Biblioteca Multimediale Marxista
IL MOVIMENTO STUDENTESCO
PERCHE' OGGI E' NECESSARIO INTENSIFICARE LA LOTTA?
Gli studenti dell'ateneo bolognese hanno espresso con le loro lotte un deciso rifiuto di qualsiasi proposta cogestionale. I vari Cdf invece nel tentativo di riportare indietro le lotte a forme di partecipazione e collaborazione subordinata, e tutto intero il corpo accademico, rifiutando qualsiasi confronto di massa con gli studenti, hanno abdicato alla loro funzione istituzionale. Tutto ciò ha reso chiaro che l'università non è una grande famiglia in cui gli interessi di tutti siano conciliabili intorno a un tavolo, in una trattativa anche lunga e laboriosa, ma che gli interessi erano e sono antagonistici, e in questo senso fuoriescono dall'ambiente universitario. D'altra parte le occupazioni non si rivelano lo strumento decisivo e più forte in mano agli studenti. La situazione di stallo testimoniava che i Cdf avevano ben pochi interessi diretti nei diversi istituti universitari, ed erano invece solo un apparato burocratico di gestione amministrativa. L'occupazione non era inutile ma era un primo e fondamentale momento di autorganizzazione, di presa di coscienza e di chiarimento politico degli studenti.
SIGNIFICATO DELL'OCCUPAZIONE DEL RETTORATO
A questo punto l'occupazione del Rettorato rappresentava il primo momento di unificazione delle lotte a livello di ateneo. Unificazione che non avveniva su basi solidaristiche, ma sulla piena chiarificazione degli obbiettivi, del loro significato comune e della necessità di attaccare i veri centri di potere. Di fronte a questo atto le forze politiche della città e del paese prendevano per la prima volta posizione ufficiale in riferimento ai problemi suscitati dagli studenti. Interrogazioni parlamentari, contatti diplomatici, intervento della magistratura, ecc. testimoniano che tutte le forze della società civile erano state toccate e coinvolte. Il potere che si era andati a colpire non era solo il potere universitario, ma era un potere più generale, cioè potere politico e istituzionale. Quindi l'occupazione era rottura di equilibri istituzionali generali e legalitari e apriva lo spazio concreto per al repressione attraverso l'intervento della magistratura, l'interpellanza parlamentare del senatore veronesi, la diffamatoria campagna di stampa del "Resto del Carlino"-
RIFORMA SULLO
Questa riforma rappresenta il tentativo governativo di ingabbiare in istituti cogestionali tutte le frange di dissenso che un anno di lotte studentesche hanno evidenziato. E' chiaro quindi come questo piano possa passare solo e unicamente col consenso degli studenti e quindi in una situazione di "pace sociale". In questo senso il piano Sullo prevede la ricostituzione dei Consigli di Facoltà - da organi di tetra conservazione ad organi di illuminata e paternalistica apertura. Ma nel momento in cui gli studenti chiedono concreti cambiamenti delle loro condizioni materiali questi stessi consigli perdono qualsiasi funzione. In questa logica si spiega il fatto che da una parte si siano dati latitanti e dall'altra parte abbiano potuto semplicemente proporre un ritorno alla situazione iniziale.
IL CONFRONTO POLITICO DI MASSA HA VERIFICATO LA VALIDITA' DI QUESTO DISCORSO E HA CONFERMATO LA DISPONIBILITA' ALLA LOTTA DI TUTTI GLI STUDENTI. DA QUI BISOGNA PARTIRE PER ANDARE AVANTI E COLPIRE AL MOMENTO GIUSTO E NEL PUNTO GIUSTO.
L'OBBIETTIVO COMUNE DI LOTTA SONO ALLORA I CENTRI DI RICERCA 
  COME CENTRI DI POTERE CONOMICO E POLITICO DI QUELLE FORZE CHE NELLA SOCIETA' 
  PERPETUANO IL DOMINIO DI CLASSE. 
  CONTRO QUESTE FORZE BISOGNA COMBATTERE PER ARRIVARE ALLA VITTORIA 
HASTA LA VICTORIA SIEMPRE!
Movimento Studentesco
Bologna 11 febbraio 1969 
  
  RELAZIONE DEL COLLETTIVO DI LETTERE E FILOSOFIA ALL'ASSEMBLEA 
  GENERALE
La Facoltà di Lettere e Filosofia è stata occupata dal Movimento studentesco il 27 gennaio 1969 sulla base di questa mozione approvata a stragrande maggioranza dall'Assemblea generale degli studenti della Facoltà:
"L'Assemblea degli studenti di Lettere e Filosofia, riunita 
  il 27 gennaio 1969, individuando nella prova scritta e nei preesami di Italiano 
  una forma di selezione tendente ad appurare una formazione professionale tale 
  che perpetui e consolidi l'attuale assetto socio-economico fondato sull'oppressione 
  delle classi sfruttate, preso atto del rifiuto posto dal prof. Spongano alla 
  proposta di abolire la prova scritta ed i preesami di Italiano e di considerare 
  come prive di ogni valore discriminatorio le prove scritte già sostenute 
  nella presente sessione, decide l'occupazione della Facoltà a tempo indeterminato: 
  
  I) Al fine di esercitare sul Consiglio di Facoltà una pressione tendente 
  alla abolizione di tutti i suddetti preesami in quanto discriminatori. 
  II) Al fine di aprire una fase di discussione fra tutti gli studenti sui problemi 
  della selezione e della destinazione professionale. 
  III) Al fine di permettere un dibattito ed una presa di posizione sul piano 
  di riforma Sullo." 
La decisione di occupare la Facoltà costituiva lo sviluppo 
  conseguente del lavoro politico svolto in precedenza all'interno della facoltà 
  e che si era articolato in interventi alle lezioni e agli appelli delle prove 
  preliminari e tendeva a porre in evidenza il contenuto ideologico e la dinamica 
  selettiva dell'insegnamento universitario in generale e di alcune delle sue 
  infrastrutture didattiche in modo particolarmente manifesto. 
  All'interno della Facoltà occupata il lavoro si sviluppava nelle seguenti 
  direzioni: 
  1) Significato politico del piano Sullo nel quadro generale dello sviluppo della 
  lotta di classe nel paese. 
  2) Analisi della funzione professionale del laureato in Lettere e Filosofia 
  e collegamento pratico con tutte le forze in lotta all'interno della scuola 
  (studenti medi, insegnanti medi, docenti universitari subalterni). 
  3) Collegamento e partecipazione alle lotte operaie. 
  La risposta del consiglio di Facoltà giunta a conoscenza degli studenti 
  attraverso gli organi della stampa cittadina era così articolata: 
  "Il Consiglio della facoltà di Lettere e Filosofia nell'esercizio 
  delle sue responsabilità verso tutti gli studenti, posto di fronte ad 
  un'occupazione che interrompe la vita della Facoltà e che non solo impone 
  di fatto l'interruzione degli esami di profitto e di laurea mettendo in rischio 
  l'appello invernale, ma rende anche impossibile il proseguimento della sperimentazione 
  didattica, già avviata con gli esami mensili e i seminari, fa presente 
  agli studenti impegnati nel rinnovamento dell'università che la pressione 
  dell'occupazione in atto impedisce ogni discussione sulle modalità della 
  prova scritta di Italiano come di qualsiasi altro esame, e riafferma il proprio 
  convincimento circa l'indispensabilità della suddetta prova scritta, 
  la quale non è in alcun modo discriminatoria. La Facoltà ricorda 
  ancora una volta che la sede istituzionale per la discussione di ogni problema 
  che concerne i suoi ordinamenti interni è costituita dal Consiglio di 
  Facoltà allargato, al quale la componente studentesca è stata 
  ripetutamente e vanamente invitata a partecipare con proprie qualificate rappresentanza." 
  
  Ci troviamo ora di fronte con questo documento ad una chiara testimonianza di 
  un atteggiamento preciso della classe accademica che viene sempre più 
  nettamente a definirsi e a manifestarsi: oggi gli accademici non si presentano 
  più nei panni degli arcaici baroni puntigliosi difensori del privilegio 
  personale, ma come controparte politica coerente, compatta e consapevole. 
  Per comprendere in tutto il suo significato politico la risposta del CdF - così 
  come l'atteggiamento del CdF di Ingegneria nei confronti della lotta dei compagni 
  di quella Facoltà - è necessario considerarla all'interno di un 
  contesto politico generale. 
  La situazione attuale è caratterizzata dal fatto che il potere politico 
  (espressione di un equilibrio, precario, fra le varie forze interne al capitale) 
  si muove su due direzioni fondamentali: da una parte avanza proposte riformistiche 
  che tentano di occultare le contraddizioni più immediate ed evidenti, 
  dall'altra attua una repressione sempre più violenta nel tentativo di 
  intimidire e di distruggere, anche fisicamente, le avanguardie di massa nate 
  nel corso delle lotte passate, di separarle e contrapporle alle masse, di imporre 
  alla masse stesse le riforme. 
  In questo senso il piano Sullo si caratterizza come riforma repressiva, in quanto 
  esprime il tentativo di isolare il Movimento studentesco dal contesto generale 
  della lotta di classe: infatti, proponendo in forma mistificata l'attuazione 
  di alcune delle richieste avanzate dal Movimento l'anno passato, mira ad imporre 
  ad esso la cogestione pacificante in una università divenuta un tranquillo 
  "ghetto d'oro" separato dalle contraddizioni che si sviluppano nella 
  società capitalistica. Nulla di più dunque che l'ipotesi di una 
  università riformata che occulti temporaneamente le proprie contraddizioni 
  specifiche. 
  La comprensione di quest'analisi richiede una autocritica profonda da parte 
  del movimento studentesco rispetto ad alcuni punti del discorso politico proposto 
  lo scorso anno. In particolare ciò significa rifiutare come risolutivo 
  e funzionale al momento attuale della lotta l'obiettivo della ristrutturazione 
  didattica, che aveva costituito l'asse portante dell'intervento politico dell'anno 
  passato. 
  A questa presa di posizione del CdF, l'Assemblea Generale degli studenti ha 
  risposto con questa mozione approvata a larghissima maggioranza: 
  "L'Assemblea della facoltà di Lettere e Filosofia riunitasi il 31/1/69, 
  avendo preso coscienza del fatto che l'atteggiamento duramente repressivo ed 
  intimidatorio del CdF copre in realtà il tentativo di isolare e separare 
  l'avanguardia dalle masse studentesche, per fare poi passare la cogestione al 
  potere autoritario e la riforma Sullo tendente al controllo sugli studenti ed 
  alla subordinazione sempre più stretta, ritiene che solo intensificando 
  la lotta e generalizzandola a livello d'Ateneo, si possa battere la repressione 
  in atto e la volontà riformistica che dietro a tale repressione si nasconde. 
  
  L'Assemblea decide pertanto l'occupazione degli istituti della Facoltà 
  e delle Biblioteche a tempo indeterminato. 
  Coordiniamo la lotta delle singole Facoltà. 
  Proponiamo la convocazione di un'Assemblea d'Ateneo." 
L'intensificazione della lotta a livello di Facoltà 
  ha trovato una puntuale verifica nella convergenza con la necessità di 
  allargamento dello scontro riscontrata dal Movimento in tutte le altre Facoltà 
  occupate, con la necessità cioè di rispondere adeguatamente al 
  disegno generale del corpo accademico che tenta, compatto, di imporre al cogestione, 
  sulla linea della riforma Sullo. 
  Sulla base di queste esigenze politiche il Movimento ha trovato un importante 
  momento di unificazione che si è attuato praticamente nell'occupazione 
  del Rettorato. Questa occupazione rappresenta un momento concreto di radicalizzazione 
  del conflitto a livello di ateneo volto ad impedire mediazioni di qualsiasi 
  tipo che possano creare le premesse per il passaggio della cogestione e della 
  riforma Sullo. 
  Con queste motivazioni il Collettivo di Lettere e Filosofia ha discusso e approvato 
  la seguente mozione: 
  "L'Assemblea degli occupanti di Fisica, Lettere, scienze Biologiche, senza 
  sovrapporsi all'esigenza montante di forme più radicali di lotta, decide 
  di occupare il rettorato dell'università bolognese come risposta ad un'operazione 
  politica mistificatoria tesa a presentare il senato accademico e la sua sede 
  come terreno neutro di arbitrato tra gli studenti e i CdF. Questa operazione 
  tende a ripresentare e a ricostruire una forza politica "super partes" 
  come terreno di risoluzione pacifica degli eventuali dissidi che si presentano 
  all'interno dell'università. Questa neutralità dell'organismo 
  universitario non esiste ed è stata svelata e sconfitta da un anno di 
  lotte studentesche, e non sarà permesso ad alcuno di ricostruirsi una 
  verginità di neutro gestore della istituzione universitaria. A partire 
  da questa occupazione le assemblee si impegnano a convocare le assemblee generali 
  di facoltà per discutere il significato politico di questa occupazione 
  del Rettorato e la prospettiva di una ulteriore intensificazione della lotta. 
  Per questo si propone una giornata di lotta a livello di ateneo, che si concretizzi 
  in una assemblea generale di tutte le facoltà in lotta e che, partendo 
  dalle esperienze pratiche delle singole situazioni, sia in grado di attuare 
  una sintesi politica e di individuare obbiettivi unificanti nella direzione 
  della intensificazione della lotta al piano Sullo. Questa assemblea dovrà 
  tenersi mercoledì 5 febbraio 1969." 
  MOVIMENTO STUDENTESCO E PIANO SULLO
PREMESSA 
  Il “piano Sullo”, come tutti i piani precedenti (vedi Gui-Codignola 
  e Scaglia-Leone), si presenta come (a) un tentativo di “aggiustare” 
  una università che fa acqua da tutte le parti, e come (b) una risposta 
  alle lotte che gli studenti vanno conducendo contro le strutture della scuola 
  e della società. 
  Ci interessa prendere soprattutto in esame il punto (b) per vedere quale tipo 
  di scelte politiche sta alla base del piano stesso. 
1. UNIVERSITA’ E SOCIETA’ 
  Su questo problema fondamentale l’analisi del Movimento studentesco è 
  stata chiarissima: l’università –e la scuola in generale- 
  si presenta oggi in Italia come un’istituzione strettamente legata alle 
  esigenze di chi detiene il potere politico ed economico, cioè dei grossi 
  capitalisti. Università di massa significa proprio questo: che l’istruzione 
  universitaria mira soltanto a creare dei “tecnici”, senza alcuna 
  capacità critica, da utilizzare direttamente nel processo produttivo 
  con mansioni puramente esecutive. ALL’UNIVERSITA’ NON SI ELABORA 
  E NON SI COSTRUISCE LA “CULTURA”, MA SI SUBISCE UN INDOTTRINAMENTO 
  IDEOLOGICO IN FUNZIONE DEL MANTENIMENTO E DELLA RIPRODUZIONE DEL SISTEMA SOCIALE 
  ESISTENTE. Lottando contro questa situazione oppressiva che vede lo sfruttamento 
  del lavoro intellettuale in funzione degli interessi capitalistici, il movimento 
  studentesco impone il rovesciamento di questa logica usando l’università 
  contro il sistema degli interessi costituiti. 
  Invece il piano Sullo, mentre nell’articolo 1 tenta di mistificare la 
  realtà di fatto parlando di “autonomia” dell’università, 
  negli articoli 2 e 9 prevede dei rapporti strettissimi sia con le strutture 
  economiche del sistema (confronta il decentramento e l’istituzione di 
  nuove facoltà dove lo sviluppo capitalistico necessita di forza-lavoro 
  specializzata), sia con le strutture politiche esistenti (vedi la struttura 
  degli “organi di governo”, con al vertice il consiglio Nazionale 
  Universitario; vedi, inoltre, i rappresentanti della Regione, della Provincia, 
  del Comune e della camera di Commercio che dovrebbero far parte dei Consigli 
  di Ateneo e della Giunta). 
2. POTERE E PARTECIPAZIONE 
  La prima parola d’ordine del M.S. durante le lotte dello scorso anno era 
  stata “POTERE STUDENTESCO”. Gli studenti, intellettualmente espropriati 
  in modo sistematico, richiedevano di poter fare finalmente in prima persona 
  tutte quelle scelte politiche e culturali che sono sempre state (e sono ancora) 
  fatte sulla loro pelle da un ristretto numero di accademici. Ma il discorso 
  del M.S. non si limitò al piano delle rivendicazioni più o meno 
  sindacali che riconobbe subito come obbiettivi facilmente integrabili: si presentò 
  fin dall’inizio come un discorso politico generale nel momento stesso 
  in cui riconosceva nell’antiautoritarismo accademico un’espressione 
  dell’autoritarismo esistente a tutti i livelli della nostra società 
  classista e violenta. 
  Oggi le risposte alla nostra lotta politica non sono diverse da quelle paternalistico-autoritarie 
  che ci vennero fatte l’anno scorso dai professori più o meno progressisti 
  della nostra facoltà. 
  Ancora una volta ci viene proposta una “partecipazione” completamente 
  priva di potere alla gestione dell’università. (Detto per inciso, 
  già l’anno scorso si disse che l’unica proposta ragionevole 
  che poteva essere fatta per ristabilire realmente i rapporti di parità 
  fra le varie componenti universitarie era quella di trasformare i vari organismi 
  universitari, come i consigli di facoltà, i consigli di corso ecc., in 
  assemblee generali nelle quali insieme a tutti i professori di ruolo fossero 
  presenti anche tutti gli assistenti e incaricati e tutti gli studenti). Ancora 
  una volta, ciò che è più grave si tenta di soffocare la 
  spinta eversiva del movimento studentesco nelle acque stagnanti della burocrazia 
  rappresentativa. (Quanto poi all’alternativa che viene lasciata alle decisioni 
  degli studenti circa l’istituzionalizzazione o la non-istituzionalizzazione 
  delle rappresentanze studentesche negli organismi universitari, non si fatica 
  a comprendere che si tratta di una falsa alternativa: E’ FINT ROPPO FACILE 
  NON ISTITUZIONALIZZARE IL NOSTRO NON-POTERE. 
3. LA DIDATTICA 
  Anche dal punto di vista della didattica la situazione rimane sostanzialmente 
  immutata e non si tiene alcun conto della critica rivolta dagli studenti nei 
  confronti di esami, piani di studio, ecc. Ogni possibile cambiamento viene demandato 
  ad organismi nei quali gli studenti o non sono presenti (vedi CNU) o sono presenti 
  in minoranza predeterminata. 
  Ancora una volta una prova concreta che se gli studenti vogliono ottenere dei 
  mutamenti anche parziali devono condurre la loro lotta al di fuori di ogni schema 
  istituzionale. 
CONCLUSIONE 
  Chiunque abbia un minimo di esperienza di lotte studentesche comprende bene 
  come, in ultima analisi, anche questo “piano di riforma” rientri 
  nel più vasto disegno dello stato borghese di rimettere ordine laddove 
  si è aperta una contraddizione mediante la tradizionale politica del 
  bastone della carota. Così, mentre da un lato esso con i manganelli e 
  con i mitra interviene a reprimere le lotte degli operaie degli studenti, dall’altro 
  tenta con una riforma quanto mai generica e superficiale di rimettere in sesto 
  una situazione universitaria ormai putrescente. Ma tutti i tentativi (destinati 
  sicuramente a fallire, non fosse altro per la loro ingenuità) di rendere 
  l’università ancora più funzionale all’economia neocapitalistica 
  troveranno sempre gli studenti pronti a respingere ogni mistificazione e ad 
  attuare –nella pratica- un uso anticapitalistico dell’università. 
  Vale a dire adoperare l’istituzione alla quale sono legate in misura sempre 
  crescente le sorti del tardo capitalismo come il luogo in cui si svolge il primo 
  atto di una lotta che condurrà al rovesciamento totale del capitalismo 
  stesso. 
Documento di lavoro della Facoltà di Magistero, da Che 
  Fare, N. 5/1969 
SCIENZA, TECNICA, INDUSTRIA
Nell’attuale periodo di sviluppo della società 
  capitalistica, o meglio del capitale, esiste una catena integrata e continua 
  a livello di utilizzo della fase produttiva e della divisione del lavoro tra 
  la scienza, la tecnica e l’industria. Esaminando questo tipo di problema 
  emerge come fatto sostanziale appunto la divisione del lavoro. 
  Infatti alla scienza viene chiesto di scoprire nuove realtà fattuali, 
  intendendo qui come realtà fattuali sia la possibile estensione dell’universo 
  tecnologico attraverso nuove selezioni fra le componenti dell’universo 
  tecnologico preesistente (ad esempio i transistors), sia il “successivo” 
  utilizzo di nuove realtà fisiche (ad esempio le onde hertziane, la radioattività, 
  ecc.). Il ruolo che gioca questo ampliamento dell’universo tecnologico 
  è, nell’attuale momento di sviluppo della fase produttiva, evidente: 
  si tratta di creare nuovi canali di consumo e nuove tecnologie, al fine di rimandare 
  o addirittura evitare le crisi altrimenti implicite nel sistema. 
  Alla tecnica viene invece demandato un compito diverso. Si tratta di agire su 
  questo ampliamento della realtà fattuale specificando concretamente dalla 
  larga generalità dei fatti fisici le utilizzazioni congruenti e/o necessarie 
  alla preesistente struttura economico-produttiva. E’ opportuno a questo 
  proposito notare l’uso del termine “utilizzazione congruente”: 
  non è infatti meccanico il passaggio dalla fase della scoperta di nuove 
  realtà fattuali alla fase più propriamente tecnologica (ad esempio 
  i problemi dei monopoli). Inoltre la tecnica deve occuparsi di fissare le procedure 
  o i “protocolli” con cui costruire concretamente l’oggetto 
  tecnologico. 
  Infine all’industria, in realtà la classe operaia, viene chiesto 
  di utilizzare concretamente questi protocolli per costruire gli oggetti. 
  I tre diversi momenti sopraddetti si distinguono quindi per salti qualitativi 
  all’interno della stessa catena. Mentre infatti l’operaio agisce 
  sulla realtà fattuale solo attraverso protocolli fissati di comportamento, 
  il tecnico agisce nel senso invece di dare una specificazione alla realtà 
  fattuale; il ricercatore deve infine ampliare questa realtà fattuale. 
  
  Non si deve tuttavia concludere che questi tre momenti, ben distinti a livello 
  teorico, lo siano altrettanto nella prassi, ovvero che alla divisione logica 
  corrisponda una rigida divisione dei compiti produttivi. E’ questa per 
  esempio la problematica dei tecnici intermedi, della ricerca applicata, ecc. 
  Inoltre tende a scomparire anche al divisione logica tra i diversi momenti, 
  perché ormai al specificazione della realtà fattuale, cioè 
  il momento tecnico, viene effettuata mutando metodi e protocolli dal momento 
  produttivo, mentre a sua volta la ricerca assume e utilizza gli strumenti e 
  le procedure fino ad allora utilizzati nella tecnica. Avviene pertanto la nascita 
  del lavoro di gruppo con correlata divisione del lavoro ed utilizzazione dei 
  metodi di produzione industriali alla ricerca, anche a quella cosiddetta “pura”, 
  e la scomparsa della figura del libero professionista, ecc. 
  Per esprimere in breve questo processo basta dire che si sta assistendo alla 
  proletarizzazione del lavoro intellettuale, che, come abbiamo visto, avviene 
  su due piani: uno in cui si distrugge la distinzione logica e metodologica tra 
  i vari momenti, e l’altro, anche più concreto, in cui l’appropriazione 
  del risultato del lavoro sui diversi momenti viene ad essere effettuata nella 
  stessa maniera. 
  Ora questo tipo di esame è evidentemente viziato dal fatto che è 
  ad un puro livello descrittivo, fenomenologico, quindi limitato. Esso va integrato 
  con un’analisi a livello più profondo: in pratica, cioè, 
  bisogna esprimere su questa tendenza anche un giudizio ed una scelta politica. 
  Occorre vedere qual è a livello di lotta di classe il riflesso del precedente 
  esame. 
  I punti principali sono due: 
  a) Avviene e si svolge una solidarietà reale tra coloro che sono impegnati 
  nei vari momenti produttivi; 
  b) viene creata, allo scopo di evitare questa solidarietà, una falsa 
  coscienza di classe. 
  Quindi proprio nel momento in cui dallo sviluppo delle forze produttive si verifica, 
  a livello sociale, la divisione del lavoro, si tende a creare una falsa coscienza 
  di massa, per eliminare il pericolo che il nuovo proletariato prenda coscienza 
  di sè. 
  Risulta ovvia quale sia la prospettiva di intervento politico: dare coscienza 
  reale al nuovo proletariato. Naturalmente si suppone che esista già, 
  nel vecchio proletariato, una coscienza di classe, con cui confrontarsi, e una 
  lotta politica condotta dal proletariato stesso, a cui unirsi. Qualora questa 
  coscienza e questa lotta manchino, non è che il processo di gestione 
  di un nuovo proletariato non provochi tensioni e difficoltà, come le 
  agitazioni studentesche negli Usa; ma queste vengono riunite a livello di falsa 
  coscienza e quindi non possono sfuggire al destino di una rigida integrazione 
  al sistema. 
  Ora, per quello che riguarda il problema universitario, si deve notare che una 
  lotta a tale livello si manifesta, per quanto concerne il tipo di intervento 
  precedentemente accennato, come singolarmente attiva e critica. E’ infatti 
  anche e soprattutto nell’Università che si dà una falsa 
  coscienza; è qui proprio che si costruisce il nuovo tecnico. Ciò 
  avviene sia attraverso l’insieme dei mezzi operativi di cui il futuro 
  tecnico viene fornito, sia con i limiti culturali e sociali di cui questa formazione 
  viene avvolta. 
  Occorre quindi: 
  1) demistificare fino in fondo il mito della divisione culturale e della chiusa 
  aristocrazia delle culture specifiche e proporre una cultura critica e rivoluzionaria, 
  nel senso di potere essere in grado di meditare su sé stessa e sull’utilizzo 
  che ne viene fatto; è necessario cioè un momento totalizzante 
  di costruzione ed uso di questa cultura (è in questo senso che prendono 
  ragione i controcorsi e le altre iniziative analoghe); 
  2) lottare contro la produzione di tecnici immediatamente omogenei al processo 
  produttivo, perché questa lotta tende a garantire il futuro tecnico dallo 
  sfruttamento, con una generale forma di difesa ed offesa del proletariato. 
  Il punto essenziale è il collegamento con le forze proletarie; esso, 
  a livello universitario, può avvenire qualora le lotte stesse si intendano 
  come un modo per cominciare a dare alla nuova classe coscienza di sé, 
  con l’appoggio esplicito del proletariato, e, a volte, con subordinazione 
  alle lotte più generalmente condotte dal movimento operaio. 
R. Bergamini, B. Giorgini, A. Cristallini
Nell’occupazione dell’Istituto di Fisica di Bologna, 
  15 dicembre 1967 
  ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO 
  STUDIO DOGMATICO INUTILE SELETTIVO
E' assurdo pretendere di fornire un'immagine attendibile della realtà normativa del Mondo Classico senza il possesso di strumenti esegetico-critici che presupporrebbero una specifica preparazione storico-filologica.
L'eredità romanistica nel diritto moderno ha subito tanti e tali viluppi (elementi di origine corporativa, diritto comune, elementi di derivazione canonistica, legislazione di ispirazione giusnaturalistica, istituti tratti dalla nuova realtà dei traffici, dalla forma giuridica di organizzazione del capitalismo industriale) da apparirci ormai logora ed inutile come propedeutica formativa per la comprensione degli istituti giuridici vigenti.
L'insegnamento del Diritto Romano si basa sulla conoscenza della lingua latina e si pone al vertice di una gerarchia selettiva che tende ad escludere dalla facoltà la maggioranza dei giovani che escono dalle scuole medie superiori.
IL MOVIMENTO STUDENTESCO per questi motivi, ed oltre ad essi 
  per espandere il tempo di lavoro sociale e di autoeducazione politica degli 
  studenti CHIEDE L'ABOLIZIONE DELL'INSEGNAMENTO DELLE DISCIPLINE ROMANISTICHE 
  ISTITUZIONALI; 
  IL MOVIMENTO STUDENTESCO non è disponibile sull'argomento per alcuna 
  contrattazione nŠ presenta progetti alternativi come formulazione di piani 
  di studio, perché RIFIUTA LA CATTURA COGESTIONALE; 
  IL MOVIMENTO STUDENTESCO SI IMPEGNA AD ATTUARE FORME DI LOTTA CHE RENDANO IMPOSSIBILE, 
  da parte degli accademici, L'ELUSIONE DEL GRAVE PROBLEMA DIETRO IL PARAVENTO 
  BUROCRATICO DELLA ECCEZIONE DI INCOMPETENZA 
Volantino del Movimento studentesco di Giurisprudenza, s.d. 
  
STUDENTI
L'assemblea generale degli studenti di Lettere e Filosofia, 
  riunitasi il 24/1/69, ha proceduto all'analisi dei fatti accaduti il 22/1/69 
  durante lo svolgimento del preliminare scritto d'Italiano. Alla richiesta di 
  uno studente di porre in discussione il significato della prova stessa, il professor 
  Spongano, come unica risposta, sospendeva la prova e si allontanava. Veniva 
  poi comunicato che essa si sarebbe svolta il giorno 30. L'Assemblea, senza prendere 
  in considerazione l'atteggiamento autoritario del professor Spongano, e senza 
  soffermarsi sull'inutilità evidente dell'intera prova nel suo complesso 
  (quest'esame infatti si propone come ripetizione delle procedure didattiche 
  della scuola secondaria e del preliminare di Letteratura), ravvisa questo episodio 
  come un esempio estremamente chiaro della contradditorietà del criterio 
  selettivo che contraddistingue la pratica burocratica dell'esame come tale. 
  Infatti esso, in qualsiasi forma si presenti, rivela il carattere autoritario 
  e repressivo della struttura universitaria che rispecchia precisi obbiettivi 
  di elezione falsamente meritocratica, fondati in ultima analisi su una concezione 
  classista dello Stato e della società. Tale concezione tende non solo 
  a dividere gli studenti col falso giudizio del merito, tra una élite 
  ristretta che avrà la capacità e il potere di produrre cultura 
  e ideologia (creando ad esempio per essa seminari, collegamenti editoriali, 
  ecc.) e una massa subalterna e dequalificata che porterà nelle scuole 
  nozioni e cultura basate su questa divisione fra chi comanda e sa e chi non 
  comanda e non sa. Riprodurre cioè fra gli allievi i medesimi metodi e 
  strumenti autoritari e discriminatori nei confronti soprattutto dei figli dei 
  contadini e operai e ceti subalterni, riproducendo e confermando la divisione 
  in classi. 
  L'ASSEMBLEA quindi 
  1) Chiede l'immediata abolizione della prova scritta come delle altre prove 
  preliminari. 
  2) Propone inoltre come obbiettivo, nel quadro della contestazione dell'esame, 
  la abolizione delle altre prove immediatamente discriminatorie. 
  3) Esige all'interno della Facoltà lo svolgimento di un ampio dibattito 
  sull'esame e sulla qualificazione e destinazione professionale del laureato 
  di Lettere e Filosofia. 
Volantino del Movimento Studentesco di Lettere e Filosofia, 
  s.d. 
  SCHEMA DI LAVORO DEL CENTRO STAMPA
Il centro stampa è un'attività politica ed un 
  momento immediatamente organizzativo del Movimento studentesco. 
  La proposta di lavoro del centro stampa si svolge e si sviluppa come partecipazione 
  al lavoro di produzione e riproduzione del centro tesso. 
  L'organizzazione dei mezzi di produzione del centro stampa Š attuata nella 
  sede dell'Università. 
  Attività del Centro Stampa: 
  a) controinformazione 
  b) informazione 
La controinformazione: 
  1) Controstampa 
  2) Organizzazione di assemblee-dibattito sui fatti che siano stati utilizzati 
  dal monopolio dei mezzi di comunicazione, in mano al capitale, come strumenti 
  di manipolazione delle masse. 
  Problema dell'ideologia della comunicazione e sua funzione di dominio nell'ambito 
  della lotta di classe. 
Informazione: 
  1) Informazione sulla situazione complessiva della lotta studentesca: Bollettino 
  (Pav‚) 
  2) Documentazione: 
  a) Teoria rivoluzionaria; 
  b) Documenti elaborati dal Movimento Studentesco; 
  c) Raccolta e distribuzione di documenti della lotta operaia e studentesca sul 
  piano nazionale e internazionale. 
Problema della rete di informazione e controinformazione 
  3) Agitazione politica e comunicazione dei contenuti politici del Movimento 
  studentesco. Interruzione del circuito chiuso del discorso politico: agitazione 
  politica per mezzo di manifesti e volantini nelle fabbriche, scuole, città 
  e campagna in forma specifica tale che il comunicato politico sia immediatamente 
  una rottura istituzionale. 
  Problema dello viluppo in forma scientifica dei mezzi di agitazione dalla forma 
  stampata fino a mezzi tecnici come cinema e radio. 
Dell'organizzazione dei mezzi di produzione del centro stampa e dell'agitazione politica.
Il problema tecnico è la base materiale dell'organizzazione 
  politica. Corrisponde a fattori di necessità dal cui controllo dipende 
  l'efficacia dell'attività politica. 
  L'organizzazione tecnica dei mezzi di produzione del centro stampa come i mezzi 
  di lavoro dello tesso si basano sulla divisione del lavoro. 
  Alla divisione del lavoro si oppone l'unità dell'azione politica. 
  L'unità dell'azione politica si manifesta e si realizza nell'agitazione 
  politica. L'agitazione politica è il mezzo ambientale necessario per 
  lo viluppo di uno specifico lavoro politico. 
  Il lavoro del centro stampa come pratica unitaria è diretto a creare 
  e mantenere nella scuola, nelle fabbriche, nelle campagne e nelle città 
  la tensione politica generale che permette una migliore chiarezza e realizzazione 
  del lavoro politico specifico. 
  Il contenuto politico del centro stampa, che è immediatamente la lotta 
  del movimento studentesco determina il carattere nettamente "strumentale" 
  del centro stampa. Cioè il centro stampa si nutre della lotta del movimento 
  e si pone nei confronti di questa come moltiplicatore della sua attività 
  politica. Il senso strumentale del centro stampa come strumento tecnico si realizza 
  nell'elaborazione dei prodotti del Movimento studentesco. 
  Il senso strumentale come strumento dia autocoscienza della lotta studentesca 
  nell'ambito della lotta di classe si realizza nella creazione di forme di lotta 
  dirette a creare l'agitazione politica. 
Documento del Movimento Studentesco bolognese, s.d. 
IL MOVIMENTO DEGLI STUDENTI MEDI
L’ANNO DEI MEDI
Si parla dell’anno degli studenti medi, dei giovani che 
  partendo dalle più disparate posizioni politiche, scendono in lotta e 
  nel corso della lotta individuano le ragioni politiche del loro disagio nella 
  scuola e nella società, diventando così coscienti della necessità 
  di cambiare la struttura di questa società; vedono nelle classi dominanti, 
  nei padroni, i loro veri nemici. E’ un modo nuovo di entrare nella contestazione 
  politica, di far politica, non pedagogica ma di lotta diretta che da un’esperienza 
  porta ad una coscienza direttamente anticapitalistica. 
  Con la rivendicazione più elementare, quella del diritto di assemblea, 
  gli studenti medi si sono scontrati violentemente con il potere costituito, 
  con la repressione. Questo accade in una società profondamente in crisi, 
  dove le contraddizioni del sistema si fanno sempre più profonde; dove 
  la scuola è diventata la “gara dei cavalli da corsa” con 
  premio la disoccupazione giovanile (basta pensare ai tecnici diplomati). 
  Una scuola costretta a diventare ogni giorno sempre più repressiva perché 
  sempre più in contraddizione con la spinta rinnovatrice in atto nel paese. 
  Una scuola classista, dove è tramontato per sempre il mito dello studente 
  privilegiato. 
  Nelle scuole medie la contraddizione diventa ogni giorno più insanabile: 
  gli studenti si scontrano innanzitutto con i presidi da caserma che definiscono 
  mascalzoni i cosiddetti contestatari e si considerano i soli padroni dell’istituto. 
  
  Il democristiano Elkan ha definito in parlamento la lotta antiautoritaria degli 
  studenti medi “porcherie che avvengono nella scuola” (cito testualmente). 
  Per le autorità scolastiche bisogna imparare, obbedire, rispettare e 
  non discutere. 
  Al liceo Mamiani di Roma sono stati sospesi degli studenti con la seguente motivazione: 
  “Per offesa al decoro personale, alla religione e alle istituzioni”. 
  Questo clima da caserma si è improvvisamente rivolto contro i custodi 
  dell’ordine borghese: l’orario fisso, la disciplina di ferro che 
  regna nelle scuole medie si è trasformata in un potenziale omogeneo di 
  lotta degli studenti medi, che a migliaia, compatti, sono sfilati per le vie 
  della nostra città, hanno occupato le scuole, hanno ottenuto libere assemblee, 
  hanno in poche parole conquistato un’autonomia di lotta come potente movimento 
  di massa. 
  A nessuno sfugge la manovra della classe dirigente, e della stampa padronale 
  che la rappresenta (“Resto del Carlino”): seminare spaccature interne 
  tra operai e studenti; tra studenti medi e universitari, tra la cittadinanza 
  e le masse in lotta, tra i genitori e i figli ecc. 
  Una didascalia del “Resto del Carlino” parla chiaro: “Gli 
  studenti aggrediscono per le vie del centro alcuni automobilisti”, oppure 
  “Gli studenti medi sfilavano ordinati, mentre gli universitari seminavano 
  disordini”. Ma ormai un fatto è evidente: nemmeno la stampa reazionaria 
  si può permettere di attaccare direttamente questi grandi movimenti di 
  massa: hanno paura. Hanno paura, e mandano i fascisti, che sono un’avanguardia 
  repressiva al servizio dei padroni e del potere accademico, e sono una copertura 
  politica, da destra, alle forze politiche governative, mentre Rumor alla tv 
  invita, con angelico volto, gli studenti ad una contestazione costruttiva e 
  ad emarginare le cosiddette frange estremiste. Polizia e fascisti mostrano il 
  vero volto della classe dominante. 
  Le squadracce fasciste non sono perciò frutto di un capitalismo vecchio. 
  Nostalgici del passato si collocano in un preciso disegno politico di chi sta 
  al potere, al fine di creare tra le forze rivoluzionarie spaccature e falsi 
  obiettivi. 
  Non a caso questi attacchi sono concentrati su Bologna, protagonista in questi 
  ultimi tempi di grandi manifestazioni di piazza (studenti, operai) e contemporaneamente 
  amministrata dalle forze di sinistra. La licenza per reprimere viene dal vertice. 
  
  In questi ultimi giorni avete assistito alle imponenti manifestazioni degli 
  studenti medi, agli scioperi, alle occupazioni, agli attacchi polizieschi particolarmente 
  violenti a Imola, all’Itis e all’Albini dove la polizia ha attaccato 
  i giovani perfino con catene; avete assistito a sfilate di celerini e baschi 
  neri pari a imponenti manovre militari. 
  Otto giorni fa abbiamo assistito ad una grande vittoria: migliaia di studenti 
  medi, uniti in un solo blocco, hanno costretto la polizia, camion e camionette 
  in gran numero, a sgombrare da via Saragozza, dove era arrivata per ripetere 
  all’Itis la brutale repressione effettuata ore prima all’Albini 
  e in altre scuole: in quel momento l’autoritarismo è stato battuto, 
  ma non la logica militar-fascista, che ha spinto i poliziotti a riintervenire 
  durante la notte contro gli studenti occupanti. Si giunge perfino, nei giorni 
  seguenti, a ordinare la serrata di un istituto tecnico per due giorni e a schedare 
  gli studenti occupanti; tutto questo era stato previsto dal “Carlino” 
  sei ore prima. L’ordine del quotidiano bolognese veniva rispettato dalla 
  Questura. 
  Nelle scuole occupate si respirava intanto aria di libertà: la caserma 
  cominciava a prendere somiglianze di una scuola: libere assemblee, controcorsi. 
  
  Il clima psicologico dell’autoritarismo era infranto: la linea dell’obbedienza, 
  del nozionismo, del rispetto, che collega la scuola alla società attuale 
  e particolarmente gli istituti tecnici alle fabbriche. Quegli stessi istituti 
  tecnici a cui provveditore dice: “O vi rimettere calmi e obbedienti oppure 
  sarò costretto a chiudervi l’istituto a tempo indeterminato oltre 
  che a denunciarvi alla Procura delal Repubblica”. O capitolate o vi distruggeremo 
  come studenti. Ogni dubbio viene meno davanti a questa logica. 
  L’altra faccia della medaglia, oserei dire la più pericolosa, è 
  il paternalismo delle autorità scolastiche, che va dal professore “buono” 
  al preside “comprensivo” o impotente a seconda dei casi. 
  Penso che la grande forza che hanno dimostrato in questi giorni gli studenti 
  medi stia nell’unità che hanno saputo conquistare: la prima mossa 
  delle autorità scolastiche sarà tesa a infrangere questa unità, 
  a creare false divisioni tra gli studenti, a isolare, come è già 
  stato fatto in altre parti d’Italia, gli studenti più attivi dai 
  loro compagni. 
  A questo punto i professori, mediatori ed esecutori diretti dell’autoritarismo 
  scolastico come figura professionale, devono fare una scelta: o rompono con 
  l’autoritarismo in maniera violenta, come hanno rotto gli studenti che 
  occupano le loro scuole e si schierano esplicitamente dalla parte del movimento 
  studentesco, oppure resteranno strumenti, sia pure all’ultimo livello, 
  della classe dominante: non esiste una posizione intermedia, una posizione più 
  comoda. 
  In una carta rivendicativa delle scuole medie fiorentine è scritto: “Mentre 
  il capitale pianifica e realizza sempre più il suo sviluppo, si continuano 
  a vedere figure polverose e squallide, portatrici di un retorico raggio di speranza 
  in un futuro migliore”. 
  Vi è, a nostro avviso, un solo obiettivo valido, per gli studenti medi, 
  oggi: trasformare questa loro forza sempre più crescente in continue 
  conquiste di potere all’interno della scuola. Minare dalle radici l’autoritarismo 
  scolastico, è questo un modo concreto per contribuire alla trasformazione 
  di questa società, per collegarsi alla lotta della classe operaia e degli 
  altri movimenti. Una decina di giorni fa due cortei si sono incontrati per le 
  vie cittadine: studenti e operai; per vie diverse, ma verso lo stesso obiettivo: 
  minare il potere borghese dove si trova. Occorre organizzare la lotta: conquistare 
  un potere per garantire la continuità della lotta, la sua crescita. 
a cura del Movimento studentesco dell’Itis
da: Quindici, N. 14, Dicembre 1968 
STUDENTI DEL FERMI!
Il primo e più importante obiettivo da raggiungere è riottenere il diritto, precedentemente toltoci, di riunirci liberamente in assemblea. Questo perché solo nell'assemblea di tutti gli studenti, attraverso il lavoro unitario e di comunità, è possibile stabilire e portare avanti una linea dia azione conforme ai nostri interessi e alle nostre esigenze. Questo diritto ci è ancora una volta negato dalla autorità scolastica che cerca di sopprimere qualsiasi tentativo da parte degli studenti atto ad affrontare e risolvere i problemi della scuola. Seguendo una linea concorde con gli studenti delle altre scuole bolognesi, al Fermi
MARTEDI' 21 DURANTE L'INTERVALLO SI TERRA' UNA ASSEMBLEA NELL'ATRIO DELLA SCUOLA
per discutere quale azione intraprendere al fine di ottenere LA DISPONIBILITA' DEI LOCALI DELLA SCUOLA OGNI QUAL VOLTA CIO' A NOSTRO GIUDIZIO SI RENDA NECESSARIO. Inoltre per rivendicare il nostro diritto nelle assemblee e nella vita scolastica di potersi esprimere liberamente, per ottenere quella famosa LIBERTA' DI PAROLA che, sebbene sancita dalla costituzione come un preciso diritto dell'individuo si è rivelata in pratica condizionata all'umore e alla ideologia dei nostri sinceri ed onesti dirigenti.
LOTTARE PER UNA IDEOLOGIA E' UNA SCELTA 
  LOTTARE PER UN DIRITTO E' UN DOVERE 
Volantino del Movimento Studentesco del Liceo Scientifico “E. 
  Fermi” 
Studenti, operai, 
  i padroni ci raccontano che studiare è il mezzo più sicuro per 
  avere poi un posto di lavoro migliore ed un salario più alto. Ma la realtà 
  è ben diversa: la scuola è ormai un fenomeno di massa, una fabbrica 
  che deve produrre la nuova forza-lavoro; in essa i padroni investono ingenti 
  capitali, perché ne ricaveranno grossi profitti; non solo, ma il costo 
  maggiore della nostra preparazione allo sfruttamento dobbiamo pagarcelo noi 
  con il salario dei nostri genitori: e questo furto sul salario operaio tende 
  a costringere gli operai stessi a lavorare di più, facendo cottimo, straordinari, 
  ecc., se vogliono mantenere i figli a scuola. 
La scuola ha come funzione quella di manipolarci ideologicamente, 
  insegnandoci che partecipare al miglioramento delle condizioni economico-sociali 
  del paese vuol dire cooperare al benessere di tutti: 
  QUESTO E' FALSO: operai e studenti sanno che sviluppo della produzione significa 
  rafforzamento dello sfruttamento, aumento del profitto dei padroni, non certo 
  del reddito operaio. Per questo in fabbrica si lotta oggi contro tutti quegli 
  strumenti che i padroni hanno inventato per costringere gli operai a lavorare 
  sempre più e per controllarli politicamente (qualifiche, cottimi, straordinari, 
  ecc.). 
La lotta operaia contro la divisione in categorie è 
  l'unica garanzia che gli studenti hanno affinché la loro lotta alla selezione 
  politica, che nella scuola si attua attraverso il voto, gli esami, ecc., non 
  venga vanificata al momento del loro inserimento nel processo produttivo. 
  E dalle lotte operaie dobbiamo imparare che il reddito, divisi, non lo si ottiene, 
  perché: 
IL REDDITO NON LO SI OTTIENE STUDIANDO 
  MA SI CONQUISTA CON LA LOTTA 
Gli interessi degli studenti coincidono oggi interamente con quelli della classe operaia, proprio perché gli studenti di oggi saranno i tecnici di domani, ed essere tecnici non significa essere meno fruttati degli operai, ma al contrario essere sfruttati al pari degli operai stessi: i tecnici, così detti intermedi, sono oggi in Italia 2.300.000 ed i padroni sono di fatto costretti ad usare contro di loro gli stessi strumenti di divisione e di controllo politico che usano contro gli operai. Le lotte di autunno lo hanno dimostrato e le lotte dei settori petroliferi lo dimostrano oggi: i tecnici sono scesi in lotta al fianco della classe operaia accettando le parole d'ordine operaie (lotte della Snam Progetti, dei tecnici dell'Eni, della Sit-Simens).
Dobbiamo perciò già da oggi lottare per i nostri 
  interessi immediati e futuri, che coincidono di fatto con quelli egli operai: 
  
  il nostro interesse, al di là di qualsiasi moralismo, è quello 
  di stare meno a scuola ad imparare come meglio farci sfruttare; 
  il nostro interesse è quello di far pagare ai padroni la loro scuola; 
  
  il nostro interesse è quello di avere il voto unico per tutti, perché: 
  
  1) non è con il nostro diploma che si ottengono i soldi e la tranquillità; 
  
  2) il voto è fatto per fregare i più ingenui e per dividere gli 
  uni dagli altri; 
  3) il voto, l'esame, ecc., sono strumenti di controllo politico sugli studenti: 
  con i 3 ed i 4 si fa presto a calmare la gente, e se uno prende 7 vuol dire 
  che studia come un retino e non fa i suoi interessi di classe, nel senso che 
  non svolge altre attività che non siano quelle che i padroni vuole che 
  svolga. 
Studenti, operai, 
  dobbiamo lottare uniti sugli stessi obiettivi, contro gli tessi padroni e quindi 
  organizziamoci, massificando la lotta 
  CONTRO LE QUALIFICHE E IL VOTO 
  PER LA RIDUZIONE DELL'ORARIO DI LAVORO E DI STUDIO 
  PER I SERVIZI GRATIS: SCUOLA, TRASPORTI, AFFITTI 
  Massificare le parole d'ordine tutti uniti per togliere ai padroni la possibilità 
  di batterci isolandoci gli uni dagli altri, colleghiamoci oggi alle lotte già 
  in piedi a Ferrara e Modena: 
  CONTRO IL COSTO DEI TRASPORTI 
  studenti e operai di Modena e Ferrara si sono mobilitati e occupano ogni mattina 
  le corriere e glia autobus, rifiutandosi di pagare il biglietto. 
  ORGANIZZIAMOCI, nelle scuole e nelle fabbriche, per rifiutare questo furto legalizzato 
  sui alari. 
OGGI ore 15 via Zamboni 33
ASSEMBLEA GENERALE DI TUTTI I PENDOLARI 
Movimento studentesco medio
21/4/1970 
  
  I DOCENTI
Consideriamo un nostro preciso dovere di docenti universitari 
  sottolineare una serie di fatti che, nella loro apparente eterogeneità, 
  fanno pensare all'esistenza di un articolato piano repressivo, e in ogni caso 
  testimoniano il diffondersi di un clima assolutamente incompatibile con i principi 
  democratici sanciti dalla nostra carta costituzionale: l'intervento della polizia 
  in numerose scuole e atenei italiani; il continuato presidiamento di alcuni 
  di essi; le sospensioni punitive comminate nei confronti di studenti medi; gli 
  arresti e i mandati di comparizione spiccati a carico di studenti universitari 
  e medi. 
  Tutti questi fatti, al di là delle singole intenzioni e giustificazioni, 
  coincidono in un unico risultato oggettivo, la mortificazione del Movimento 
  studentesco, la forza che al di là di ogni singola riserva, rappresenta 
  storicamente il momento più alto di presa di coscienza della crisi che 
  dalla società si riflette sull'intera struttura della scuola italiana. 
  E questo avviene in una situazione in cui la lotta per una autentica e incisiva 
  riforma ha raggiunto il suo apice, in una drammatica contrapposizione fra le 
  esigenze e le forze reali di rinnovamento e l'impotenza della classe dirigente, 
  come testimoniano le stesse dichiarazioni dell'ex ministro Sullo. 
  In tale contesto generale, non possiamo non considerare con profonda preoccupazione 
  gli arresti eseguiti a Bologna nei confronti di sei studenti universitari e 
  di un'operaia (componente, quest'ultima, di commissione interna), e i mandati 
  di comparizione inviati a sette studenti medi. 
  Mentre ci associamo all'unanime richiesta di una rapida scarcerazione degli 
  arrestati, riconfermiamo il nostro preciso impegno a difesa della più 
  ampia e piena possibilità di espressione del dissenso, individuale ed 
  organizzato, come condizione indispensabile del libero sviluppo della società 
  civile e della dialettica politica. 
Appello sottoscritto da 236 docenti dell'Università di Bologna
Aprile 1969 
  
  Mozione approvata dall'assemblea dell'Associazione Docenti Universitari 
  Subalterni il 25 febbraio 1969
L'assemblea dell'Associazione Docenti Universitari Subalterni 
  (ADUS), sezione bolognese dell'Associazione Nazionale Docenti Subalterni (Ands), 
  riunita in assemblea martedì 25 febbraio 1969, 
  presa visione del testo del progetto di disegno di legge governativo relativo 
  alla riforma globale dell'università, 
  effettuato un ampio dibattito sui suoi punti qualificanti, 
  riconosce in esso, con fortissima indignazione, il tentativo esplicito, ancora 
  una volta ripetuto, 
  a) di rifiutare, in linea di principio mediante l'idea che lo studio sia servizio 
  sociale reso allo studente e non lavoro produttivo reso dallo studente, e nei 
  fatti mediante l'istituzionalizzazione della figura dello studente lavoratore, 
  l'inderogabile attuazione del diritto allo studio; 
  b) di rifiutare il riconoscimento del diritto degli studenti a uno spazio politico 
  autonomo, col riproporre la cogestione da essi rifiutata, col concedere, svuotandolo 
  però d'ogni incidenza politica, il diritto d'assemblea, e coll'imporre, 
  mediante il ricatto del mancato rinnovo dell'assegno di studio, le assurde forme 
  di lavoro estivo e di dovere di "coerente condotta"; 
  c) di confermare razionalizzandoli, i principi della stratificazione gerarchica 
  all'interno del corpo docente, della concentrazione del potere accademico ai 
  suoi vertici, e della mistificazione della gestione democratica mediante la 
  cogestione tra diseguali; 
  d) di confermare, colle deroghe al principio del tempo pieno, con la possibilità 
  di utilizzare, ai fini di lucro privato, le attrezzature universitarie, e con 
  la creazione dell'assurda figura del professore associato a vita, la riduzione 
  dell'università a strumento di potere personale, politico ed economico, 
  della ristretta oligarchia dei professori ordinari; 
  e) di prefigurare la risoluzione delle contraddizioni strutturali dell'università 
  italiana, da una parte mediante la creazione di una doppia università: 
  l'una di ‚lite, efficiente e in grado di compiere ricerca scientifica 
  (col dottorato di ricerca e gli studenti a tempo pieno), l'altra di massa e 
  squalificata, perché capace solo di conferire preparazione acritica e 
  immediatamente specialistica (con gli studenti lavoratori e i corsi serali e 
  per corrispondenza); e da un'altra, mediante l'esplicita subordinazione ell'espansione 
  universitaria alle immediate esigenze dello sviluppo economico dell'industria 
  nazionale e internazionale, sviluppo assunto come criterio univoco, condizionante 
  e per nulla contestabile. 
  L'assemblea dell'Adus, sezione bolognese dell'Ands, confermando che nell'insieme 
  ora analizzato hanno valore di mera razionalizzazione efficientistica, funzionale 
  al rafforzamento del potere accademico dei professori ordinari e alla strumentalizzazione 
  dell'università, sia le accresciute competenze attribuite al Cnu rispetto 
  ai centri di potere politico-burocratico ministeriali, sia le accresciute competenze 
  dei dipartimenti rispetto alle facoltà, che tuttavia rimangono indistrutte; 
  
  giudicando del tutto inemendabile il progetto in questione, e rifiutandolo perciò 
  radicalmente, delibera 
  a) di denunciare e di combattere a fondo qualsiasi manifestazione repressiva 
  che fosse intrapresa nei confronti del Movimento studentesco; 
  b) di associarsi allo sciopero di una settimana, a partire dal giorno 27 febbraio, 
  proclamato in sede nazionale, dall'Ands; 
  c) di partecipare alla manifestazione di protesta indetta nell'aula magna dell'università 
  di Bologna, per mercoledì 26 febbraio 1969; 
  d) di proporre i contenuti politici della presente mozione come base comune 
  di lotta dei docenti subalterni dell'università di Bologna; 
  e) di promuovere sulla base del contenuto della mozione stessa, l'occupazione 
  della sede centrale dell'università da parte dei docenti subalterni, 
  auspicabilmente con gli studenti, della stessa università di Bologna; 
  
  f) di impegnare i suoi aderenti a svolgere gli esami della sessione straordinaria 
  di febbraio anche nelle facoltà occupate; 
  g) di dare la massima diffusione alla presente mozione. 
COSTITUZIONE DEL MOVIMENTO INSEGNANTI-BOLOGNA
A. Il Movimento politico studentesco ha fatto emergere questa 
  realtà: che i soggetti sociali autentici e primari della scuola sono 
  gli studenti e gli insegnanti. 
  Gli studenti non scelgono né i metodi né i contenuti della propria 
  formazione. 
  Gli studenti sono sottoposti a una selezione sociale forzata che determina la 
  loro destinazione professionale e che appare loro come potenza ostile ed estranea. 
  
  Gli insegnanti non decidono dei metodi e dei contenuti dell’insegnamento. 
  Gli insegnanti sono costretti da un contratto di lavoro alla produzione di attitudini 
  e capacità omogenee ai valori e alle necessità di un sistema che 
  li asservisce. 
  Questo stato di contraddizione insolubile si istituzionalizza negli organi di 
  potere interni ed estranei all’ordinamento scolastico ed ha il suo risvolto 
  specifico sia per gli studenti che per gli insegnanti: 
  a) per gli studenti, nel regolamento scolastico e disciplinare: 
  b) per gli insegnanti: 
  -nella subordinazione totale alla triade preside-provveditorato-minsitero attraverso 
  la gerarchizzazione che dà al lavoro del docente una funzione puramente 
  esecutiva, oltre che attraverso la pratica poliziesca e spionistica delle note 
  informative riservate al preside; 
  -nella precarietà della funzione sia per l’uso e l’abuso 
  giuridico del contratto a termine, sia per l’assenza di una definizione 
  del loro stato giuridico. In questa situazione gli insegnanti e gli studenti 
  vengono a costituire una unica forza antagonista nei confronti degli organi 
  burocratici del potere costituito. 
B. Il Movimento reale che percorre la scuola mostra che la 
  soluzione delle contraddizioni insite nelle condizioni degli studenti e degli 
  insegnanti non può essere ricercata secondo i modi tradizionali di delega 
  alle istituzioni. In questi giorni gli studenti mostrano dia vere rivendicato 
  a sé direttamente senza mediazioni di sorta la soluzione di queste contraddizioni. 
  Essi sono giunti ad affrontare lo scontro diretto con il preside e con la polizia 
  in modo da dimostrarsi consapevoli: 
  1) che l’opposizione all’apparato autoritario del potere è 
  possibile solo attraverso una pratica sociale diretta e non attraverso una contrattazione 
  a livello delegato; 
  2) che una pratica sociale e diretta è possibile solo se la struttura 
  del movimento respinge le forze di organizzazione tradizionali nelle quali finisce 
  per riproporsi un rapporto irrevocabile fra dirigenti e diretti con conseguente 
  subordinazione della massa e soffocamento di qualsiasi spinta autonoma della 
  base sociale. 
  In questo senso appare chiaro che il movimento politico della scuola, sebbene 
  limitato nella sua estensione, si pone come una visione globale nei confronti 
  della società e chiaramente antagonista e alternativa alle sue istituzioni, 
  sia nella forma statuale che nella forma del potere sociale (partiti e sindacati). 
C. Venti anni di pratiche corporative non hanno impedito l’affermarsi 
  di processi di dequalificazione e proletarizzazione degli insegnanti ai quali 
  i partiti e i sindacati non possono offrire nessuna possibilità di mutare 
  la propria condizione di lavoratori subordinati. 
  Gli insegnanti oggi debbono negare in modo radicale la propria condizione e 
  ciò è possibile (si abbia come riferimento il movimento studentesco) 
  solo se saranno in grado di organizzarsi in movimento di massa. Compito della 
  parte più attiva degli insegnanti è quello di promuovere la formazione 
  di tale movimento. 
  A questo proposito proponiamo che: 
  a) si dia luogo all’interno degli istituti alla pratica dell’assemblea 
  degli insegnanti autoconvocata e aperta (obiettivo a lungo termine); 
  b) che si creino immediatamente delle commissioni di studio e documentazione 
  intorno alla condizione sociale dell’insegnante e specificatamente su 
  questi problemi: 
  1) determinazioni della violenza repressiva; 
  2) collocazione dell’insegnante all’interno delle strutture attuali 
  della produzione. 
  3) Queste commissioni devono, a nostro parere, assolvere i seguenti compiti 
  fondamentali: 
  a) produrre il materiale per il lavoro continuo di propaganda, volantinaggio, 
  agitazione; 
  b) assicurare il collegamento con il lavoro degli studenti medi e universitari 
  ricorrendo alal forma di commissioni aperte o ad altre iniziative. 
Gruppo insegnanti-medi
Bologna, Novembre 1968, da: Che fare?, N. 5/1969 
LA SOLIDARIETA' INTERNAZIONALISTA ED ANTIMPERIALISTA
  DICHIARAZIONE DEGLI STUDENTI AMERICANI
Noi studenti della Università Americana di Bologna, 
  condanniamo l'invasione americana in Cambogia. 
  E' chiaro che questa invasione è allo stesso tempo un'espansione dell'imperialismo 
  americano nel Vietnam e della repressione delle lotte di liberazione nazionale 
  nel Sud Est asiatico. 
  Un atto così aggressivo è una prova vivente delle menzogne politiche 
  del governo di Nixon. Questa Š la continuazione logica del piano di inganno 
  che ha caratterizzato gli affari di politica estera dei precedenti governi americani 
  nel mondo intero e, in particolare, nell'Asia del Sud Est. 
  Mentre il conflitto si trasforma in una vera guerra indocinese, l'opposizione 
  contro il governo americano sta aumentando negli Stati Uniti stessi: quattro 
  studenti sono già stati uccisi. La risposta di Nixon a questa resistenza 
  interna sempre più forte, Š di organizzare la repressione di qualunque 
  dissenso attivo. I suoi metodi ed i suoi appelli allo sciovinismo stanno conducendo 
  l'America sull'orlo del fascismo. 
  Sappiamo che magari ogni tipo di protesta ha degli effetti limitati nel tempo. 
  Sappiamo anche che le protesta americane contro la guerra possono portare disillusione. 
  
  Però non possiamo tare ad accettare che il governo americano faccia una 
  politica criminale in Asia. 
  Ci opponiamo quindi con molta fermezza alla politica estera del governo di Nixon 
  ed esprimiamo la nostra solidarietà coi popoli dell'Asia del Sud Est 
  nella loro lotta di liberazione nazionale. 
OPPONIAMOCI ALLA GUERRA CRIMINALE
Gli Studenti Americani della Università John Hopkins 
  
A proposito di un gruppo di giovani che vanno in Africa
La realtà materiale e spirituale del terzo mondo è il prodotto dell'incontro storico fra l'Europa e i continenti asiatici,a africani e americani; realtà che possiamo definire come soggiogamento della maggior parte della popolazione del mondo allo sfruttamento imperialista. Per arrivare a questo gli strumenti primari dell'azione "civilizzatrice" furono cannoni e missionari, duplice violenza distruttiva sui popoli esercitata dalla potenza materiale del capitale e dalla religione quale strumento ideologico destinato a defraudare i popoli della loro identità culturale. L'espansione territoriale dell'imperialismo ha sempre comportato il massacro e l'impoverimento dei popoli con i quali Š venuto a contatto; nei superstiti, ridotti al ruolo di merce, ha tentato di imporre la cultura dello sfruttatore con lo scopo preciso di sopprimere ogni possibilità di rivincita.
Il messaggio "spirituale" della Chiesa si riduce ad una effettiva paralisi dello spirito, cioè ad impedire nei popoli oppressi la consapevolezza della necessità di una lotta violenta contro l'oppressore. La Chiesa è una gente dell'imperialismo giacché essa esiste per imporre la superiorità morale dello sfruttatore sulla inferiorità spirituale dello fruttato. L'imperialismo, organizzazione internazionale dello sfruttamento, è affiancato dalla organizzazione "spirituale" internazionale dello sfruttatore. Questa "pratica di convincimento" della gloria di essere poveri è portata avanti dalle avanguardie missionarie, che gestiscono in Africa, Asia e America Latina non solo la povertà in nome di Dio ma anche scuole, ospedali e partiti politici con il preciso scopo di continuare l'opera di Dio come opera del Dio Capitale.
all'interno di questo disegno internazionale di dominio, non contano la buona fede o i sentimenti di abnegazione di coloro che si prestano ad essere parte delle organizzazioni missionarie e di aiuto umanitario nei confronti del terzo mondo. Al di là di ogni loro intenzione soggettiva, esiste una sola realtà oggettiva: l'imperialismo, il quale va combattuto, non rafforzato attraverso la perpetuazione della penetrazione ideologica e materiale della cultura occidentale. Portare la cultura occidentale o anche aiuti materiali nel quadro della struttura oppressiva dell'imperialismo significa rendersi colpevoli di un gravissimo delitto nei confronti del terzo mondo.
Perché la verità è questa: la cultura non esiste senza le istituzioni della cultura stessa e le istituzioni capitalistiche (chiese scuole ospedali) sono gli strumenti del dominio e dello sfruttamento. Noi contestiamo la validità di ogni aiuto fatto nei confronti del terzo mondo se non è un aiuto politico diretto in primo luogo a distruggere l'imperialismo insieme a tutte le sue appendici culturali e religiose. Quindi il migliore aiuto che i giovani dell'occidente capitalista possono dare è di lottare nelle proprie condizioni oggettive per la rivoluzione socialista.
COMITATO ANTIMPERIALISTA 
  (Studenti stranieri residenti a Bologna) 
  
  LE LOTTE OPERAIE 
OPERAI !
Nuove forme di lotta si sono imposte in questi giorni alla 
  SASIB. Al "crumiro" non è permesso andare a lavorare, il padrone 
  e il crumiro dicono questo limita la nostra "libertà", questo 
  è "antidemocratico". ma cos'é la democrazia? 
  LA DEMOCRAZIA DEL PADRONE CONSISTE IN: 
  -libertà di fruttare, 
  -libertà di licenziare chi si ribella allo sfruttamento, 
  -libertà di reprimere i movimenti di lotta, 
  -libertà di impedire con la violenza (poliziotti oc crumiri con bastoni) 
  l'auto organizzazione operaia. 
  Cosa vuol dire democrazia operaia? 
  Che la classe operaia discute e decide nell'assemblea - il crumiro da solo non 
  può decidere di entrare: questa è la libertà del padrone. 
  
  Rafforzare i picchetti e partecipare in massa all'assemblea. 
  L'assemblea è il momento di organizzazione autonoma e di partecipazione 
  della base operaia, in cui si manifesta la volontà di decidere dei contenuti 
  delle forme di lotta. 
  Proponiamo alla discussione la GENERALIZZAZIONE effettiva della lotta SASIB, 
  e la costituzione di comitati unitari di base studenti-operai in ogni fabbrica, 
  da usare come: 
  -STRUMENTI DI ORGANIZZAZIONE DELLA BASE OPERAIA 
  -DI GENERALIZZAZIONE DELLA LOTTA 
  -DI UNIFICAZIONE POLITICA DELLA CLASSE IN UN UNICO DISEGNO ANTICAPITALISTICO 
MERCOLEDI' 8 GENNAIO ORE 21 
  AL CIRCOLO PAVESE, VIA DEL PRATELLO 53 
COMITATO UNITARIO DI BASE DELLA SASIB 
  
  CHE COS'E' IL COMITATO DI BASE
Gli operai Ducati hanno dimostrato la loro combattività 
  imponendo al padrone un cedimento che ora dobbiamo far concretizzare al più 
  presto nella firma dell'accordo. Ma il clima di combattività in fabbrica 
  non si è affatto spento con la conclusione dell'accordo: lo dimostra 
  lo sciopero improvviso che ha impedito i licenziamenti. Con questo sciopero 
  si è dimostrato che durante la vertenza abbiamo fatto un decisivo balzo 
  in avanti: si è potenziata l'unità di base ed abbiamo conquistato 
  la capacità di sferrare la lotta ogni volta che ci è necessaria. 
  Ma nonostante questi passi in avanti lo sfruttamento in fabbrica c’é 
  ancora. Questo perché la forza operaia è ancora inferiore a quella 
  del padrone; questa inferiorità ci costringe a contrattare e a scendere 
  a compromessi e ci toglie la possibilità di prenderci ciò di cui 
  abbiamo bisogno. Il problema dunque è di capovolgere i rapporti di forza. 
  
  L'unica strada da seguire per capovolgere i rapporti di forza è la organizzazione 
  di base che cresce attraverso la discussione, la mobilitazione e la lotta gestita 
  direttamente dagli operai nei luoghi stessi in cui il padrone attua lo sfruttamento. 
  
  Il Comitato di Base che esiste alla Ducati per opera di operai e studenti vuole 
  arrivare ad essere lo strumento di unità e di organizzazione di base 
  per abbattere lo sfruttamento con l'imposizione del potere operaio. Un primo 
  importante obiettivo che il comitato di base si pone è che gli operai 
  Ducati, attraverso la discussione continua, la mobilitazione permanente di ogni 
  singolo operaio, arrivino preparati allo scontro diretto col padrone al rinnovo 
  dei contratti. 
da: Foglio di discussione, scritto dal Comitato di base della 
  Ducati Elettrotecnica, 2 Giugno 1969 
  
  A proposito di comitati di base
Da parecchi mesi ormai, a scadenze regolari vengono distribuiti 
  davanti ai cancelli volantini ciclostilati firmati da un Comitato di Base Studenti 
  e Operai della Sasib. 
  Ora non è che la cosa di per sé ci interessi molto (rispettiamo 
  la libertà e l'opinione politica) ne ce ne saremmo mai occupati se questi 
  volantini non avessero creato taluni equivoci. Molti operai infatti scambiando 
  questo Comitato di Base per il disciolto comitato di agitazione della Sasib 
  sciolto al termine della lotta, ma comunque sempre pronto a ricostituirsi all'occorrenza. 
  Vogliamo dire inoltre che come Sindacato non possiamo accettare la politica 
  che svolgono questi Comitati di Base così come non accettiamo il discorso 
  di altri gruppi estremistici il cui solo scopo sembra essere quello di attaccare 
  le Organizzazioni Operaie, e questa è una politica che può far 
  piacere solo ai padroni. Certamente noi accettiamo, anzi, chiediamo la collaborazione 
  di tutte quelle forze che possono aiutarci a risolvere i nostri problemi, così 
  come siamo disposti ad accettare le critiche quando però queste siano 
  fatte in funzione costruttiva e vadano verso il rafforzamento dell'unità 
  dei lavoratori, ma respingiamo fermamente tutte quelle manovre che siano volte 
  a portare la divisione tra i lavoratori. 
da: lo Smeriglio, periodico della sezione sindacale Fiom Sasib, 
  22 luglio 1969 p 5 
  
  GLI STUDENTI E LE LOTTE OPERAIE 
OPERAI DELLA REDE-LONGO
Il padrone trasferisce e riorganizza la fabbrica e non si preoccupa 
  nell'organizzare la produzione della vostra salute. 
  Per il padrone voi tutti siete soggetti da sfruttare con l'affaticamento ed 
  il logorio fisico. 
  IL PADRONE DICE CHE VOI NON AVETE IL DIRITTO DI CONOSCERE GLI EFFETTI NOCIVI 
  DEGLI GENTI CHIMICI CHE USATE. 
  Il padrone pretende di essere l'unico autorizzato a valutare i rischi che glia 
  genti nocivi vi fanno incontrare. 
  OPERAI VOI AVETE L'INTERESSE E IL DIRITTO DI CONOSCERE DIRETTAMENTE CIO' CHE 
  DANNEGGIA LA VOSTRA SALUTE. 
Assumete subito l'iniziativa di difendere le vostre condizioni di lavoro (AMBIENTE, NOCIVITA', AFFATICAMENTO), aprite una discussione, scegliete voi stessi gli strumenti di mobilitazione e di lotta.
W LA CLASSE OPERAIA
gli studenti
Volantino del Movimento Studentesco bolognese, s,d. 
PERCHE GLI OPERAI DELLA SASIB LOTTANO DA PIU' DI UN MESE
Alla vigilia di natale un operaio, Mignani, è stato 
  licenziato in tronco. PERCHE? 
  Perché aveva sbagliato un pezzo. 
  Non è la prima volta che i padroni si liberano di qualche operaio con 
  un pretesto qualsiasi. Ma questa volta c’é qualcosa di più: 
  Mignani è un attivista sindacale. Un sindacalista la cui attività 
  all'interno della fabbrica dava molto fastidio ai padroni. Perché cercava 
  di organizzare la lotta degli operai dopo molti anni in cui il controllo violento 
  e la repressione dei padroni e dei suoi servi aveva frenato la volontà 
  degli operai di rompere il cerchio dello sfruttamento intensivo legato a macchine 
  che impongono ritmi sempre crescenti di lavoro. 
  Per questo quello che ha fatto il padrone non è stato un atto di "ordinaria 
  amministrazione" ma un atto politico. 
  Gli operai della Sasib si sono ribellati tutti insieme a questo, la loro lotta 
  ha quindi un immediato significato politico, quello di battersi contro il potere 
  del padrone per imporre il potere degli operai in fabbrica. 
  Immediatamente dopo il licenziamento gli operai si sono riuniti in assemblea 
  assieme ai sindacati e hanno deciso di scioperare per la riassunzione di Mignani 
  e per portare avanti la lotta su altre rivendicazioni, sul cottimo, sugli straordinari, 
  sui ritmi e sul diritto di fare l'assemblea in fabbrica. 
  Le assemblee gli operai comunque le hanno fatte perché hanno visto che 
  questo è uno strumento importante per discutere e decidere i termini 
  e le forme della lotta. Gli operai hanno capito che debbono cominciare a non 
  delegare più ad altri la risoluzione dei loro problemi, che solo unendosi 
  tutti insieme discutendo e organizzandosi possono vincere le loro battaglie. 
  
  A questo ha contribuito anche la presenza del movimento studentesco. 
  Gli operai infatti hanno partecipato fin dai primi giorni ai picchetti discutendo 
  con gli operai e partecipando alle assemblee. 
  Sia gli studenti che gli operai sanno ormai che le loro lotte, anche se si sviluppano 
  in situazioni diverse, sono dirette ad un fine unico, quello di abbattere questo 
  sistema sociale basato sullo sfruttamento e sulla repressione. 
  Molti hanno paura di questa unità che si sta creando, hanno paura che 
  gli operai, gli studenti ed altri gruppi sociali si uniscano e si organizzino 
  per condurre assieme la loro lotta. 
  Ma questo processo non può essere fermato. Infatti alla Sasib, come già 
  in altre fabbriche in tutta Italia, gli operai e gli studenti hanno cominciato 
  d organizzarsi e hanno formato un comitato di base che interviene attivamente 
  nella lotta. 
  Ma tutto questo non può e non deve riguardare solo gli operai della Sasib 
  e gli studenti, ma deve riguardare anche gli operai delle altre fabbriche, la 
  popolazione del quartiere, gli insegnanti, i medici, tutti coloro che lavorano 
  e vivono nel quartiere. 
Un primo modo di partecipare alla lotta della Sasib è 
  quello di aiutare gli operai, per questo noi andiamo in giro a raccogliere soldi. 
  
  Ma questo non basta. Dobbiamo fare delle assemblee popolari per discutere il 
  significato di queste lotte, svilupparne altre e organizzarci per affrontarle 
  meglio. 
LA LOTTA DELLA SASIB DEVE DIVENTARE LA LOTTA DI TUTTO IL QUARTIERE
QUESTA DEVE ESSERE UNA PRIMA OCCASIONE PER DISCUTERE E CREARE NUOVE FORME DI ORGANIZZAZIONE
movimento studentesco
cicl. In proprio fac. Di Magistero 27-1-69 
  
  Commessi dell'OMNIA, UPIM, STANDA,
  lo sfarzo e lo spreco di questi giorni, utili al profitto dei padroni si fonda 
  sullo sfruttamento sempre più intenso degli operai e dei commessi. 
  Vediamo nei grandi magazzini: dietro lo sfarzo e le luci, dietro i visi sorridenti 
  della pubblicità, sta la condizione reale delle commesse. 
  -PIU' DI 8 ORE AL GIORNO di lavoro 
  -L'OBBLIGO di stare sempre in piedi nonostante la fatica 
  -SALARI BASSI 
  -LA CONDIZIONE DELLE APPRENDISTE che spesso vengono licenziate quando raggiungono 
  l'età in cui dovrebbero passare di ccategoria. 
SU QUESTO SI FONDA LA SOCIETA' DEI CONSUMI
Ma la rabbia degli fruttati cresce: gli operai, i braccianti, 
  i contadini, gli studenti, ed ora anche i commessi, scendono in lotta. Il padrone, 
  come è successo all'Omnia, ricorre al ricatto, all'intimidazione, tenta 
  di isolare gli operai, promette aumenti ai crumiri, VEDE VACILLARE IL SUO POTERE 
  E I SUOI ALTI PROFITTI NATALIZI. 
  Rispondiamo alle manovre del padrone organizzandoci, collegandoci, discutendo 
  perché lo sciopero di sabato segni l'inizio di una lotta continua contro 
  lo sfruttamento. 
NESSUN CRUMIRO ALLO SCIOPERO DI SABATO 
  GLI STUDENTI SONO CON LA LOTTA DEGLI OPERAI E DEI COMMESSI 
comitato di base studenti-operai dell'Omnia 
PERCHE L'INCHIESTA ?
Perché un gruppo di operai e medici ha preso l'iniziativa 
  di cominciare un lavoro di inchiesta medica nelle fonderie in relazione all'ambiente 
  di lavoro ed all'organizzazione di esso all'interno della fabbrica? 
  Vediamo come viene "salvaguardata" oggi la salute degli operai sul 
  posto di lavoro. Da una parte l'unica proposta davanti alle richieste degli 
  operai è la pura monetizzazione del rischio; dall'altra, quando un operaio 
  si ammala, ha a sua disposizione l'Enpi, l'Inail o il medico della mutua; tutti 
  questi enti ed i medici che vi lavorano sono totalmente al servizio del padrone 
  e la loro unica preoccupazione è quella di "curare" l'operaio 
  non tanto per farlo guarire ma perché possa continuare ad essere produttivo 
  il più possibile. Infatti viene riconosciuta invalidità permanente, 
  ad esempio per la silicosi, solo quando l'operaio, continuando a lavorare in 
  fabbrica, rischierebbe di morirci (al padrone non piace che l'operaio gli muoia 
  dentro al fabbrica: è meglio che tiri le cuoia appena fuori dai cancelli 
  così si potrà dire che c’é stata una "morte 
  in itinere" che significa, al di là delle parolone, che il padrone 
  in questo caso non avrà delle grane!!!) 
  Ora: le lotte dell'autunno scorso ci hanno insegnato che il problema per l'operaio 
  non Š di contrattare qualche lira in più col padrone, ma che le 
  richieste da fare sono quelle che tendono a far acquistare maggiore potere in 
  fabbrica; questo significa, ad esempio, attaccare tutti i sistemi di incentivazione 
  (cottimo, qualifiche, premio di produzione, ecc.) e proporre in alternativa 
  l'autodeterminazione dei tempi di lavoro, fatta cioè dagli operai stessi. 
  
  La nostra iniziativa va nella stessa direzione. 
  Oggi si parla di riforma sanitaria: ma nessuna riforma sarà tale, cioè 
  in grado di garantire davvero la pratica di un nuovo tipo di medicina che non 
  solo curi, ma che soprattutto prevenga le malattie: infatti le persone (come 
  è scritto anche sulla costituzione in uno dei tanti articoli rimasti 
  inoperanti (il 32)!!) hanno il diritto alla salute. Cosa significa attuare quanto 
  è stato detto? Significa che le malattie si eliminano andando a scoprire 
  le cause vere che sono poi la realtà del lavoro in fabbrica così 
  come è fatto oggi. Significa inoltre che i delegati e gli operai in genere 
  che hanno acquistato una nuova autonomia durante le lotte dell'autunno, si assumono 
  anche la funzione medica e cominciano a rendere operante il diritto alla salute, 
  sia conquistando un ambiente di lavoro meno bestiale sia un nuovo modo di lavorare 
  che non è più determinato dalle esigenze produttive del padrone. 
  La riforma sanitaria non c’é ancora. Cominciamo a farla noi partendo 
  dalla causa prima delle nostre malattie: l'organizzazione del lavoro nella fabbrica 
  del padrone. 
da: La scintilla, giornale degli operai delle fonderie-comitato 
  medici, studenti, operai Fiom-Cgil, N. 1 s.d. 
I PROBLEMI DELL'UNITA' TRA STUDENTI E OPERAI 
  Una dichiarazione di un rappresentante del movimento studentesco
Durante l'ultima fase di lotta, il movimento studentesco si 
  è venuto sempre più chiarendo come movimento eversivo nei confronti 
  dell'intero sistema capitalistico nell'individuazione della crisi attuale dell'università, 
  non come circoscritta o circoscrivibile, non risolvibile con riassestamenti 
  e riforme ma radicata nella logica stessa di sviluppo del capitalismo. Per questo 
  l'analisi della contraddizione antagonistica che si esplica nelle università 
  tra espropriazione intellettuale ad opera delle esigenze del capitale e formazione 
  intellettuale e professionale in grado di intervenire per dominare la logica 
  del processo e della organizzazione capitalistica è specifico del sistema 
  vigente e in esso non risolvibile. 
  La lotta studentesca presa coscienza del proprio contenuto anticapitalistico 
  ed antimperialistico esce necessariamente dall'ambito dell'università 
  per rivolgersi contro il sistema, esce dagli atenei per confrontarsi con l'autoritarismo 
  sociale che è presupposto dell'autoritarismo accademico, per misurarsi 
  autonomamente con le altre forze politiche e sociali, in primo luogo con la 
  classe operaia. 
  L'identificazione tra studente e proletario, il discorso della costituzione 
  di un partito degli studenti sono assurde teorizzazioni ampiamente dibattute 
  e superate dal movimento studentesco che, nello sforzo di una autodefinizione 
  scientificamente fondata, è giunto ad un'analisi della figura sociale 
  dello studente nel rapporto con le forze produttive che lo individua solo in 
  un rapporto organico con il proletariato proprio perché è con 
  esso che può esprimere tutta la sua potenzialità contestativa. 
  
  In Francia gli studenti hanno divaricato una contraddizione, iniziato una lotta 
  che solamente la classe operaia ha potuto continuare. 
  Alla Fiat, a Valdagno, gli studenti sono stati al fianco degli operai nella 
  lotta e colpiti assieme nella repressione. 
  In tutta Italia il movimento studentesco sviluppa questo rapporto di comunicazione 
  (volantini, giornali, discussioni) e di azione comune (picchettaggio studentesco 
  agli scioperi, partecipazione operaia a manifestazioni studentesche). 
  Queste esperienze che probabilmente non sono uscite ancora totalmente dall'ambito 
  solidaristico sono in definitiva uno stimolo per affermare prima di tutto un 
  rapporto corretto tra movimento studentesco e classe operaia che avvenga nel 
  processo reale della lotta di classe. 
  Da questo punto di vista risultano quindi in definitiva sbagliate tutte quelle 
  posizioni, espresse anche da organizzazioni sindacali, che non comprendono la 
  logica politica del movimento studentesco si trovano sempre nella mistificante 
  alternativa tra richiedere al movimento studentesco di appiattire la propria 
  strategia politica in termini sindacali o di respingere burocraticamente l'unità 
  tra operai e studenti. 
  Il dibattito e soprattutto la prassi reale del movimento permettono, riteniamo, 
  livelli più elevati di lotta e di unità. 
da: La Voce dei lavoratori, organo della Camera Confederale 
  del Lavoro di Bologna e Provincia, 30 Giugno 1968 
ASSEMBLEA FRA OPERAI E STUDENTI A SANTA VIOLA
  Lunedì 17 Marzo si è svolta presso al sede della Fiom di S. Viola 
  una assemblea generale di operai e di studenti. L'assemblea Š nata dalla 
  comune volontà di realizzare una miglior conoscenza reciproca fra il 
  movimento operaio e quello studentesco, al fine di superare le possibili incomprensioni 
  e divisioni e di rispondere in maniera ferma e unitaria al piano di repressione 
  padronale e poliziesca in atto nel paese. 
  Da parte studentesca si è sottolineato: 
  1) Il rifiuto di qualsiasi riforma della scuola intesa a modernizzare le attuali 
  strutture scolastiche solo in funzione di una loro maggiore capacità 
  di formare dirigenti in grado di gestire al massimo lo sfruttamento capitalistico. 
  La scuola di classe (di classe non solo per la selezione classista ma soprattutto 
  per la funzionalizzazione al profitto) è l'espressione della società 
  capitalistica: solo la lotta contro i rapporti capitalistici di produzione può 
  eliminare le strutture classiste della scuola. 
  2) Il rigetto del piano del capitale volto a dividere movimento studentesco 
  e movimento operaio per poter meglio sconfiggere separatamente prima l'uno e 
  poi l'altro. Attraverso la carota delle riforme e il bastone della repressione 
  poliziesca si cerca di rinchiudere gli studenti dentro le Università 
  e gli operai dentro le fabbriche, ricacciando il movimento di classe in rivendicazioni 
  settoriali e corporative. 
  3) La necessità di una forte risposta che accentui il momento politico 
  dell'organizzazione comune di base capace di unire studenti e operai nella lotta 
  contro il padronato e l'apparato repressivo dello Stato borghese. Perciò 
  gli studenti devono collegarsi con le fabbriche e gli operai con le Università 
  per dare vita a comuni organismi di lotta. 
  Da parte operaia si è rilevato: 
  1) L'evoluzione positiva del movimento operaio da lotte generali e distanziate 
  nel tempo a lotte in cui si alternano il momento articolato a livello di azienda 
  e il momento unificatore generale (pensioni, zone, contratto), con una continuità 
  di iniziative che eleva la coscienza di classe dei lavoratori allargando il 
  terreno di scontro con il padronato ad ogni aspetto del rapporto di lavoro. 
  Superando i verticismi del passato, la base operaia si sta avviando verso la 
  piena autogestione della lotta di classe. Attraverso strumenti di democrazia 
  diretta come l'assemblea, le commissioni di controllo, l'organizzazione capillare 
  di reparto e di linea, si sta realizzando un'impetuosa crescita del contropotere 
  operaio su tutte le componenti del rapporto di lavoro: difesa della salute, 
  controllo dei ritmi, contrattazione dei cottimi con tendenza a inglobarli nella 
  paga base, riduzione dell'orario con più tempo libero, controllo della 
  produzione attraverso premi collegati ad essa, gestione delle proprie capacità 
  di lavoro contro la dequalificazione padronale, affermazione dei diritti sindacali 
  e politici all'interno della fabbrica. 
  2) Il movimento operaio rifiuta la chiusura nel solo momento sindacale e vuole 
  raccogliere i frutti politici delle proprie lotte. Esempi: le rivendicazioni 
  salariali possono mettere in crisi il sistema politico (vedi il maggio francese); 
  il rallentamento volontario dei ritmi manda in aria il piano capitalistico di 
  produzione (vedi gli scioperi della Pirelli); gravi contraddizioni della società 
  capitalistica italiana come la disoccupazione, la spirale inflazionistica salari-prezzi, 
  le crisi economiche periodiche, l'arretratezza dei servizi sociali, le differenze 
  tra Nord e Sud, la struttura classista della scuola sono risolvibili solo nella 
  prospettiva di un reale potere politico della classe operaia. 
  3) Il movimento studentesco sta superando certi errori iniziali (il rivoluzionarismo 
  generico, la proposizione di modelli teorici astratti, l'avventurismi politico, 
  l'estraneità alla reale condizione operaia, le esercitazioni intellettualistiche 
  sulle tattiche e strategie sindacali) per sviluppare gli aspetti positivi della 
  sua esperienza di lotta: il vigore con cui è riproposto l'ideale socialista 
  e vien combattuto ogni riformismo; il rifiuto dell'Università come luogo 
  di produzione delle classi dirigenti neocapitalistiche; la politicizzazione 
  radicale delle masse studentesche; l'esercizio di forme avanzate di democrazia 
  diretta. 
  Ma soprattutto positiva è la ricerca del contatto con la classe operaia, 
  di cui il movimento studentesco riconosce sempre più il ruolo principale 
  nella lotta contro il capitalismo. 
  4) Comune a studenti e operai deve essere la ricerca di obiettivi intermedi 
  rivoluzionari capaci di evitare il riformismo nella battaglia per l'affermazione 
  del socialismo. L'unico criterio di validità di tali obiettivi Š 
  costituito dalla nascita e dall'estensione di contropoteri di classe nelle fabbriche, 
  nelle scuole e nella società intera. 
  L'incontro si è concluso con l'indicazione di alcuni strumenti pratici 
  per rendere continuo e sempre più intenso il lavoro comune, allo scopo 
  di raccogliere e stimolare la spinta politica delle lotte operaie e studentesche: 
  inchieste nelle fabbriche, comitati unitari di base, assemblee generali di studenti 
  e operai...A un prossimo incontro Š stata affidata la definizione di queste 
  iniziative comuni, nei loro rapporti con le organizzazioni sindacali e politiche. 
  Tirando le somme, non si è trattato di una bella discussione accademica, 
  ma di un primo importante contatto generale basato su grosse esperienze di lotta. 
  Ed Š proprio nell'intensificarsi della lotta di classe che l'unione fra 
  studenti e operai potrà diventare più stretta e generare gli strumenti 
  organizzativi di base più adatti. 
da: L'Informatore metallurgico, Aprile 1969 
  
  PERCHE STUDENTI E OPERAI UNITI ?
  La possente manifestazione e il corteo che, formatosi spontaneamente, ha percorso 
  le vie della città, come risposta chiara e ferma alla politica repressiva 
  dei padroni e dello stato borghese, ha sancito, una volta per tutte, che esiste 
  unità nella lotta tra la classe operaia, gli studenti e tutte le forze 
  che si muovono in una logica anticapitalistica. Man mano che il corteo si snodava, 
  lungo le vie della città, in ognuno di noi nasceva la consapevolezza 
  della propria forza. Migliaia di studente ed operai uniti scandivano slogan 
  contro la violenza e la repressione padronale, esercitata mediante lo strumento 
  di sempre: la polizia. 
  Una tale manifestazione di forza e di unità non si è venuta a 
  creare improvvisamente; in realtà è stato il risultato di uno 
  sforzo costante della ricerca di un terreno di lotta comune, portato avanti 
  sia dagli studenti che dagli operai. 
  Da parte del movimento studentesco si conduce da molti mesi un lavoro costante 
  e capillare, lavoro svolto da vari gruppi, in molte fabbriche ed in alcuni quartieri. 
  
  Da parte operaia vi è stato uno sforzo per superare le divisioni con 
  gli studenti (vere o false che fossero) portandole sul terreno concreto della 
  reale condizione operaia in fabbrica e, in generale, dei problemi della classe 
  operaia. 
  Lo sviluppo politico della maggior parte degli studenti è avvenuto in 
  generale dentro l'università e le scuole. Non ci siamo mossi da posizioni 
  astratte e per questo irreali, ma da evidenti contraddizioni esistenti nella 
  struttura scolastica. Lo stato di disagio era generale e diffuso anche fra chi 
  non poteva (o non voleva) ragionare in termini di classe. I problemi andavano 
  dalle aule numericamente insufficienti e anguste, ai testi costosissimi, al 
  senso di impotenza che ognuno di noi sentiva il più delle volte in maniera 
  non cosciente. Nasceva in questo frangente una avanguardia la cui coscienza 
  politica era più matura. Il primo ostacolo, che doveva essere immediatamente 
  superato, era l'assenteismo e la diffidenza della gran massa degli studenti. 
  Assenteismo e diffidenza, favoriti proprio da quegli organismi corporativistici 
  che erano, apparentemente, la tutela degli interessi studenteschi, ma costituivano 
  un ostacolo, una presa di coscienza ampia e profonda. Il motivo fondamentale 
  consisteva nel fatto che questi organismi erano l'eco delle strutture partitiche 
  nazionali, con tutte le divisioni partitiche tradizionali (l'Orub non era che 
  un piccolo parlamento). Queste strutture verticistiche non sapevano cogliere, 
  per loro natura, le istanze della base e si limitavano ad amministrare i falsi 
  bisogni della massa, favorendo così le divisioni corporativistiche volutamente 
  esistenti nell'ambito universitario. La riprova che questi organismi erano uno 
  strumento, in mano ai baroni delle cattedre, era l'approvazione ed il compiacimento 
  eccessivo che il senato accademico mostrava nei loro confronti. 
  A questo punto gli studenti politicamente più maturi, hanno lanciato 
  una serie di parole d'ordine, che erano l'autentica voce della base, con la 
  lotta contro questi falsi tutori, ed ha permesso la nascita di momenti di discussione 
  collettiva: le assemblee; qui ogni istanza era direttamente manifestata e raccolta. 
  
  Quale era lo stile con cui l'assemblea procedeva? Il singolo studente portava 
  il resoconto della propria situazione, dei propri problemi e richiedeva a chi 
  in quel momento dirigeva la discussione una soluzione immediata. La risposta 
  a questa richiesta non era data da uno solo, il quale aveva la possibilità 
  di capire e risolvere questi problemi, ma tutti dovevano trovare la soluzione 
  migliore che era oggettivamente comune. 
  La prima cosa era chiedersi il perché di certe situazioni, scoprirne 
  la parentela con altre, la radice comune del disagio, ed infine gli strumenti 
  per affrontarli efficacemente. Si scopriva così che il male comune era 
  il distacco tra la teoria e la pratica, ogni nostra intuizione quindi doveva 
  essere continuamente verificata con la pratica. 
  Così si prendeva coscienza dei nostri problemi e del metodo politico, 
  che ci permette ora di scoprire come si articola la società in cui viviamo: 
  la dialettica. 
  Il salto qualitativo e quantitativo del Movimento Studentesco è stato 
  quindi rapido, ed il nostro discorso immediatamente politico. L'università 
  nell'attuale società è concepita come macchina produttrice e selettrice 
  (esami) di tecnici pronti a calare in massa nelle fabbriche, nelle scuole, nei 
  posti di lavoro, per continuare in maniera più efficace lo sfruttamento 
  nei confronti della classe produttrice. Abbiamo capito che quello che ci viene 
  insegnato non Š una scienza neutra, ma una scienza al servizio del padrone. 
  Da dove vengono le malattie? I nostri professori dicono dal cielo o dai microbi; 
  ma noi diciamo che le malattie nascono dallo squilibrio tra uomo e natura, dalle 
  condizioni malsane, dalla vita caotica e alienante, in una parola, dai rapporti 
  di produzione. 
  A cosa serve la macchina? Non ci viene detto, ma noi sappiamo che serve, non 
  ad affermare la forza dell'uomo sulla natura, ma ad aumentare il ritmo produttivo 
  a scapito dell'integrità psicofisica del lavoratore, pertanto lo sfruttamento 
  dei padroni sulla classe operaia. Gli studenti hanno così capito, che 
  questi problemi investono non solo la struttura universitaria ed in generale 
  la scuola, ma anche la società nel suo complesso, cioè dell'intera 
  struttura capitalistica del Paese. 
  Da ciò Š nata la necessità di unirsi con quelle forze che, 
  per la loro stessa natura, sono in lotta contro il potere capitalistico: la 
  classe operaia. Nel momento dell'incontro effettivo, il contributo degli studenti 
  si Š concretizzato nel riproporre costantemente le caratteristiche di fondo 
  del Movimento Studentesco. Il rifiuto della delega, la necessità di investire 
  direttamente la base, quindi di responsabilizzare tutti, allo scopo di dare 
  ad ogni problema una risposta collettiva e per questo reale, ha posto il Movimento 
  Studentesco in una logica antistituzionale, questo perché ci muoviamo 
  in una società che per mezzo delle sue istituzioni cerca di dividerci. 
  
  Nascevano così una serie di strumenti politici: gruppi di studio, discussioni 
  collettive, ecc. affinché persone responsabili e coscienti fossero in 
  grado di esprimere una serie di soluzioni da verificare costantemente nella 
  pratica. 
  Questa esigenza creativa di nuove forme di lotta è stata espressa ultimamente 
  anche dalla classe operaia. La lunga e vittoriosa lotta della Pirelli (ripresa 
  in questi giorni) è una conferma della volontà politica degli 
  operai, il crollo del mito Marzotto come simbolo di collaborazione fra operai 
  e padronato. 
  Pertanto operai e studenti capiscono sempre più che se anche le battaglie 
  sono apparentemente diverse e quindi diverse le armi, il nemico è comune 
  e quindi comune è la lotta. 
da: Lo smeriglio, s.d. 
RESPINGERE LE PROVOCAZIONI
La Fiom-Cgil ha sempre considerato con il massimo rispetto 
  ed il più ampio interesse la lotta che il movimento studentesco conduce 
  consapevolmente per la riforma, in senso democratico, della Università 
  e della scuola in generale. 
  Una grande organizzazione di lavoratori non può non apprezzare una battaglia 
  tesa ad affermare il diritto allo studio la cui realizzazione Š oggi ostacolata 
  dal carattere classista della scuola italiana; d'altra parte l'autoritarismo 
  accademico contro cui si manifesta la contestazione degli studenti, ha dei legami 
  solidi e profondi con l'autoritarismo padronale che i lavoratori devono affrontare 
  nelle loro battaglie sindacali. Il rinnovato impegno che i giovani oggi manifestano, 
  le conquiste ottenute con la lotta e l'acquisizione di una profonda consapevolezza 
  intorno alla natura dello scontro in atto e al ruolo importante che essi possono 
  ricoprire per l'evoluzione della società, aprono prospettive di notevole 
  respiro per l'immediato futuro. 
  Inserito nel processo produttivo, il giovane diplomato o laureato di domani 
  non sarà, come troppo spesso avviene ora, subordinato alla logica e alla 
  ideologia del padronato, ma sarà aperto alle battaglie che il movimento 
  sindacale conduce, proprio perché avrà contribuito a modificare 
  un certo tipo di scuola predisposta secondo i fini dei gruppi imprenditoriali, 
  proprio perché avrà lottato per raggiungere questi obiettivi. 
  
  Pertanto, la Fiom ritiene che, nel più rigoroso e reciproco rispetto 
  della propria autonomia, tra il movimento sindacale e il movimento studentesco 
  siano possibili confronti di esperienze e di idee, intese non soltanto solidaristiche, 
  ma concrete per obiettivi comuni. L'azione rivendicativa del sindacato, infatti, 
  rischia di divenire sterile e scarsamente incisiva se non si collega anche ad 
  una battaglia per le riforme di struttura, tra le quali si impone la battaglia 
  per la riforma della scuola e dell'insegnamento. Dall'altro canto, la battaglia 
  del movimento studentesco può trarre utili esperienze dal patrimonio 
  di lotte, ormai ventennale, del sindacalismo italiano. Del resto le radici del 
  potere accademico si affondano nello stesso terreno di quelle del potere economico. 
  
  Ciò premesso la segreteria provinciale della Fiom-Cgil ritiene doveroso 
  esprimere la propria opinione nei confronti di poche decine di provocatori che 
  contrabbandando, troppo spesso, la propria azione con quella del movimento studentesco, 
  svolgono, da tempo, una attività di disturbo delle lotte sindacali. 
  Trattasi di personaggi, ormai da tutti conosciuti, i quali a volte si celano 
  sotto il nome di "Potere Operaio" quando non usano l'emblema suggestivo 
  di "Movimento studentesco"; la loro azione Š costantemente tesa 
  a screditare la politica che i sindacati (la Cgil in primo luogo) portano avanti, 
  a distorcerne i contenuti e a sviarne le iniziative. In molti di loro tale atteggiamento 
  Š soltanto il frutto di un sordo rancore verso la Cgil o i partiti operai, 
  nei quali hanno militato e dai quali sono stati emarginati. 
  finora la segreteria della Fiom provinciale aveva ritenuto di tollerare queste 
  provocazioni, nel preciso intento di non fare a questi personaggi una pubblicità 
  non meritata e nella consapevolezza della maturità della nostra categoria 
  che Š in grado di giudicare come meritano i provocatori. 
  Ora però la loro sfrontatezza ha raggiunto il colmo della misura e i 
  metalmeccanici si trovano impegnati in una dura lotta per affermare i propri 
  diritti contro l'intransigenza oltranzista del padronato. Non si possono quindi 
  ulteriormente tollerare azioni di disturbo. Pertanto la segreteria provinciale 
  della Fiom-Cgil invita tutti i propri attivisti a respingere decisamente, in 
  ogni occasione, le provocazioni di questi ben individuati gruppi estremisti 
  che niente hanno a che fare col movimento studentesco e li diffida dal proseguire 
  in una azione irresponsabile che, per la confusione che crea, può soltanto 
  servire al gioco del padronato. 
da: L'Informatore metallurgico, Giugno 1968 
UN'INDAGINE NELLA FABBRICA PANCALDI
La patologia alla Pancaldi è soprattutto di origine 
  psicosomatica. Sono state interrogate 107 operaie (di cui 3 operai), di cui 
  38 ai nastri, 36 allo stiro, 3 alle spedizioni e 30 al taglio. 
  Tratteremo la patologia delle operaie nei vari reparti in modo quasi esclusivamente 
  unitario in quanto i disturbi sono sostanzialmente omogenei. 
  Cominciamo a trattare prima di tutto i sintomi tipicamente nevrotici: 
1) Alvo: 49 stitiche; 55 normali; 3 diarroiche. 
  Vi Š quindi una frequenza del 50% circa in quel che riguarda i disturbi 
  dell'alvo. Tre sono i fattori causali da prendere in considerazione: 
  a) Il pasto di mezzogiorno fatto in condizioni particolarmente disastrose. 
  b) La impossibilità, per i ritmi continui che non lo permettono, di recarsi 
  al gabinetto. 
  c) La stitichezza è uno dei sintomi più frequenti e tipici della 
  nevrosi. Dal momento che nel reparto taglio, in cui vi è relativa possibilità 
  di andare al gabinetto regolarmente la stitichezza colpisce le operaie praticamente 
  nella stessa percentuale del 50%, è possibile escludere il fattore b). 
  Restano validi il 1° e il 3° fattore; siccome le operaie sono stitiche 
  croniche (cioè anche la domenica e costantemente) possiamo affermare 
  che questo sintomo (caratteristico, come abbiamo detto, della patologia psicosomatica) 
  deriva dalla tensione nervosa cui sono costantemente sottoposte le operaie (parleremo 
  alla fine di quelle che possono essere, nella organizzazione del lavoro, le 
  cause della tensione nervosa e quindi delle somatizzazioni). 
2) Diuresi: tutte sono costrette a trattenere in quanto i ritmi sono veloci e costanti e non permettono di soddisfare questa esigenza fisiologica. Solo accelerando il lavoro è possibile (quindi anche accumulando casse che sono poi completate alla fine del lavoro), ma questo provoca in quasi tutte le operaie difficoltà di minzione (bruciori) e diminuzione della diuresi stessa (gocce). Oltre alla obbligata ritenzione, causa di questo disturbo è senz'altro anche la tensione nervosa delle operaie che, per non perdere tempo e per i rimproveri delle capo-reparto, devono affrettare queste funzioni.
3) Mestruazioni: su 107, 27 sono irregolari, 12 con dolore e 68 normali. La percentuale è di circa il 30%. Anche di questo sintomo occorre dire che è caratteristico della patologia psicopatica, in quanto tensione psichica, ansie ecc. provocano disturbi della sfera endocrina responsabili di dismenorrea ecc.. E' utile per confermare questo dato l'affermazione di alcune operaie che hanno notato la coincidenza tra l'inizio dei disturbi e l'inizio del lavoro in fabbrica. Allo tiro si aggiunge anche il calore (d'estate insopportabile), la posizione costantemente eretta (molte si sentono venir giù la pancia), e la necessità di manovrare pedali, ecc.. Allo stiro infatti 12 su 36 soffrono di questi disturbi, ma se vogliamo considerare che ai nastri sono 18 su 30 e al taglio 9 su 30 possiamo affermare che il primo fattore (tensione nervosa) è il maggior responsabile di questo sintomo.
4) Dolori toracici, dispnea, tachicardia 
  Dispnea: 34; dolori toracici: 18; tachicardia: 39 
  Questi sintomi sono caratteristicamente di origine nervosa (difficoltà 
  di respiro, dolori toracici sono i tipici sintomi della cosiddetta distonia 
  neuro-vegetativa). La tachicardia insorge soprattutto, come affermano le operaie, 
  in seguito ad emozioni di cui sono responsabili le capo-reparto particolarmente 
  severe (soprattutto ai nastri si verifica questo, cioè nei reparti dove 
  le capo-reparto sono più numerose e più vigili: "Quando vedo 
  venire la capo-reparto, oppure mi sorveglia mi viene il batticuore”). 
5) Digestione: cattiva: 61; normale: 46. 
  Fra le 61 i sintomi più comuni sono: nausea (20), vomito (6), bruciori 
  (38), dolori (23), senso di peso (35), molte operaie soffrono più di 
  un sintomo. 
  Fra le cause possiamo ancora una volta prendere in considerazione: 
  a) Mensa inesistente e quindi qualità e quantità del pasto insufficienti. 
  
  b) Scarsezza del tempo a disposizione. 
  c) Tensione nervosa. 
  Se teniamo conto del fatto che molte operaie praticamente non mangiano a mezzogiorno 
  in quanto (ho un nodo nello stomaco, non va giù nulla) possiamo affermare 
  che oltre alle prime due cause, molta importanza assume il fattore tensione 
  psichica prima dell'ora di pranzo o l'ansia causata dalla necessità di 
  riprendere lo tesso lavoro un'ora dopo. 
6) Vertigini, svenimenti, mal di testa. 
  Vertigini: 41; svenimenti: 11; mal di testa: 64. 
  Questi sintomi (vertigini 50%, mal di testa 60%) sono maggiormente sentiti ai 
  nastri, reparto ove la tensione è particolarmente forte, e di conseguenza 
  anche la sintomatologia è massima (fino agli svenimenti). Mali di testa, 
  vertigini, svenimenti, questi ultimi sono a carattere isterico, cioè 
  la muscolatura è tesa durante lo stato di incoscienza e non rilassata. 
7) Sonno: 40 dormono male, cioè fanno fatica ad addormentarsi, si vegliano di notte, dormono poco.
8) Come si considera: tranquillo oppure nervoso e ansioso. 
  
  88 si considerano nervose e ansiose sia fuori che dentro la fabbrica (soprattutto 
  durante e dopo il lavoro). 
  Le cause dichiarate sono: 
  1) ritmi di lavoro: 
  2) rapporti interni; 
  3) stanchezza; 
  4) ansia per il lavoro; 
  5) paura di sbagliare. 
9) Malattie più frequenti durante il lavoro: 
  gastriti 18 
  coliti 7 
  ulcere 3 
  esaurimenti nervosi 10 
Quindi più di 1/3 con somatizzazioni evidenti e diagnosticate. 
  
  Questi sintomi inoltre non si hanno solo nelle fabbriche ma anche al di fuori, 
  cioè la tensione nervosa viene trasportata poi nei rapporti con gli altri 
  e nella famiglia con tutto ciò che ne consegue (rapporti tesi coi figli, 
  col marito, ecc.). Questo è aggravato dal fatto che la maggior parte 
  delle operaie (39) impiegano più di 1 ora per recarsi al lavoro e quindi 
  il tempo da dedicare alla famiglia viene ulteriormente limitato e la tensione 
  nervosa viene aggravata dalla necessità di volgere i lavori domestici. 
Si aggiungono a questi sintomi nervosi altri che derivano dalla faticosità del lavoro stesso e dalla condizione disagevole dei servizi.
I) Variazioni di peso e di appetito: 
  57 operaie hanno avuto variazioni di peso: di queste 35 sono diminuite e 22 
  sono aumentate; 
  37 operaie hanno avuto variazioni di appetito. 
  Per questi due sintomi intimamente correlati vedi "alvo" all'inizio. 
II) Gonfiore alle caviglie e varici: 
  65 operaie soffrono di questo sintomo, ma al percentuale più alta si 
  verifica allo tiro (28 su 39), ove alla posizione eretta si aggiungono come 
  fattori causali l'alta temperatura e la pressione sui pedali e al taglio per 
  la posizione eretta per un tempo troppo lungo e senza pausa; 
  38 operaie presentano varici, per questo sintomo vale lo stesso discorso. 
III) Dolori muscolari: 
  a) limitazione della possibilità di muoversi; 
  b) tumefazioni articolari: 
  69 operaie presentano dolori muscolari con localizzazione più frequente 
  alle spalle, tronco, braccia, gambe (questi si hanno soprattutto allo stiro 
  per l'uso di attrezzi pesanti). 
  Occorre dire però che sono molto frequenti anche ai nastri (24 su 38) 
  dove sono più evidenti le limitazioni della possibilità di muoversi 
  (11 su 22) che presentano questo sintomo e le tumefazioni articolari (11 su 
  18). Questi sintomi derivano soprattutto dalla necessità di ripetere 
  gli tessi movimenti per un tempo troppo lungo in posizioni scomode, senza un 
  attimo di sosta. 
IV) Udito: 
  L'intenso rumore provocato da centinaia di macchine in azione produce un rimbombo 
  che "fa scoppiare la testa". Questo fattore oltre a provocare diminuzioni 
  di udito (8 operaie di cui 4 ai nastri, 2 al taglio e 2 allo stiro) provoca 
  ronzii che si prolungano anche dopo il lavoro (28) e sono inoltre un fattore 
  aggravante la tensione nervosa. 
  A questo fattore, sono poi ingiustificatamente esposte le operaie degli altri 
  reparti, in quanto nessuna divisione è stata realizzata fra esse. 
V) Vista: 
  La luce al neon provoca disturbi alla vista e le polveri che vengono liberate 
  dalle stoffe sintetiche sono responsabili di ben 28 casi di congiuntivite e 
  di altri casi di allergia. 
VI) Infortuni: 
  16 casi tra bruciature, tagli e infissione dia aghi nelle dita. Sono più 
  frequenti in alcune ore del giorno ed esattamente nella prima ora dopo la ripresa 
  pomeridiana del lavoro. 
I disturbi di ordine esclusivamente fisico sono dovuti, come 
  abbiamo accennato, alla necessità di restare in piedi costantemente, 
  oppure in posizioni scomode per molte ore al giorno, e a ritmi eccessivi. Si 
  vuol dire cioè che la posizione scomoda assunta durante il lavoro è 
  aggravata da due fattori: 
  1) durata del tempo lavorativo; 
  2) ritmi eccessivi. 
  Le 8 ore al giorno (9 al lunedì a cui si devono aggiungere le ore per 
  terminare il lavoro accumulato) con ritmi che non permettono di cambiare posizione 
  sono in gran parte responsabili o aggravanti dei disturbi alla posizione e ai 
  movimenti durante il lavoro. Ma questi disturbi passano decisamente in secondo 
  ordine di fronte ai primi sintomi che abbiamo commentato: ovvero quelli nervosi. 
  Un esame del lavoro può esserci molto utile per spiegare la forte tensione 
  nervosa responsabile di questi sintomi che, secondo le affermazioni delle operaie, 
  sono i più fastidiosi e fanno passare decisamente in seconda linea quelli 
  prima ricordati. 
  Il nastro ha frammentato il lavoro in tante singole operazioni ripetute per 
  8 ore, monotone, con ritmi eccessivi. Questa frammentazione oltre a non rendere 
  soddisfacente il lavoro, in quanto non si impara un mestiere (come affermano 
  molte operaie dopo 8 anni non sono capaci di confezionare una intera camicia), 
  è responsabile della monotonia e della ripetitività; infatti si 
  deve svolgere, con i movimenti sempre fissi, una stessa operazione per 8 ore, 
  senza che vi sia un attimo di sosta (la cassetta vuota che ogni tanto viene 
  fatta passare è un inganno in quanto o segnala il cambiamento del tipo 
  di stoffa, e quindi la necessità per le operaie di cambiare i rocchetti, 
  oppure di finire il lavoro accumulato). 
  La ripetitività e la monotonia sono due fattori che di per sé 
  portano ad un rilassamento e ad una diminuzione dell'attenzione, mentre in questo 
  lavoro il ritmo continuo e la paura di sbagliare impongono un'attenzione costante, 
  spasmodica (accresciuta inoltre dalla caporeparto attraverso rimproveri e multe), 
  possiamo affermare che i disturbi nervosi in fabbrica sono essenzialmente dovuti 
  a questi fattori: 1° frammentazione del lavoro in tante singole operazioni 
  fisse; 2° ritmi eccessivi che con la frammentazione del lavoro concorrono 
  ad aggravare sia la ripetitività, sia la monotonia, quindi l'eccessivo 
  sforzo del lavoro; 3° presenza del controllo autoritario e per niente facilitante 
  della caporeparto; 4° l'orario di lavoro troppo lungo. 
A questi si aggiungono tutti i disturbi fisici prima ricordati, 
  dovuti alla posizione, ai movimenti nel lavoro, al rumore, alla polvere, eccetera, 
  cui sono ingiustificatamente esposte tutte le operaie. Questi dati si basano 
  tutti sulle affermazioni delle operaie ottenute in una serie di colloqui e non 
  ad una visione diretta del luogo di lavoro (questo è dovuto principalmente 
  al padrone che non permette die entrare in fabbrica ed alla inefficienza di 
  un medico di fabbrica la cui funzione rimane costantemente di tipo burocratico-carcerario). 
  
  Ciò potrebbe creare dubbi sulla effettiva validità della ricerca, 
  ma ciò è errato in quanto i disturbi psicologici e psicosomatici 
  difficilmente sono rilevabili obiettivamente; è chiaro dunque che in 
  queste condizioni le affermazioni delle operaie sono il dato principale per 
  aprire un discorso scientifico in quanto queste sono direttamente partecipi 
  al lavoro, le uniche a potere avvertire questi disturbi, le prime a potere direttamente 
  determinare le cause, le uniche aventi il diritto di convalidare o meno il lavoro 
  e di imporre quelle modifiche che ritengono necessarie. 
Un gruppo di studenti di medicina 
LA REPRESSIONE E L’ANTIFASCISMO
  CI MENANO !
Richiesta: libera assemblea in libera scuola. 
  Risposta: 43 feriti, 19 fermi, 1 arresto. 
  Gli studenti chiedono di poter usare liberamente strumenti di dibattito ed elaborazione 
  collettiva. 
  La democrazia borghese non lo può tollerare. 
Gli studenti si riuniscono per rivendicare un tale diritto 
  e manifestano. 
  La democrazia borghese reprime. 
I.T.I.S.: gli studenti occupano l'istituto e mentre pacificamente sgombrano vengono attaccati e picchiati a sangue dai baschi neri* in assetto di guerra.
ALBINI: le studentesse vengono cacciate brutalmente (alcune addirittura buttate giù dalle scale e portate al Rizzoli e al Policlinico).
GALVANI-FERMI-RIGHI-MANFREDI: intervento intimidatorio e repressivo di celere e baschi neri
I.T.I.S.: la lotta continua: proditoriamnete di notte la polizia sgombra l'Istituto, di giorno alla luce del sole gli studenti rioccupano pacificamente. Di nuovo la polizia interviene alle ore 6 con azione intimidatoria e violenta arrestando 16 giovani e segnalando minacciosamente molti manifestanti.
LA POLIZIA STAZIONA PERMANENTEMENTE NEI PRESSI DEI VARI ISTITUTI
La giusta lotta degli studenti medi è la risposta sempre più chiara e meglio organizzata alla violenza di istituzioni (Scuola, Stato) separate dalle masse e sulle quali le masse non possono volgere nessun controllo.
STUDENTI, LOTTIAMO PER ESERCITARE UNA VERA DEMOCRAZIA DI MASSA 
  
MOVIMENTO STUDENTESCO DI MATEMATICA E INGEGNERIA
* BASCHI NERI: Corpo speciale corazzato dei carabinieri creato 
  da De Lorenzo nel ’64 per colpi di Stato. 
COMPAGNI STUDENTI, COMPAGNI OPERAI
Ieri, 15 novembre 1968, IL POTERE ACCADEMICO, I PADRONI, hanno 
  gettato la maschera, hanno sciolto i loro cani da guardia. 
  Sono arrivate le "forze sane" dell'università tanto invocate 
  da ministri, rettori, benpensanti e giornali "indipendenti". 
  Un gruppo di "goliardi", 
  -FASCISTI PER L'AZIONE CHE HANNO CONDOTTO 
  -FASCISTI IN QUANTO RAPPRESENTANO LA REAZIONE ALLA GIUSTA LOTTA DEGLI STUDENTI 
  
  -FASCISTI IN QUANTO SOSTENUTI E PAGATI DAL POTERE ACCADEMICO 
  hanno cercato e cercano di impedire con la violenza lo svolgimento delle assemblee 
  degli studenti medi nelle facoltà occupate, le attività del Movimento 
  studentesco. 
PERCHE SONO INTERVENUTI OGGI?
PERCHE SOLO NELLE FACOLTA' OCCUPATE DAL MOVIMENTO STUDENTESCO GLI STUDENTI MEDI POSSONO TENERE QUELLE ASSEMBLEE INTOLLERABILI AL PROVVEDITORE, AGLI INFORMATORI DELLA QUESTURA, AI PADRONI DI SEMPRE
Vogliono creare tra gli studenti medi un clima di terrore, di confusione, di sbandamento? NON E' RIUSCITA LA POLIZIA. TANTO MENO RIUSCIRANNO QUESTI SQUALLIDI "GOLIARDI".
Questa sporca manovra è stata respinta.
L'UNITA' CHE SI E' TROVATA SPONTANEAMENTE DAVANTI ALLE FABBRICHE TRA STUDENTI E OPERAI CONTRO I PADRONI, SI E' RITROVATA SPONTANEAMENTE DAVANTI ALL'UNIVERSITA' CONTRO I SERVI DEI PADRONI.
La falsa neutralità del potere accademico è caduta nel momento in cui al posto della polizia -strumento tradizionale della repressione- sono stati fatti intervenire i fascisti -strumento storico della reazione.
BASTA CON L'UNIVERSITA' INTESA COME ISOLA FELICE DEGLI INTELLETTUALI 
  E DELLA SCIENZA "NEUTRA". 
  NON HA IMPORTANZA SE E' LA POLIZIA OD I FASCISTI A PICCHIARE 
  NON FA DIFFERENZA SE SONO GLI STUDENTI O GLI OPERAI A RISPONDERE 
Movimento studentesco Bolognese
Bologna 16 Novembre 1968 
  
  Avola, Siracusa, i braccianti sono in lotta per il contratto 
  provinciale, la polizia interviene a difesa del diritto di sfruttamento: 
DUE BRACCIANTI MORTI E QUARANTA FERITI
UNA ESECUZIONE DI MASSA
Ancora una volta sono degli fruttati ad essere uccisi, uomini 
  che non hanno diritti ma solo il diritto di essere sfruttati. 
  La giustizia borghese garantisce la vita, l'operaio, il bracciante vivono per 
  essere sfruttati, a chi si ribella la giustizia borghese garantisce solo LA 
  MORTE. 
  La morte Š venuta dalle fredde canne dei mitra: ogni poliziotto, ogni padrone, 
  ogni borghese, ogni sfruttatore, tutta una società organizzata per lo 
  sfruttamento dell'uomo sull'uomo, hanno premuto nello stesso momento lo tesso 
  grilletto, hanno ucciso, hanno fidato freddamente tutti gli sfruttati. 
  I BRACCIANTI, LA CLASSE OPERAIA STANNO ORGANIZZANDO LA LOTTA: domani SCIOPERO 
  GENERALE IN Sicilia, scioperi in centinaia di città d'Italia, 
  dopodomani SCIOPERO NAZIONALE DEI BRACCIANTI 
  saranno milioni coloro che raccoglieranno la bandiera di lotta macchiata in 
  Sicilia dal sangue dei caduti. 
  E' proprio quando la repressione colpisce più forte che l'unità 
  nella lotta è necessaria: alla violenza dell'apparato repressivo borghese 
  si risponde con la violenza proletaria. 
  IL MOVIMENTO STUDENTESCO CHIAMA TUTTI GLI STUDENTI A FIANCO DEI BRACCIANTI E 
  DELLA CLASSE OPERAIA, CHI NON VERRA' ALL'APPUNTAMENTO AVRA' SCELTO DI STARE 
  DALL'ALTRA PARTE 
ORE 10 ASSEMBLEA D'ATENEO IN CENTRALE
Volantino del Movimento Studentesco bolognese, s.d. 
I VERI I SOLI ASSASSINI SONO I PADRONI
14 morti e un centinaio di feriti sono il tragico bilancio 
  degli attentati di Milano e di Roma. Si tenta di addossare la colpa alle avanguardie 
  di classe delle fabbriche e delle scuole. La violenza degli fruttati non si 
  manifesta con la dinamite ma con la lotta di massa nelle fabbriche e nelle scuole. 
  
  LE BOMBE E GLI ASSASSINI POLITICI SONO LA TRISTE PREROGATIVA DELLE SQUADRE FASCISTE. 
Proprio quando la lotta di massa non può più essere fermata dagli strumenti tradizionali di controllo politico e da un piano riformistico del capitale, i padroni ricorrono alla estrema risorsa della violenza fascista, utile pretesto per sviare le lotte dai loro obbiettivi reali e per scatenare la repressione legalizzata sulle avanguardie di classe.
La canea della stampa borghese e degli strumenti di comunicazione di massa come la radiotelevisione tenta, attraverso l'uso terroristico dell'informazione di isolare l'avanguardia delle masse per impedire al riuscita delle lotte.
Proprio perché ai padroni e ai loro lacché servono questi gesti criminali, NON CREDIAMO ALLA LORO GIUSTIZIA: nessuno sa più niente degli attentati ai treni di questa estate, niente degli assassini di AVOLA, di BATTIPAGLIA, di PISA, niente di coloro che hanno paralizzato a vita SORIANO CECCANTI.
L'organizzazione meticolosa di questi crimini, i mezzi finanziari che essi presuppongono, la barbara freddezza e la simultaneità con cui sono stati eseguiti non lasciano dubbi sulla loro origine fascista.
Contro il blocco d'ordine fascista e socialdemocratico che provoca i morti per giustificare la repressione, come contro il riformismo che tenta di ridurre la lotta di classe a riforma e antifascismo, contro il bastone e la carota del sistema che non si accontenta più di sparare nelle piazze contro i proletari (91 assassini negli ultimi 16 anni), di massacrare nelle fabbriche 2270 operai all'anno (un omicidio bianco ogni mezz'ora) la risposta deve essere
ORGANIZZIAMO E INTENSIFICHIAMO LA LOTTA SUGLI OBIETTIVI DI CLASSE NELLE FABBRICHE E NELLE SCUOLE
MOVIMENTO STUDENTESCO
Cicl. in proprio Bologna 13/12/69 via Zamboni 33 
PARTITI E GRUPPI POLITICI
  QUESTE SONO ALCUNE PROVE CHE PINELLI E' STATO ASSASSINATO 
1) Persino il Pubblico Ministero Occorsio ed il giudice Guicciardi 
  hanno COMPLETAMENTE SCAGIONATO PINELLI dalle infamanti accuse mentre dopo il 
  tragico volo il questore Guida disse: - Vedendosi incastrato, colto da sconforto 
  si è gettato essendo emersi a suo carico elementi gravi - mentre Calabresi 
  subito dopo disse che era un povero diavolo e lo avrebbe rilasciato subito (l'ipocrita 
  ha poi fatto di tutto per "riabilitarne" la memoria). 
  Prima di "suicidarsi" dicono che gridò "E' la fine del 
  Movimento Anarchico Internazionale" (notare l'idiozia). 
2) Il brigadiere Panessa afferma che "cercando di trattenere" Pinelli, gli rimase una scarpa in mano, mentre giornalisti presenti subito dopo nel cortile ASSICURANO che Pino aveva entrambe le scarpe.
3) Ci sono state discordanze sulle testimonianze degli autorevoli presenti al sedicente "suicidio", le versioni sono le seguenti: "E' scivolato dalla finestra perché ha avuto un capogiro" - "Si è suicidato perché aveva paura di perdere il posto" - "Si è ucciso quando ha saputo che Valpreda aveva confessato (tipica menzogna da interrogatorio) ed il fatto citato nel punto numero 1.
4) L'AVANTI, giornale governativo, pone l'ipotesi che Pino sia stato ucciso con un colpo di karat‚ ed in seguito la perizia necroscopica ha dimostrato che la causa della morte fu molto probabilmente dovuta ad un colpo al collo (si è riscontrata lesione bulbare).
5) L'ambulanza per il suo trasporto è stata chiamata BEN DUE MINUTI PRIMA DELLA CADUTA.
6) Il commissario Calabresi (detto volo d'angelo) afferma di essere uscito dalla stanza dove si volgeva l'interrogatorio poco prima del "suicidio" e perciò che era assente quando Pino compì "il folle gesto" MENTRE l'anarchico Pasquale Valitutti che poteva chiaramente osservare l'entrata della stanza essendo presente nel corridoio in attesa di essere interrogato, è certo che nessuno uscì dalla porta e che aveva sentito RUMORI DI COLLUTAZIONE SEGUITI DA SILENZIO.
7) L'autista e l'infermiera che hanno soccorso Pino ed hanno assistito alla sua morte sono stati misteriosamente trasferiti o resi irreperibili.
8) Il giornalista Palumbo dell'Unità, presente alla caduta ha avuto la netta impressione "che stessero gettando qualcosa dalla finestra, forse un sacco"; in seguito la sua casa Š stata visitata da strani ladri i quali dopo averla perquisita minuziosamente se ne sono andati senza asportare nulla (ovviamente cercavano materiale compromettente, come fotografie).
9) E' accertato che chi si suicida gettandosi nel vuoto istintivamente grida e protende le mani in avanti a proteggere il capo; Pinelli al contrario è precipitato senza un grido (lo testimoniano giornalisti) e le mani non presentarono segni di escoriazione. La dinamica della caduta è in controsenso con l'ipotesi del suicidio: Pino è caduto verticalmente, sfiorando la facciata del palazzo e battendo sui cornicioni; chiunque si lanci da una certa altezza compie una traiettoria simile ad un tuffo e tende ad allontanarsi dalla verticale del punto da cui si è gettato.
10) Il giudice Pulitanò che doveva giudicare Pio Baldelli al processo Lotta Continua - Calabresi è stato sostituito in quanto troppo democratico quindi troppo obiettivo e la stessa sorte è toccata ad una giudice-aggiunta.
11) I legali di Pinelli sono sempre stati esclusi da qualsiasi sopralluogo e indagine in riguardo.
Nonostante tutti questi fattori il giudice Amati (detto mangia-anarchici) ha convalidato la tesi del suicidio ARCHIVIANDO IL CASO.
Il questore Guida (che subito dopo la morte di Pinelli ha affermato falsamente alla televisione che "Il suo alibi era caduto e, trovandosi incastrato si è gettato dalla finestra" è stato elevato di grado dal Ministro degli Interni Restivo; Baldelli invece, che ha detto "Pinelli è stato assassinato" viene processato dalla giustizia borghese.
SAPPIAMO CHI SI NASCONDE DIETRO I NOMI DI: CALABRESI, CAIZZI, 
  GUIDA, PANESSA, ALLEGRA, essi non sono che il paravento del GOVERNO EI PADRONI, 
  IMPARIAMO A RICONOSCERE I NOSTRI NEMICI E AVREMO LA FORZA DI STRONCARE LA REAZIONE 
  TUTTI UNITI. 
Anarchici: Assassini o Assassinati?
Gli attentati di Milano e di Roma servono egregiamente a tutti 
  coloro che vogliono creare il panico su cui innestare un colpo di mano autoritario 
  alla greca. Questo era fino a due giorni fa l'opinione generale della stampa 
  internazionale e nazionale più autorevole. Perciò ha lasciato 
  tutti stupiti l'improvvisa conclusione delle indagini che ha portato alla incriminazione 
  di un gruppo di anarchici. 
  Ci sono molti punti oscuri nell'indagine: 
  1) La strana e tragica fine del compagno Giuseppe Pinelli alla cui vedova è 
  stata negata la presenza all'autopsia del medico legale di fiducia da essa richiesta. 
  
  2) E' difficile credere che un pericoloso dinamitardo si rechi nei pressi del 
  luogo dell'attentato in taxi, lo faccia attendere, per poi farsi accompagnare 
  a un centinaio di metri di distanza. se c'era un modo di farsi notare e successivamente 
  riconoscere era proprio il modo di comportarsi del presunto attentatore. 
  3) Il "riconoscimento" è avvenuto in modo perlomeno strano. 
  Il Valpreda è stato fermato a Milano e trasferito immediatamente a Roma 
  e a Roma è stato portato anche il testimone, al quale erano state mostrate 
  in precedenza le fotografie di alcuni fermati di Milano. A Roma il confronto 
  avviene mettendo il Valpreda accanto a quattro persone estranee e, a quanto 
  si sa, almeno due di queste erano facilmente escludibili per il colore grigio 
  dei capelli. Tra l'altro come risulta dall'intervista del "Giorno" 
  18-12-1969, il taxista dice di non ricordarsi dell'abbigliamento e del vistoso 
  difetto fisico del Valpreda ma ricorda perfettamente la fisionomia (forse perché 
  ha precedentemente visto la fotografia). 
  4) Il Valpreda è stato fermato a Milano negli uffici giudiziari dove 
  si era recato di sua spontanea volontà per accertamenti su un reato di 
  stampa. E' strano che l'autore di una atto di tale criminalità si presenti 
  a cuor leggero davanti al giudice. 
  5) E' difficilmente spiegabile per quali ragioni sia stata fatta brillare la 
  bomba inesplosa trovata alla Banca Commerciale! Si potrebbe pensare ad una deliberata 
  distruzione di prove. 
  6) Il gruppo di anarchici oggi incriminati era sotto controllo della polizia 
  da oltre sette mesi per l'attentato dinamitardo della Fiera di Milano; come 
  avrebbero potuto organizzare indisturbati cinque attentati di tale portata? 
  (Fra l'altro gli attentati alla Fiera di Milano sono stati attribuiti da autorevoli 
  giornali internazionali: Guardian, Observer, le Monde, a sicari dei colonnelli 
  greci). 
  Quello che ci interessa tuttavia non è una controindagine per dimostrare 
  l'innocenza di Valpreda. Ma noi denunciamo con violenza il modo di procedere 
  assolutamente illegale della polizia che, con il pretesto delle indagini sugli 
  attentati, ha tenuto in stato di fermo per più giorni centinaia e centinaia 
  di compagni, al cui unica colpa è stata quella di aver lottato e di lottare 
  contro lo sfruttamento dei padroni in fabbrica, nella scuola e nella società 
  intera. Noi denunciamo una pratica che ha precedenti solo nel più nero 
  periodo fascista. 
  Dopo la lotta di massa degli ultimi anni che ha messo in discussione ogni forma 
  di autorità e che nell'attacco contro lo Stato si è data strumenti 
  dia autodecisione con le assemblee basate sulla democrazia diretta, nel momento 
  in cui i padroni si preparano a ristrutturare la produzione e ad intensificare 
  lo sfruttamento sugli operai, contro la cui volontà passano i contratti 
  bidone, il piano del capitale è di impedire l'organizzazione autonoma 
  delle masse per poterle più facilmente dividere, battere e mettere a 
  tacere. 
  Le bombe come la repressione sono perciò rivolte contro la classe operaia 
  e gli studenti in lotta. 
  LA NOSTRA RISPOSTA E' QUELLA DI SEMPRE; 
  NOI SIAMO NELLA CLASSE E PER LA LOTTA DI CLASSE! 
  INTENSIFICHEREMO LA LOTTA DELLE MASSE E LA SUA ORGANIZZAZIONE! 
  IL NOSTRO POSTO E' DOVUNQUE SI COMBATTA PER ABOLIRE lo SFRUTTAMENTO. 
  IL NOSTRO COMPITO, CHE E' IL COMPITO DI TUTTI I RIVOLUZIONARI, E' ABBATTERE 
  CON LA LOTTA DI MASSA QUESTO SISTEMA CHE SI REGGE SU MUCCHI DI MORTI. 
GLI ANARCHICI
19-12-1969 
STUDENTI!
Ancora una volta gli studenti vengono massacrati dalla polizia 
  per le strade. La borghesia ha paura degli studenti, della loro ribellione alla 
  putrida cultura borghese che li opprime tutti i giorni e calpesta la loro dignità. 
  
  GLI STUDENTI SONO STANCHI DI IMPARARE COSE INUTILI, OPPRIMENTI, FALSE. SONO 
  STANCHI DI DIVENTARE DEI DOTTI IMBECILLI COSTRETTI AD UN COSTANTE E VERGOGNOSO 
  SERVILISMO, OGNI GIORNO DI PIU' SI RENDONO CONTO CHE SOLO IL SOCIALISMO PUO' 
  RISOLVERE QUESTE COSE, SOLO L'UNITA' CON LA CLASSE OPERAIA E LE MASSE POPOLARI 
  PUO' ABBATTERE LA BORGHESIA. 
  La borghesia non può risolvere i problemi degli studenti, ne è 
  essa stessa responsabile ed allora deve aumentare il suo dispotismo culturale 
  e politico per frenare le giuste lotte degli studenti: i suoi piani non risolvono 
  nulla, cambiano forma all'Università, ma lasciano intatta la sostanza 
  dispotica ed autoritaria di questa. 
  LA BORGHESIA HA PAURA CHE IL MOVIMENTO DEGLI STUDENTI CON LA SUA CARICA RIVOLUZIONARIA 
  SI UNISCA ALLE MASSE POPOLARI, FORMI CON ESSE UN FRONTE UNITO IRRESISTIBILE. 
  
  LA BORGHESIA E' IN QUESTO AIUTATA DAI PARTITI REVISIONISTI CHE INGANNANO SIA 
  LE MASSE STUDENTESCHE CHE LE MASSE POPOLARI. 
  INFILTRATI TRA GLI STUDENTI QUESTI NEMICI SANNO SOLO PROPORRE O IL CORPORATIVISMO 
  O L'AVVENTURISMO; O CERCANO DI RINCHIUDERE LE LOTTE STUDENTESCHE NELL'UNIVERSITA' 
  SU INSULSE QUESTIONI RIVENDICATIVE O CERCANO DI STACCARE GLI STUDENTI PIU' AVANZATI 
  E PIU' COSCIENTI DA TUTTI GLI ALTRI E DI PORTARLI NELLE STRADE IN AZIONI AVVENTURISTICHE 
  E SUICIDE, sfruttano l'entusiasmo giovanile che spinge molti ad azioni "isolate 
  ed eroiche" prive di uno sbocco politico: in questo modo essi riescono 
  meglio di qualsiasi borghese a dividere gli studenti, a far odiare i più 
  coscienti dalle masse studentesche, ad insinuare la sfiducia fra i più 
  avanzati. Inoltre infiltrati tra le masse popolari le ingannano facendo loro 
  credere che gli studenti vogliono delle riforme e che soltanto pochi estremisti 
  vogliono cambiare questa società. 
  SIA LA BORGHESIA CHE I REVISIONISTI SONO NEMICI DEGLI STUDENTI, PERCHE LI ACCOPPANO 
  PER LE STRADE E LI DIVIDONO SIA TRA LORO CHE DALLE MASSE POPOLARI. 
  La costante repressione che lo stato borghese esercita sugli studenti, l'azione 
  banditesca dei revisionisti e dei loro lacché hanno generato in molti 
  studenti una profonda sfiducia nella possibilità di distruggere questa 
  marcia società e di realizzare gli ideali del socialismo. Solo la classe 
  operaia e le vaste masse popolari sono amici degli studenti e possono ridare 
  ad essi la fiducia, perché solo uniti ad esse gli studenti possono vincere 
  la loro battaglia. 
  La borghesia opprime gli studenti, i suoi piani, le sue proposte sono inaccettabili. 
  
  ANCHE LA CLASSE OPERAIA, NEMICA IRRIDUCIBILE DEL SISTEMA BORGHESE, GUIDA DI 
  TUTTO IL POPOLO CONTRO I PADRONI, FA UNA PROPOSTA: DICE AGLI STUDENTI CHE LA 
  CULTURA BORGHESE E' OPPRIMENTE PERCHE E' FALSA, CHE LA CULTURA NASCE SOLTANTO 
  DALLA PRATICA SOCIALE, NASCE DALLA PRATICA DEL POPOLO ED E' AL SERVIZIO DEL 
  POPOLO, CHE LA CONOSCENZA E' QUELLA CHE TRASFORMA LA REALTA'; la classe operaia 
  dice agli studenti di UNIRSI AD ESSA CONTRO IL SISTEMA BORGHESE, di portare 
  L'ENTUSIASMO RIVOLUZIONARIO DEI GIOVANI e la critica tra le sue file, dice che 
  l'egoismo, l'individualismo, la sfiducia, il disprezzo verso di essa devono 
  scomparire, dice agli studenti di diventare uomini nuovi, uomini con una dignità 
  umana, uomini che rifiutano ogni forma di servilismo. 
  GLI STUDENTI DEVONO ACCETTARE LA GIUSTA PROPOSTA DELLA CLASSE OPERAIA. ALL'ATTACCO 
  DELLA BORGHESIA E DEI REVISIONISTI GLI STUDENTI DEVONO RISPONDERE INCONTRANDO 
  LE MASSE POPOLARI E PORTANDO CON SEMPRE MAGGIOR ENTUSIASMO LE GIUSTE IDEE FRA 
  GLI ALTRI STUDENTI. 
  Gruppi di studenti rivoluzionari devono già oggi penetrare nei quartieri 
  popolari, distruggere l'ideologia borghese che li pervade vivendo tra le masse, 
  porre le loro conoscenze al servizio del popolo, dire alle masse il vero significato 
  delle lotte degli studenti, imparare da esse ciò che è utile ed 
  inutile nel sistema di istruzione per ritornare poi nell'Università continuando 
  la critica a tutte le forme di oppressione e la lotta alla sfiducia. Dobbiamo 
  avere fiducia nelle masse popolari perché solo così possiamo avere 
  fiducia in noi stessi, dobbiamo imparare da esse prima di insegnare, solo così 
  possiamo unirci con esse per battere la borghesia, costruire il socialismo, 
  costruire un uomo nuovo libero da ogni forma di oppressione e di servilismo. 
W L'UNITA' STUDENTI - OPERAI 
  W IL SOCIALISMO 
UNIONE DEI COMUNISTI ITALIANI (marxisti-leninisti)
Bologna 3/3/69 
CONSIDERAZIONI SULLA WEBER: L’UOMO MACCHINA
La Weber è una tra le più moderne industrie della 
  nostra provincia: la produzione dei carburatori (soprattutto per le auto Fiat 
  e per l’estero) avviene mediante un ciclo di lavorazione, di montaggio 
  e di controllo estremamente razionale. 
  La presenza dell’uomo nella produzione viene quindi ad essere un esempio 
  per quanto si è detto in proposito della “formazione delle nuove 
  qualifiche”: in pratica alla Weber, o si è tecnici altamente specializzati, 
  o si è operai addetti a lavori ripetitivi o manovalistici. Non esistono 
  gradi intermedi, se si escludono rarissimi casi (alcuni aggiustatori specializzati). 
  
  In questa fabbrica lavorano varie specie di tecnici, dagli ingegneri addetti 
  alle ricerche fino al perito industriale per la “sorveglianza” di 
  un tratto di catena di produzione, per i collaudi; per le mansioni degli operai 
  invece si può parlare di una quasi totale “pianificazione”: 
  essi, senza distinzione di età, sono completamente trasformati in macchine 
  che devono fare quei precisi movimenti in un determinato lasso di tempo (“qui 
  siamo macchine non uomini” mi ha dichiarato un giovane operaio); non importa 
  pensare, è già tutto predisposto; non esistono né pause 
  né diversivi sul lavoro. 
  I compiti specifici degli operai sono, in ordine di produzione (cioè 
  seguendo la catena) questi: 
  a)addetti alla fonderia e allo stampaggio (pressofusione): versano il liquido 
  nelle conchiglie (stampo), azionano la pressa, tolgono lo stampato tracciandone 
  i sovrappiù (3 movimenti sommari); tutto ciò a ritmo veloce, con 
  elevata temperatura ambientale e con costante pericolo rappresentato dagli schizzi 
  di lega dell’alluminio fuso. 
- Inizio della catena di produzione –
b)addetti alla trapanatura, alesatura, ecc.: lavorano contemporaneamente 
  su tre quattro trapani e mandrini multipli; fissano il pezzo, innestano l’avanzamento 
  automatico alle punte e nel tempo che queste compiono il lavoro hanno ripetuto 
  l’operazione sulle restanti tre macchine. Il ritmo di produzione è 
  regolato dal passaggio costante del cestello numerato in cui vanno messi i pezzi 
  già forasti e ritirati quelli grezzi o semilavorati; il ritmo è 
  particolarmente intenso, a continuo contatto con le sostanze refrigeranti. 
  Seguendo il corso della “catena” il carburatore viene via via rifinito 
  nei suoi minimi particolari. 
  c)Addetti alla produzione dei pezzi accessori e del loro controllo (alberini, 
  viti, levette, ecc.): qui il lavoro diventa la somma meccanica di pochissimi 
  e piccoli movimenti (a volte anche uno solo come nella taratura dei pezzetti); 
  un operaio mi ha detto: “sono molti anni che svolgo questo lavoro otto 
  ore al giorno” (incastrava mediante una minuscola pressa, un pezzetto 
  di gomma nella rientranza di un piccolo perno). 
  d)Addetti alla catena di montaggio: ogni operaio monta o controlla un determinato 
  pezzo o alcuni pezzi nel carburatore che viene portato e ritirato dai cestelli 
  della catena; non vi è un attimo di sosta (“non si troverebbe il 
  tempo di accendere una sigaretta” mi hanno dichiarato). 
Segue poi il collaudo dei carburatori e l’imballaggio.
Per chi non ha mai lavorato a catena può sembrare leggero 
  il compito di questi operai, molti dei quali lo svolgono stando seduti davanti 
  ad un tavolo: lo è per un’ora, due, ma dopo una giornata c’è 
  da impazzire, e se si pensa che questa gente lo svolge per anni, senza apprendere 
  professionalmente nulla, nel mezzo di un rumore assordante, mentre migliaia 
  di cestelli colorati vanno e vengono senza sosta, si capisce come essi siano 
  sottoposti ad una degenerazione, ad un abbruttimento della loro personalità: 
  è il prezzo che devono pagare per girare in automobile e per far girare 
  gli altri. 
  L’uomo viene sfruttato nel modo più intensivo, spremuto e poi gettato 
  come un limone; se si confrontassero le sedici ore lavorative, al giorno, di 
  un secolo fa, con le otto degli operai della Weber, si scoprirebbe che lo sfruttamento 
  a cui sono sottoposti questi ultimi è aumentato. 
  Lo chiamano “PROGRESSO”, “BENESSERE”, questa realtà: 
  noi la chiamiamo bestiale sfruttamento e aggiungiamo che il sistema sociale 
  da esso generato (“la società dei consumi”) è in contrasto 
  con i più elementari concetti di civiltà. 
Tratto da: Gioventù operaia. I problemi della giovane 
  classe operaia al centro dell’azione politica dei giovani comunisti, a 
  cura della Fgci di Bologna, 1968 
I COMUNISTI SONO PRESENTI NELLA CONTESTAZIONE ANTIACCADEMICA
L’attuale fase del Movimento universitario italiano si 
  presenta con dei tratti radicalmente nuovi rispetto al passato: il primo è 
  il carattere di massa del movimento; il secondo è l’acquisizione 
  del legame inscindibile tra movimento e società capitalistica con la 
  conquista di una dimensione politica che spinge il movimento al di fuori dei 
  limiti del passato corporativismo; il terzo aspetto nuovo è l’esatta 
  individuazione della funzione del corpo accademico e delle strutture rappresentative 
  degli studenti con la conseguente utilizzazione del regime assembleare come 
  strumento centrale di organizzazione. 
  Questi tratti, violentemente e conseguentemente antiautoritari, e il carattere 
  di aperta sperimentazione danno al movimento un valore politico generale rilevante. 
  Infatti, anche se l’azione politica immediata del movimento trova la sua 
  applicazione a livello di una sovrastruttura della società capitalistica 
  come l’università, il fatto che in una società capitalistica 
  matura divengano sempre più funzionali processi autoritari a tutti i 
  livelli della società rende politicamente contestativo un movimento che 
  si presenti con caratteri radicalmente e conseguentemente antiautoritari e che 
  ha la forza di dirompere realmente una struttura di potere defunta come quella 
  universitaria. 
  Su tutto questo arco di problemi è aperta oggi la discussione all’interno 
  del movimento e all’interno del Partito Comunista che ha partecipato in 
  prima fila a questa ondata di lotta. 
  A Bologna, il movimento si è mosso con particolare forza sia per l’ampiezza 
  (sette facoltà occupate) sia per l’asprezza di alcune situazioni 
  di punta (quarantuno giorni di occupazione a Fisica con due giorni di blocco 
  della ricerca scientifica). 
  Il punto centrale del dibattito e dello scontro politico del movimento, sia 
  in Italia che a Bologna, riguarda lo sbocco della lotta in riferimento alla 
  struttura di potere attuale interno all’Università. 
  Da parte governativa e da parte di quei gruppi studenteschi legati a partiti 
  governativi o, comunque, ancora vincolati a ipotesi moderate, si porta avanti 
  la concezione di un’Università retta sulla cogestione, cioè 
  sulla fittizia compartecipazione degli studenti, incaricati e assistenti alla 
  gestione del capitale italiano. 
  In tutte le facoltà occupate vi è stata la ripulsa di questa ipotesi 
  politica, per orientarsi verso una struttura universitaria aperta a una presenza 
  autonoma e contestativa del Movimento studentesco, attraverso forme di democrazia 
  diretta, demistificando così ogni concezione armonica della vita universitaria 
  e sottolineando il ruolo di puntello del potere politico esterno che rappresenta 
  il potere accademico. 
  Vi è ancora un preciso limite del movimento, e cioè la difficoltà 
  a incidere sulla facoltà tecnologiche (Ingegneria, Chimica Industriale) 
  tradizionalmente arretrate; a questo proposito a Bologna si sono avuti passi 
  particolarmente positivi come l’occupazione (credo prima in Italia in 
  questa fase) di chimica Industriale e la presenza all’interno di Ingegneria 
  di forze che si muovono con chiarezza contro le ipotesi cogestionali. 
  Un aspetto clamoroso dell’incidenza politica assunta dal movimento a Bologna 
  sono le dimissione del Rettore Prof. Battaglia e quelle del Prof. Ceccarelli 
  dell’Istituto di Fisica. Al di là, infatti, delle motivazioni pubbliche 
  non c’è dubbio che le dimissioni del Prof. Battaglia stanno a testimoniare 
  la fine di una politica che puntava sull’immobilismo del Senato Accademico 
  come garanzia della libertà di movimento dei singoli consigli di facoltà, 
  onde potere risolvere a una a una le situazioni e frammentare così la 
  spinta unitaria del movimento. 
  Ora si può prevedere l’intervento politico del Senato Accademico; 
  è ancora presto per saper prevedere lungo quale strada si muoverà 
  anche se sembra essere presente in questo momento una offensiva dell’ala 
  più reazionaria. In ogni caso sarà opportuno da parte loro sapere 
  considerare con attenzione, la forza, la consistenza e la combattività 
  di questo movimento prima di lanciarsi in avventure il cui sbocco non è 
  prevedibile. 
  I comunisti sono presenti con forza sia numericamente che politicamente in questo 
  movimento ed è con particolare attenzione che essi seguono l’attuale 
  fase di dibattito interno che pone con sempre maggiore forza l’esigenza 
  di collegamenti e di sbocchi esterni all’Università, esigenza che 
  è quella di fare i conti con le forze sociali e politiche e in specifico 
  con la classe operaia, col Partito Comunista Italiano. 
  Vi deve essere oggi da parte di tutto il partito e delle organizzazioni democratiche 
  un impegno generale di lotta sull’Università che, nel rispetto 
  della più totale autonomia del movimento, sappia proporgli momenti di 
  contatto reale nella lotta generale del partito per la creazione di una società 
  socialista nel quadro della battaglia antimperialista. 
Francesco Garibaldo, Sezione Universitaria Comunista, in La 
  miseria dell’università accademica, Centro Frantz Fanon, Luglio 
  1968 
Operai,
  ecco un modo efficace di lottare, di imporre quegli obiettivi che le riforme 
  pretendono di risolvere. 
  Il 7 aprile i pendolari di Bondeno (Ferrara) si sono rifiutati di pagare i trasporti 
  per recarsi sul posto di lavoro: la scuola. Attorno a questa indicazione di 
  lotta, tutti i pendolari di Tresigallo, Portomaggiore, Copparo, Cento, ecc. 
  si sono organizzati ed hanno cominciato a praticare giorno per giorno l’obiettivo 
  dei trasporti gratis. Come? Semplicemente non pagando il biglietto. Da questa 
  lotta sono emersi due fatti: 1) una grande disponibilità ad organizzarsi 
  per avere subito quello che ci serve; 2) tutto questo non è costato una 
  sola lira di salario, anzi! 
  A Parigi da mesi gli operai e gli studenti non pagano la metropolitana, allo 
  stesso modo nel corso della lotta fli operai Fiat di Nichelino hanno organizzato 
  lo sciopero dei fitti. Avere subito quello che ci serve sembra dunque la parola 
  d’ordine che corre per l’Europa delle lotte operaie. Gli operai 
  e gli studenti hanno dunque un nuovo strumento di lotta per imporre le riforme 
  ai riformisti. 
  Ora sappiamo che gli scioperi li possiamo e li dobbiamo usare per altre cose: 
  nelle strade e nelle piazze, nei quartieri non ci andremo a fare inutili processioni 
  per “chiedere” le riforme, ma per organizzare con tutta la forza 
  che ora disponiamo, con la capacità che abbiamo conquistato nelle ultime 
  lotte una nuova offensiva generale sui nostri obiettivi. 
  Di fronte all’aumento dei prezzi e alla conseguente schiavitù degli 
  straordinari è oggi necessario riaprire l’offensiva di massa sul 
  salario, generalizzando le lotte che già ora passano da una fabbrica 
  all’altra contro il cottimo, le qualifiche, per il premio di produzione, 
  ecc., e ricomponendole attorno ad obiettivi unificanti: 
SALARIO MINIMO GARANTITO che vuole dire forti aumenti uguali per tutti, basta con le qualifiche, con gli straordinari, con gli incentivi: tutto in paga base.
36 ORE ALLA SETTIMANA che vuole dire no al ricatto della disoccupazione, meno lavoro meno nocività, più salute (questa è la nostra riforma sanitaria), ore di mensa e di trasporto pagate.
Perché i sindacati non ci chiamano alla lotte su questi obiettivi? Perché accettano che il salario sia fatto in modo da dare mano libera ai padroni per dividerci, farci produrre quanto e come vogliono? Perché non hanno sostenuto le lotte per la 2° categoria per tutti (vedi Fiat di Modena)? Perché non ci parlano più di lotta generale sul salario e sull’orario? La risposta è una sola: hanno accettato di rispettare la tregua dei padroni, che non vuol dire eliminare la lotta, ma farla servire allo sviluppo del capitale. Proprio per questo dobbiamo riorganizzare le lotte autonome in un programma politico generale, sui nostri obiettivi materiali.
Potere Operaio
Cicl. in prop. Centro Pratello 
  v. Pietralata 46/b – 19/4/70 
LOTTA CONTINUA
La lotta condotta sul problema del presalario ha rappresentato 
  un momento importante per la crescita della coscienza politica e della mobilitazione 
  deglis tudenti. Per questi due motivi: per il livello di massa raggiunto nello 
  scontro e per il tipo di chiarificazione che, pur nell’incertezza, nelle 
  contraddizioni che ne hanno caratterizzato la conduzione politica, da questo 
  è emerso. 
  Dopo il fallimento dei tentativi di riforma “organica” (piani Gui, 
  Sullo, Ferrari, Agradi), per riadeguare l’università al nuovo assetto 
  dell’organizzazione capitalistica del lavoro, la borghesia tenta di far 
  passare questo processo in modo strisciante, attraverso singole leggine in apparenza 
  disarticolate e contraddittorie. Così si ha la liberalizzazione che, 
  in tendenza, mira alla stratificazione dei livelli di qualifica, alla divisione 
  degli studenti in diversi valori di laurea. E i criteri di assegnazione del 
  presalario che introducono nella pratica il numero chiuso e accentuano il controllo 
  politico, potenziano l’organizzazione del consenso. Questo corrisponde 
  alla necessità dei padroni di ristrutturazione tecnologica, di aumento 
  della produzione, di intensificazione dello sfruttamento; dalla necessità 
  di attaccare l’unità proletaria attraverso l’uso delle qualifiche 
  come strumento di divisione; divisione che si attua anche attraverso il ristabilimento 
  della pace sociale, con la strategia delle riforme. A questo il proletariato 
  risponde con la lotta contro le categorie, contro la divisione del fronte di 
  classe, contro la normalizzazione produttiva. 
  A questo gli studenti rispondono con la lotta contro la selezione, contro i 
  carichi di studio, per il presalario. 
  A questo il proletariato, tutti gli sfruttati devono rispondere accelerando 
  il processo di ricomposizione di classe battendo il disegno repressivo con la 
  lotta contro la strategia delle riforme, contro l’organizzazione capitalistica 
  del lavoro, contro ogni ipotesi politica che miri a rinchiudere in ambiti separati 
  e a ricondurlo in un disegno riformistico. 
  In questo senso la manifestazione di mercoledì assume una collocazione 
  precisa come strumento di unificazione proletaria e di confronto politico di 
  massa sulle riforme, come momento di dibattito generale, di crescita della coscienza 
  politica. 
  MA ESSA AVRA’ UN PESO POLITICO REALE se non si porrà come autoconclusiva, 
  come fase astratta della lotta contro la riforma, se cioè sarà 
  un mezzo potente di ripresa di agitazione nelle facoltà, di organizzazione 
  di un contatto politico reale e permanente. 
  Contro le qualifiche, contro il riformismo 
  LA LOTTA CONTINUA 
  ORE 9 ASSEMBLEA DEGLI STUDENTI DI INGEGNERIA PER DISCUTERE DELL’INCONTRO 
  CON GLI STUDENTI DELL’ITIS 
  MARTEDI’ ORE 16 A LETTERE MEETING DI ATENEO 
  MERCOLEDI’ MANIFESTAZIONE OPERAI+STUDENTI: ORE 8,30 CONCENTRAZIONE IN 
  PIAZZA SCARAVILLI 
LOTTA CONTINUA
Cicl. in proprio via Zamboni 33 
  Bo 20/4/70 
LOTTA CONTINUA
IL 9 OTTOBRE SI SVOLGERA’ A MILANO IL PROCESSO CONTRO PIO BALDELLI DIRETTORE DI “LOTTA CONTINUA” ACCUSATO DIA VERE DETTO LA VERITA’ SULLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA E SULLA UCCISIONE DI PINELLI
Chi ha messo le bombe in Piazza Fontana? 
  -I fascisti pagati dai padroni, aiutati dalla polizia, protetti dai giudici. 
  
  Chi ha ucciso il ferroviere anarchico Pinelli, buttandolo giù dal 4° 
  piano della questura di Milano? 
  -Il commissario Calabresi, protetto dal questore fascista Guida, dal minsitro 
  degli itnerni Restivo. 
  Perché padroni, fascisti e sbirri hanno compiuto questa strage? 
  -Per darne la colpa al proletariato. Per impedirci di distinguere tra violenza 
  giusta di chi lotta contro lo sfruttamento e la violenza vigliacca dei padroni 
  e dei loro servi. 
  Che cosa può fermare i proletari, se non hanno più paura dei padroni? 
  
  -Solo la paura di usare fino in fondo tutta la nostra forza, l’incapacità 
  di distinguere tra violenza giusta e violenza ingiusta. 
  Un giorno saranno i proletari a fare giustizia. Nelle lotte di oggi impariamo 
  a riconoscere i nostri nemici e a giudicarli. Domani avremo la forza per giustiziarli. 
MARTEDI’ 6 OTTOBRE ore 21 
  NELL’AULA MAGNA DI FISICA via Irnerio 42 
  PROCESSO POPOLARE 
  CONTRO IL POLIZOTTO CALABRESI E CONTRO LO STATO BORGHESE 
Ciclost. In proprio via Zamboni 33 
  Bo 5/10/70 
  Relazione introduttiva di Paolo Inghilesi (operaio della Sasib) 
  al convegno del Centro d’iniziativa del Manifesto di Bologna “Delegati 
  e lotte operaie”, Bologna 21-22 marzo 1970
1) Le condizioni reali per cui le lotte d’autunno possono 
  essere valutare politicamente sono determinate dallo sviluppo della lotta interna 
  e della sua organizzazione. Siamo passati dalla tradizionale lotta per gli aumenti 
  salariali o per migliori condizioni di lavoro, condotta attraverso scioperi 
  esterni alla fabbrica, alla lotta interna nelle forme più dure con lo 
  sviluppo dell’organizzazione operaia a partire dal luogo di lavoro e con 
  la contestazione di ogni aspetto dello sfruttamento padronale. 
  Tale lotta interna è stata infatti il rifiuto del rapporto operaio-macchina 
  e quindi operaio-operaio che l’uso capitalistico della scienza impone. 
  Questo rifiuto, pur nel variare delle sue dimensioni, è stato omogeneo 
  proprio perché esprimeva una situazione reale: l’aumento della 
  subordinazione operaia in rapporto all’uso capitalistico della tecnologia. 
  
  La classe operaia si è rivoltata contro l’organizzazione padronale 
  del lavoro, che si serve delle macchine e dei così detti sistemi scientifici 
  di organizzazione per intensificare lo sfruttamento –taglio dei tempi, 
  aumento dei ritmi- attuando un sempre più rigido controllo della condizione 
  operaia. 
  Al tentativo padronale di assicurarsi il consenso operaio a questo tipo di organizzazione 
  scientifica del lavoro, per mezzo della divisione politica della classe operaia 
  (differenziazione di paga, di posti di lavoro, di qualifiche, di superminimi 
  ecc.) e della incentivazione che lega il salario all’incremento della 
  produttività (cottimi, premi di produzione, straordinari), ha fatto riscontro 
  l’insubordinazione continua della classe operaia, con le autolimitazioni, 
  le fermate, i rifiuti dei tempi, le lotte contro le categorie per aumenti salariali 
  uguali per tutti sganciati dalla produttività. 
  Le autolimitazioni, le fermate, i rifiuti dei tempi, sono atti politici elementari 
  e radicali con cui la classe operaia ha affermato la unità inscindibile 
  tra produzione di merci e subordinazione operaia. 
  Attaccando l’organizzazione del lavoro, la classe operaia ha bruciato 
  l’illusione riformista per cui gli “effetti negativi” siano 
  trattabili come cosa separata dal processo produttivo che li determina. 
  Come si legge in “Quaderni Rossi” n. 6 pagina 105: “Il conflitto 
  tra lavoratori e capitalisti perde sempre più il suo carattere di lotte 
  contro l’ingiustizia della distribuzione del reddito, mentre in esso appare 
  con sempre maggiore evidenza l’ineguaglianza nella produzione del reddito. 
  
  Infatti il conflitto non è più tanto intorno alla spartizione 
  della ricchezza (più salario meno profitti) quanto piuttosto intorno 
  al modo di produrre ricchezza (rifiuto dell’operaio di essere una macchina 
  produttiva nelle mani del padrone). In questo senso la lotta che avviene non 
  già intorno al prezzo della merce-lavoro (salario) ma intorno alla condizione 
  del lavoro come merce, che il padrone ha comprato e che usa, come sua, si manifesta 
  nella richiesta e nella lotta per la libertà e l’autonomia dell’operaio 
  che intende autogovernarsi e quindi decidere di se stesso e quindi come scontro 
  fra due poteri per imporre diversi rapporti di forza nella fabbrica. 
2) Riconoscendo questa inseparabilità delle “conseguenze 
  negative”, il carattere mistificato di questa separazione, la classe operaia 
  ha messo in crisi non solo i meccanismi di controllo politico del padrone, ma 
  anche l’armonia tra sé stessa e le sue organizzazioni. 
  La pratica dello scontro, infatti, non ha trovato la sua strategia ma una strategia 
  diversa, che pone come distinto ciò che nello scontro è risultato 
  unito. In altri termini la strategia di cui le organizzazioni politiche e sindacali 
  della classe operaia dispongono spezza quel legame necessario tra razionalità 
  capitalistica e schiavitù operaia che la classe invece ha scoperto nello 
  scontro, portando per questo motivo la lotta nella produzione. 
  La classe operaia che con le sue lotte ha messo inc risi i meccanismi di controllo 
  politico del padrone ha, nello stesso tempo, mostrato tutta l’inadeguatezza 
  della prospettiva riformista, propria delle sue organizzazioni tradizionali 
  (in particolare i partiti della sinistra parlamentare). 
  La strategia delle riforme separa, infatti, quello che nello scontro di classe 
  è risultato strettamente unito: la fabbrica e la società, l’operaio 
  e il cittadino, il potere padronale e lo Stato che ne è l’espressione 
  politica, cercando di controllare a livello delle istituzioni parlamentari gli 
  effetti negativi dei rapporti capitalistici di produzione, senza mai proporsi 
  di colpire direttamente la causa dello sfruttamento, il potere padronale. 
  In questo quadro la così detta “programmazione democratica” 
  (del resto ormai accettata dal padronato) risulta essere nient’altro che 
  una forma di amministrazione dello sviluppo capitalistico e delle sue contraddizioni, 
  in modo tale da “smussare” gli angoli più acuti a livello 
  della società, evitando le crisi troppo aperte che potrebbero diventare 
  non controllabili. La programmazione democratica risulta, nella pratica, un 
  servizio reso ai gruppi monopolistici di fronte alle contraddizioni prodotte 
  dalla lotta della classe operaia –e ciò sotto forma di controllo 
  dei monopoli- in cui il ruolo dell’industria di Stato appare prevalente 
  o concorrente in forme mistificate che non incidono affatto sullo sviluppo capitalistico 
  stesso. 
  Con tale forma di programmazione, d’altra parte, si richiede alle organizzazioni 
  riformiste che esse assumano la garanzia del controllo dei comportamenti della 
  classe operaia, nei suo obiettivi e nelle sue forme di lotta, sostituendo al 
  momento oggettivo dell’eversione quello della “concertazione” 
  ossia del compromesso istituzionalizzato. La ricerca infatti di forme di controllo 
  politico sul capitale, slegata da una capacità di controllo dell’uso 
  capitalistico della scienza nei luoghi di produzione, è uno degli elementi 
  che rendono le organizzazioni tradizionali sempre più subordinate al 
  sistema. 
  La mancanza di uno sbocco politico alle lotte dipende proprio da questa divaricazione 
  tra la domanda politica della classe operaia e l’incapacità delle 
  organizzazioni a rispondere, anche se questa incapacità ha un senso diverso 
  nel caso del Sidnacato e nel caso del Partito. 
3) Due fatti diversi ma convergenti costringono infatti il 
  Sindacato ad una esistenza contraddittoria. 
  -Il capitale che programma scientificamente lo sfruttamento, riduce i margini 
  della contrattazione; 
  -l’assenza di una strategia politica che sappia contrastare il capitale 
  al suo livello non fa che sancire l’impotenza del Sindacato. 
  In altri termini, il Sindacato che contesta e contratta le conseguenze negative 
  dell’organizzazione capitalistica del lavoro, frenando l’attacco 
  operaio ai meccanismi che lo producono, non fa altro che rispecchiare l’attuale 
  direzione politica del movimento operaio, tesa a risolvere le contraddizioni 
  sociali, accettando la legittimità dello stato borghese. 
  Comunque la questione del Sindacato non si risolve dicendo che media, che è 
  strumento di pacificazione, anche se questo è ciò che il capitale 
  vuole e cerca; né basta parlare di uso operaio del Sindacato, ma di attacco 
  operaio, cioè di imposizione della linea strategica che il movimento 
  viene costruendo, di introduzione prepotente della lotta politica all’interno 
  della istituzione: non contro il Sindacato ma oltre il Sindacato. 
  Il movimento di lotta ha infatti espresso in maniera autonoma nei confronti 
  del Sindacato nuove forme organizzative che, a partire dalle assemblee di reparto, 
  si sono articolate neid elegati di linea, di squadra, di reparto, e sono cresciute, 
  sia pure in modo spesso contraddittorio attraverso i comitati unitari di base. 
  
  Al tentativo di sindacalizzare questi strumenti va contrapposto il carattere 
  operaio autonomo che ne privilegia le capacità di aggressione continua 
  alla organizzazione capitalistica del lavoro. 
4) E’ in questa interpretazione dei contenuti politici 
  emergenti dalle lotte operaie che va inquadrata la figura del delegato, senza 
  pensare idealisticamente che le lotte abbiano già definito esperienze 
  consiliari. 
  La presa di coscienza del carattere nuovo dello scontro è proceduta –nelle 
  situazioni più avanzate- con l’esigenza di nuove forme organizzative 
  capaci di fissare in modo irreversibile questa consapevolezza. E’ infatti 
  nella esperienza di lotta interna che la figura del delegato viene a configurarsi 
  come espressione diretta della conflittualità della linea, del reparto, 
  della squadra. 
  Questa origine del delegato costituisce la garanzia e la credibilità 
  di un suo ruolo di direzione politica dello scontro di classe. Il delegato, 
  comunque, non può restare ciò che è, ma diventare altro. 
  
  Il dibattito sul delegato è oggi prefigurazione dei suoi ruoli, indicazione 
  di tutte quelle prestazioni politiche cui è chiamato per il semplice 
  fatto di esistere; non si tratta di indugiare sul “dover essere” 
  di questa figura, né di congelarla definendone le competenze, ma di fissare 
  già ora i momenti della sua crescita per sottrarla sia all’esito 
  corporativo del suo ruolo, sia alla sua riduzione a strumento del “Sindacato 
  nuovo”. 
  Alcuni punti fondamentali si possono così riassumere: 
  -libera elezione operaia e revocabilità; 
  -rapporto continuo con l’assemblea di reparto; 
  -nessuna restrizione numerica; bisogna evitare infatti ogni formalismo istituzionale 
  che pretenda di fissare il numero dei delegati, favorendo al contrario la massima 
  espansione della organizzazione (comitati di reparto); 
  -quanto alle competenze esse sono definite dalla globalità della condizione 
  operaia: dai ritmi, alla razionalità complessiva del sistema produttivo, 
  dalle qualifiche, alla istruzione professionale, dagli organici alla nocività. 
  
  -Ruolo di mobilitazione politica permanente del reparto, che si opponga ad ogni 
  tentativo, padronale o sindacale, di ridurre i delegati ad “esperti” 
  che contrattano singoli aspetti della condizione operaia (ad esempio delegati 
  di cottimo). 
  -Unificazione politica dei delegati nel consiglio di fabbrica che ha il compito 
  di raccogliere le esigenze dei reparti; 
  -coordinamento infine tra i consigli di diverse fabbriche col fine di generalizzare 
  gli obiettivi e le forme di lotta, superando ogni rischio di isolamento aziendalsitico. 
5) Dal discorso fatto precedentemente derivano alcune implicazioni 
  che interessano direttamente il movimento dei delegati non solo a livello di 
  azienda, ma a quello di capitale sociale. 
  L’insieme degli scioperi delle più importanti sezioni del movimento 
  operaio, hanno inciso in modo rilevante sull’andamento della produzione, 
  tanto che si calcola –a livello di esperti”- una diminuzione del 
  reddito nazionale superiore all’1,5 per cento. Questo prezzo pagato dai 
  padroni (ma pagato anche dai lavoratori) assume significati diversi e contrastanti 
  a seconda dei punti di osservazione in cui si colloca. 
  Per quanto riguarda i lavoratori si può ritenere che le perdite di salario 
  negli ultimi mesi –data anche la forma assunta dalle lotte- possono essere 
  recuperate già nell’ambito del prossimo semestre, per tradursi 
  poi in un aumento nominale del 10-12 per cento (l’aumento reale risulterà 
  inferiore nella misura in cui si accentueranno i fenomeni inflazionistici). 
  
  Per quanto riguarda i padroni, il discorso è diverso. E’ certo 
  che nel corso del ’69, per la prima volta dopo il ’62, la dinamica 
  salariale ha superato quella della produttività media: in altri termini 
  vi è stata una diminuzione reale dei profitti e degli ammortamenti (comprese 
  le scorte). 
  Ciò ha posto problemi di politica economica che non possono facilmente 
  essere risolti con i mezzi tradizionali (come invece è avvenuto, ad esempio, 
  nel 1962-64). 
  Anche se interessa solo indirettamente il nostro discorso, vediamo l’andamento 
  della occupazione attuale e nel prossimo futuro. Anche l’anno 1969, come 
  già il 1968, ha fatto registrare una diminuzione complessiva dell’occupazione 
  (ma anche della disoccupazione registrata). Come’è noto, ciò 
  è dovuto al fatto che continua a diminuire la cosiddetta “popolazione 
  attiva” rispetto alla popolazione totale; in altri termini, un numero 
  sempre minore di lavoratori deve mantenere il resto della popolazione “non 
  attiva”, la quale non è solo composta da un numero crescente di 
  studenti e di pensionati, ma altresì e soprattutto da lavoratori potenziali 
  (in gran parte donne) che non trovano un conveniente collocamento sul mercato 
  del lavoro. Particolarmente preoccupante appare la situazione delle più 
  giovani leve di lavoro –soprattutto quelle provviste di titoli di studio 
  tecnico-professionali- che, paradossalmente, sono quelle che più difficilmente 
  trovano adeguata collocazione nel processo produttivo, nonostante la crescente 
  esigenza di tecnici. Ciò è in gran parte dovuto alle carenze della 
  formazione professionale e più in generale della scuola italiana; ma 
  non va dimenticato il fatto che i processi di ristrutturazione aziendale, soprattutto 
  nella fascia di piccole e medie aziende, comportano una possibilità di 
  utilizzare basse qualificazioni per lavori ripetitivi e meccanizzati. 
  In complesso si può affermare, con sufficiente sicurezza, che l’andamento 
  del mercato del lavoro nel corso dell’anno appena iniziato, confermerà 
  le pericolose tendenza messe in luce nell’ultimo biennio: costante esodo 
  agricolo, probabile rallentamento negli incrementi dell’occupazione industriale, 
  relativi stagnazione dell’occupazione nei settori terziari. Ciò 
  significa, in pratica, che la ristrutturazione economica delle aziende sta passando 
  per un periodo di dequalificazione professionale, accompagnata tuttavia, per 
  le maggiori aziende, da alcuni gruppi di passaggio di qualifiche che avvengono 
  soprattutto in seguito a lotte aziendali tese a tale scopo, ma che lasciano 
  completamente aperto il problema generale. 
  L’andamento delle lotte operaie ha creato, dunque, una situazione nuova; 
  il fatto più caratteristico è che ha posto le aziende di fronte 
  a problemi che non potranno più, come per il passato, essere risolti 
  soltanto sul piano quantitativo (intensificazione dello sfruttamento, ferme 
  restando le altre condizioni) bensì dovranno comportare forme di ristrutturazione 
  organizzativa anche e soprattutto sul piano tecnologico. 
  L’aumento in atto ed in prospettiva dei costi delle materie prime, di 
  quelli del lavoro, le riduzioni di orario, richiedono nuovi investimenti, ma 
  ciò si scontra con un costo del denaro esterno che rende per molte imprese 
  la situazione più difficile che per il passato. 
  Sarà quindi forte la tendenza ad un aumento generalizzato dei prezzi 
  (è indicativo l’indirizzo assunto dai grandi monopoli come la Fiat 
  che pur non ha certamente gli stessi problemi); aumento che interessa non solo 
  i prodotti di consumo ma altresì beni strumentali e semilavorati. Sembra 
  chiaro dai pochi dati esposti, che il 1970 non sarà, economicamente e 
  socialmente parlando, un anno facile. Se alcuni risultati delle lotte operaie 
  hanno comportato un certo aumento dei redditi di lavoro, è però 
  da mettere in conto una risposta padronale che non si svilupperà solo 
  al livello dei prezzi –anche per i riflessi internazionali che ciò 
  potrebbe avere sul piano delle esportazioni- ma anche e soprattutto a livello 
  di organizzazione aziendale: dalla maggiorazione degli orari lavorativi (ore 
  straordinarie) fino alla saturazione delle capacità produttive e al loro 
  aggiornamento ecc. 
  Le prospettive economiche e sociali non appaiono quindi per il capitalismo italiano 
  di facile soluzione: solo una forte e costante spinta operaia, al di là 
  dei contratti, può respingere la controffensiva padronale a tutti i livelli, 
  da quello repressivo a quelli più specificatamente economici. 
  Né si può tacere, d’altra part, che il quadro di riferimento 
  politico –visto che non è certo nostra intenzione chiuderci dentro 
  ai cancelli delle fabbriche- sta rapidamente deteriorandosi in seguito a crisi 
  politico-strutturali di cui oggi è difficile prevedere l’andamento 
  e gli sbocchi. Certo è che il rapporto fabbrica-potere politico è 
  stato e sarà determinante. Proprio per questo, di fronte a chi si affanna 
  ad escogitare timorose operazioni riformistico-democratiche, è da dire 
  chiaro che soltanto nella misura in cui preventivamente riusciamo a tracciare 
  il programma delle lotte, organizzando il rifiuto della produttività 
  capitalistica, puntando su obiettivi di potere capaci di colpire il meccanismo 
  dell’accumulazione noi facciamo veramente crescere politicamente i delegati. 
  
  E’ possibile già definire alcuni punti di questo programma delle 
  lotte, soprattutto cercando di colpire la correlazione fra razionalizzazione-dequalificazione-cottimo-sfruttamento. 
  La lotta al cottimo deve saper centrare due temi di fondo propri di ogni aspetto 
  dei rapporti di lavoro: 
  -quello di fare produrre sempre di più gli operai; 
  -quello che tutte le caratteristiche del lavoro umano, tra cui appunto il ritmo, 
  sono decise dall’alto e l’operaio deve limitarsi ad obbedire. 
  La lotta al cottimo, cioè una lotta contro la facoltà del padrone 
  di decidere l’uso del alvoro operaio, più che una questione rivendicativa 
  si chiarisce come una questione di potere: cioè come un fatto di organizzazione 
  e di forza degli operai. Nella nostra fabbrica, dopo mesi di autolimitazione, 
  la lotta al cottimo è caratterizzata da due aspetti strettamente complementari: 
  
  -trasferimento in paga base di grossa parte del salario incentivato; 
  -autodeterminazione dei tempi. 
  Questa forma di lotta permette la creazione di una grossa coscienza e organizzazione 
  operaia. Realizzare questo significa fare comprendere che si può benissimo 
  non accettare il ritmo di lavoro imposto dalla direzione; significa rendersi 
  conto che le leggi della produzione sono le leggi stabilite dal padrone, non 
  sono quindi una necessità tecnica ma un qualcosa che ha un significato 
  ben preciso di potere e di profitto contro cui si può lottare. 
  Un altro aspetto centrale è il rapporto razionalizzazione-dequalificazione: 
  gli operai si sono resi conto che il sistema delle qualifiche ha come unico 
  scopo quello di dividere la classe operaia, di impedire che essa organizzi in 
  modo massiccio e continuo la sua offensiva al piano del padrone. Ingabbiare 
  l’offensiva operaia è il risultato che il padrone deve garantirsi 
  in ogni riorganizzazione della produzione che voglia essere "“azionale"” 
  
  Il padrone infatti, per essere sicuro che i suoi conti tornino, che le sue previsioni 
  siano verificate, deve assicurarsi il comportamento degli operai. La razionalità 
  del padrone esige il loro consenso: per ciò li divide, essendo possibile 
  battere un operaio alla volta, ma non la classe operaia nel suo insieme. Questo 
  sistema pretende di essere il riconoscimento di ciò che l’operaio 
  sa fare all’interno di un sistema produttivo che non gli permette di mettere 
  in pratica il suo sapere, che anzi distrugge nell’operaio ogni sapere 
  professionale: la qualifica vuole dunque valutare proprio ciò che il 
  lavoro di fabbrica cancella. Dopo un anno di fabbrica il sapere dell’operaio 
  coincide con le operazioni che gli sono state imposte dall’organizzazione 
  del lavoro: è a queste operazioni –e non al sapere dell’operaio 
  in carne ed ossa- che di fatto viene data la qualifica. 
  Ma agli operai non interessa il giudizio del padrone; essi sanno che tutti i 
  lavori sono uguali perché ugualmente necessari alla produzione, sanno 
  che con lo sviluppo tecnologico è sempre più difficile stabilire 
  un ordine di importanza tra i singoli operai, e sanno infine che i lavori dei 
  singoli operai divengono ugualmente e sempre più importanti, perché 
  sempre più legati al processo produttivo globale. E’ questo aumento 
  di responsabilità che deve diventare facoltà di decidere sull’organizzazione 
  del lavoro. 
  Per rispondere a queste esigenze esiste anche un modo padronale di eliminare 
  le qualifiche ottenendo però lo stesso risultato: il mansionario è 
  appunto questa soluzione: si analizzano e si valutano le mansioni di ogni posto 
  di lavoro e vi si appiccica un salario: ogni singolo operaio viene così 
  ad avere la sua posizione personale nel quadro della produzione, è isolato 
  dagli altri operai per restare solo nelle mani della direzione, lo scontro politico 
  di massa per il potere operaio nella fabbrica si frantuma in tante carriere 
  individuali. Il mansionario dunque è solo un sistema di qualificazione 
  più preciso e più aderente alla posizione del singolo operaio; 
  questa precisione consiste in una valutazione più esatta della produttività 
  di ogni singolo lavoro, in una subordinazione più rigida. Per queste 
  ragioni il mansionario non può essere l’obiettivo, la via di uscita 
  cui tende la classe operaia quando lotta contro il sistema delle qualifiche: 
  essa non intende infatti sostituire ad un sistema di valutazione “impreciso 
  e sorpassato” un altro sistema “preciso e moderno”, ma vuole 
  eliminare la valutazione del padrone; cioè la subordinazione dei bisogni 
  operai alle esigenze del suo piano di sfruttamento. In questa prospettiva ogni 
  richiesta di valorizzare le capacità professionali è del tutto 
  illusoria: sarebbe come chiedere alla fabbrica moderna di tornare alla bottega 
  artigianale. 
  Al mansionario e alla rivalorizzazione della professionalità bisogna 
  opporre l’eliminazione delle qualifiche e lo sganciamento del salario 
  dalla produttività in funzione della ricomposizione politica unitaria 
  della classe operaia. 
  L’allargamento delle lotte operaie dagli obiettivi di contestazione dell’organizzazione 
  padronale del lavoro alla contestazione complessiva dell’organizzazione 
  capitalistica della società rappresentata in termini mistificati come 
  “lotta per le riforme” pone grossi problemi per una strategia efficace 
  dei contropoteri. Bisogna saper legare strettamente la lotta in fabbrica alla 
  lotta sociale, facendo della seconda il prolungamento della prima. Si tratta 
  di cogliere il nesso fra lo sfruttamento padronale in fabbrica e le contraddizioni 
  capitalistiche a livello sociale. Così, ad esempio, esiste un concreto 
  rapporto tra qualifica e scuola come due momenti di riproduzione della divisione 
  capitalistica del lavoro. E così un preciso vincolo si può individuare 
  tra nocività ed istituzioni sanitarie, tra ritmi e cottimi da un lato 
  e salute dall’altro, tra orario e ritmi da un lato e occupazione dall’altro, 
  tra salario da un lato e fiscalità e prezzi dall’altro, tra ambiente 
  di lavoro e urbanistica (trasporti, casa, servizi sociali). 
  Ogni vertenza sociale deve sempre partire dalla fabbrica come luogo d’origine 
  di tutte le contraddizioni capitalistiche, evitando di diventare un diversivo 
  rispetto alle lotte contro l’organizzazione padronale del lavoro, che 
  sostituisca alla concretezza dello scontro di classe anticapitalistico la genericità 
  di una battaglia per una più giusta distribuzione dei benefici sociali. 
  Il rabbioso attacco di Berlinguer al contropotere conferma la linea di uso delle 
  masse per le riforme parlamentari in cui la mobilitazione sociale è subordinata 
  ad alleanza politiche precostituite, l’alternativa viene dalla esigenza 
  politica dei delegati, dai primi tentativi di trasformare le riforme in conquiste 
  dal basso e non richieste delegate alle istituzioni. 
  In altri termini si devono costruire vertenze precise contro lo Stato in cui 
  i vari movimenti di massa possono esprimere in modo unificato la radicalità 
  del loro antagonismo. Così ad esempio nella scuola e nel quartiere bisogna 
  giungere alla costruzione di organismi di base fra operai e studenti, fra operai 
  e inquilini, capaci di promuovere il rifiuto dell’affitto, del pagamento 
  dei servizi urbani e sanitari, ecc. 
  E’ in tale direzione che i limiti attuali del movimento dei delegati possono 
  essere superati in vista della crescita del movimento politico di massa.