questione agraria al Primo Congresso dei deputati contadini », volume XX, p. 418, ed, russa).
Partendo da ciò, Lenin è giunto alla seguente conclusione fondamentale:
« Soltanto se riusciremo a dimostrare coi fatti ai contadini i vantaggi della lavorazione della terra in comune, collettiva, associata, nell'artel, soltanto se riusciremo ad aiutare i contadini per mezzo delle aziende associate, dell'artel, soltanto allora la classe operaia, tenendo nelle sue mani il potere dello Stato, dimostrerà effettivamente ai contadini di aver ragione, attirerà veramente al suo fianco, in modo saldo ed effettivo, una massa di milioni e milioni di contadini ». (« Discorso al Primo Congresso delle comuni agricole, ecc. », vol. XXIV, p. 579, ed. russa).
A queste tesi di Lenin si è ispirato il partito nel realizzare il programma di collettivizzazione agricola, il programma del piano quinquennale nell'agricoltura.
Perciò il compito del piano quinquennale dell'agricoltura consisteva nel raggruppare le piccole aziende contadine individuali sparpagliate, prive della possibilità di impiegare trattori e macchine agricole moderne, in grandi aziende collettive, munite di tutti gli attrezzi moderni di una agricoltura altamente sviluppata e le terre libere coprirle di aziende statali modello, di sovcos.
Il compito del piano quinquennale nell'agricoltura consisteva nel trasformare l'U.R.S.S. da paese piccolo-contadino e arretrato in un paese di grande agricoltura, organizzata sulla base del lavoro collettivo e capace di dare il massimo di produzione mercantile.
Quali sono i risultati ottenuti dal partito nell'agricoltura, realizzando in quattro anni il programma del piano quinquennale? Ha esso realizzato questo programma oppure ha subìto una sconfitta?
Nello spazio di circa tre anni il partito è riuscito a organizzare più di 200 mila aziende collettive e circa 5 mila sovcos per la cerealicoltura e per l'allevamento del bestiame, riuscendo nello stesso tempo ad estendere di 21 milioni di ettari in quattro anni le aree seminate.
Il partito ha ottenuto che i colcos raggruppino ora più del 60 % delle aziende contadine e abbraccino più del 70 % di tutte le terre dei contadini, il che significa che il piano quinquennale è stato superato, tre volte.
Il partito ha ottenuto che, invece di 500-600 milioni di pudi di grano mercantile, comprati dallo Stato nel periodo in cui prevaleva l'azienda contadina individuale, lo Stato abbia ora la possibilità di comprare da un miliardo e 200 milioni a un miliardo e 400 milioni di pudi di grano all'anno.
Il partito ha ottenuto che i kulak come classe siano stati schiacciati, benché non ancora in modo definitivo, che i contadini lavoratori siano liberi dal giogo e dallo sfruttamento dei kulak e che il potere dei Soviet si sia creato una solida base economica nelle campagne, la base dell'azienda collettiva.
Il partito ha ottenuto che l'U.R.S.S., da paese di piccola azienda contadina, si sia già trasformato nel paese della più grande agricoltura del .mondo.
Tale è, nelle sue grandi linee, il bilancio del piano quinquennale in quattro anni nell'agricoltura.
Giudicate ora voi stessi che cosa valgano, dopo tutto ciò, le ciance della stampa borghese sul « fallimento » della collettivizzazione, sul « fallimento » del piano quinquennale nell'agricoltura.
E come vanno le cose nell'agricoltura nei paesi capitalistici, che stanno attualmente attraversando una crisi agricola durissima?
Ecco i dati ufficiali a tutti noti.
La superficie seminata nei principali paesi produttori di grano è stata ridotta dell'8-10 % Negli Stati Uniti la superficie seminata a cotone è stata ridotta del 15% in Germania e in Cecoslovacchia quella coltivata a barbabietola da zucchero del 22-30 %; in Lituania e in Lettonia quella coltivata a lino del 25-30 %.
Secondo i dati del dipartimento agricolo americano, il valore della produzione agricola globale degli Stati Uniti è sceso da 11 miliardi di dollari nel 1929 a 5 miliardi di dollari nel 1932, cioè più del 50 %. Sempre negli Stati Uniti, il valore della produzione globale dei cereali è sceso da un miliardo e 288 milioni di dollari nel 1929, a 391 milioni di dollari nel 1932, cioè più del 68 %. Il cotone, sempre negli Stati Uniti, accusa una diminuzione di più del 70%, essendo passato da un miliardo a 389 milioni di dollari nel 1929, a 397 milioni di dollari nel 1932.
Questi fatti non parlano forse in modo abbastanza eloquente della superiorità del sistema d'agricoltura sovietico sul sistema capitalista?
Questi fatti non dicono forse che i colcos sono una forza economica più vitale delle aziende individuali e capitaliste?
Si dice che i colcos e i sovcos non sono del tutto redditizi, che essi inghiottono risorse infinite, che non c'è alcuna ragione di conservare simili aziende e che sarebbe più opportuno liquidarle, conservando soltanto quelle che rendono. Ma così possono parlare soltanto le persone che non capiscono nulla delle questioni dell'economia nazionale, dei problemi economici. Qualche anno fa più della metà delle nostre fabbriche tessili non erano redditizie. Una parte dei nostri compagni ci propose allora di chiuderle. Dove saremmo oggi, se li avessimo ascoltati? Avremmo commesso il più grande dei delitti verso il paese, verso la classe operaia, perché avremmo, in quel modo, rovinato la nostra industria che si stava risollevando. E come abbiamo agito allora? Abbiamo aspettato un poco più di un anno, e abbiamo ottenuto che tutta l'industria tessile diventasse redditizia. E la nostra fabbrica di automobili di Gorki? Anch'essa, per adesso, non è ancora redditizia. Volete proporre di chiuderla? Oppure la nostra siderurgia che per il momento non rende ancora? È forse il caso di liquidarla, compagni? Se si considera il rendimento da questo punto di vista, dovremmo sviluppare a fondo soltanto alcuni rami industriali che danno il maggior beneficio, come, per esempio, l'industria dei confetti, l'industria molitoria, la profumeria, la maglieria, i giocattoli, ecc. Naturalmente, non sono contrario allo sviluppo di questi rami industriali. Al contrario, essi debbono venir sviluppati perché sono pure necessari alla popolazione. Ma, innanzitutto, essi non possono venire sviluppati senza l'attrezzamento e il combustibile che fornisce loro l'industria pesante. In secondo luogo, è impossibile basare l'industrializzazione sopra di essi. Ecco di che si tratta, compagni.
Non si può considerare il rendimento con spirito mercantile, basandosi sulle circostanze del momento. Il rendimento deve essere considerato dal punto di vista di tutta l'economia nazionale e con una prospettiva di parecchi anni. Soltanto un tale punto di vista può essere chiamato veramente leninista, veramente marxista. E un tale punto di vista è necessario non solo riguardo all'industria, ma, in misura ancora maggiore, riguardo ai sovcos e ai colcos. Pensate dunque che in circa tre anni abbiamo creato più di 200 mila colcos e circa 5 mila sovcos, cioè abbiamo creato delle grandi aziende assolutamente nuove, le quali hanno per l'agricoltura una importanza pari a quella delle officine e delle fabbriche per l'industria. Fate il nome di un paese il quale abbia saputo creare in tre anni non 205 mila nuove grandi aziende, ma anche soltanto 25 mila aziende di questo genere. Non riuscirete a farlo, perché un tale paese non esiste e non è mai esistito. Noi, invece, abbiamo creato 205 mila nuove grandi aziende nell'agricoltura. Ed ecco vi è, a quanto pare, della gente la quale esige che queste aziende diventino immediatamente redditizie e che, se non lo diventano immediatamente, siano distrutte, liquidate. Non è chiaro che i lauri di Erostrato turbano il sonno di questa gente più che originale?
Parlando dell'assenza di rendimento dei sovcos e dei colcos, non voglio affatto dire che essi siano tutti non redditizi. Niente affatto! E’ noto a tutti che abbiamo già numerosi colcos e sovcos che rendono moltissimo. Abbiamo migliaia di colcos e decine di sovcos che sono già pienamente redditizi. Questi colcos e questi sovcos sono l'orgoglio del nostro partito, l'orgoglio del potere dei Soviet. I colcos e i sovcos non sono certo dappertutto eguali. Tra i colcos e i sovcos ve ne sono dei vecchi, dei nuovi e dei giovanissimi. Sono organismi economici ancora deboli, non ancora completamente cristallizzati. Essi attraversano nella loro costruzione organizzativa un periodo analogo a quello attraversato dalle nostre officine e dalle nostre fabbriche nel 1920-1921. E' comprensibile che la maggior parte di essi non possano ancora essere redditizi. Ma è fuori dubbio che in due o tre anni diventeranno redditizi come lo sono diventate le nostre officine e le nostre fabbriche dopo il 1921. Negare loro aiuto e appoggio col pretesto che essi per il momento non sono ancora tutti redditizi, sarebbe commettere il più grande delitto verso la classe operaia e verso i contadini. Soltanto i nemici del popolo e i controrivoluzionari possono porre il problema dell'inutilità dei colcos e dei sovcos.
Realizzando il piano quinquennale nell'agricoltura, il partito ha fatto procedere la collettivizzazione a ritmi accelerati. Ha esso agito giustamente seguendo una politica di collettivizzazione a ritmi accelerati? Sì, incontestabilmente, benché in questo campo non si siano evitate alcune esagerazioni. Poiché segue una politica di liquidazione dei kulak come classe e di distruzione dei nidi dei kulak, il partito non poteva arrestarsi a mezza strada: esso doveva condurre le cose sino in fondo.
Questo, in primo luogo.
In secondo luogo, il partito dispone, da una parte, di trattori e di macchine agricole e, d'altra parte, approfittando dell'assenza della proprietà privata della terra (nazionalizzazione della terra), aveva tutte le possibilità di forzare la collettivizzazione dell'agricoltura. E il partito ha effettivamente riportato in questo campo un successo molto grande, perché ha superato di tre volte il programma di collettivizzazione stabilito dal piano quinquennale.
Ma questo vuol forse dire che dobbiamo seguire una politica di ritmi accelerati di collettivizzazione anche nel corso del secondo piano quinquennale? No, niente affatto. Il fatto è che abbiamo già condotto a termine, nelle sue linee fondamentali, la collettivizzazione delle regioni principali dell'U.R.S.S. In questo campo abbiamo dunque fatto più di quanto non si potesse sperare. E non soltanto abbiamo condotto a termine la collettivizzazione nelle sue linee fondamentali, ma abbiamo ottenuto che, nella coscienza della schiacciante maggioranza dei contadini, i colcos siano diventati la forma di azienda più accettabile. Questa è una conquista immensa, compagni. Val dunque la pena, dopo ciò, di eccedere nello zelo per quanto riguarda i ritmi della collettivizzazione? E' chiaro che non ne vale la pena.
Adesso non si tratta più di accelerare i ritmi della collettivizzazione e tanto meno si tratta di decidere se i colcos debbano essere o non essere. Questa questione è già stata risolta in senso affermativo; i colcos si sono consolidati e la strada che porta alla vecchia azienda individuale è chiusa per sempre. Si tratta ora di consolidare i colcos dal punto di vista organizzativo, di cacciarne gli elementi sabotatori, di selezionare dei veri e provati quadri bolscevichi per i colcos e di rendere i colcos veramente bolscevichi.
Ciò è oggi l'essenziale.
Così si presenta il piano quinquennale in quattro anni nell'agricoltura.

CAPITOLO V
Bilancio del Piano quinquennale in quattro anni nel campo
del miglioramento del tenore di vita degli operai
e dei contadini
Ho parlato dei successi riportati nell'industria e nell'agricoltura, dello sviluppo dell'industria e dell'agricoltura nell'U.R.S.S. Quali conseguenze hanno avuto questi successi per quanto riguarda il miglioramento del tenore di vita degli operai e dei contadini? In che cosa consistono i risultati principali dei nostri successi nell'industria e nell'agricoltura, considerati dal punto di vista del miglioramento radicale del tenore di vita dei lavoratori?
Essi consistono, in primo luogo, nella soppressione della disoccupazione e nella liquidazione dell'incertezza del domani per gli operai.
Essi consistono, in secondo luogo, nell'avere incorporato quasi tutti i contadini poveri all'edificazione dei colcos, nell'avere scalzato, su questa base, la differenziazione dei contadini in kulak e contadini poveri e nell'avere soppresso, quindi, la miseria e il pauperismo nelle campagne.
È questa, compagni, una conquista gigantesca, che nessuno Stato borghese può sognare, fosse pure lo Stato più « democratico » del mondo.
Da noi, nell'U.R.S.S., gli operai hanno dimenticato da tempo che cos'è la disoccupazione. Circa tre anni fa avevamo ancora circa un milione e mezzo di disoccupati. Da due anni abbiamo soppresso la disoccupazione e gli operai hanno già avuto il tempo di dimenticare che cos'è la disoccupazione, il suo peso, i suoi orrori. Considerate gli orrori della disoccupazione nei paesi capitalistici. Vi si contano ora non meno di 30 o 40 milioni di disoccupati. Chi sono questi disoccupati? Si parla abitualmente di loro come di « uomini finiti ».
Ogni giorno essi sollecitano del lavoro, cercano del lavoro, pronti ad accettare qualsiasi condizione o quasi, ma non trovano lavoro perché sono « di troppo ». E' ciò avviene mentre enormi quantità di merci e di prodotti sono sprecati per i capricci dei beniamini della sorte, dei figli dei papà capitalisti e latifondisti. Ai disoccupati si nega il pane perché non hanno di che pagare il pane; si rifiuta loro un tetto perché non hanno di che pagare un alloggio. Come e dove vivono? Vivono delle briciole che cadono dalla mensa dei ricchi, dei rifiuti che trovano frugando nelle immondezze; vivono nelle soffitte delle grandi città e soprattutto nelle baracche costruite alla meglio dai disoccupati stessi fuori delle città con delle casse rotte e dei pezzi di legno. Ma non basta. Della disoccupazione non soffrono soltanto i disoccupati. Ne soffrono anche gli operai occupati. Ne soffrono perché l'esistenza d'una grande massa di disoccupati rende instabile la loro situazione nella produzione e incerto il loro domani. Oggi essi lavorano in fabbrica, ma non hanno nessuna sicurezza che domani, svegliandosi, non apprenderanno di essere già stati licenziati.
Una delle principali conquiste del piano quinquennale in quattro anni consiste nell'avere liquidato la disoccupazione e liberato dai suoi orrori gli operai dell'U.R.S.S.
Altrettanto bisogna dire dei contadini. Anch'essi hanno dimenticato la differenziazione dei contadini in kulak e contadini poveri, lo sfruttamento dei contadini poveri da parte dei kulak, la rovina che ogni anno riduceva alla mendicità centinaia di migliaia e milioni di contadini poveri. Circa tre o quattro anni fa i contadini poveri erano nel nostro paese almeno il 30 % di tutta la popolazione rurale, ossia più di dieci milioni di uomini. E anteriormente, prima della Rivoluzione d'ottobre, i contadini poveri costituivano non meno del 60 % della popolazione rurale. Chi erano i contadini poveri? Erano, gente alla quale, per coltivare la terra, mancavano abitualmente o le sementi, o i cavalli, o gli strumenti agricoli, o tutte queste cose insieme. I contadini poveri erano gente che non mangiava mai a sufficienza, e che di regola stava sotto il giogo dei kulak e, durante il vecchio regime, sotto il giogo dei kulak e dei grandi proprietari fondiari. Ancora non molto tempo fa circa un milione e mezzo o anche due milioni di contadini poveri discendevano ogni anno in cerca di guadagno verso il sud, verso il Caucaso settentrionale e l'Ucraina, per offrirsi come giornalieri ai kulak e, prima ancora, ai kulak e ai grandi proprietari fondiari. Un numero anche maggiore di essi si presentava ogni anno alle porte delle officine, andando a ingrossare le file dei disoccupati. E non solo i contadini poveri si trovavano in una situazione così poco invidiabile. Una buona metà dei contadini medi viveva in una miseria e fra privazioni non meno grandi di quelle dei contadini poveri. Tutto ciò i contadini hanno già avuto il tempo di dimenticarlo.
Che cosa ha dato il piano quinquennale in quattro anni ai contadini poveri e agli strati inferiori dei contadini medi? Ha minato e spezzato i kulak in quanto classe, liberando i contadini poveri e una buona metà de contadini medi dal giogo dei kulak. Ha attirato i contadini poveri e una buona metà dei contadini medi nei colcos e ha creato per essi una situazione sicura. Ha soppresso, così, la possibilità della differenziazione dei contadini in kulak sfruttatori e in contadini poveri sfruttati. Ha elevato i contadini poveri e gli strati inferiori dei contadini medi, nei colcos, alla situazione di gente che non conosce il bisogno, mettendo così termine al processo di impoverimento e di rovina dei contadini. Adesso non accade più che milioni di contadini si strappino ogni anno alle loro case per cercare un salario in regioni lontane. Oggi, per far venire un contadino a lavorare fuori del suo colcos, bisogna firmare un contratto con il colcos e assicurare per di più il viaggio gratuito in ferrovia al colcosiano. Adesso non accade più che centinaia di migliaia e milioni di contadini cadano in rovina e assedino le porte delle fabbriche e delle officine. Ciò avveniva una volta, ma è un pezzo che quel tempo è passato. Oggi il contadino è un agricoltore che non conosce il bisogno, è membro di un colcos che dispone di trattori, di macchine agricole, di sementi, di fondi di riserva, ecc. ecc.
Ecco che cosa ha dato il piano quinquennale ai contadini poveri e agli strati inferiori dei contadini medi.
Ecco la sostanza delle conquiste fondamentali del piano quinquennale relative al miglioramento del tenore di vita degli operai e dei contadini.
Queste conquiste fondamentali relative al miglioramento del tenore di vita degli operai e dei contadini hanno dato nel primo piano quinquennale questo risultato:
a) un raddoppiamento, rispetto al 1928, del numero degli operai e degli impiegati della grande industria, ciò che supera del 57 % le previsioni del piano quinquennale;
b) un aumento del reddito nazionale — e quindi anche dei redditi degli operai e dei contadini — che nel 1932 raggiunse 45 miliardi e 100 milioni di rubli, con un incremento dell'85 % rispetto al 1928;
e) un aumento del 67% del salario medio annuale degli operai e degli impiegati della grande industria rispetto al 1928 e cioè il 18 % in più delle previsioni del piano quinquennale;
d) un aumento del 292 % rispetto al 1928 del fondo delle assicurazioni sociali (4 miliardi e 120 milioni di rubli nel 1932, rispetto a un miliardo e cinquanta milioni di rubli nel 1928) e cioè il 111 % in più delle previsioni del piano quinquennale;
e) uno sviluppo dell'alimentazione collettiva, che abbraccia più del 70 % degli operai dei rami decisivi dell'industria e supera di sei volte le previsioni del piano quinquennale.
Certo, non siamo ancora riusciti a soddisfare completamente i bisogni materiali degli operai e dei contadini, ed è poco probabile che ci riusciremo nel corso dei prossimi anni. Siamo però senza dubbio riusciti a ottenere che il tenore di vita degli operai e dei contadini migliori di anno in anno. Di ciò possono dubitare soltanto i nemici giurati del potere dei Soviet, o forse certi rappresentanti della stampa borghese, compresa anche una parte dei corrispondenti di questa stampa a Mosca, i quali della vita economica dei popoli e della situazione dei lavoratori non capiscono molto più di quanto, per esempio, il Negus dell'Abissinia capisca di matematica superiore.
E come si presenta la situazione degli operai e dei contadini nei paesi capitalistici?
Ecco dei dati ufficiali.
Il numero dei disoccupati nei paesi capitalistici è aumentato in modo catastrofico. Negli Stati Uniti, secondo i dati ufficiali, solo nell'industria di trasformazione il numero degli operai occupati è diminuito da 8 milioni e 500 mila nel 1928 a 5 milioni e 500 mila nel 1932. Secondo i dati della Federazione americana del Lavoro, verso la fine del 1932 vi erano in tutta l'industria degli Stati Uniti circa undici milioni di disoccupati. In Inghilterra il numero dei disoccupati, secondo le statistiche ufficiali, è salito da un milione e 290 mila nel 1928 a 2 milioni e 800 mila nel 1932. In Germania, secondo i dati ufficiali, il numero dei disoccupati è salito da un milione e 376 mila nel 1928 a 5 milioni e 500 mila nel 1932. Lo stesso quadro si osserva in tutti i paesi capitalistici, ove, d'altra parte, le statistiche ufficiali di regola riducono il numero dei disoccupati che, nei paesi capitalistici, oscilla fra i 35 e i 40 milioni.
I salari degli operai vengono sistematicamente ribassati. Secondo i dati ufficiali, il ribasso del salario mensile medio ha raggiunto negli Stati Uniti il 35 % rispetto al livello del 1928, in Inghilterra, per lo stesso periodo, il 15 % e in Germania perfino il 50 %. Secondo i calcoli della Federazione americana del lavoro, le perdite degli operai americani in seguito alla diminuzione dei salari sono state nel 1930-31 di 35 miliardi di dollari.
I fondi delle assicurazioni sociali, che erano già irrisori, sono stati considerevolmente ridotti in Inghilterra e in Germania. Negli Stati Uniti e in Francia manca completamente o quasi completamente ogni forma di assicurazione contro la disoccupazione, per cui aumenta enormemente, specie negli Stati Uniti, il numero degli operai senza alloggio e dei bambini abbandonati.
Né migliore è la situazione delle masse contadine nei paesi capitalistici, dove la crisi agricola mina dalle radici l'azienda contadina e riduce alla mendicità milioni di contadini e di fittavoli rovinati.
Tale è il bilancio del piano quinquennale in quattro anni, per quanto riguarda il miglioramento del tenore di vita dei lavoratori dell'U.R.S.S.

CAPITOLO VI
Bilancio del Piano quinquennale in quattro anni nel campo
degli scambi fra la città e la campagna
Passiamo ora all'esame dei risultati del piano quinquennale in quattro anni nel campo dello sviluppo degli scambi fra la città e la campagna.
L'enorme aumento della produzione industriale e agricola, l'aumento della eccedenza di merci tanto nell'industria quanto nell'agricoltura, e infine, l'aumento dei bisogni degli operai e dei contadini, tutto ciò non poteva non portare e ha portato effettivamente a una ripresa e a una estensione degli scambi fra la città e la campagna.
L'alleanza nel campo della produzione è la forma essenziale dell'alleanza fra la città e la campagna. Ma questa forma, di per sé sola, non è sufficiente. Bisogna completarla, affinché i legami fra la città e la campagna divengano saldi e indissolubili, con un'alleanza nel campo del commercio. Si può giungere a questo risultato solo con lo sviluppo del commercio sovietico. Sarebbe errato pensare che si possa sviluppare il commercio sovietico attraverso un solo canale, quello, per esempio, della cooperazione. Per sviluppare il commercio sovietico bisogna utilizzare tutti i canali: e la rete cooperativa, e la rete del commercio di Stato, e il commercio colcosiano.
Alcuni compagni pensano che lo sviluppo del commercio sovietico e, soprattutto, lo sviluppo del commercio colcosiano, sia un ritorno alla prima fase della Nep. Ciò è assolutamente falso.
Tra il commercio sovietico, compreso il commercio colcosiano e il commercio della prima fase della Nep, esiste una differenza capitale.
Nella prima fase della Nep ammettevamo una ripresa del capitalismo, ammettevamo il commercio privato, ammettevamo l'« attività » dei commercianti privati, dei capitalisti, degli speculatori.
Era un commercio più o meno libero, unicamente limitato dalla funzione regolatrice dello Stato. Allora il settore capitalista privato occupava un posto abbastanza grande negli scambi all'interno del paese. Non c'è bisogno di dire che allora la nostra industria non era sviluppata come oggi, che non vi erano né i colcos né i sovcos, i quali lavorano secondo un piano e mettono a disposizione dello Stato enormi riserve di prodotti agricoli e di articoli cittadini.
Si può dire che abbiamo oggi la stessa situazione? Evidentemente, no.
In primo luogo, non si può porre il commercio sovietico sullo stesso piano del commercio della prima fase della Nep, anche se questo commercio era regolato dallo Stato. Se nella prima fase della Nep il commercio ammetteva una ripresa del capitalismo e un'attività del settore capitalista privato negli scambi, il commercio sovietico parte dalla negazione tanto dell'una che dell'altra. Che cos'è il commercio sovietico? Il commercio sovietico è un commercio senza capitalisti, né piccoli né grandi. un commercio senza speculatori, né piccoli né grandi. E’ un commercio di un genere particolare, finora sconosciuto alla storia e che solo noi bolscevichi pratichiamo, nelle condizioni che si creano nello sviluppo del regime sovietico.
In secondo luogo, possediamo attualmente un'industria di Stato sufficientemente sviluppata e un intero sistema di sovcos e di colcos, che assicurano allo Stato enormi riserve di merci agricole e industriali per lo sviluppo del commercio sovietico. Ciò non esisteva né poteva esistere nella prima fase della Nep.
In terzo luogo, nell'ultimo periodo siamo riusciti a cacciare completamente dal commercio i commercianti privati, i bottegai e gli intermediari di ogni genere. Naturalmente, ciò non esclude che possano ricomparire nel commercio, per legge d'atavismo, dei commercianti privati e degli speculatori, sfruttando a questo scopo il campo d'attività che è loro più comodo, e precisamente il commercio colcosiano. Inoltre gli stessi colcosiani non rifuggono talvolta dal lanciarsi nella speculazione, ciò che non torna, evidentemente, a loro onore. Ma contro questi fenomeni malsani abbiamo la legge, recentemente promulgata dal potere sovietico, sulle misure per porre fine alla speculazione e punire gli speculatori. Sapete certamente che questa legge non pecca per eccesso di dolcezza. Comprenderete, naturalmente, che una legge simile non esisteva né poteva esistere nella prima fase della Nep.
Come vedete, parlare dopo tutto ciò di un ritorno al commercio della prima fase della Nep, significa non comprendere nulla, assolutamente nulla, della nostra economia sovietica .
Ci si dice che è impossibile sviluppare il commercio, anche se esso è commercio sovietico, senza un sano sistema monetario e senza una moneta sana, che bisogna prima di tutto curare la nostra circolazione monetaria e la nostra moneta sovietica, che si pretende non abbia nessun valore. Ciò dicono gli economisti dei paesi capitalistici. Io credo che questi onorevoli economisti non s'intendono di economia politica molto più di quanto l'arcivescovo di Canterbury, per esempio, s'intenda di propaganda antireligiosa. Come si può affermare che la nostra moneta sovietica non abbia nessun valore? Non è forse un fatto che con questa moneta abbiamo costruito i centri industriali di Magnitogorsk e del Kusnietsk, la centrale del Dniepr, le officine di trattori di Stalingrado e di Kharkov, le fabbriche di automobili di Gorki e di Mosca, centinaia di migliaia di colcos e migliaia di sovcos? Immaginano forse questi signori che tutte queste aziende siano state costruite con la paglia o con l'argilla e non di veri materiali, forniti d'un valore ben determinato? Che cosa garantisce la stabilità della moneta sovietica, se si prende a considerare il mercato organizzato, che ha un'importanza decisiva nel commercio del paese, e non il mercato disorganizzato, che ha un'importanza del tutto secondaria? Naturalmente la stabilità della moneta sovietica non è solo garantita dalla riserva aurea. Essa è anzitutto garantita dall'enorme quantità di merci di cui dispone lo Stato e che vengono messe in circolazione a prezzi stabiliti. Quale economista può negare che tale garanzia, la quale esiste soltanto nell'U.R.S.S., è una garanzia della stabilità della moneta ben più reale di qualsivoglia riserva aurea? Comprenderanno un giorno gli economisti dei paesi capitalistici di essersi definitivamente impaniati nella teoria della riserva aurea considerata come sola garanzia della stabilità della moneta?
Così si presentano le questioni relative allo sviluppo del commercio sovietico.
Quali risultati ci ha dato nel campo dello sviluppo del commercio sovietico la realizzazione del piano quinquennale?
Il bilancio del piano quinquennale ci dà:
a) un aumento della produzione dell'industria leggera, che è cresciuta sino al 187% rispetto al 1928;
b) un aumento del giro d'affari del commercio al minuto cooperativo e di Stato, che, ai prezzi del 1932, sale a 39 miliardi e 600 milioni di rubli, cioè un aumento sino al 175% della massa di merci del commercio al minuto rispetto al 1928;
e) un aumento della rete commerciale, cooperativa e di Stato, che ammonta a 158 mila negozi e magazzini in più del 1929;
d) un'estensione sempre più grande del commercio colcosiano e delle compere di prodotti agricoli da parte delle varie organizzazioni cooperative e di Stato.
Tali sono i fatti.
Completamente diversa è la situazione del commercio nei paesi capitalistici, dove la crisi ha portato a una compressione catastrofica del commercio, alla chiusura in massa delle imprese e alla rovina dei commercianti piccoli e medi, al fallimento di grandi ditte commerciali e alla eccedenza di merci presso i commercianti, fatti accompagnati dalla riduzione continua del potere d'acquisto delle masse lavoratrici.
Tale è il bilancio del piano quinquennale in quattro anni quanto allo sviluppo degli scambi.

CAPITOLO VII
Bilancio del Piano quinquennale in quattro anni nel campo
della lotta contro i residui delle classi nemiche
La realizzazione del piano quinquennale nell'industria, nell'agricoltura e nel commercio ci ha permesso di consolidare il principio del socialismo in tutte le sfere dell'economia nazionale, dopo averne cacciato gli elementi capitalistici.
Quali conseguenze doveva avere e ha effettivamente avuto questo fatto nei riguardi degli elementi capitalistici?
Ha avuto come conseguenza che gli ultimi residui delle classi agonizzanti, gli industriali e il loro servitorume, i commercianti e i loro agenti, gli ex nobili e i preti, i kulak e i loro reggicoda, gli ex ufficiali e gli agenti della polizia rurale, gli ex poliziotti e i gendarmi, gli intellettuali borghesi sciovinisti di ogni risma e tutti gli altri elementi antisovietici sono stati sgominati.
Sgominati e dispersi per tutto il territorio dell'U.R.S.S., questi « ex » si sono infiltrati nelle nostre officine e nelle nostre fabbriche, nelle nostre istituzioni e nelle nostre organizzazioni commerciali, nelle aziende dei trasporti ferroviari e fluviali e, soprattutto, nei colcos e nei sovcos. Vi si sono infiltrati e nascosti sotto la maschera di « operai » e di « contadini », e alcuni sono penetrati persino nel partito.
Che cosa hanno portato con sé? Naturalmente, un sentimento di odio contro il potere dei Soviet, un sentimento di feroce ostilità contro le nuove forme di economia, di esistenza e di cultura.
Di attaccare di fronte il potere dei Soviet, questi signori non hanno più la forza. Essi e le loro classi hanno già più di una volta condotto simili attacchi, ma sono stati battuti e dispersi. Perciò la sola cosa che resta loro da fare è di nuocere e recar danno agli operai, ai colcosiani, al potere dei Soviet e al partito. E nuociono in tutti i modi possibili, lavorando sott'acqua. Incendiano i depositi e rovinano le macchine. Organizzano il sabotaggio. Organizzano un'opera di sabotaggio nei colcos, nei sovcos, e alcuni di loro, fra cui qualche professore, arrivano, nella loro mania di nuocere, fino a inoculare la peste e il carbonchio al bestiame dei colcos e dei sovcos, fino a favorire il propagarsi della meningite tra i cavalli, ecc.
Ma l'essenziale non è questo. L'essenziale nell'« attività » di tutti questi « ex » consiste nel fatto che organizzano il furto e la dilapidazione in massa dei beni dello Stato, dei beni delle cooperative, della proprietà dei colcos. Furti e dilapidazioni nelle fabbriche e nelle officine, furti e dilapidazioni nei treni merci, furti e dilapidazioni nei depositi e nelle aziende commerciali e, soprattutto, nei colcos e nei sovcos; tale è la forma principale dell'« attività » di questi « ex ». Essi sentono, come per istinto di classe, che la proprietà sociale è la base dell'economia sovietica, che è questa base precisamente che bisogna scuotere per nuocere al potere dei Soviet, e si sforzano effettivamente di scalzare la proprietà sociale organizzando furti e dilapidazioni su vasta scala.
Per organizzare le dilapidazioni sfruttano le tradizioni e le sopravvivente dello spirito di proprietà privata nei colcosiani, ieri ancora coltivatori individuali e oggi membri de colcos. Nella vostra qualità di marxisti dovete sapere che la coscienza degli uomini ritarda, nel suo sviluppo, sulla loro situazione reale. Per la loro situazione i colcosiani non sono più contadini individuali, ma collettivisti, la loro coscienza però è ancora la vecchia, quella del proprietario privato. Ed ecco gli « ex », provenienti dalle classi sfruttatrici, sfruttare questa mentalità di proprietario privato, che sopravvive nei colcosiani, per organizzare la dilapidazione dei beni pubblici e così scuotere la base del regime dei Soviet, la proprietà sociale.
Molti nostri compagni considerano questi fatti con placidità, senza comprendere il significato e l'importanza che hanno i furti e le dilapidazioni in massa. Essi passano come dei ciechi accanto a questi fatti, pensando che « non vi è nulla di straordinario ». Ma essi, questi compagni, si ingannano profondamente. Il nostro regime si basa sulla proprietà sociale, cosi come il regime capitalista si basa sulla proprietà privata. Se i capitalisti hanno proclamato sacra e inviolabile la proprietà privata e sono così riusciti, a suo tempo, a consolidare il regime capitalista, noi comunisti dobbiamo, a maggior ragione, proclamare sacra e inviolabile la proprietà sociale, al fine di rafforzare, in tal modo, le nuove forme economiche socialiste in tutti i campi della produzione e del commercio. Ammettere il furto e la dilapidazione della proprietà sociale — si tratti della proprietà dello Stato, o della proprietà delle cooperative e dei colcos — e non curarsi di tali infamie controrivoluzionarie, significa contribuire a scalzare il regime dei Soviet, il quale poggia sulla proprietà sociale che ne è la base. Il nostro governo dei Soviet è partito da queste considerazioni nel promulgare la recente legge sulla difesa della proprietà sociale. Questa legge costituisce oggi la base della legalità rivoluzionaria. La più rigida applicazione di essa è il primo dovere di ogni comunista, di ogni operaio e di ogni colcosiano.
Dicono che la legalità rivoluzionaria del nostro tempo non si distingua in nulla dalla legalità rivoluzionaria della prima fase della Nep, che la legalità rivoluzionaria del nostro tempo sia un ritorno alla legalità rivoluzionaria del primo periodo della Nep. Ciò è assolutamente falso, La legalità rivoluzionaria del primo periodo della Nep rivolgeva la sua spada in primo luogo contro gli eccessi del comunismo di guerra, contro le confische e le imposizioni « illegali ». Essa garantiva al proprietario privato, al contadino individuale, al capitalista, l'intangibilità dei loro beni, a condizione che osservassero rigorosamente le leggi sovietiche. La legalità rivoluzionaria di oggi è cosa ben diversa. La legalità rivoluzionaria di oggi non dirige la sua spada contro gli eccessi del comunismo di guerra, che da tempo non esistono più, ma contro i ladri e i sabotatori dell'economia sociale, contro i banditi e i dilapidatori della proprietà sociale. La preoccupazione principale della legalità rivoluzionaria di oggi consiste quindi nella salvaguardia della proprietà sociale e niente altro.
Ecco perché la lotta per la salvaguardia della proprietà sociale, con tutti i mezzi e con tutte le misure messe a nostra disposizione dalle leggi del potere dei Soviet, costituisce uno dei compiti principali del partito.
Una dittatura del proletariato forte e potente, ecco che cosa ci occorre oggi per annientare gli ultimi residui delle classi che si stanno estinguendo e spezzare le loro macchinazioni brigantesche.
Alcuni compagni hanno interpretato la tesi dell'abolizione delle classi, della creazione di una società senza classi e dell'estinzione dello Stato come una giustificazione della pigrizia e della placidità, come una giustificazione della teoria controrivoluzionaria che parla di estinzione della lotta di classe e di indebolimento del potere dello Stato. È inutile dire che uomini di questo genere non possono aver nulla a che fare col nostro partito. Sono elementi degenerati, o ipocriti, che bisogna cacciare dal Partito. L'abolizione delle classi non si ottiene attraverso l'estinzione della lotta di classe, ma attraverso il suo rafforzamento. L'estinzione dello Stato si farà non attraverso l'indebolimento del potere statale, ma attraverso il suo rafforzamento massimo, indispensabile per annientare i residui delle classi che si stanno estinguendo, e per organizzare la difesa contro l'accerchiamento del capitalismo, il quale è ben lungi dall'essere stato distrutto e non lo sarà tanto presto.
La realizzazione del piano quinquennale ci ha permesso di snidare definitivamente dalle loro posizioni nella produzione gli ultimi residui delle classi nemiche, di schiacciare i kulak e di preparare il terreno per la loro liquidazione definitiva. Tale è il bilancio del piano quinquennale nel campo della lotta contro gli ultimi reparti della borghesia. Ma ciò non basta. Il nostro compito è di cacciare tutti gli « ex » dalle nostre proprie aziende e dalle nostre istituzioni e di metterli definitivamente nell'impossibilità di nuocere.
Non si può dire che questi « ex » possano, con le loro macchinazioni brigantesche e sabotatrici, provocare qualche cambiamento nella situazione attuale dell'U.R.S.S. Essi sono troppo deboli e troppo impotenti per tener testa alle misure del potere dei Soviet. Ma se i nostri compagni non si armano di vigilanza rivoluzionaria e non bandiscono dalla pratica l'indifferenza piccolo-borghese verso i furti e la dilapidazione della proprietà sociale, questi « ex » potranno ancora causarci non pochi danni.
Bisogna tener presente che l'accrescimento della potenza dello Stato sovietico aumenterà la resistenza degli ultimi residui delle classi che si stanno estinguendo. Appunto perché stanno estinguendosi e sono giunte ai loro ultimi giorni, esse passeranno da una forma di attacco ad altre ancora più violente, facendo appello agli strati arretrati della popolazione e mobilitandoli contro il potere dei Soviet. Non c'è bassezza e calunnia di cui questi « ex » non si servano contro il potere dei Soviet, attorno a cui non cerchino di mobilitare gli elementi più arretrati. Su questa base possono rivivere e riprendere un'attività i gruppi sconfitti dei vecchi partiti controrivoluzionari, socialisti-rivoluzionari, menscevichi, nazionalisti borghesi del centro e della periferia, possono vivere e riprendere un'attività i residui degli elementi controrivoluzionari di opposizione, trotskisti e destri. Certo, la cosa non è terribile. Bisogna però tener conto di tutto questo se vogliamo finirla con questi elementi rapidamente e senza grandi sacrifici.
Ecco perché la vigilanza rivoluzionaria è, in questo momento, una qualità particolarmente necessaria ai bolscevichi.

CAPITOLO VIII
Conclusioni generali
Tali sono i risultati essenziali della realizzazione del piano quinquennale nell'industria e nell'agricoltura, nel campo del miglioramento del tenore di vita dei lavoratori e dello sviluppo degli scambi, nel campo del consolidamento del potere sovietico e dello sviluppo della lotta di classe contro i residui e le sopravvivenza delle classi che vanno scomparendo.
Tali sono i successi e le conquiste del potere dei Soviet in questi ultimi quattro anni.
Sarebbe errato credere, basandosi su questi successi, che da noi tutto proceda a gonfie vele. Certo, non tutto procede ancora in modo soddisfacente. Vi sono ancora non poche lacune ed errori nel nostro lavoro. L'incuria e il disordine sono ancora moneta corrente nella nostra pratica. Disgraziatamente, non posso trattenermi ora su queste lacune e su questi errori, perché i limiti del rapporto conclusivo che mi è stato affidato non lo consentono. Ma ora non si tratta di questo. Si tratta del fatto che, malgrado le lacune e gli errori di cui nessuno di noi nega l'esistenza, abbiamo ottenuto dei successi talmente grandi, che provocano l'entusiasmo della classe operaia di tutto il mondo, abbiamo riportato una vittoria che ha effettivamente un'importanza storica mondiale.
Quale è l'elemento essenziale che ha potuto permettere e che ha effettivamente permesso al partito di ottenere, malgrado gli errori e le lacune, tutti questi successi decisivi nella realizzazione del piano quinquennale in quattro anni?
Quali sono le forze essenziali che ci hanno assicurato, malgrado tutto, questa storica vittoria?
Innanzitutto l'attività e la devozione, l'entusiasmo e l'iniziativa di milioni di operai e di colcosiani, i quali, insieme agli ingegneri e ai tecnici, hanno spiegato una formidabile energia per lo sviluppo dell'emulazione socialista e del movimento degli udarnichi. Non c'è dubbio che, senza di ciò, non saremmo riusciti a raggiungere la meta, non avremmo potuto progredire di un sol passo.
In secondo luogo, la ferma direzione del partito e del governo che hanno chiamato le masse a marciare in avanti e che, per raggiungere la meta, hanno saputo sormontare tutte le difficoltà che si frapponevano sul loro cammino.
Infine, i meriti e i vantaggi particolari del sistema economico sovietico, il quale racchiude in sé delle enormi possibilità, necessarie per superare le difficoltà di ogni sorta.
Tali sono le tre forze principali che hanno determinato la storica vittoria dell'U.R.S.S.
Conclusioni generali:
1. I risultati del piano quinquennale hanno fatto piazza pulita delle affermazioni degli uomini politici borghesi e socialdemocratici, secondo i quali il piano quinquennale era una fantasia, un delirio, un sogno irrealizzabile. Il bilancio del piano quinquennale dimostra che il piano è già un fatto compiuto.
2. I risultati del piano quinquennale hanno annientato il famoso « Credo » borghese, secondo cui la classe operaia è incapace di edificare qualcosa di nuovo, ma è solamente capace di distruggere ciò che è vecchio. Il bilancio del piano quinquennale dimostra che la classe operaia è altrettanto capace di edificare qualcosa di nuovo, quanto di distruggere ciò che è vecchio.
3. I risultati del piano quinquennale hanno annientato la tesi socialdemocratica secondo cui è impossibile edificare il socialismo in un solo paese, preso singolarmente. Il bilancio del piano quinquennale dimostra che è perfettamente possibile edificare la società socialista in un solo paese, poiché la base economica di una tale società è già costruita nell'U.R.S.S.
4. I risultati del piano quinquennale hanno fatto piazza pulita dell'affermazione degli economisti borghesi secondo cui il sistema d'economia capitalista è il migliore, e ogni altro sistema è instabile e incapace di resistere alla prova delle difficoltà dello sviluppo economico. Il bilancio del piano quinquennale dimostra che il sistema economico capitalista è inconsistente e instabile, che esso ha già fatto il suo tempo e deve cedere il posto a un altro sistema d'economia, superiore, a un sistema economico sovietico, socialista, che l'unico sistema il quale non teme le crisi ed è capace di sormontare le difficoltà che il capitalismo non può risolvere è il sistema economico sovietico.
5. Infine, i risultati del piano quinquennale hanno dimostrato che il partito è invincibile, se sa dove dirigersi e non teme le difficoltà.
(Prolungati e vivissimi applausi che si trasformano in ovazione. Tutta l'assemblea, in piedi, acclama il compagno Stalin).


 

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