Biblioteca Multimediale Marxista


Capitolo 1



Un brivido lungo la schiena fino alla nuca, come una saetta la riscosse e con un soffio di rimpianto Nora si separò dal ritmo stregato dei cavalloni. Strinse con forza, i pugni nelle tasche del trence, incassò la testa nelle spalle e rivolgendosi al bimbetto che caracollava sulla sabbia intorno a lei, disse: «Non hai freddo, tesoro di mamma?, sei tutto gelato, vuoi che andiamo a casa?».
Tommaso scosse con decisione la testa corvina e, scoprendo le palette degli incisivi in un sorriso compiaciuto, indicò la piccola buca che stava scavando: «Vedi? —aggiunse— ancora un pò e trovo l'acqua così poi qui ci possiamo prendere i pesci che è più. piccolo!»,. e si rimise al lavoro continuando a borbottare tra sé.
Ma che razza di idee, pensava Nora covandoselo con occhi amorosi e poi, un pò preoccupata, avrei dovuto coprirlo di più, siamo alla fine di marzo ma sembra di essere tornati a gennaio ... e quella sensazione di freddo pungente nelle ossa la trascinò indietro di tre anni, al gennaio del '71, quando ancora non si era tagliata i lunghi capelli neri che le scendevano morbidi fino alla vita, e quella mattina, davanti a un mare accigliato e nervoso, li aveva lasciati liberi di volteggiare e intrecciarsi davanti ai suoi occhi, preda del turbinio anarchico della tramontana gelida che veniva giù dai monti.
Offrendo al mare un profilo ostinato, quasi bambino contro quello aspro, senza età delle montagne; Nora assaporava il piacere infantile di sentirsi protetta dietro le ciocche aggrovigliate come tra i cespugli profumati di alloro.
Aveva deciso proprio il giorno prima, provando una sensazione di leggera esaltazione, di euforia quasi, sì, e si chiamerà Tommaso!, e quelle quattro parole avevano riempito ogni angolo della sua mente, luminose, calde, solide. Sì, e si chiamerà Tommaso!, anche la mattina dopo in riva al mare quelle parole cantavano leggere nelle sue orecchie ma tutto intorno si era aperto uno spazio turbinoso e nebuloso ed era con vago senso di vertigine che guardava alle cento porte spalancate dall'eco di quell'unica porta chiusa.
Non era nel suo carattere lasciare che le cose si facessero da sole, voleva vederci chiaro, sapere dove andava, come e perché, ma per quanti sforzi facesse cercando di incasellare tutto, era troppo onesta per non ammettere che stava guardando nel suo futuro come avrebbe potuto guardare il fondo del mare in quel giorno di burrasca: miliardi di particelle in sospensione a mascherare gli azzurri, i blu, i verdi, i bianchi madreperlacei che danno forma allo spazio sottomarino.
Sapeva, però cosa aveva già preso un posto importante, già messo le radici nella sua stessa carne: il bambino?, no, non solo, non ancora ... la fabbrica, quella si, occupava ogni giorno di più i suoi pensieri, la sera si ribellava alla spossatezza e alla tentazione di lasciarsi vivere da quelle poche ore di riposo in funzione del giorno seguente, ingoiata dalle macchine che pensavano e decidevano per lei; si aggrappava a un'immagine della vita, la sua e quella di tutti quelli come lei, che voleva possibile ma che non voleva credere fosse solo un sogno.
E cercava, chiedeva, ascoltava, osservava, ogni risposta faceva nascere cento domande, ogni domanda aveva molte risposte.
Ci sono dei momenti, pensava, in cui tutto comincia a correre, quasi come se finora non avessi fatto che: sonnecchiare ... già,. prima di sapere del bambino, cosa sarà, una settimana?, due massimo ... e il profilo spigoloso di Marcello si stagliò netto nella sua mente. Non è tanto quello che mi ha detto, è il modo, no neanche, ecco un metodo mi ha dato, un metodo per guardare e capire quello che faccio io e quello che fanno gli altri, solo che non me l'ha detto, è come se mi avesse guidata per la mano fino a farmelo tirare fuori da me ...
Lo aveva incontrato da Rizieri, lo zio cavatore per il quale lei era sempre la "piccola Nora" e che l'ascoltava come si ascoltano i ragazzini: che valore hanno i discorsi di una ragazzina?, sono vento, profumano di fiori ma non pesano, passano leggeri portando briciole raccolte qua e là ...
«Quant'è che lavori in fabbrica?» le aveva chiesto Marcello e nei suoi occhi lei aveva visto la forza e il dolore di quarant'anni di lotte, ma non avrebbe saputo dirlo se qualcuno le avesse chiesto cosa brillava dietro quelle pupille nere.
«Fanno sette mesi la prossima settimana».
«E' la prima volta che fai sciopero?».
«No, ma gli altri erano solo di due, massimo quattro ore, questo é il primo vero, che si lascia tutto, “si spenge la luce e si chiude la porta”, come dice Lucia ... una che lavora nel mio reparto».
«E alla manifestazione a Carrara ci sei andata?».
Nora annuì e sentiva che non domandava per gentilezza né con l'accen­to ironico e un pò annoiato di chi ne ha viste di tutti i colori e le esperienze di una ragazza sono cose senza importanza.
«E cosa ne pensi?».
Quella domanda l'aveva raggiunta come uno squillo imperioso della sveglia la mattina. Che poteva importargli quello che pensava lei, l'ul­tima arrivata?, le ci volle il tempo di prendere una sigaretta, accen­derla, sentirne il piacere aspro sulla lingua per scartare ogni rispos­ta banale, superficiale, che le era pure venuta in mente: bella, c'era tanta gente, o peggio: mi sono proprio divertita.
«Penso che non basta contarsi e vedere che siamo tanti per poter dire che vinceremo, che il padrone ci darà quello che vogliamo ... e che non basta essere tutti lì per dire che siamo tutti uniti, perché ho sentito tanti discorsi e ognuno la rigirava come tornava meglio, e c'era chi era lì per un motivo, chi per un altro e non credo che questo vuol dire essere uniti —si fermò un attimo cercando di raccogliere immagini e pensieri nella canala stretta di una frase— e non credo che i celerini non hanno caricato perché avevano paura, come sentivo dire da molti ... mi guardavo intorno e dicevo ma perché se caricano chi li ferma?, non avevo paura, eh!», e gli occhi lampeggiavano sotto le ciglia di seta nera.
Marcello non riuscì a trattenere un sorriso leggero dietro la mano che passava sulla barba ispida del mento e annuì col capo davanti a quell'impennata di orgoglio un pò ingenuo.
«Eh, ci abbiamo la suffragetta in famiglia!, la classe operaia pura e dura, eccola qui!», Rizieri rideva cercando la complicità del vecchio cavatore che però lo lasciò cadere nel vuoto. Nora riprese a parlare, a tratti lucida a tratti confusa, vaga per istanti, ingenua e un pò idealista, ma subito dopo decisa, razionale, sintetica. Marcello ascoltava, ogni tanto la interrompeva o la rilanciava, le faceva notare le contraddizioni, le debolezze, i vuoti del suo discorso e la ascoltava riprendere, riflettere, volare alto con entusiasmo.
Ascoltava Marcello e pensava alle forze che vedeva maturare in quegli anni contro i padroni, contro il sistema, contro le guerre dell'imperialismo, per la stessa bandiera. in cui aveva trovato, sedicenne, la risposta all'ingiustizia e al fascismo; la vedeva fin lì a Carrara, per le strade e le piazze, su alle cave, nelle fabbriche, al porto e si chiedeva come potevano pensare che tutto era finito, che l'unica era piegarsi al meno peggio, e in fondo oggi si sta meglio di quarant'anni fa ... volti di uomini sconfitti, che pure erano stati al suo fianco, gli sfilavano davanti, scuoteva la testa scacciandoli con un gesto, volti su cui già brulicavano grossi vermi bianchi mentre intatti restavano quelli di chi aveva dato la vita con orgoglio, senza lamentarsi e senza piangere: intatti e fieri! Però questo Nora non lo poteva vedere, per lei tutto nasceva lì, in quei mesi, giorno dopo giorno, al ritmo in cui sentiva nascere in sé la necessità di lottare per non lasciarsi schiacciare.
Con un movimento brusco del capo Nora volse completamente il viso verso Est, scoprendo il bagliore delle Apuane cariche di neve. L'immagine di Marcello si dissolse nelle nebbiolina salata, lasciando l'impronta della fiducia nel leggero sorriso della ragazza. Il profumo delle tame­rici e della resina di pino colpì le sue natici e, mentre i capelli che erano spinti con forza dietro le spalle la costringevano a tenere alti il viso, incrociò lo sguardo di Luciano. Ecco, pensò, lui proprio non ce lo vedo nel mio futuro.
La guardava di sbieco con un'aria da cane bastonato o come un bambino che l'ha combinata grossa, dondolandosi prima su un piede poi sull'altro e si vedeva che avrebbe preferito essere all'inferno piuttosto che lì con lei in quel pomeriggio di gennaio. Nora sentì una colata di cemento scendere lentamente nelle vene e l'immagine di quel ragazzo alto, magro, spettinato rimbalzati sui suoi occhi senza entrare, come una palla di gomma contro un muro.
Gli sorrise, lontana: «Sei ancora qui?», chiese; la voce pur deformata dal vento rimandava il ritmo pacato del suo cuore. Ci pensò con curiosità per un istante, ma non aveva voglia neanche di riflettere sul perché quel ragazzo che era il suo primo vero amore adesso le sembrava di non averlo mai visto prima, o quasi. Anzi, di vederlo veramente per la prima volta. Luciano non si mosse e non rispose, la guardava soltanto con occhi inquieti; probabilmente, pensò Nora, si credeva che mi sarei messa a piangere, che l'avrei insultato o pregato o tutt'e due, e le venne in mente il gatto Silvestro che prepara la dinamite, si tappa le orecchie aspettando che scoppi e invece Titti vola via e non succede nulla. Davanti a questa immagine un sorriso illuminò gli occhi della ragazza e la spiaggia grigia, umida di sole, il sole pallido, sfocato, malaticcio, la luce tagliente, metallica del cielo, la neve accucciata sui monti, l'urlo di una sirena dal porto ... in un lampo sentì la consistenza delle cose, toccò la dimensione dello spazio e fu avvolta dalla sensazione esaltante della vita che correva sotto pelle.
Ma perché non se ne va?!, ho tante cose da fare ... Un'impazienza sorda cominciava a formicolare lungo le sue gambe, neanche il vento riu­sciva ad ingannare quel silenzio: «Embè?! che hai da guardarmi così? Ho capito, non te la senti, adesso non sei in grado, mi vuoi bene però ci sono tanti problemi ... e va bene, ho capito, non sono mica scema?!, ma ora che vuoi da me? non sono la tua mamma, vuoi che ti consolo, e non esageriamo, eh?!, vabbè, allora me ne vado io … ciao!».
«Aspetta, Nora!», la mano di Luciano le sfiorò la spalla e quello che lei sentì le piacque meno, molto meno, tanto che si irrigidì dicendosi, e merda!, mò dobbiamo proprio metterci a fare il cinema?! «Aspetta!, ti volevo dire non ci passiamo mica lasciare così?!, dopo quasi un anno, io ti voglio bene, Nora, se tu provassi ad ascoltare le mie ragioni .... il fatto è che questa cosa non ci voleva, senti, non si può vedere di … cioè, voglio dire, non si può trovare il modo ... si, insomma, hai capito? E poi lo dico anche per te, a diciannove anni la tua vita è rovinata ... almeno parliamone, mi tratti come se tu mi conoscessi appena ...», e con la punta del piede scavava nervosamente piccole buche nella sabbia, nascondiglio illusorio per la sua cattiva coscienza
«La mia vita rovinata?! no, mio caro, ti sbagli di grosso!, non sono queste le cose che rovinano la vita e far nascere un bambino non è in sé una disgrazia, anzi, mi fa rabbia sola a dirla una cosa del genere perché io già gli voglio bene; la vita te la rovini in fabbrica, caro mio, e se ti alzassi tutto le mattine quand'è ancora buio, come faccio io, te ne accorgeresti. Ma questo è già un lusso perché poi c'è chi non ha neppure la 'fortuna' di potersi rovinare la vita essi perché il lavoro non ce l'ha, o l'ha perso e allora può marcire ... ma che ne sai tu del rovinarsi la vita, tu che a casa hai sempre la pappa pronta ...», era il vento che le arrossava le guance?, era il salmastro che faceva brillare i suoi occhi?, era il freddo che le faceva muovere le mani e le braccia, che le faceva tendere i muscoli?
«Ma che dici ... ora cosa c'entra, e poi non è vero, che ho la pappa pronta, studiare è il mio lavoro, non mi mantengono mica a non fare niente ... ma che discorsi!».
Luciano, nettamente spiazzato, cercava così con un pò di affanno di riaffermare il sue ruolo di uomo, o almeno di non sentirsi del tutto sopraffatto, scavalcato, come una "500" che fa le corse con una Ferrari.
«... e rovinata —continuò Nera come se non avesse sentito— è la vita di chi vive seduto sul suo sedere a guardarsi la punta del naso, sbatacchiato dal vento cercando di parare i colpi che non sa neanche da dove arrivano, a dir sempre di si illudendosi di proteggere il suo angolino …»
«Lo vedi che dici delle sciocchezze?! cosa c'entra, non c'è nessuno che vive così, o almeno non è così che io voglio vivere ... è chiaro che ci sono anche gli altri, si vive anche per loro, si cerca di aiutarsi, di fare del bene, di dare una mano ai più disgraziati; il fatto è che noi siamo giovani ... cioè, voglio dire che ci dobbiamo pensare bene prima di … prima di trasformarci la vita, ecco, io dovrei smettere di studiare e accollarmi da subito la disgrazia, come dici tu, del lavoro, mentre potrei costruirmi un futuro ... ecco perché ti dicevo che sarebbe meglio ripensarci un attimo ... —ma, accorgendosi che le sue parole non facevamo che aumentare l'irritazione di Nora, continuò spazientito— oh!, ma insomma che cosa vuoi?!».
«Cosa voglio? ... per esempio —rispose Nora accarezzandosi il ventre e scandendo le parole— voglio vedere questo bambino: crescere senza dovermi angosciare ,al pensiero se riuscirò a dargli da mangiare, a farlo studiare, a stare con lui il tempo che lui mi domanderà ... —come un volo di rondini i suoi occhi neri palpitarono, posandosi poi su quelli di Luciano— Non so spiegarti, è troppo grande questa cosa, è troppo nuova anche per me; quando penso a cosa sarebbe la nostra vita in un mondo senza padroni dove ognuno può decidere della sua vita ... beh, è come se, rinchiusa in una stanza buia, aprissi improvvisamente la finestra sul cielo caldo dell'estate e ... oh, e poi non lo so»
«Lo vedi che sei anche tu sognatrice! E allora perché non mi capisci quando ti dico che ora è il momento di sognare, di prepararsi per un domani migliore ... adesso questa cosa non è altro che un ostacolo, se lo ... superassimo potremmo riprendere insieme a costruire altri castelli ...», cercando di "prenderla per il verso suo" Luciano metteva in campo la sua arma migliore, l'ultima che gli dava speranza di riacquistare una certa centralità; di solito funziona, pensò, e un sorriso di compiacimento gli si stampò sulla faccia.
Quel sorriso involontarie assunse per Nera le sembianze acide della satira, ma mi vuoi prendere per i fondelli?!, pensò, e mise a fuoco crudamente i muri grigi di quella stanza immaginaria, lasciando però sullo sfondo il cielo dell'estate.
«Quello, che so bene —riprese con foga— è quello che vedo tutte le mattine e che per te è solo letteratura, le altre operaie fianco a me che lasciamo gli occhi e la salute sulle macchine per ingrassare il padrone, a correre, a seguire i tempi e zitte perché il padrone poi ti licenzia, a lui basta una firma … ma lo sai che del bambino non lo deve sapere nessuno fino all'ultimo, osennò mi spediscono a casa?».
Negli occhi di Luciano passò un'ombra. di incredulità, quindi il timore di fronte ad una realtà che cominciava appena ad uscire dalle nebbie del sentito dire. «Però mio figlio —continuò Nora, e un'onda di orgoglio gonfiò il suono di questa parola come un lenzuolo bianco steso in un prato— mio figlio avrà sempre su chi contare, sì perché il mio futuro è ora, perché io non ho un domani da aspettare, ho un oggi da costruire e farò di tutto perché sia come dico io!».
«Beh, se hai bisogno di qualcosa ...», ma Nora non lo lasciò finire, sorrise quasi divertita e scosse la testa: «No, Luciano, non ho bisogno di niente e ancora meno della carità, non sono uno di quei disgraziati, come dici tu, a cui vuoi dare una mano, se avrò bisogno so di poter contare sulla solidarietà degli altri operai, ma tu quella non sai neppure dove sta di casa, non è qualcosa che si regala per mettersi a posto la coscienza».
Completamente arreso di fronte alla chiarezza dei fatti, Luciano cercò l'ultima rivincita: «Eh, con queste idee per la testa tue figlio finirà davvero per fare la fame!». Era una cattiveria di troppo , ancor più perdente di fronte alla fierezza un pò ingenua di quella ragazza, e lei troppo giovare per comprendere da cosa era generata; per lei a questo punto il problema era bianco o nero, e vide scuro: «A mia figlio ci penso io, tu manco lo devi nominare, fascista! —e, mentre si allon­tanava col passo fermo di chi sta compiendo una seria svolta nella propria vita, sai voltò ancora per gridare— E mio figlio mangerà. sempre ... bene!"
«Mamma ho fame!», Tommaso strapazzava il trence con energia risvegliando Nora dai suoi pensieri, «E ce ne. vuole per riempirti a te! —esclamò prendendolo in braccio— … Noooo!, butta quella schifezza, dai! Andiamo, non ti preoccupare che la nonna ha già preparato».

Quell'anno la primavera arrivò all'improvviso; già da un paio di settimane i giovanotti e le ragazzo avevano deciso che ormai era ora di sfoggiare camicette e giacchine di cotone, perdendo miserevolmente la sfida col tempo che aveva regalato un pò a tutti raffreddori e influenze. Starnutivano imbronciati guardando la neve che insisteva ad incappucciare il Sagro mentre un'arietta fresca li faceva rabbrividire, ma non per questo continuavano a mettere cappotti e calze di lana, «Le gonne a fiori si portano coi sandali alla schiava, non hai visto Teresa in via Roma?, si voltavano tutti, e se se li é messi lei, perché io no?»; «Ma che sciarpa, non sono mica mio nonno! Si, anche se vado in motorino quel bottone deve stare slacciato perché osennò la camicia tira ... con 'ste spalle che mi ritrovo!», e i genitori, sospirando, compravano le aspirine, «Se almeno, visto che dice che ormai è estate e che lui ci ha caldo, se almeno si tagliasse quei capelli!, altro che mio nonno, mi pare Garibaldi!».
Ma alla fine di aprile il sole si decise ad installarsi, cosi caldo tutto d’un colpo e così sfavillante che per un paio di giorni ci fu più gente sulla spiaggia la mattina che nelle aule ancora umide e tristi. La prima domenica di maggio già pareva di essere in estate, i ragazzi si tuffavano fra le onde pigre e sonnolente, ancora fredde, facendosi ammirare dalle fidanzate, vere o aspiranti, che ridevano vicine le une alle altre, a grappoli; nascondendosi a vicenda vergognose delle loro carni bianche, sfottendosi, "latticino", "parmigiana", "sembri una milanese" per sentirsi meno nude. Le mamme, col golf sopra al costume intero, cor­revano urlando, «Vieni qui!!, se ti prendo ...»,. «No, Giovanni, non puoi fare il bagno, l'acqua è fredda, Giovanni!!, guarda che lo dico a tuo padre!», dietro ai bambini eccitati che volevano imitare i più grandi, riacchiappati al volo, i sandaletti già nell'acqua.
Anche a Bocca di Magra la gente si preparava per l'estate. Chi imbiancava le stanze che avrebbe affittato per la stagione, chi aggiustava le sdraio, chi riverniciava barche e pattini e quasi tutti approfittavano del tempo libero della domenica. Ma c'era anche chi, come Berto, aspettava la domenica per un lungo sonno ristoratore dopo una settimana di pesca, ed anche quella prima domenica di maggio se l'era cosi program­mata, «Mi raccomando, mamma, domattina non mi svegliare, voglio dormire fino a mezzogiorno!». Una pia intenzione che non aveva fatto i conti con la voce squillante e piacevole di Libera che, attraverso le persiane chiuse, si intrufolò nella sua stanza in penombra sbaragliando le nebbie dei sogni.
«Alberto!», piantata in mezzo al vicolo, le mani sui fianchi, il capo gettato all'indietro, Libera riuscì solo a far abbaiare un cane giallo e pulcioso che subito riprese a grattarsi con foga dietro l'orecchio.
Le comari dalle case intorno le lanciavano sguardi di disapprovazione interrompendo le occupazioni mattutine, chi appoggiata alla scopa su gli scalini di casa, chi alla finestra con lo straccio e il Vetril, chi con un moccioso in braccio, il cucchiaio di plasmon in mano. La guarda-vano storto, ma vedi se una ragazza deve gridare cosi, come un maschiaccio, in mezzo alla strada ..., ma lei non ci fece caso, era Libera e si sentiva libera, suo padre, da buon vecchio anarchico le aveva insegnato a comportarsi secondo la propria coscienza e non secondo quella degli altri. Suo padre ... il suo adorato babbo Gino, le veniva ancora da ridere a ripensare a quella sera, lui doveva avere bevuto un po’ …
"Te non lo sai, ma io in questa casa non conto niente! —le aveva strizzato l'occhio e lanciato uno sguardo di sfuggita alla moglie che stava lavando i piatti— Ti dovevi chiamare Scintilla, non lo sapevi, eh?!, oppure Dinamita, le avevo lasciato la scelta —ghignò indicando col capo le spalle muscolose della sua robusta consorte—, sono un democratico, io!, ma niente!, non ne ha voluto sapere, quasi mi si mette a piangere!, e siccome sono troppo democratico —sospirò comicamente— mi sono dovuto accontentare di Libera ... —le aveva sorriso complice, poi aveva ripreso abbassando la voce— Se era per lei ti saresti chiamata Santa Maria Misericordiosa ... o qualcosa del genere, è vero Caterì?". La donna alzò le spalle brontolando e continuò a strofinare il fondo del tegame. «E così anche l'ala cattolica della famiglia si è dovuta piegare!», declamava con gesti teatrali mentre Libera se la rideva come una matta aspettando la reazione della mamma per assaporarsi una di quelle schermaglie affettuose che ogni tanto davano vivacità alle sue serate.
Libera sospirò inavvertitamente. Il suo caro babbo morto in quel cantiere, ucciso dall'ingordigia di un ennesimo padrone convinti che la misura di sicurezza più sicura fosse quella di impedire al suo denaro di uscire dalla basica per l'acquisto di impalcature che diceva superflue. E le inchieste?, non c'erano problemi, l'ispettorato era abituato a mangiare docilmente dalle sue mani non troppo prodighe, ma sicure. Mentre ripensava a quella tragedia il suo volto si faceva sempre più scuro, era una ferita che non si sarebbe mai rimarginata. Ma il sole vivace della primavera, sporgendo dallo spigolo della casa di fronte, la distolse dai suoi pensieri e lei si rese conte che Berto non si era ancora affacciato.
«Alberto!!!», gridò con ancora più forza e allegria.
Questa volta la finestra si aprì e Berto, la faccia piena di sonno, biascicò sbadigliando: «Ma che ore sono?».
«Le otto ed è una splendida giornata!».
«Le otto??, ma oggi è festa … ho sonno, ci vediamo dopo, eh?!, ciao ...», e si scostò dalla finestra con un movimento un pò più brusco del necessario.
«Peccato —riprese Libera con vece maliziosa— è una così bella giornata e volevo fare un giretto in barca ...».
Berto, che si era allontanato quel tanto che bastava per non farsi vedere ma che continuava a teiere d'occhio la cascata di capelli biondi tra gli infissi della finestra, sentì il cuore accelerare e lanciargli una piacevolissima scarica lungo tutti i nervi: Libera vuole uscire con me, sola, io e lei sulla barca, soli ..., riapparve subito sfoderando il migliore dei suoi sorrisi, ma anche deciso a non far trasparire l'emozione, cosa non facile perché il sole giocando coi colori dei suoi occhi lo tradiva ad ogni istante nei guizzi troppo intensi che lanciavano: «Beh, se mi parli di uscire in barca … lo sai che non potrei mai rifiutare una proposta così, scendo subito!!", e si ritirò velocemente.
Che sia questa la volta buona?, diceva fra sé Berto accostandosi al lavandino sbeccato, senza degnare di un'occhiata le macchie di umido sulle pareti del piccolo bagno, istigatrici mattutine del solito pensiero riflesso: questa casa ha bisogno di un'imbiancata, ché la cucina non era in migliori condizioni e così le altre stanze di quell'antica casa di pietra.. Libera!, che sogno!, quante volte aveva pensato ora le chiedo se vuol venire a fare un giro in barca, ma poi la voce gli si strozzava lì, tra gola e palato, e non diceva nulla tanto era il timore di sentirsi dire di no o, peggio, di vederla ridere, squillante, la testa un pò piegata di lato, come rideva ei, perché di sicuro glie lo avrebbe letto in faccia il motivo di quell'invito. Libera!, vedeva i suoi occhi azzurri che davano all'ovale del volto una luce morbida come una carezza, i riflessi turchesi di certe grotta che a volte si aprono d'incanto nelle scogliere sottomarine; sentiva strani formicolii sulla pelle a pensare alla sua bocca dolcissima che immaginava morbida e calda come il muschio sotto il sole, e quando sorrideva schiudeva denti perfetti che gli facevano ricordare le spiagge bianche di madreperla della Sardegna; per ore avrebbe potuto restare a guardare la curva bizzarra, sensuale del suo nasino i riccioli che sfuggivano alla massa di capelli legati e le solleticavano il collo là, setto la nuca, e dietro le piccole orecchie, eh sì, sono proprio cotto come un pollo lesso!, e non avrebbe saputo dire quando esattamente sai era accorto di essere innamorato. Libera la conosceva fin da bambina, in paese conosceva tutti. Avevano giocato insieme per i vicoli, sulla spiaggia, ma se doveva dire la verità l'aveva sempre trovata antipatica, troppo prepotente, capricciosa e soprattutto comandina, si scontravano e litigavano ogni cinque minuti perché lui non sopportava davvero di farsi mettere i piedi in testa ...; in un certo senso l'ammirava pure, faceva cose che le altre bambine manco si sognavano, non aveva paura di tuffarsi dalle rocce di Punta Bianca, né di fare a gara a chi restava di più sott'acqua, conosceva i nomi di tutti gli alberi, fiori, erbe e sapeva dove trovare i nidi delle capinere, dei pettirossi, dei merli, inventava dei giochi complicatissimi dove, però, lei era sempre il capo ... L'aveva persa di vista poi, andava allo scientifico a Sarzana mentre lui, iscritto al Nautico, prendeva la corriera per Marina di Carrara tutte le mattine, e a Bocca di Magra non la si vedeva quasi più; solo di tanto in tanto l'incrociava, un cenno del capo e pensava, chissà le arie che si dà Libera mò che si è fatta cosi bella!, e lui le ragazze smorfiose non le poteva soffrire.
Una volta l'aveva vista con un giovanotto, abbracciata, aveva saputo —in paese si sa sempre tutto, mica si era informato! ... e che gli importava a lui?!— che era uno della Spezia che lavorava all'Oto Melara, un operaio?..., si era detto dubbiose, ma forse non è così vanesia come sembra, ma quel ragazzetto gli dava comunque sui nervi e non ci aveva pensato più. E poi? ecco, si, forse era stato quel giorno, finito il militare ... stava seduto solitario e sognante a guardare il tramonto sugli scogli che cingono il porto, verso la foce del Magra; la rivedeva come fesse ora, camminava lentamente, pensosa, e gli era passata accanto senza vederlo, lo sguardo perso sulla linea che confonde mare e cielo, i corti capelli ricci sfiorati dalla brezza della sera ...
«Non si saluta più?!», le aveva detto con una punta di dispetto e, come quando il mare in burrasca lancia i cavalloni sopra il molo che ti raggiungono potenti e improvvisi lasciandoti a boccheggiare bagnato fin nelle ossa … lo stesso effetto gli aveva fatto vederla. voltarsi di scatto e aprirsi in un sorriso devastatore. La notte li aveva sorpresi seduti fianco a fianco mentre un'enorme luna gialla sbadigliava da dietro ai monti: né il toni amichevole, fraterno, del loro chiacchierare, né l'energica stretta di mano con cui lei lo aveva salutato erano riusciti ad attenuare la sensazione euforica e sconosciuta che quella notte lo faceva fischiettare sugli scalini di casa e che anche dopo, ogni volta che la vedeva, che le parlava lo stuzzicava e lo turbava da qualche parte, nel più profondo di sé.
Sono proprio cotto, sospirò ancora, ma che accidenti?! ..., e si accorse che stava spremendo il tubetto del sapone da barba sullo spazzolini da denti. Come risvegliandosi da un sonno ipnotico: «Ma che faccio!», esclamò, sto perdendo tempo qui in questo cesso e potrei già essere con lei, continuò tra sé e i suoi movimenti divennero frenetici e fra lavarsi e vestirsi ci mise quasi il tempo di un cambio di gomme in Formula 1. Si lanciò giù per le scale mentre sua madre gli gridava dietro: «Ma non hai fatto neppure colazione .... almeno torni per il pranzo?».
«Si … no …non lo so!», ed era già fuori: quando finisce la capacità di sopportazione di una madre?, beh, a venti e passa anni avrebbe anche potuto lasciarlo perdere, ma lei era fatta così, se lo covava ancora, come una chioccia e, infatti, lanciando un'occhiata dalla finestra borbottò tra sé, il mio Berto con la Libera ... mah, speriamo che sia una ragazza seria, ne ho sentite dire su di lei ... che è sempre in giro come i fiaschi rotti e fa dei discorsi un pò come suo padre ... pace all'anima sua ...
«E la barba?», esclamò Libera con aria severa facendogli morire sulle labbra il ciao! caloroso con cui avrebbe voluto nascostamente baciarla.
«Ma ... io pensavo che non ti andava di aspettare».
Libera si divertiva al suo sconcerto, sapeva che per lei avrebbe fatto di tutto, sapeva anche che era troppo duro e orgoglioso per ammetterlo, e le piaceva anche per questo.
«Te —gli aveva detto una volta— devi avere delle origini carrarine, di sicuro!, anzi di Graganana, che sono più duri del marmo!», e non sapeva resistere alla tentazione di provocarlo continuamente. Le piaceva non solo perché era testardo e un pò spinoso, simile ai ricci delle castagne, ma anche perché vi aveva indovinato, da uno sguardo sorpreso all'improvviso, una dolcezza che era come una vetta inesplorata che immaginava aprirsi su distese profumate di crochi. Si ricordava di una sera, qualche tempo prima, era sulla spiaggia? o sul molo?, mah, però si ricordava di aver sentito all'improvviso la sua voce sfiorarle il collo in una carezza invisibile e mentre parlavano, c’era la luna, sì, di sicuro, una luna grossa color arancio che si tingeva di crema, l'acqua già nera, lei gli guardava le mani nervose e abbronzate, sentiva, portato da un'arietta complice, il suo odore mescolato a quelle muschioso del fiume ... solo ridendo, mettendosi poi a parlare della prima sciocchezza che le era venuta in mente era riuscita a controllare l'impulso di appoggiare li capo sulle sue spalle larghe, di baciargli la vena del collo e respirarlo a pieni polmoni. Berto, ci avrebbe giurato, non si era accerto di niente, sono brava a nascondermi quando mi ci metto, aveva pensato; invece, forse, lui non aveva visto perché non gli pareva possibile e Berto non è uno che si crogiola nelle illusioni.
«Va là —riprese il ragazzo con fare serioso— per oggi o mi accetti così … oppure me ne torno a dormire, che ne dici?».
«Mmh, cosa vuoi che dica: buon viso a cattivo gioco», e si avviarono verso il porticciolo.
Un brusio caloroso aveva già invaso i vicoli stretti di Bocca di Magra, le radio, le chiacchiere domenicali, le campane della chiesa, il chiamarsi festoso dei ragazzini li seguiva e li precedeva mentre camminavano leggeri.
«Ma non sarebbe meglio portarci qualcosa da mangiare?».
«Già provveduto, Alberto —rispose Libera indicando l'enorme borsa di tela che aveva a tracolla— con i tuoi ritmi partivamo domattina». «Berto, Berto, non mi storpiare il nome, non mi piace».
«E a me stamattina piace Alberto, ti si addice di più».
Il porticciolo si aprì davanti a loro mentre sbucavano dal vicolo nella strada centrale che lo costeggia, brillante come uno strass sotto quel sole primaverile che cominciava solo allora a scaldare l'aria, dove l'odore del caffè e delle alghe si mescolava a quello della nafta, del catrame e del pesce marcio. Il mare immobile al di là della barriera dondolava pigramente, aggrediva senza cattiveria, quasi a malincuore le grosse pietre incementate, le accarezzava distratto, le rimontava e poi tornava a scendere placido per riprendere il respiro e risalire di nuovo, senza fretta. L'atmosfera festiva la si leggeva anche nei movimenti pigri dei pescatori, nel loro starsene qui e là, seduti sul muretto e appoggiati alle barche tirate a secca sulla spiaggetta, a dipingere e incatramare con calma i fianchi panciuti di vecchie imbarcazioni, a riparare le reti seduti su seggiole sgangherate affondate nella sabbia; oppure a discutere per capannelli con aria dottorale sull'ultima settimana di pesca, sul gasolio che è aumentato, sul mare che si è impoverito, che non va, non ci si rientra, ma poi sonno compre lì.
Ecco Giovanni, «Ciao Berto!», col solito berretto calato sui capelli nerissimi dei suoi sessant'anni; è sempre allegro Giovanni, buono con tutti, un pò borbottone, un vero patriarca del porto. «Ciao Gennaro!», è napoletano , si è trasferito qui a metà degli anni '50, gran lavoratore, un tantino diffidente, gli sembra sempre che lo vogliono fregare, ma sa anche essere generoso e gli piace fare festa con gli amici. Quello è il Nero, un'occhiata un pò in cagnesco e un saluto a denti stret­ti, dal giorno che hanno litigato l'atmosfera fra lui e Berto non si è più distesa del tutto; il guercio, invece, quel tipo con gli occhiali, le manate sulle spalle non le risparmia mai a nessuno, e poi Vittorio, Lillo distribuendo saluti a destra e a manca i due ragazzi avevano raggiunto il gozzo di Berto e si preparavano a salpare.
Con gesti sicuri Berto mise in moto, anche il motore gli era venuto incontro quella mattina risparmiandogli di sudare nella camicia pulita. Zigzagando fra le barche addormentate, raggiunse rapidamente l'imboccatura del porto.
«A nord ì o a sud?», chiese Berto mentre prendeva il largo. «A nord, ho voglia di rivedere Punta Bianca».
Un colpetto gentile alla barra e il gozzo si diresse a nord solcando trasversalmente le deboli onde. Libera, seduta accanto a Berto osservava con piacere e una punta di emozione lo spettacolo, pur noto, della costa che sembrava venire incontro per poi passare di lato e correre via. I fianchi verdi di larici e pungenti di pini di Montemarcello sormontavano gli scogli grigiastri incastonati di madreperla, butterati da pori rifugio di granchiolini, disseminati di "cappelli cinesi" come minuscoli vulcani; là dove le onde lambivano, tutti i toni di verde indicavano il nascere di una vegetazione sottomarina che Libera indovinava rigogliosa e ondeggiante là sotto, nel silenzio delle acque più profonde. Sulla spianata davanti al vecchio convento, è proprio vero che i preti e le suore si prendono sempre i posti più belli, pensò Libera, alcuni bambini giocavano con gran concentrazione e neanche alzarono il capo al loro passaggio; e poi, curvando leggermente dietro le grosse pietre che parevano misteriosamente poter galleggiare senza sforzo, ritrovò il bagliore della scogliera di Punta Bianca sotto il sole, roccia levigata color del latte, leggermente inclinata prima e poi giù a strapiombo nell'acqua che prendeva di riflesso, o viceversa?, il colore del turchese, l'azzurro elettrico, il blu madonna. Sapeva che subito lì, al fondo, c'era una piccola grotta, bassa e liscia come una vasca da bagno, e quante volte si era tuffata da lassù col cuore che batteva all'impazzata, ma sorridendo!, che nessuno doveva vedere la sua paura. A guardare quel dorso addormentato e pallido sentiva bruciare sulla pelle il sole che ogni estate andava a cercare là, inchiodata alla roccia, dai raggi ardenti di mezzogiorno, avvolta da una infinita spossatezza, da un languore vagamente ondeggiante che le impediva di muovere un dito, seguendo sogni al rallentatore mentre il fruscio del mare le giungeva ovattato alle orecchie.
Volse il capo a sinistra per ricevere il venticello profumato in pieno viso e vide in fondo sul bordo della costa che, dopo aver curvato verso l'interno per raccogliere il porto di La Spezia, si buttava di nuovo decisa verso l'alto mare, e di nuovo rocciosa si ingobbiva in colline verdi e pareti a strapiombo, vide la fortezza di Portovenere sulla cima del colle e più in basso, proprio sulla punta, la chiesa come la prua di una nave fantasma che indicava minacciosa le tre isolette, la Palmaria, pacifica e robusta con ciuffi di verde e la terra nuda di vecchie cave; il Tino, piccola cima rocciosa che pare sempre lì per affondare, sormontato dal faro che ogni notte dà la cadenza al respiro del mare; il Tinetto lo vedeva appena nella bruma della mattina, scoglio sperso che pare sempre nuotare verso il più grande fratello senza mai raggiungerlo.
«Ti va se ci fermiamo qui alla spiaggetta dei morti?», chiese Berto e lei si accorse che già avevano superato Punta Bianca e raggiunto l'insenatura col piccolo lembo di sabbia e davanti le rocce sparpaglia te qua e là a due passi dalla riva, come bagnanti con l'acqua fino alla vita; pareva fossero state lanciate con rabbia da un Ciclope accecato e furibondo arrestato lassù dallo strapiombo vertiginoso che sormontava la spiaggia, Quando era ragazzina e con gli amici scendeva il ripido sentiero che dalla punta estrema di Montemarcello portava fin giù alla spiaggia, si ritrovava sempre a pensare a quelli che si erano buttati giù da quel dirupo e immaginava che scavando un pò sotto la sabbia ne avrebbe trovato gli scheletri disarticolati. Ma quella volta altri pensieri occupavano la sua mente.
Annuì allo sguardo interrogativo di Berto e lo osservò gettare l'ancora, spengere il motore ed avvicinarsi di nuovo. Berto, che poco aveva visto della costa e non avrebbe saputo dire se il Tino era sempre lì o se invece il mare se l'era inghiottito quella notte, la guardava un pò di sottecchi, quasi cercando di schermare la passione che non sapeva più come, ne se trattenere. La vedeva bella, troppo bel la nella luce riflessa delle increspature del mare, e la desiderava con lo slancio di ogni muscolo, era così vicina e così irraggiungibile, si sentiva tirato di qua e di là e non sapeva più cosa fare né cosa dire.
«È proprio una bella giornata!» esclamò alla fine, senza però lasciare con gli occhi quel delizioso terzo bottone della camicetta che, slacciato, scopriva la pelle bianca che si infossava per seguire la morbida curva dei seni.
«Hai perso qualcosa? —fece Libera di rimando, facendo finta di non averlo sentito— cos'è che fissi così?».
«Eemmh, no ...». Berto non sapeva più che pesci prendere, si senti-va come un bambino sorpreso con le mani nella marmellata e i suoi occhi si muovevano imbarazzati senza sapere dove fermarsi. Sedette di nuovo accanto a lei e grattandosi la testa indicò un rivoletto d'acqua che correva fra le ordinate sul fondo del gozzo.
«Vedi?!, facciamo acqua ... no, scherzo, non è una cosa grave —recuperò il suo sorriso franco— e poi tu sai nuotare, no?! ... il fatto è che questa barca ha proprio bisogno di una ristrutturata», e il cuore pulsava forte alle tempie, chissà se anche lei ..., la guardava di sbieco ora, ma Libera pareva tranquilla come un papa.
«A me sembra che stia abbastanza bene», la voce era posata ... forse appena un pò roca?
«Beh, dentro si, è a posto perché l'ho riverniciata il mese scorso, ma fuori ... Comunque se ci fai caso i difetti si vedono anche qui. Guarda là per esempio», e chinandosi le mostrò un punto del fasciame vicino alla chiglia.
«Si, è vero —assentì lei chinandosi a sua volta— ora che me lo fai notare … ».
Il profumo di Libera, profumo di alghe e latte tiepido, gli invase violento le narici, il calore della sua pelle lo penetrò ed una ondata dì prepotente sensualità travolse ogni freno inibitore: più nulla esisteva attorno al di fuori della sua bocca troppo vicina e dei suoi occhi troppo grandi.
«Che occhi, ragazzi!», stravaccato sulla sedia del bar in piazza Gino Menconi a Carrara, Delmo commentava con gli amici il passaggio delle ragazze.
«Si, e tu le stavi a guardare proprio gli occhi … ».
«... mbè, perché?! —riprese Delmo serioso— io so apprezzare le cose belle, mica sono un fissato come voialtri che per la testa non avete altro che ...».
«Si, perché —fece Nino con aria maliziosa, buttandosi indietro con un colpo secco della mano il lungo ciuffo che gli era caduto sugli occhi— il resto a te non interessa?!, ma falla finita che sei 'affamato' come e peggio di noi ...».
«Eh, parla parla, tu altro che 'affamato', tu non l'hai vista neppure in cartolina!».
Sghignazzando rumorosamente e atteggiandosi come galletti in parata, Delmo e i suoi amici passavano così la domenica mattina, senza troppi problemi, calando le porte della chiesa di Marina che si trovava a non più di duecento metri, si aprirono per far passare un corteo nuziale, grida, risate, vestiti nuovi, scarpe di vernice, permanenti e brillantina.
Un'occhiata distratta, poi lo sguardo di Delmo si fissò sulla sposa: Franca!, pensò, e non ascoltava già più i commenti degli amici ma la brusca accelerazione dei battiti del suo cuore. Sembra lei, è possibile? Franca si sposa, e con chi? ... si alzò di scatto continuando a guardare al di là della piazza.
«Delmo, ma che hai, dove vai?».
«No ... niente, mi sono scordato una cosa ... Torno ...», e si allontanò con passo lungo lasciandosi alle spalle un «Quello da quando lavora alle cave ha fuso ... eh, lo dico sempre che il lavoro fa male!».
Franca, quanto tempo! gli sposi, circondati da parenti e amici, posavano per la foto sotto una pioggia di chicchi di riso, Delmo si avvicinava fissando la coroncina di fiori ... Sono due anni, no, tre ... aspetta si, era la primavera del '72, quando ho lasciato la scuola, si, si, sono due anni, quant'era bella!, e adesso si sposa. Va bene, ma a me che mi frega?! … e insomma, un pò mi frega, è inutile che faccio finta, è stata la prima e mi è rimasta dentro, anche se non ci siamo mai presi fino in fondo. Beh, è anche colpa mia, ero giovane e non è che mi sono sforzato molto per capirla ... addio, se è per quello non mi capivo neanche per me, avrei dovuto parlarle, ascoltarla anche, ma come si fa? non avrei saputo da dove incominciare ... però, era così dolce! anche quando si arrabbiava, pareva una 'bimbina' ...
Era ormai a pochi metri dalla Mercedes in affitto tutta infiocchettata, quando la sposa, con un piede già dentro la macchina, si voltò e gli occhi lucidi di emozione lo attraversarono senza vederlo.
Il grido 'Franca!' che Delmo stava per lanciare gli morì in gola. Non è Franca, pensò, e come niente fosse aggirò l'auto e rallentando il passo si avviò lungo il viale verso la successiva fermata dell'autobus Strano, e non le assomiglia neppure tanto, chissà perché mi è venuta in mente ... la sposa! eh si, la sposa ... anche quella mattina c'era uno sposalizio. Chi è che si sposava?, c'era Vittorio, si ma chi era lo sposo, un amico suo? … no, ecco, la cugina di Vittorio, Sandra!, uno squarcio si aprì nella sua mente e quella domenica di due anni prima si dipanò leggera come una stella filante portandogli un profumo soffice di erba tagliata.
Perché era lì, tra l'erba nuova della vigna, che erano sfuggiti uno dopo l'altro gesti e parole che non aveva saputo riacchiappare e che avevano portato via così, senza una sua volontà apparente, in un fruscio il dolce sorriso di Franca.
Sdraiato, le mani dietro la nuca, ascoltava distratto le campane della chiesetta di Santa Lucia che cantavano il sorriso della sposa in bianco e l'emozione dello sposo con le scarpe lucide e nere. Osservava le ron­dini sfrecciare seguendo misteriose traiettorie e confusamente sentiva una tristezza sorda scorrere e aggrumarsi sul petto. Si voltò a guardare il profilo regolare di Franca, la bocca rossa e tenera socchiusa, i lunghi capelli biondi intrecciati ai fili d'erba. Avevano fatto l'amore con rabbia, aggrappati a un sogno che si era fatto sempre più trasparente, sfocato, incerto, fino a sparire lasciandoli soli sulla terra umida con l'amaro ih bocca e le mani di gomma; si erano cercati tra il sudore della pelle e nell'aria calda della gola, tra i denti, sotto le ciglia, dietro i lobi delle orecchie; avevano allacciato le loro mani, mescolato la saliva, respirato gli umori della carne, scambiato i battiti dei cuori; ora che la brezza profumata raffreddava, i muscoli, Delmo si sentiva avvolto da un'infelicità tanto tenace quanto incomprensibile. Per rompere quella catena scuotere via il masso invisibile che l'opprimeva, si sollevò su un gomito e, appoggiando la testa sul palmo della mano, incon­trò gli occhi verdi di Franca e le sorrise.
«Com'è non dici nulla?».
«No … cosa devo dire —tacque un istante— però ... —Franca si voltò di scatto a pancia in giù e lo guardò dritto in faccia— però mi piacerebbe sapere dove stavi e che cosa pensavi mentre facevi l'amore!».
Il sorriso gli si tramutò in una smorfia amara e il reso sul petto raddoppiò di volume spingendolo con forza di nuovo con la schiena a terra; «Ma tu che vuoi da me? Se non sei contenta te ne puoi anche cercare un altro!».
Franca balzò in piedi e mentre si lisciava con la mano la gonna della domenica, già scendeva le piane gridando: «Oh stronzo! me ne cerco un altro?! eh, sarà meglio, ma uno che mi vuole bene davvero che tu te ne freghi, ti credi che non lo so? stronzo!», la voce le si spezzò in un singhiozzo, era arrivata alla strada. Delmo la sentì spingere con foga sui pedali del motorino che, con l'acceleratore al massimo, urlò a vuoto un istante zittendo le cicale; poi il ronzio del motore si allontanò giù verso Carrara.
Ecco mò mi ha lasciato pure a piedi quassù come uno scemo, pensò Delmo rotolandosi come un ragazzino sull'erba, le braccia tirate, dritte sulla testa, gli occhi chiusi, ma le donne … chi le capisce? Si sentiva un pò ridicolo nel pensare le frasi rifatte del bar, ma qualcosa doveva pensare di fronte a sé stesso; ma più che altro doveva cercare di rimettere la sua vita sui binari perché si accorgeva vagamente che stava deragliando e non sapeva dove né perché.
Pensò alla focaccia con la farinata come la fanno in piazza Farini, ho fame ... 'na domenica rovinata ... chissà se al ristorante vicino alla chiesetta mi fanno un panino ... ci devono essere gli sposi a mangiare, magari qualcuno che conosco mi dà un passaggio almeno fin giù a Fossola ... Camminava montando lungo la strada, le mani in tasca respirava forte l'aria dolce, tiepida di sole.
Eppure quella giornata non era cominciata male.
Si era alzato alle undici, la bocca impastata dalla mezza sbornia della sera prima, ma il caffè nero che sua madre, silenziosa, gli aveva portato a letto lo aveva rimesso in piedi. Mentre lentamente si vestiva, vedeva con la coda dell'occhio i movimenti ritmici ed energici delle sue braccia grassottelle che, bianche di farina fino al gomito, impastavano sul tavolo di marmo della cucina. Il sugo dei ravioli bollicchiava piano piano da più di un'ora, antichi equilibri di' sapori profumavano tutta la casa.
«All'una si mangia, Delmo, non fare tardi che lo sai, poi tuo padre si arrabbia».
«Mmh ... —sollevò il coperchio del tegame aspirando con convinzione— dov'è?, è uscito?, mi serve la macchina oggi».
«Oggi no, non è possibile, mi deve accompagnare al cimitero, fanno tre anni che è morta la nonna».
«E non ci puoi andare in autobus?, ti dico che mi serve ... ».
La madre lo guardò storto, poi alzò le spalle: «Ma stai zitto, và … dobbiamo anche passare a prendere la zia Adelina a Bedizzano».
«Che ci andate a fare sempre al cimitero … i morti son morti, sai che gli frega dei tuoi fiori ... oggi la macchina la prendo io!», girò le spalle e uscì.
Si, d'accordo, quella faccenda della macchina l'aveva un pò contrariato, ma già mentre scendeva le scale gli era venuta una mezza idea e, uscito dal portone nel sole lucente che abbagliava il lastricato, era di nuovo di buon umore tanto che si mise a fischiettare. Guarda che sole! Franca ha il motorino, ce ne andiamo sulle piane a Santa Lucia ... che mi frega della macchina, in mezzo all'erba, con questo cielo blu ... che bellezza!
Passò davanti alla cantina del "Toscano" e una zaffata violenta di vino gli fece tornare alla mente brandelli della sera precedente, le frasi sconnesse da ubriachi, i dialoghi solitari senza capo né coda, l'accavallarsi di discorsi che si perdevano a metà, annegati, dissolti nel fumo, si ascoltava gridare parole deformate nel silenzio delle strade buie di Carrara, Maurizio rideva e rideva piegato in due, appoggiato alla fontana del leone, Silvano pisciava contro il muro del palazzo, sede dell'emmesseì cantando una canzone oscena ... e poi quel silenzio improvviso tagliato solo dal battere dei loro passi che le grosse pietre levigate di piazza Alberica amplificavano paurosamente; fino a che Silvano non aveva preso l'armonica e cominciato a suonare un blues malinconico col trasporto di tutto il corpo che si piegava e si tendeva come un serpente ...
Ecco sì, mentre gli rivenivano quelle immagini Delmo si era incupito, non fischiava più e, solo per lui, una grossa nuvola nera aveva coperto il sole, si sentiva pesante, attaccato al selciato, solo e vuoto come la scatoletta che quel ragazzino, serio, le mascelle serrate, prendeva a calci con compunto accanimento. Però, quando sboccò in via Roma fu preso dal vortice dei capannelli della domenica.
«Oh Delmo, come va?».
«Oh Errì, ciao, è un pezzo che non ti si vede!».
«Oh Vittò, ma come ti sei messo? pure la cravatta!».
«Delmo, ciao, ma lo sai che Sergio è tornato in licenza da Udine?!».
«Ah si? e dov'è ... oh Sergio, com'è, allora racconta, ti fanno scattare sull'attenti, eh?! Quante guardie ti sei già fatto? e a Gaeta ancora non ci sei finito?! Vieni, ci beviamo un camparino, offro io».
E già si era dimenticato tutto, il sole inondava la strada, sbiancava i muri delle vecchie case, faceva brillare i sorrisi e la sua vita era piena di voci, di occhi di mani sulle spalle. E allora, perché si sentiva così strappato? A Franca le voleva bene ... era sicuro di volerle bene, si conoscevano da poco più di un anno, lei era così bella, fresca, con quel suo modo strano di camminare; a 17 anni lui era stato il suo primo ragazzo, le aveva fatto la corte per un bel pò di mesi … sei, sette? era la prima volta che si sentiva innamorato e ce l'aveva messa tutta per averla, per riuscire a baciarla. Aveva stemperato quei modi un pò bruschi e ombrosi di quando aveva quindici anni e si vedeva in un corpo che non riconosceva come suo, le braccia e le gambe troppo lunghe tutto d'un colpo lo impacciavano, non riusciva a muoversi senza fare qualche danno ... e quel timbro di voce cupo che non sapeva controllare, si sentiva ridicolo e diventava aggressivo con le ragazze di cui temeva i risolini sciocchi e le battute che rimandava colpo su polpo, in una perenne presa in giro per mascherare l'attrazione e il desiderio per quegli occhi, quelle forge, quel profumo di proibito, dietro uno spesso strato di diffidenza, orgoglio, complicità maschile fatta di gomitate e gesti sguaiati.
Aveva dimenticato anche come, solo qualche anno prima, ricercasse la solitudine sfuggendo le ragazzine che ridevano del suo naso e lui, fiero, diceva: "E' quello di mio padre", come parlasse di un regalo prezioso ... ridevano più forte e lui, neanche tredici anni, testa dura, sputava in terra con rabbia come un uomo e se ne andava solo sulla spiaggia tirando calci al mare, sceme, sceme... Anche il sorriso Delmo lo aveva ereditato dal padre, un sorriso come una scogliera bianca sotto il sole d'agosto che addolciva i tratti squadrati, angolosi del viso. Quando aveva imparato ad usarlo quel sorriso, le ragazze non ridevano più, abbassavano gli occhi, sorridevano, muovevano impercettibilmente le spalle, il busto, confuse da quel viso illuminato che, chissà perché, scaldava loro il cuore. Così aveva conquistato Franca e altre prima di lei che però non gli avevano mai fatto battere il cuore così solo a guardarle, e poi spesso pro­vava con loro un sottile disagio, erano troppo donne forse; mentre con Franca era diverso, si sentiva uomo.
I primi tempi, andava ancora a scuola, gli piaceva aspettarla all'uscita delle Magistrali, vederla con i libri che gli sorrideva, proteggerla con la mano sulla spalla … ed era così bella! Le cose erano un po’ cambiate, è vero, dopo un paio di mesi, quando aveva cominciato a lavorare alla cave, a Ragioneria non era riuscito a finire il terzo anno, l'aveva pure ripetuto: «Perchè così, mamma, la smetti di piangere», ma non gli entrava proprio in testa quella roba ... «La settimana prossima, la corriera alle sei, vai a lavorare su a Colonnata», gli aveva detto suo padre, lo sguardo torvo.
Arrivato sul piazzale della chiesetta si fermò a guardare giù la costa da Viareggio a Punta Bianca, Marina di Carrara disseminata sulla riva, il mare accecante di schegge di vetro che riflettevano i raggi del sole. Una forte emozione lo prese alla gola, mi imbarco, me ne vado via, via lontano per il mondo con i pirati ad assaltare le navi dei re, cariche d'oro, come gli esploratori vado a cercare una terra dove tutto è liscio, pulito, chiaro, dove non ci si deve spaccare le mani per poter campare, dove non c'è vino per finire il sabato sera ... e dove le donne non fanno domande sceme e poi ti lasciano a piedi!. Ma non era davvero rancore quello che provava, cercava di caricarsi contro Franca per trovare uno sbocco qualunque, facile, al suo smarrimento, però sapeva che aveva ragione lei ... anche se sentiva di non aver colpa lui.
Lavoro tutta la settimana e poi la domenica mi ritrovo solo e domani è già lunedì. L'impazienza lo faceva muovere a scatti, si sedeva sulla staccionata, poi si alzava, vi appoggiava un piede, la gamba a squadra, poi l'altro, quindi si sedeva di nuovo, sbracato, un piede di qua uno di là ... gli occhi però restavano come ipnotizzati dalle scaglie di luce che si dondolavano sbadigliando là in basso, e si immaginava a correre giù per la collina con falcate da gigante, schiacciare le case, poi le navi nel porto sotto piedi enormi, tuffarsi e nuotare, nuotare fino in America, fino in Cina oppure giù, alla ricerca di Atlantide ...
Il suo stomaco giovane e affamato interruppe brontolando quella fuga frenetica, sono qui e vorrei essere a Carrara, sono a Carrara e vorrei essere al mare, sto con Franca e vorrei andare con Maurizio a veder gio­care la Carrarese, sto con Maurizio e mi dico che ci sto a fare che tanto mi dice sempre le stesse cose ... Merda! meno male che domani ricomin­cio a lavorare così ci pensa il capo a dirmi cosa devo fare!
Uno scoppio di risa giunse portato dal vento, seguito da un coro che stroppiava orribilmente una bella canzone. Gli sposi ... il livello alcolico dev'essere già discreto, fammi andare a vedere chi c'è. Si avviò verso il ristorante che si intravedeva tra gli alberi laggiù, col pergolato di glicine dal profumo tenero e sentimentale. Gli sposi ... tra qualche mese basta mettersi sul muretto del molo, la domenica pomeriggio, per vederli passare, lei che si trascina il pancione con le gambe larghe, la mano sul fianco, e lui con la radiolina attaccata all'orecchio che le tiene l'altra mano tra qualche anno, invece, lei che strapazza un paio di bambini piagnucolosi e lui, due metri avanti, con la radiolina attaccata all'orecchio ... io non mi sposerò mai!
Davanti al ristorante riconobbe la macchina di Vittorio, è vero! mi ha detto stamani che sua cugina si sposa ... Esitò un attimo, poi sospirò ed entrò tra il fumo e le risate.