Biblioteca Multimediale Marxista

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Per una storia della sinistra comunista italiana nel dopoguerra

Materiali del Partito Comunista Internazionalista

(1943-1945)

Introduzione – Il Partito Comunista Internazionalista (1943-1952)

Prospettive - Dopo lo sbarco in Sicilia (1943)

Demagogia democratica e fascista e realtà di classe (1943)

Manifesto del PC Int. diffuso a Milano nel gennaio 1944

Volantino del PC Int. – Sezione di Piombino (1944)

Appello del PCInt per la creazione del fronte unico proletario contro la guerra (1944)

Ercole Ercoli appoggia la monarchia (1944)

Natura della guerra (1944)

Manifesto della Federazione torinese del PC Int. (1944)

Schema di programma del PC Int. (1944)

Abbasso i traditori della causa proletaria (1944)

Che cos'è e che cosa vuole il Partito Comunista Internazionalista (1945)

Circolare del PC Int. (1945)

Per la creazione e il potenziamento dei gruppi comunisti di fabbrica (1945)

Punti di orientamento del PC Int. (1945)

 

CEDOC

 

Quaderni del Centro di Documentazione sull’età contemporanea

Savona – Gennaio 2003

Nuova Serie


Introduzione

Il Partito Comunista Internazionalista (1943-1945)

La crisi del regime fascista, conseguenza diretta dell’andamento sfavorevole della guerra, apre nuove possibilità di azione politica per i comunisti, fino ad allora costretti ad una rigidissima clandestinità. Nel corso del 1942 a partire dalla Lombardia e dal Piemonte e poi via via in Liguria,  Veneto,  Emilia e Toscana, piccoli nuclei di comunisti internazionalisti, rimasti fedeli alla linea coerentemente marxista rivoluzio- naria del PCd’I del 1921-1926, iniziano a riorganizzare una prima embrionale forma di partito. In pochi mesi i gruppi di Torino, Milano, Casale Monferrato, Asti riescono a radicarsi nelle fabbriche approfittando soprattutto della ripresa di combattività operaia espressa dalla prima grande ondata di scioperi spontanei del marzo 1943.

Alla caduta del fascismo nel luglio 1943 gli internazionalisti sono dunque in condizione di intervenire attivamente nel moto sponta- neo di formazione delle commissioni interne che agita le grandi fabbriche del nord. I piccoli gruppi comunisti rivoluzionari chiamano la classe operaia a mobilitarsi contro la continuazione della guerra e contro il tentativo della borghesia di sostituire all’ormai screditato regime fascista un nuovo regime “democratico” di coalizione dei partiti antifascisti. Le parole d’ordine sono quelle leniniste del 1917: trasformare la guerra imperialista in rivoluzione, autonomia di classe contro tutte le frazioni borghesi comunque collocate sul fronte militare.

Alla fine del 1943 questo sforzo politico ed organizzativo porta alla formazione del  Partito Comunista Internazionalista che si dota di un breve documento programmatico in cui sono fissate le linee di intervento.  Il partito si estende rapidamente a tutto il nord con consistenti gruppi a Torino, Milano, Asti, Casale Monferrato, Sesto San Giovanni, Parma e Firenze. Il primo novembre esce il primo numero di “Prometeo”, rivista teorica mensile. Guida politica e animatore instancabile del PC Internazionalista è Onorato Damen, già dirigente di primo piano del PCd’I fino al congresso di Lione. Chi si cura, invece, di mantenere i collegamenti fra i vari gruppi locali è Bruno Maffi, proveniente da posizioni azioniste, ma approdato ad una coerente e rigorosa scelta di campo marxista negli anni Trenta durante la detenzione nelle galere fasciste.

Contro la continuazione della guerra il partito lancia nel dicembre un appello per la creazione di un fronte unico proletario dal basso che unisca gli operai nei luoghi di lavoro indipendentemente dai partiti. A differenza dei gruppi comunisti di sinistra, come Stella Rossa o “Il Lavoratore”, gli internazionalisti non si  fanno alcuna illusione sulla natura di classe dell’URSS e dello stalinismo. L’URSS non può più in alcun modo essere considerata un paese socialista. Lo stalinismo è la forma assunta in Russia dalla controrivoluzione. In quello che è stato il paese dei soviet i comunisti sono in galera o nella clandestinità. La fine della guerrà porterà una nuova gigantesca ondata di lotte proletarie a livello internazionale che segneranno la ricompo- sizione del proletariato d’occidente e d’oriente in un unico, compatto, movimento che di nuovo innalzerà le bandiere del bolscevismo e dell’internazionalismo.

La reazione degli staliniani è durissima. Il PC Internazionale – affermano - è solo un “covo di spie” e di “provocatori trotzkisti”, agenti del fascismo e della Gestapo. I dirigenti del PCI, Togliatti in testa, temono soprattutto la nascita alla loro sinistra  di un partito autenticamente comunista capace, a differenza dei piccoli gruppi dei dissidenti degli anni Trenta, di organizzare una parte consistente della classe operaia soprattutto al nord. Echi di questi timori, fortissimi nella dirigenza stalinista, emergono con estrema chiarezza da una lettera di Scoccimarro del dicembre 1943:

“C’è del dissidentismo a Napoli …, c’è del dissidentismo a Roma, c’è a Milano…. – si legge nella lettera- Queste varie e diverse correnti possono a un certo momento tendere a coalizzarsi e trovare una base nell’immaturità politica delle masse operaie italiane, specie tra i giovani. La nostra politica attuale può offrire loro pretesti di apparente giustificazione…. specie se dovremo assumere responsabilità di governo. Dobbiamo, ad ogni costo, evitare che, mentre tendiamo all’unità col PSI, ci sorga a fianco uno pseudo partito comunista capace di rappresentare un nuovo elemento di scissione della classe operaia.”

In effetti tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944 esistono in Italia tutte le condizioni per la costruzione di un partito rivoluzionario con una presenza significativa nella classe operaia. Condizioni che gli internazionalisti, al pari degli altri gruppi comunisti di sinistra, non sapranno cogliere, vuoi per insufficiente capacità di analisi, vuoi per l’incapacità manifesta di offrire praticabili sbocchi politici ad una classe operaia impegnata in un gigantesco  sforzo di mobilitazione che spontaneamente tende a coniugare la resistenza al regime poliziesco instaurato e sorretto dalle forze armate tedesche con l’embrionale, ma significativo dispiegarsi di obiettivi di classe.

Proprio l'incapacità di saper dialetticamente legare i vari aspetti della fase in un coerente e praticabile programma transitorio riduce l’azione degli internazionalisti ad un lavoro di mera propaganda, vanificando le premesse che il buon lavoro svolto fra il 1942 e il 1943 aveva posto. Proprio quando la situazione politica subisce una brusca accelerazione in senso rivoluzionario, sulla base di un’analisi delle prospettive che meccanicamente ipotizza la ripetizione degli avvenimenti del primo dopoguerra dando per certo l’apertura dopo la fine delle ostilità  di una situazione simile al biennio rosso, il PC Internazionalista  si dedica esclusiva- mente ad un lavoro di propaganda nelle fabbriche, mirando prima di tutto a preservare le forze già raccolte e a delimitarsi con la massima nettezza dagli stalinisti. Per preparasi al meglio al domani, si rinuncia alle concrete possibilità dell’oggi. Il risultato sarà l’isolamento ed un sostanziale attesismo che di fatto taglia fuori gli internazionalisti dal grosso delle forze vive della classe operaia.

Partendo da un’analisi non dialettica del movimento partigiano che non riesce a coglierne i forti connotati di classe, ma schematicamente lo vede come mero stru- mento “della guerra inglese”, gli inter- nazionalisti invitano apertamente gli operai a non raggiungere le bande e nel caso che lo abbiano già fatto ad abbandonarle. Mentre la classe operaia pur tra mille difficoltà tende spontaneamente ad armarsi e a darsi un’organizzazione militare, Prometeo,  parla genericamente di “autodifesa operaia”e nei fatti rifiuta di inserirsi a pieno titolo nella lotta armata per riorientarla su posizioni classiste come i bolscevichi avevano saputo fare nel luglio 1917  contro il golpe korni- lovista. In un momento di forte accelerazione dello scontro di classe, mentre il proletariato spinge in avanti e costringe lo stesso PCI ad indurire in modo massimalistico le proprie posizioni, restringere il campo d’azione all’autodifesa non può che offrire argomenti preziosi alla  propaganda  staliniana che ha buon gioco a presentare gli internazionalisti come agenti del nemico.

Analoghi elementi di debolezza politica presenta l’azione nelle fabbriche che  il PC Internazionalista considera l’unico vero terreno di azione per il partito. Anche qui gli internazionalisti si rivelano incapaci di tradurre le loro analisi in concrete parole d’ordine che offrano sbocchi all’azione della classe. Significativamente il partito, che pure è composto quasi esclusivamente di operai, non sentirà mai la necessità di dotarsi di un giornale sindacale o di fogli di fabbrica. La contrapposizione al PCI staliniano resta astratta, incapace di far leva sulle contraddizioni che pure la politica togliattiana manifesta. Militanti coraggiosi, estremamente devoti alla causa proletaria, gli internazionalisti non sanno parlare agli operai a causa di un’insufficiente assimi- lazione della lezione dell’Ottobre sull’importanza della tattica. Limite peraltro già evidente nell’agire politico di Bordiga nel quinquennio ardente  1921-1926. Incapace di articolare sul concreto terreno dell’azione quotidiana le proprie analisi, il PC Internazionalista lascia di fatto campo libero agli stalinisti e non sarà sufficiente la tardiva ed estemporanea partecipazione con proprie squadre armate all’insurrezione di Torino e Milano per recuperare il tempo perduto.

Amadeo Bordiga e la Frazione di sinistra dei comunisti e socialisti italiani (1943-1945)

Mentre al Nord si sviluppa l'esperienza del Partito Comunista Internazionalista, nel Sud appena liberato dalle truppe alleate si costituisce la Frazione di sinistra dei comunisti e socialisti italiani ad opera di un gruppo di militanti comunisti in rotta con il PCI togliattiano. I dirigenti della Frazione e con loro Amadeo Bordiga, che pur senza un diretto impegno militante rappresenta il loro principale punto di riferimento sul piano teorico, ritengono tuttavia prematura la proclamazione di un nuovo partito comuni- sta. I rivoluzionari devono, dunque, restare all’interno dei partiti della sinistra, PCI e PSIUP, per fare opera di chiarificazione politica nei confronti delle più larghe masse proletarie che in tali partiti ancora ripongono la loro fiducia. La questione del partito rivoluzionario, di cui si denuncia chiara- mente l'assenza a causa della degene- razione opportunistica del  PCI, va di certo risolta, ma a tempo debito e senza forzature volontaristiche. Fortemente influenzati dal determinismo bordighiano, gli esponenti della Frazione sostengono che "la trasformazione in partito non è questione di volontà di persone, ma risponde soltanto alle condizioni oggettive prerivoluzionarie… l'assenza di un partito di classe indica alla Frazione il compito di appellarsi alle forze sane del movimento rivoluzionario per la convocazione di un congresso nel seno del quale dovrà esprimersi la nuova organiz- zazione politica del proletariato".

Diffusa in tutto il Sud e con una significativa presenza a Roma, la Frazione raccoglie in breve migliaia di aderenti, molti dei quali continuano a lavorare all'interno dei tradizionali partiti operai. A Napoli, dove edita "La sinistra proletaria", la Frazione apre molte sezioni nel circondario. A Salerno, dove esce "L'Avanguardia", con- trolla la maggioranza della base comunista. Lo stesso accade a Catanzaro dove il segretario della locale federazione del PCI riconosce in un rapporto a Roma che il dirigente della Frazione Francesco Maruca "gode di grande popolarità ed è considerato nella massa, come il rappresentante del 'vero comunismo'. Ha in mano tre leghe della CCdL" tanto da esercitare “ una certa influenza su una parte dei nostri stessi compagni".

Tutto ciò non poteva lasciare indifferente gli stalinisti che in un primo momento tentano un recupero dei militanti di base, ancora definiti "compagni", con una dura messa in guardia nei confronti di posizioni sbagliate: "La posizione di questi compagni - scrive la Direzione del PCI per l'Italia occupata - non ha nulla in comune col marxismo-leninismo. Nella posizione di questi compagni vi sono anzi dei punti di contatto con le posizioni  anti-leniniste del traditore Bordiga cacciato dal partito nel 1930, il quale a furia di fraeologia sinistroide ha finito col diventare aiuto ed alleato del fascismo". Un attacco duro, ma che si inasprisce ulteriomente a partire dall’aprile 1945.  Se Bordiga resta un "traditore", tutti i suoi seguaci senza distinzione alcuna sono diventati, secondo la rivista del partito "Rinascita", una "accolta di avventurieri che, fatto dell'anticomunismo il proprio cavallo di battaglia, non ha tardato ad esprimere dalle sue file ogni sorta di sabotatori del movimento proletario, provocatori e agenti stipendiati dall'OVRA". Alle parole seguono presto i fatti: il PCI interviene sulle autorità militari alleate perché impediscano l'uscita della stampa rivoluzionaria e perché severi limiti vengano posti all'azione politica degli interna- zionalisti.

Nel frattempo la Frazione aveva iniziato a stringere rapporti, oltre che con il Partito Comunista Internazionalista a nord, con il Movimento Comunista d'Italia (Bandiera Rossa) e con l'Unione Spartaco, un gruppo dissidente socialista. All'inizio di gennaio 1945 si tiene a Napoli un Convegno a cui vengono invitati rappresentanti degli altri gruppi. Scopo del convegno, si legge nella Piattaforma politica redatta per l'occasione, è di "esaminare  le questioni concernenti la preparazione e l'organizzazione di un congresso per la costituzione del nuovo partito di classe; si tratta dunque di un avvenimento che segnerà, probabilmente, l'inizio di una nuova fase  nello sviluppo della lotta del proletariato italiano… il nuovo partito dovrà affrontare una ibrida coalizione di cui fanno parte le forze sedicenti di sinistra notoriamente manovrate dalla politica di Mosca… oggi si rischia un fallimento peggiore di quello del 1921… la situazione va assumendo caratteri prerivoluzionari ed il partito di classe non esiste".

Nonostante le preoccupazioni unitarie, le divergenze fra i gruppi partecipanti si rivelano troppo forti, soprattutto sulla questione dell'URSS e dello stalinismo su cui si sviluppa un aspro contrasto fra il portavoce della Frazione, Libero Villone, che svolge una critica della degenerazione dell'URSS e dei PC vicina alle posizioni di Trotsky e Bordiga e il rappresentante del MCd'I su posizioni staliniste di sinistra.

 

Tuttavia, nonostante il sostanziale fallimento dell'ipotesi di un’ unità organizzativa in tempi brevi, dal convegno esce comunque una commissione paritetica di coordi- namento composta di 4 membri della Fra- zione, 4 del MCd'I e 4 dell'Unione Spartaco.

Pochi mesi dopo la Frazione pubblica un corpo di tesi "Per la costituzione del vero Partito comunista". Elaborate da Bordiga, Villone e Renato Pistone, le tesi si articolano in tre capitoli: "La degenerazione della III Internazionale", "Verso il vero partito comunista", "Il problema della Russia nella presente guerra". Per quanto riguarda il primo tema il documento si rifà alla tradizionale critica condotta dalla Sinistra Comunista italiana nei confronti della Terza Internazionale a partire dal III Congresso (1921) e dalla questione del fronte unico. Quanto alla questione del partito, preso atto dell'impossibilità di "raddrizzare" i partiti operai, si ritiene necessario svolgere all'interno di questi "una continua opera di chiarificazione ideologica, mediante la quale gli elementi non ancora corrotti dalla degenerazione centrista potranno ritrovare la loro giusta strada". E questo è tanto più importante in quanto "l'aggravarsi della situazione generale in tutti i paesi di Europa…, non soltanto prepara le condizioni favorevoli per la trasformazione della Frazione in Partito, ma apre un periodo che può precedere anche di poco una situazione prettamente rivoluzionaria". Infine sulla valutazione della politica sovietica e della natura sociale dell'URSS il documento della Frazione manifesta una grande cautela limitandosi, a differenza degli internazionalisti del nord che su Prometeo parlano apertamente di capitalismo di stato, ad una denuncia della degenerazione burocratica del paese dei soviet governato da "una classe di privilegiati e di sfruttatori, formata dai dirigenti, funzionari e tecnici, costituenti appunto la burocrazia, alleata alla classe dei contadini ricchi e medi".

In questo contesto Bordiga, in quel periodo residente a Roma, sviluppa un'intensa attività politica, riallacciando, senza mai tuttavia apparire pubblicamente, rapporti con vecchi militanti comunisti, alcuni dei quali ancora dentro il PCI. L'interesse verso di lui è enorme. Nei più disparati ambienti si pensa ad un suo rientro sulla scena della grande politica e la cosa preoccupa gli staliniani. Togliatti in particolare appare addirittura "ossessionato" dal possibile ritorno del vecchio leader.

Analogo interesse mostrano i comandi alleati ed in particolare i servizi segreti americani. Un emissario di questi, spacciandosi per giornalista, riesce ad avere un incontro con Bordiga che descrive come "una dinamo umana e un gigante del pensiero… il punto di riferimento di tutti i dissensi". Gli americani sperano di utilizzare Bordiga in funzione anticomunista. Vanni Montana, un sindacalista italo-americano vicino ai socialisti e all'OSS ( il servizio segreto di allora da cui dopo la guerra nascerà la CIA), contatta Bordiga e gli propone di rientrare nel PSI per svolgervi una battaglia antistalinista impegnandosi a finanziare "qualunque attività politica" che egli avesse intrapreso. 

Contatti con Bordiga vengono ricercati anche dalla Quarta Internazionale che attraverso suoi militanti membri delle truppe alleate cerca di costi- tuire un primo embrione di organizzazione trotskista in Italia. Charles Van Gelderen, dirigente inglese della Quarta Internazionale, allora di stanza a Napoli con l'esercito britannico, riesce ad entrare in contatto con Bordiga, ma con esiti altrettanto deludenti. " Bordiga - ricorda - parlava bene l'inglese, quindi non avemmo difficoltà nel comunicare. Politicamente non si era spostato di un centimetro dalla sua posizione di ultrasinistra degli anni Venti. Nutriva il più profondo rispetto personale per Trotsky, ma non aveva molte simpatie né per il trotskismo né per la Quarta Interna- zionale…Bordiga e io diventammo buoni amici, pur rimanendo assai distanti dal punto di vista politico".

L'atteggiamento politico di Bordiga resta dunque un enigma per chi, entrato in contatto con lui, non si capacita che un militante di quel livello e con quella storia si ostini a voler rimanere al di fuori dell'attività politica. In realtà egli non crede  nella possibilità di una ripresa rivoluzionaria a breve termine. La vittoria militare ormai evidente dell'imperialismo americano gli fa valutare con grande pessimismo le possibilità che alla guerra segua una fase rivoluzionaria come quella del primo dopoguerra e di conseguenza lo conferma nella convinzione della sostanziale impossibilità di costruire il partito comunista rivoluzionario. Van Gelderen lo ricorda poco interessato "al lancio di un nuovo partito, né in effetti ad alcun tipo di gruppo organizzato". Dunque, pur collaborando con la Frazione, Bordiga non crede esistano le condizoni per una ricostruzione del partito che giudica prematura e volontaristica. Posizione non priva di ambiguità e destinata a durare  fino agli inizi degli anni Cinquanta e a segnare, come vedremo, con effetti dirompenti il suo rapporto con il PC Internazionalista di Onorato Damen.

Con la fine dalla guerra la Frazione, all'interno della quale si è costituita una corrente (Tarsia, La Camera, Maruca, Pistone) vicina alle posizioni della Sinistra Comunista, stabilisce contatti diretti con il PC Internazionalista nella prospettiva di una possibile fusione. Agli inizi di giugno si svolge un incontro fra i delegati dell'Esecutivo provvisorio della Frazione e Bruno Maffi della Federazione di Milano del PC Internazionalista nel corso del quale viene fissato per il 15 luglio lo svolgimento a Milano di un convegno nazionale di unificazione.

 

Il Convegno si terrà i giorni 17 e 18 luglio 1945 e, constatata la piena identità di vedute sul terreno ideologico e tattico, delibera l'integrazione della Frazione nei ranghi del PC Internazionalista. Il 29 luglio, nello studio di Tarsia, presenti fra gli altri Maffi, Damen e Bordiga, la Frazione viene sciolta e i suoi militanti aderiscono in maggioranza al PC Internazionalista, mentre altri rientrano nel PCI e nello PSIUP o, come Libero Villone, si orientano definitivamente verso il trotskismo.

 

Il Partito Comunista Internazionalista (1945-1952)

 

Nonostante gli attacchi violentissimi del PCI, giunti fino all’assassinio di militanti di primo piano del partito come Acquaviva e Atti, nel primi mesi dopoguerra il PC Internazionalista conosce una rapida estensione giungendo in breve a coprire con le sue 13 federazioni e 72 sezioni l’intero territorio nazionale.

 

Il 28 dicembre 1945 e il 1 gennaio 1946 si tiene a Torino la prima conferenza nazionale. A questa conferenza è assente Bordiga che, pur scrivendo sugli organi del partito e cercando di orientarne la linea, rifiuta l’iscrizione formale. Nella conferenza emergono i primi contrasti e le prime critiche sull’attivismo e sul troppo “facile allargamento” dell’organizzazione nei mesi successivi alla fine della guerra. In particolare Vercesi (Perrone), vero e proprio portavoce di Bordiga, si esprime contro il convincimento di larga parte dei militanti dell’apertura di una nuova fase rivoluzionaria. La tesi sostenuta è liquidatoria: la nascita del partito è stata prematura e totalmente falsa è la prospettiva di uno sviluppo ulteriore del partito sul modello del 1921.

 

Nei fatti queste posizioni coprono un più profondo e sotterraneo contrasto fra i due principali esponenti internazionalisti: Amadeo Bordiga (Alfa) e Onorato Damen (Onorio). Contrasto inerente la valutazione della natura sociale dell’URSS (Bordiga è restio ad accettare la tesi del capitalismo di stato)e l’analisi sia della fase che della situazione internazionale interamente ruotante sull’incipiente confronto russo-americano.

 

Nel 1947, valutando come la situazione internazionale rendesse impossibile la continuazione della collaborazione governativa delle sinistre, Battaglia Comu- nista correttamente prevede l’aprirsi di una nuova fase massimalista del PCI in cui la fraseologia anticapitalista nei fatti tende a coprire la tradizionale politica filo-russa a livello parlamentare ed elettoralistico . L’analisi è come sempre lucida e corretta, molto meno le implicazioni politiche che ne vengono fatte derivare.

 

Nella convinzione che il manifesto fallimento della politica togliattiana apra consistenti spazi a sinistra   gli internaziona- listi decidono di partecipare alle elezioni del 1948, raccogliendo nelle pochissime circoscrizioni in cui si presentano poco più di 20 mila voti. Un risultato non disprez- zabile, ma certamente di molto inferiore alle attese.

 

Il fallimento delle speranze elettorali riattizza le polemiche fra le varie anime del partito. Nel Congresso di Firenze (maggio 1948) lo scontro è furibondo fra Damen e i suoi e quella che questi definiscono la “massoneria napoletana”, Bordiga, Vercesi e gli altri teorici dell’attendismo. Il contrasto è chiaro: da un lato Vercesi, sostenuto da Bordiga, che considera inesistenti le condizioni minime per un intervento attivo del partito nella società e nella classe e dall’altra Damen che, pur riconoscendo la disfatta storica del proletariato, ritiene ancora valide le motivazioni alla base della fondazione del PC Int.

 

Lucidamente, come suo solito, Damen denuncia come ci sia “una tendenza, in alcuni compagni, che mira a restringere i compiti del partito, se non addirittura a negare la legittimità storica della sua esistenza. Su questo piano è facile arrivare alla teoria che postulerà la liquidazione del partito”.

 

Il congresso non risolve alcun nodo lasciando tutti i problemi aperti. Il voto finale a favore delle tesi astensioniste di Maffi, mostra tuttavia che Bordiga può ormai contare su una maggioranza del partito.

 

Il Congresso di Firenze innesca un processo di declino del PC Int. che si rivelerà inarrestabile. Negli anni successivi, fino alla definitiva rottura del 1952, centinaia di militanti vengono  espulsi o lasciano il partito che dal canto suo chiude molte sedi locali e riduce la periodicità del giornale. E’ un processo in parte determinato dal clima di riflusso della politica italiana che ha pesanti ripercussioni anche sul ben più radicato PCI, ma che sconta fortemente il peggioramento della situazione interna al partito, l’inasprirsi delle polemiche e anche il carattere sostanzialmente eterogeneo della base che nei suoi primi convulsi anni di vita il PC Int. aveva raccolto.

 

Lo scontro interno si fa durissimo a partire dal 1950 e dai temi più generali relativi alla fase passa alla politica quotidiana del partito con particolare riguardo alla tattica sindacale. All’interno del Comitato Centrale Vercesi sostiene ormai apertamente l’inattualità dell’organizzazione del partito.

“In queste condizioni – afferma – il vincolo organizzativo non favorisce, ma impedisce la difficile ed indispensabile opera di chiarificazione”. Compito dell’ora è studiare, tutto il resto è “attivismo”. Il PC Int. non rappresenta che piccoli gruppi “falsamente etichettati in quanto partito”. D’altronde, conclude Vercesi, sostenendo a voce alta negli organismi del partito quello che Bordiga dice privatamente a pochi intimi, “le condizioni per la formazione del partito non si palesarono  nel 1945-46 e non esistono nemmeno oggi”.

Coerentemente con queste posizioni nel gennaio 1951 il Comitato Esecutivo delibera a maggioranza non solo l’abbandono dell’azione sindacale, unico terreno di lavoro “pratico” del partito, ma addirittura l’adozione di una sistematica e organizzata azione di crumiraggio nei confronti degli scioperi e delle lotte della CGIL “controrivoluzionaria” e “stalinista”. E’ una tattica suicida, propagandata dal giornale e attuata a Asti, unica realtà in cui il PC Int. ha grazie al martirio di Acquaviva ancora un certo radicamento operaio. Le conseguenze sono devastanti: i quattro rappresentanti della minoranza “non-bordighista” nel CC (Bottaioli, Stefanini, Lecci e Damen) prendono con un durissimo documento le distanze dalla decisione e poi ad uno ad uno rassegnano le dimissioni dall’organismo dirigente del partito. La risposta della maggioranza consiste nell’allontanamento di Damen dalla direzione di “Battaglia comunista” e nella sua sostituzione con Maffi. A questo punto la minoranza chiede lo svolgimento di un Congresso straordinario del partito, ottenendo in risposta lo scioglimento delle tre federazioni dove è maggioranza.

 

In reazione nel gennaio 1952 si costituisce sotto la direzione di Damen un “Comitato del Congresso” che organizza un “Secondo Congresso Nazionale” a cui la maggioranza non partecipa. E’ la scissione che segna la nascita di due organizzazioni, entrambe con lo stesso nome di PC Internazionalista, attorno a Damen (“Battaglia Comunista”) e a Bordiga (“Programma Comunista”).

 

Giorgio Amico

1943

 

Prospettive. Dopo lo sbarco in Sicilia

 

Lo sbarco anglosassone in Sicilia apre nella guerra una nuova fase che merita di essere attentamente studiata dal punto di vista delle prospettive rivoluzionarie. È oggi impos- sibile prevedere la durata della lotta in quel settore, per quanto le prime impressioni siano di un'offensiva condotta con abbondanza di mezzi ed estrema facilità di rifornimenti, contro le forze numericamente elevate ma tecnicamente insufficienti e tutt'altro che ansiose di combattere. È anche impossibile prevedere quali sviluppi avrà, se cioè sarà il punto di partenza di un attacco diretto al continente italiano o se, come sembra più probabile, servirà di trampolino di lancio verso le due altre isole maggiori (da cui un attacco all'Italia sarebbe molto più agevole) o verso la Puglia e, di qui, la Grecia. In questo campo non è dato avanzare che ipotesi. Ma, comunque abbia a svolgersi la lotta, è chiaro ch'essa porta l'Italia al centro dell'offensiva anglosassone contro l'Europa e ne fa uno dei principali teatri della guerra. L'Italia entra in questa fase in condizioni disperate: con una situazione alimentare difficilissima, con un armamento del tutto insufficiente, con le sue città praticamente indifese contro le incursioni, con una truppa male armata, mal nutrita e stanca di combattere. Sono questi, dati di fatto che nessuna propaganda nazionalistica e nessuna retorica da articolo di fondo può smentire. D'altra parte, la ripresa della lotta sul fronte orientale impegna l'esercito tedesco nel momento in cui la sua presenza sul teatro bellico mediterraneo sarebbe, dal punto di vista dell'Asse, improrogabile. In queste condizioni, è facile prevedere la tragedia che si abbatterà sul paese, la demoralizzazione che provocherà nelle truppa - già stanca e percorsa da una profonda vena di disfattismo - lo smarrimento, la stanchezza, il panico delle popolazioni civili, la disorganizzazione della vita economica, il peggioramento della già difficile situazione alimentare e dei rifornimenti in genere. Tutto lascia prevedere, da una parte, l'aggravarsi delle condizioni generali della vita e, dall'altra, l'accentuarsi della tensione politica interna. S'inizia, per il regime, un periodo di crisi in cui la classe operaia sarà evidentemente chiamata ad esercitare una funzione di primo piano. È questo, dal punto di vista delle prospettive rivoluzionarie, un primo dato positivo.

 

Il secondo dato positivo è offerto dalla situazione generale europea. L'attacco all'Italia rientra in un piano generale di assalto alla "fortezza europea". Ora, questa fortezza è in realtà, una polveriera. La situazione interna italiana si ripete, moltiplicata e peggiorata, per tutti i paesi d'Europa: la Francia e i Balcani sono, alle due estremità opposte, in un periodo di profondo fermento, di latente e aperta rivolta: la guerra vi ha inciso profondamente nella situazione economica interna, nella vita politica, nei sentimenti. La Germania, duramente e continuamente colpita nella sua attrezzatura industriale, largamente dissanguata su tutti i campi di guerra, è anch'essa nonostante l'apparente solidità della sua struttura generale, alla vigilia di una crisi profonda. Tutta l'Europa è in bilico sull'orlo di una convulsione di lotte politiche e sociali. La bardatura di guerra simula una stabilità, non garantita tuttavia da solide basi economiche, politiche, militari, sociali. Non è difficile immaginare lo scatenarsi di forze che la rottura di questo telaio artificioso potrà provocare. Qualunque durata, estensione e forma stia per assumere nel prossimo futuro la guerra, è questo un secondo dato di fatto incontrovertibile.

 

L'attacco all'Italia si ripercuoterà dunque sulla situazione europea e ne subirà di riflusso i contraccolpi. Le possibilità oggettive rivoluzionarie si dilateranno col dilatarsi della guerra, e si faranno più prossime. Ora è chiaro, indipendentemente dalle ragioni generali su cui si fonda l'ideologia e l'azione comunista, che i questa crisi imminente il fattore risolutivo non può essere dato che dalla classe proletaria, sulla qual la situazione più direttamente incide e, al suo seguito, dai ceti proletarizzati dei contadini poveri - ai quali la guerra ha tolto le braccia dei giovani e che non trovano un compenso nell'attività speculativa dei medi e grossi contadini - e della piccola borghesia: ceti, questi ultimi che possono intervenire nella lotta solo in quanto il proletariato li guidi e che si orienteranno soltanto in funzione dell'orientamento della classe più rivoluzionaria, ma che avranno comunque una funzione nella fase critica ed insurrezionale. Un fenomeno delle proporzioni assunte dagli scioperi torinesi e milanesi, dimostra nell'ambiente proletario una rinnovata volontà di lotta, che l'aggravarsi della situazione non potrà non accentuare. La possibilità e, insieme, i compiti di un partito rivoluzionario sono, da tutti questi fattori, moltiplicati. Oggettivamente, la situazione matura con una rapidità che può divenire, in determinate circostanze, precipitosa.

 

Ma la situazione ha anche i suoi elementi negativi, che un partito rivoluzionario deve affrontare con estrema fermezza e con assoluta obbiettività. Lo sbarco anglosas- sone, qualunque estensione e sviluppo stia per assumere, segna il primo passo verso l'insediamento in Italia e, successivamente in Europa, di un gigantesco blocco di imperia- lismi borghesi; imperialismi che estendono i loro tentacoli a tutto il mondo e che dispongono di risorse materiali e politiche enormi: imperialismi che agiranno, sul terreno politico europeo e mondiale, in senso nettamente reazionario. Anche sotto questo aspetto la situazione italiana si salda strettamente alla situazione internazionale. Se è vero che lo sbarco e i suoi sviluppi militari accelereranno il processo di crisi europea ed italiana o incrineranno la compagine degli stati fascisti, è altrettanto vero che le forze così impiantatesi in Italia e in Europa agiranno - vorranno agire - come forze d'ordine borghese e perciò come fattori controri- voluzionari. La presenza della Russia non muta - stando le cose come stanno - la realtà di questa situazione: essa si muove ed agisce - ed agirà, a meno di un rivolgimento interno nel senso di una ripresa proletaria - nell'orbita degli imperialismi inglese e americano. È questo un fattore nettamente negativo della situazione, ed è chiaro che nel crollo del fascismo, la posizione di un partito seriamente rivoluzionario non può essere che di opposizione alle forze internazionali borghesi che tendono ad assumere l'eredità fascista. Anti-capitalisti, noi non possiamo essere che anti-democratici, allo stesso modo che siamo anti-fascisti, e la rivoluzione proletaria, sbarazzatasi dei regimi totalitari, dovrà affrontare la stessa aspra battaglia contro i regimi democratici borghesi.

 

Questi regimi non dispongono soltanto della forza militare, ma si trovano spianata la strada - ed è questo, dal nostro punto di vista, il secondo fattore negativo - dalle formazioni politiche che, sul terreno italiano ed europeo si muovono in funzione anglo-russo-americana. Fattore non meno importante e pericoloso, tanto più pericoloso in quanto, attraverso le due grandi correnti tradizionali operaie, esercita la sua influenza diretta sulla classe proletaria. Il filo-democratismo socialdemocratico (che si risolve, concretamente, in anglofilia) e l'opportunismo staliniano, col suo corredo di fronti nazionali, di blocchi anti-fascisti, di supina accettazione della politica della Russia, cospirano, nel loro comune e generico anti-fascismo, a preparare la vittoria di uno dei due blocchi imperialistici sull'altro - e, quel che più importa, sulla classe operaia. Sarebbe stolto, anzi delittuoso, nascondersi che nella situazione presente, le masse italiane e, più genericamente europee, si muovono pratica- mente e sentimentalmente, sul terreno del compromesso. Stanche di un ventennio di reazione e di soffocamento, esse si orientano in un accesso di disperazione verso la soluzione più comoda, verso la "linea di minor resistenza". E, in tal modo, favoriscono, senza volerlo, senza capirlo, un riassestamento della società borghese su basi più sane e sicure. Le ragioni di questo orientamento sono state da noi più volte indicate: la lotta contro questa degenera- zione opportunistica è, non da oggi, la nostra ragione di essere. Ma non è in nostro potere modificare, di colpo, una situazione obbiettiva e soggettiva che da del problema rivoluzionario un problema di avanguardia proletaria.

 

Ma nell'esaminare questi due fattori negativi (di cui, ripetiamo, sarebbe folle ridurre l'importanza), noi abbiamo finora trascurato una serie di variabili. Abbiamo cioè ammesso nelle forze da noi considerate un'assoluta immobilità, come se il corso stesso delle cose non dovesse provocare, anche in questo campo, uno spostamento di forze. Abbiamo, per esempio, considerato le tre nazioni unite come un blocco solo, come se, cioè, la loro situazione interna fosse immobile. Ma la guerra passerà su di loro senza lasciare le sue tracce? Il colossale indebitamento dell'Inghilterra verso l'America, l'ipertofria delle industrie di guerra negli Stati Uniti, la pressione a cui il conflitto ha sottoposto l'intera struttura economica e sociale dell'Urss, non provo- cheranno in queste che ci appaiono già come le "nazioni vincitrici" profondi squilibri interni e possibilità di crisi politiche? La classe operaia inglese, russa, americana, non risentirà anch'essa come la tedesca, l'italiana, la francese, la balcanica ecc. , gli effetti tremendi di una guerra gigantesca? L'intera economica mondiale non uscirà dal conflitto più sconvolta ancora che alla fine dell'altra guerra? Prospettive lontane, d'accordo, che presuppongono la fine del conflitto, ma che si profilano già oggi, per esempio, nell'inquietudine sociale che serpeggia in America.

Ma vi sono elementi anche più vicini, di cui si deve tener conto. La crisi che l'"attacco all'Europa" inaugura, qualunque sia la sua durata di maturazione, potrà mancare di produrre nelle masse una spinta verso sinistra? Una situazione come quella che si profila può avvalorare l'ipotesi che la cornice democratico-opportunista in cui i massimi partiti operai cercano di inquadrare le masse possa contenere a lungo il proletariato e costringerlo a battere il passo, mentre l'allontanarsi dell'artificiosa bardatura di guerra provocherà paurosi squilibri nell'economia, affretterà la svalutazione della moneta, peggiorerà la già difficile situazione alimentare e le già dure condizioni di vita? Non c'è governo di successione al fascismo che possa risolvere, sul piano borghese, le enormi difficoltà che la crisi farà sorgere, e il governo che si accollerà un'eredità simile - o lo stesso regime totalitario irrigiditosi in una caparbia resistenza - è destinato ad attirarsi l'odio e il disprezzo di un popolo che non vuol più tollerare la disciplina di guerra e che, conquistata la pace, non riesce a conquistarsi il pane e il lavoro. Tutti questi fattori incideranno profondamente sullo stato d'animo delle masse. Rimarranno esse inquadrate in partiti che non soddisfano più alle loro esigenze e alle loro speranze, che continuano ad esercitare, in una situazione potenzialmente io apertamente rivoluzio- naria, una funzione moderatrice? Giacché non è soltanto vero che le masse sono oggi, nella maggioranza, sospinte verso una pura soluzione "anti-fascista" e perciò disposte ad accettare la politica del compromesso: è anche vero che accettano questa politica perché credono ancora nell'efficienza rivoluzionaria dei loro tradizionali partiti. È una situazione, in larga misura, di equivoco: ma una situazione di equivoco può durare a lungo in periodi normali, non dura a lungo in fase di ripresa rivoluzionaria e di crisi sociale profonda. Lo sfasamento che si verificherà tra la spinta delle masse e il freno opposto dai partiti maggiori - le masse cento volte avanti al partito, come constatava Lenin nella primavera del '17, ed oggi lo saranno non cento ma mille volte - avvicinerà fatalmente il punto di rottura. E il nostro compito è appunto di preparare fin da oggi quell'organismo di partito rivoluzio- nario che rappresenterà agli occhi delle masse - per la continuità e la decisione con cui avrà sostenuto la sua battaglia contro tutti i miti e contro tutte le mistificazioni - un naturale centro di raccolta. Alla fine dell'altra guerra questo centro di raccolta non c'è stato, o, almeno, non c'è stato subito: in tutti i paesi, la scissione tra opportunisti e rivoluzionari si è verificata in ritardo, in fatale ritardo, sugli avvenimenti: è avvenuta, quasi sempre, in fase di declino della situazione rivoluziona- ria. Domani la situazione rivoluzionaria si ripresenterà: e non sarà più soltanto un partito a porsi sul piano della conservazione borghese, ma saranno due. Per contro, vi sarà, è necessario che vi siano, i quadri già saldi di un partito rivoluzionario.

 

L'analisi sommaria che abbiamo fatto - forzatamente sommaria, in mancanza di dati sicuri sulla situazione interna degli altri paesi - ci porta ad alcune conclusioni che riassumiamo rapidamente: a) esistono fattori obbiettivi che preparano in modo indubbio la ripresa rivoluzionaria operaia; b) esistono fattori obiettivi e soggettivi che bi metteranno ostacolo: essi sono rappresentati dalla prossima presenza sul continente di forze militari del blocco imperialista anglosassone, della debole preparazione politica delle masse, dall'opportunismo dei maggiori partiti operai; c) esistono le premesse di una situazione nuova, in cui anche questi fattori negativi possono essere neutralizzati, sia dall'affiorare di forze rivoluzionarie negli stessi paesi vincitori, sia dalla crisi spaventosa che si rovescerà sull'Europa e dalla conseguente radicalizza- zione delle masse operaie europee, sia dall'incapacità dei partiti opportunisti di mantenere nell'alveo del compromesso l'ondata rivoluzionaria; d) condizione prima perché queste premesse si concretino in possibilità rivoluzionaria è l'esistenza di un partito che non solo abbia per obiettivo finale la realizzazione di una società socialista, ma imposti tutta la sua azione quotidiana, la sua tattica, la sua strategia sull'obiettivo pratico e diretto della presa rivoluzionaria del potere. Gli elementi negativi non saranno mai sottovalutati da un partito come questo. Non sottovaluteremo la forza militare dell'imperialismo anglosas- sone, come non sottovaluteremo la colossale importanza di partiti che, per tradizione, per l'appoggio di forze politiche e militari, per l'immaturità di una larga parte delle masse, convogliano ancora sul terreno del compro- messo e delle soluzioni opportunistiche gran parte del proletariato italiano ed europeo. Né sopravalutiamo i riflessi che l'accentuarsi e il giganteggiare della crisi avranno sulla vitalità politica di questi partiti. Il compito di un partito rivoluzionario non è soltanto di interpretare una situazione e comprenderne le direttrici di sviluppo: è d'inserirsi in questa situazione come suo elemento risolutivo. Riconoscere, oggi, che la nostra ora non è ancora giunta non significa adattarsi passivamente ad una situazione di fatto, così come riconoscere che il corso dei fatti evolve nel senso di una crisi rivoluzionaria non significa attendere passivi che questa crisi "avvenga". Significa, al contrario, misurare le forze in giuoco per orientarsi in esse. È questa l'importanza decisiva, capitale del partito, che non è la massa ma il suo interprete e la sua guida. La situazione, ricca di elementi positivi e, insieme, di pericoli, sarà in larga misura determinata dalla forza d'urto, dalla capacità politica, dalla tempestività di azione del partito. Per questo è necessario stringere i quadri.

 

La nostra debolezza d'oggi è la debolezza di una situazione di fatto, così come la nostra forza di domani sarà, in gran parte, la forza di una situazione di fatto radicalmente diversa. La crisi che si annuncia all'interno dello stesso regime di guerra e [illeggibile] più ancora, si prepara per il regime di pace, libererà una quantità di forze sinora compresse, e, con loro, libererà dall'isola- mento i partiti di avanguardia proletaria. Oggi, non esiste più una direzione internazionale del proletariato, non esistono contatti internazionali. Ma vivono, in tutte le nazioni, forze politiche, pur isolate, lavorano con una mentalità e con una mentalità e con una struttura organica internazionalista. Non sarà difficile, domani, a queste forze il ritrovarsi.

 

Di fronte agli sviluppi dello sbarco inglese, la nostra posizione non può essere dubbia. Essa implica una lotta tenace e decisa contro i blocchi e contro le pastette a base "nazionale" o "popolare"; lo smaschera- mento dell'opportunismo filodemocratico, filoinglese e filo-staliniano dei due maggiori partiti operai: la contrapposizione immediata, nel periodo culminante della crisi, della parola d'ordine dei Consigli degli operai, dei contadini poveri e dei soldati, sono strumenti di lotta rivoluzionaria prima e come organi del potere proletario poi, alle parole d'ordine costituzionali, patriottarde, parlamentaristi- che, che il [illeggibile] o "anti-fascismo" non mancherà di lanciare: l'armamento del proletariato, la preparazione teorica e tecnica della rivoluzione.

 

Solo se sapremo foggiare al proletariato un'arma tagliente, le prospettive rivolu- zionarie si concreteranno in realtà di fatto. La lotta contro l'opportunismo deve essere l'altra faccia della lotta per la preparazione di quadri che siano ideologicamente e praticamente all'altezza della situazione politica, economica, sociale, del paese. È questo il nostro compito immediato: ed è, insieme, il nostro compito primordiale.

 

(Dattiloscritto, Torino 1° settembre 1943)

 

 

 

 

Demagogia democratica e fascista e realtà di classe

 

Ogni stato belligerante ha bisogno, per convincere la massa operaia della suprema utilità e santità del massacro, di prendere una certa tintarella sociale o addirittura socialista. Il "socialismo nazionale" di Hitler ha servito di paravento alla preparazione bellica della Germania; il "piano Beveridge" serve a Churchill per barattare i sacrifici presenti dei lavoratori contro la promessa di una vita comoda e di una vecchiaia tranquilla nell'avvenire. E poiché questa demagogia sociale è tanto più necessaria quanto più profonda è la crisi del sistema borghese, è naturale ad analoghi trattamenti di chirurgia estetica sentano l'urgente bisogno di sottoporsi soprattutto gli stati in cui il marasma sociale e politico interno minaccia di sconvolgere le basi stesse della società borghese. Non per nulla, punto di minor resistenza dell'edificio capitalistico mondiale, lo stato fascista repubblica cerca, autoproclamandosi socialista, di riguada- gnare presso il proletariato il prestigio cla- morosamente perduto.

 

Questa manovra in se stessa puerile, è uno dei più clamorosi esempi della degenera- zione capitalista. Quella stessa borghesia che, nella tremenda crisi sociale dell'altro dopoguerra, lanciò sul mercato l'articolo del fascismo, movimento "repubblicano e proletario", e poi - una volta imbrogliati i più ingenui - gli tolse la maschera e lo presentò per quel che era, cioè un movimento monarchico, forcaiolo e schiettamente padronale, per abbatterlo infine quando minacciava di travolgerla nell'abisso dell'avventura bellica, quella stessa borghesia rispolvera oggi i vecchi arnesi demagogici del 1919 nella speranza di legare al suo carro una parte almeno della massa operaia come se fossero passati invano venti anni di reazione antiproletaria, di orge capitalistiche, di sfrontati guadagni digeriti all'ombra dei bassi salari, della protezione doganale, dell'autarchia e, infine, della guerra.

 

Con un colpo di bacchetta, il capitalismo si trasforma in ...socialismo. Ora, che cos'è questo socialismo di cui la recente dichiarazione programmatica del Partito fascista preannuncia la funzione rivoluzionaria? Il socialismo dei cosiddetti "adeguamenti salariali" e della partecipazione agli utili (arma vecchia di almeno mezzo secolo), con cui la classe padronale ha spesso cercato di cointeressare l'operaio alle sorti dell'azienda promettendogli per la fine dell'anno un invito a pranzo; il socialismo della difesa del piccolo coltivatore, delle cooperative di produzione e di consumo, dell'esproprio delle terre coltivate male o non coltivate affatto, che riprende cioè i temi obbligati del più logoro e pantofolaio riformismo; un socialismo che si impegna a ricostruire le commissioni interne e a dar vita ad una confederazione generale di soli lavoratori liberamente eletti, nello stesso momento in cui scatena nei centri operai e nelle fabbriche una reazione spietata; un socialismo, soprattutto, che dichiara di voler mettere al centro dello stato il lavoro, ma si affretta subito a proclamare inviolabile e protetta dallo stato la proprietà privata; che minaccia la guerra alla plutocrazia internazionale, ma ripudia la lotta di classe, anzi vuole la conciliazione fra le classi; che lancia fulmini e tuoni contro il capitalismo monopolistico, ma non ha neppure il coraggio di parlare di nazionalizzazione del monopolio.

 

Salari equi, partecipazione agli utili, commissioni interne, sindacato libero, cooperative di produzione e consumo: un altro passo avanti e il programma fascista repubblicano coinciderà punto per punto col programma sociale dei cinque (o sei) partiti antifascisti, tanto è giusta la nostra tesi che fascismo e democrazia sono due facce diverse di una realtà sola. Ed è naturale, poiché, se nell'Italia fascista repubblicana il programma di rivendicazioni sociali tende a rendere più popolare la guerra tedesca, nell'Italia democratizzata lo stesso programma tende a rendere popolare la guerra inglese.

 

Demagogia, dunque, da ambo le parti. Ma al fondo di questa mascheratura c'è una realtà tragicamente seria: la realtà di una crisi sociale di cui la classe dominante avverte già i sintomi minacciosi, e della quale si preoccupa di ritardare a qualunque costo l'esplosione. Siatene certi: pur di non cedere sulla questione di fondo - sul suo dominio di classe - la borghesia fascista o democratica sarà domani disposta (e lo è già oggi) a cedere sulle questioni secondarie, ad aumentare un pochino i salari, a lasciar sorgere delle commissioni interne che ha tanti modi per corrompere, a subire il controllo delle entrate da parte di organismi operai preventivamente narcotizzati. Può darsi anche che, in extremis, ceda su qualche cosa di più e che in questo gioco trovi un fraterno appoggio nell'opportunismo di certi sedicenti partiti operai.

 

Spetta a noi fin da oggi smascherare una manovra che, con la vecchia e sempre giovane arma della collaborazione, tende a spuntare l'impulso rivoluzionario del proletariato e dimostrare ogni giorno e ogni ora che la soluzione della tesi sociale non può avvenire entro i confini dell'economia e dello stato capitalista, e presuppone come primo e fondamentale atto il grande colpo di scopa della rivoluzione proletaria.

 

(Da "Prometeo" dell’1 dicembre 1943)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1944

 

Manifesto del Partito Comunista Internazionalista diffuso a Milano nel gennaio 1944

 

OPERAI MILANESI

 

Voi avete incrociato le braccia. Soddisfatte o no le vostre richieste di oggi, voi vi muovete fatalmente in un vicolo cieco e sarete, in, breve, costretti ad incrociare ancora le braccia.

 

Perché?

 

Perché i capitalisti e il governo nazi-fascista, responsabili della guerra, sono incapaci non solo di risolvere la tremenda crisi che ha polverizzato l'economia nazionale, ma persino di sfamare voi e le vostre famiglie, costrigendovi ancora a fabbricare cannoni per la guerra.

 

OPERAI

 

Un solo mezzo avete per uscire dalla crisi : fare della vostra forza di classe una cosciente forza rivoluzionaria. Solo unendovi compatti contro la guerra, contro il capitalismo, contro gli sfruttatori di ogni colore che si servono delle vostre braccia e della vostra vita per la loro lotta criminale di dominio, solo spostando la vostra azione dal terreno economico a quello politico, riuscirete"spezzare le catene che ancora vi imprigionano.

 

OPERAI

 

Al capitalismo, colpito a morte dalla sua stessa guerra, contrapponete ora la vostra capacità e la vostra orza di nuova classe dirigente.


Contro il fascismo, che vuole la continua- zione della guerra tedesca, e contro il Fronte Nazionale dei sei partiti, che vuole la continuazione della guerra democratica, voi organizzatevi sul posto di lavoro, cementate in un FRONTE UNICO PROLETARIO i vostri comuni interessi, il vostro stesso destino di classe i indica come già iniziata la lotta decisiva per la conquista del potere.

 

Il Partito Comunista Internazionalista è al vostro fianco.

 

Abbasso la guerra fascista !

Abbasso la guerra democratica !

Viva la rivoluzione proletaria !

 

Il Partito Comunista Internazionalista

 

 

(Da “Prometeo” n.3 -gennaio 1944)

 

Volantino del Partito Comunista Int. – Sezione di Piombino

 

PROLETARI

 

Al congresso di Livorno nel 1921 si compie un fatto storico che si ripercuote profon- damente all'atteggiamento tattico del prole- tariato italiano.

 

La minoranza rivoluzionaria, non riuscendo ad infrangere l'ascendente dei Padreterni del socialismo, i quali si rifiutano di accedere alle richieste della Terza Internazionale, rigettando le tesi contenute nei suoi ventun punti, si scindono dai compagni della vigilia per dar vita a un nuovo organismo: IL PARTITO COMUNISTA D'ITALIA, sezione della 3a Internazionale.

 

I ventun punti di Mosca sono da lui accettati in pieno. Nella sua base programmatica spiccano i seguenti postulati:

 

1) abbattimento della borghesia mercé l'azione rivoluzionaria

 

2) allargamento del concetto di patria dalla nazione al mondo

 

3) libertà di pensiero, di riunione, di parola e di stampa

 

4) abolizione del (lavoro) salariato integrata dalla seguente formula:  ognuno dia alla comunità secondo le proprie possibilità fisiche e intellettuali; la comunità dia a ciascuno secondo i propri bisogni.

 

Postulati da attuarsi attraverso la Repubblica dei Consigli.

 

Per venti anni di lotte sotterranee, il Partito Comunista resta fedele alla sua tattica rivoluzionaria, ai suoi postulati economico-sociali e al suo internazionalismo.

Poi avviene il fatto nuovo che scardina tutte le vecchie formule. L'internazionale è sciolta.


Il Partito Comunista si ammanta si patriottismo; rinnega la dittatura del proletariato per vagheggiare un'ipotetica democrazia progressiva e partecipa, insieme a quelli che ieri erano i suoi naturali nemici, ad un governo monarchico-borghese e sventola la bandiera della costituente quale soluzione definitiva della nostra crisi politica e sociale.

 

Il cordone ombelicale che ci legava all'internazionale è reciso. L'identità di vedute e di intenti col neo Partito Comunista non esistono più. Non ci resta che ricominciare dal punto di partenza - il Congresso di Livorno - tenendo conto delle esperienze acquisite.

 

Ecco perché sorge il Partito Comunista Internazionalista!

Ecco perché sorgendo rivendica i ventun punti di Mosca.

 

ESSO NON E' NE' TROTZKISTA NE' STALINISTA.

E' MARXISTA-LENINISTA.

E' il partito proletario rivoluzionario.

 

LAVORATORI

 

La vostra emancipazione non può essere che il frutto della vostra opera. Venite a noi che inalberiamo il solo vessillo il quale meriti che si combatta e si muoia sotto le sue pieghe:

 

IL VESSILLO DELL'INTERNAZIONALE COMUNISTA.

 

IL COMITATO

 

(s.d. ma 1944)

 

 

Appello del Partito Comunista Internazionalista per la creazione del Fronte Unico Proletario contro la guerra

 

OPERAI!

 

Chiusasi appena una fase delle vostre agitazioni di fabbrica, già si pone la ripresa della lotta: non vi vien dato quello che solo in parte vi era stato concesso: ed anche se concesso, esso non poteva, come non potrà domani, soddisfare i bisogni vostri e delle vostre famiglie, poiché le paghe non consentono il lusso degli acquisti sul mercato nero, e con la tessera ne avete appena a sufficienza per non morire di fame.

 

Il nostro partito vi aveva ammonito che una tale situazione si sarebbe in breve verificata, dato che il vicolo cieco in cui si è cacciata l'economia capitalistica ha gettato in un vico cieco tutte le rivendicazioni contingenti economiche e morali della classe operaia.

 

Perché questo?

 

La ragione va ricercata nella guerra che da cinque anno ormai si alimenta esclusivamente del vostro sangue sui vari fronti del conflitto, e dei vostri sudori e del vostro pane sui posti di lavoro.

 

Vi diciamo anzi che le vostre condizioni continueranno a peggiorare ad onta degli scioperi a cui sarete costretti, perché è mancata fin qui alla vostra lotta la chiara visione politica dei vostri compiti fondamentali e, soprattutto, vi è mancata una guida veramente di classe, animata dallo spirito della rivoluzione.

 

Infatti siete andati e continuate ad andare disarmati davanti ai vostri padroni e ai loro sgherri politici, perché la terribile arma di lotta, lo sciopero, non ponendo al centro del vostro movimento il problema della lotta contro la guerra, anzi acconsentendo che forze politiche a voi estranee, quelle dei sei partiti democratici, con a capo il partito comunista centrista, prendessero la guida del vostro movimento per trascinarlo sul piano politico antioperaio e controrivoluzionario della guerra nazionale, è stata praticamente spuntata.

 

Così, non soltanto siete rimasti scornati da una "vittoria" che vi lascia la pancia vuota come prima, ma, quel ch'è peggio, vi siete prestati, certo inconsciamente, ad una manovra politica peggiore, nella conseguenza di una sconfitta di classe, perché avvilisce e disonora le ragioni ideali e politiche della lotta del proletariato. La guerra imperialistica non è forse la più feroce, la più disumana, la più assassina guerra condotta dalla borghesia contro il proletariato? Porsi perciò su questo piano significa favorire l'opera distruttrice della classe nemica a danno della propria classe.

 

Contro i vostri padroni fascisti che, soddisfacendo in parte a vostre richieste, tentano di aggiogarvi una volta di più alla loro guerra; contro coloro che, approfittando delle vostre condizioni economiche e del vostro naturale odio contro il fascismo sanguinario, vi sobillano allo sciopero a ripetizione perché ciò rientra a meraviglia nel loro piano di guerraioli che operano oggi come avanguardia dell'esercito alleato, cosiddetto liberatore, e opereranno domani al suo fianco per la continuazione della guerra democratica:

 

contro coloro che tentano di incanalare la vostra lotta nel fronte della liberazione nazionale fingendo d'ignorare che la "patria" del proletariato, quella del lavoro e della solidarietà senza frontiere, non ha nulla di comune con la "patria" dei borghesi; voi, operai, rispondete con le parole di Lenin: "La guerra è un inevitabile stadio del capitalismo, una forma altrettanto normale della vita capitalistica quanto la pace... Il rifiuto di prestare servizio militare, gli scioperi contro la guerra e simili cose, sono pure stupidità, un pallido e codardo sogno di lotta inerme contro la borghesia armata, un sospiroso desiderio di ottenere l'annientamento del capitalismo senza una disperata guerra civile". Oggi, chiusa in se stessa, la lotta per le rivendicazioni economiche immediate perde significato e valore; a che gioverebbe la parziale soddisfazione delle vostre richieste, se l'immane massacro continuasse succhiando il vostro sangue e il vostro sudore?

 

OPERAI!

 

L'ora presente impone la formazione di un fronte unico operaio, l'unione cioè di tutti coloro che non vogliono la guerra, sia essa fascista o democratica.

 

Operai di tutte le formazioni politiche proletarie e senza partito! unitevi ai nostri operai, discutete insieme problemi di classe al lume degli avvenimenti della guerra e formate di comune accordo in ogni fabbrica, in ogni centro comitati di fronte unico capaci di riportare la lotta del proletariato sul suo vero terreno di classe.

Il fronte unico tra operai sarà una realtà viva e operante alla sola condizione che voi, qualunque sia la vostra posizione politica di partito, siate d'accordo sulle seguenti

 

Premesse sulla guerra

 

1) - La guerra imperialista è il tentativo più vasto, violento e corruttore condotto contro il proletariato per sbarragli la strada che conduce alla conquista del potere;

 

2) - Tra due poli della guerra, il fascista e il democratico, il primo sintesi di violenza e il secondo di corruzione, il proletariato esprime avversione ad entrambi come aspetti apparentemente diversi dalla stessa realtà capitalistica:

 

3) - nessuno sarà più disposto a far credito alla ormai vecchia e ridevole storiella della "manovra tattica", che comporta la lotta al male peggiore (leggi nazifascismo) per preferire l'alleanza al male minore (leggi dittatura democratica);

 

4) - Le parole d'ordine dell'insurrezione armata, cara ai guerriglieri della liberazione nazionale, è soltanto verbosità rivoluzionaria che nasconde il tradimento della rivoluzione proletaria e mira a creare ai sei partiti una sufficiente base elettorale per la scalata al potere politico.

 

Premesse sulle lotte del lavoro

 

5) - Nella fase attuale della crisi e sotto l'imperversare più furioso della guerra, le rivendicazioni di natura salariale o di contingenza politica, se da un canto esprimono i bisogni gravi e urgenti delle masse e sono inevitabili, come inevitabile e insopprimibile è il diritto proletario di valersi dei mezzi che gli sono propri per la difesa dei suoi interessi, dall'altro sarebbero praticamente vane e illusorie se nel proletariato non esistesse la coscienza che solo l'avversione attiva, classista alla guerra, solo la guerra spietata all'imperialismo comunque camuffato, solo la lotta rivoluzionaria vittoriosa assicureranno il potere al proletariato.

 

6) - È necessario distinguere fra lo sciopero, espressione organica della lotta operaia e mezzo normale di difesa della classe, e la scioperomania di coloro che portano nella direzione del movimento una mentalità da guerrigliero balcanico e da organizzatore di bande armate. Ciò serve in definitiva a rendere inefficace l'arma dello sciopero e a screditarlo nella coscienza delle masse.

 

Solidali perciò con gli scioperi e con ogni manifestazione classista di fabbrica, promotori anzi della loro condotta, gli operai siano soprattutto gli assertori costanti, instancabili, della suprema necessità della lotta per il potere da parte del proletariato nel cui clima storico le lotte contingenti, nella loro stessa parzialità e inutilità, si illuminano e assumono così colore e sostanza di classe.

 

In una parola, all'ordine del giorno della storia oggi per il proletariato è la conquista del potere; tutto il resto va considerato in funzione di questa necessità fondamentale.

 

Premesse sull’organizzazione del "fronte unico proletario"

 

7) - Sulla base di queste premesse gli operai (l'etichetta della loro fede politica non conta) si facciano divulgatori dell'appello del nostro partito, e, dibattute e chiarite e accettate le idee che ne sono la giustificazione, si facciano essi iniziatori dei primi contatti e dei primi raggruppamenti organici sul posto di lavoro. Del resto, gli operai hanno dimostrato chiaramente di essere ormai maestri nell'arte di organizzarsi in barba dei padroni e dei loro servi fascisti.

 

8) - Il fronte unico operaio raggruppa e cementa le forze destinate a battersi sulle barricate di classe contro la guerra e le sue forze politiche di direzione, tanto fasciste quanto democratiche.

 

Suo compito maggiore e più urgente è impedire che gli operai siano appestati dalla propaganda guerraiola; di smascherare gli agenti camuffati da rivoluzionari, ed evitare che lo spirito di lotta e di sacrificarlo che anima il proletariato sia comunque sfruttato ai fini della guerra e della sua continuazione, sia pure sotto la bandiera della libertà democratica.

 

VIVA IL FRONTE UNICO OPERAIO PER LA LOTTA CONTRO LA GUERRA

 

VIVA LA RIVOLUZIONE PROLETARIA!

 

Il Comitato Centrale del Partito Comunista Internazionalista

 

(Da "Prometeo" n. 4 del 1° febbraio 1944)

 

 

 

 

Ercole Ercoli appoggia la monarchia: i veri comunisti gli rispondono

 

Volantino clandestino del PC Internazionalista

 

OPERAI: Il partito centrista staliniano, che ancora usurpa l'appellativo di comunista, vi ha dato nei giorni scorsi per bocca del suo capo Palmiro Togliatti (Ercoli) l'ultima più inconfutabile prova del tradimento della vostra causa rivoluzionaria: l'appoggio del centrismo alla monarchia dei Savoia. Legati mani e piedi al giogo della reazione borghese, al Badoglio del 25 luglio, che vi massacrarono con le mitragliatrici e i carri armati dopo appena qualche ora di respiro dalla caduta del fascismo, i centristi non si accontentano ora più di essere i servi e i paladini della borghesia democratica antifascista, si fanno gli iniziatori più sfacciati della repressione e dell'imperia- lismo.

 

Se ancor ieri potevate vedere su questi signori la maschera di un preteso sinistrismo antimonarchico e antibadogliano; se ancora vi si poteva presentare abilmente confezionato l'ormai ammuffito minestrone della tattica e dello stratagemma machiavellico in una sedicente politica di Comitato di liberazione nazionale che pur lontanissimo dalla vera tattica intransigente di ogni genuino rivoluzionario, tuttavia si atteggiava a difensore di un'Italia nuova, libera dai legami con i venti anni di fascismo; oggi invece la maschera è gettata e la famosa tattica, raggiunto il culmine del suo vantato realismo, è divenuta, nell'alleanza col re, più che realista, regalista. Chi, di questo passo, oserà ancora definire realmente antifascista costoro, i quali, per amore dell'agognata carriera e della medaglietta non hanno esitato a porsi accanto ai fomentatori del fascismo ed a salvare quella casta di militanti e di generali che il nominato Togliatti ha ritenuto altamente preziosi per la creazione di un futuro, poderoso esercito italiano?

 

Di fronte al volgare tradimento centrista non avete che una scelta: una volta definita la natura reazionaria di quello che fu un giorno il vostro partito, rompere ogni legame con esso per salvare il vostro avvenire e, liberati dalla tenaglia guerrafondaia che vi incita alla lotta antinglese o antitedesca, schierarvi nelle file del PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALISTA, continuatore instancabile di Marx e di Lenin, per la trasformazione del conflitto imperialista in una guerra civile, in una lotta di classe, per la creazione di quelle premesse rivoluzionarie necessarie per la vostra vittoria di domani, che consistono oggi in una costante assidua opera di chiarificazione politica, ideologica, di preparazione di quadri, di creazione di fronti unici di base sotto la guida del nostro partito, di disfattismo contro la guerra ed i guerraioli di ogni colore, di sabotaggio, di diserzione.

 

OPERAI, nessuno, né la Germania, né l'Inghilterra, né l'America e neppure la stessa Russia staliniana, vi porterà la rivoluzione. Voi soli, se ne avete la decisa volontà, sarete in grado di conquistare le vostre libertà.

 

Come i comunardi di Parigi del '71, come gli operai di Pietroburgo e di Mosca nel '17, uniti nel vostro vero partito, iniziate la lotta decisiva per la vittoria del Comunismo che solo può nascere là dove l'oppressione e la guerra borghese sono combattute con l'arma vera del proletariato: la guerra di classe in tutti i paesi, all'interno dei fronti di battaglia, nelle città, nelle fabbriche, nelle campagne!

 

VIVA LA RIVOLUZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALE!

 

IL PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

 

(Aprile 1944)

 

 

Natura della guerra

 

Le guerre napoleoniche, come tutte le altre susseguitesi, tra le quali quella del risorgimento italiano, portavano l'impronta della rivoluzione borghese. In effetti queste guerre non rappresentavano altro che l'atto conclusivo di una nuova fase economica, la quale aveva potuto procrearsi nel grembo stesso della vecchia società; l'economia borghese dopo aver penetrato in seno alla società feudale ricorre alla guerra per poter suggellare la vittoria politica.

 

La guerra aveva quale obbiettivo l'abbattimento delle barriere traballanti del feudo, in vista della creazione dello stato nazionale, il che voleva dire aprire nuovi orizzonti economici alla nuova classe dirigente.

 

Ad un certo momento dello sviluppo dell'economia allargata nazionale, con la presenza del nuovo fattore procreato dallo stesso sviluppo dell'economia industriale, il proletariato - il quale per le sue esigenze rivendicative era portato a lottare sul terreno di classe - conseguentemente spingeva indirettamente la classe nemica alla ricerca dei nuovi mercati per collegare quella merce che sul mercato nazionale non aveva più possibilità di essere smerciata. Fu da questa lotta inevitabile tra proletariato e borghesia che ebbe inizio il periodo della guerra del brigantaggio coloniale.

La corsa alle colonie aveva due significati intimamente legati: da una parte la guerra rappresentava di per se stessa un fattore d'impiego del plusvalore, che non trovando posto di collocamento negli ambiti dell'economia nazionale, rappresentava un fattore di crisi permanente; dall'altra i frutti delle conquiste di nuove terre di influenza che si sarebbero verificati in un secondo tempo con la messa in valore dei nuovi territori nel senso di creare un nuovo mercato di consumo.

 

Quale contraccolpo ai due suddetti fattori, si verificava un crescente potenziamento numerico del proletariato, in effetto dell'inevitabile sviluppo industriale dovuto alle necessità dei nuovi mercati, ed inoltre un risveglio della potenza politica del proletariato, il quale da quest'epoca passava dalla fase iniziale dei grandi organismi di massa (organi di difesa) a quella della formazione di organi di partito.

 

L'epoca di floridezza economica che si aperse in relazione diretta alle conquiste coloniali, comportò in seno al proletariato il manifestarsi di una fatale illusione: l'illusione riformista. La tendenza riformista in seno ai partiti socialisti ebbe il sopravvento; essa si basava su una falsa visione del come la classe proletaria realizza la sua emancipazione di fronte al suo nemico capitalista. La posizione controrivoluzionaria consisteva nel fatto di credere possibile staccare il fattore economico da quello politico. Lo strappo di una rivendicazione economica da parte proletaria avrebbe dovuto comportare di riflesso una nuova tappa verso la strada rivoluzionaria dell'abbattimento dello stato capitalista, e solo su questa direzione di lotte per il continuo riallacciamento del fattore minimo al fattore massimo del potere, il proletariato avrebbe potuto evitare di essere trascinato nel vertice della guerra 1914-1918.

 

Il tradimento socialista, viceversa, si appoggiava su un piano completamente opposto, cioè la rivendicazione economica veniva valorizzata quale punto di partenza per il raggiungimento della riforma politica, la quale a sua volta doveva rappresentare una tappa vittoriosa verso il potere proletario.

 

Alla fine di questo tragitto di penetrazioni (il quale dopo aver fatto economia di una rivoluzione doveva concludersi con il trionfo pacifico del socialismo), il mostro della guerra si presentò sotto le spoglie degli stessi uomini e organismi che giuravano per l'idea socialista.

 

Era inevitabile che al termine della fase evoluzionistica che ebbe inizio a favore nei nuovi margini dei mercati coloniali, una crisi di dominio doveva sconvolgere le base stesse della società capitalistica. La classe proletaria mondiale era annientata dalla politica riformista e perciò impotente ad opporsi allo scatenamento del conflitto.

 

Se le guerre napoleoniche e quelle del risorgimento italiano aprivano nuovi orizzonti all'economia borghese, la quale poteva dilagare su scala nazionale, le guerre coloniali davano respiro di una maggiore portata e lo sviluppo tecnico industriale poteva lanciarsi in spazi quasi illimitati. Ma l'illusione di una evoluzione economica senza fine su basi borghesi cadde nella constatazione che il mercato coloniale si saturava nel capovolgimento della sua funzione primitiva, cioè da cliente minacciava di trasformarsi in offerente. Lo stesso fenomeno che travalicava l'economia metropolista avvolgeva disperatamente nel loro irresistibili sviluppo industriale le stesse colonie.

 

Da questo fenomeno ebbe origine la guerra 1914-1918, guerra di decadenza dunque, giacché non si trattava più di andare alla conquista di nuovi mercati, ma bensì di una nuova ripartizione delle zone di influenza già acquisite dal capitalismo mondiale. Il trattato di Versailles doveva rappresentare la base di una pace duratura, ma fu invece il punto di partenza del diversivo per la preparazione di un nuovo conflitto. Infatti i vincitori della ultima guerra non poterono evitare di essere travolti nella crisi mondiale iniziatasi nel 1929 con il crac americano, e ciò nonostante la spogliazione delle colonie tedesche, mentre la Germania di Hitler poté iniziare la sua campagna demagogica antiversagliese per trascinare le masse verso la guerra. Dall'altro canto le democrazie poterono galvanizzare la masse verso la guerra antifascista, per poter nascondere quella crisi congenita al capitalismo mondiale che si chiama mancanza di sbocchi commerciali. In realtà la ripresa economica iniziatasi nel dopoguerra aveva una sola origine e certamente non quella del passaggio delle colonie tedesche in nuove mani, ma bensì dal fatto concreto della distruzione del potenziale economico verificatosi nell'immane guerra.

 

Ripresa ricostruttiva dunque, anzi ripetizione economica: ecco l'unico mercato conquistato dal capitalismo mondiale, mercato che ha la sua chiusura nel 1929 e che si apre in pieno solo nel 1932 con la messa in piedi dell'economia di guerra.

 

Le caratteristiche della guerra attuale si pongono su un piano molto più elevato, pur avendo quale punto di partenza le stesse basi della guerra 1914-1918, cioè anche questa guerra fa parte della serie di conflitti a carattere distruttivo.

Mentre nella guerra 1914-1918 si sperava risolvere la crisi con la spogliazione del "nemico" dei suoi blocchi coloniali, nell'attuale conflitto l'obbiettivo prende delle proporzioni molto più profondo, giacché il capitalismo mondiale ha realizzato la coscienza del pericolo che lo sovrasta.

 

Il fallimento della stabilizzazione a lunga portata dell'economia mondiale, costringe il capitalismo ad evadere dal vecchio concetto di guerra, basato puramente su antagonismi economici tra stato e stato, ed i nuovi obbiettivi saranno molto più chiari in quantoché non si tratterà più dell'obbiettivo minimo di strappare una nuova zona d'influenza ad un concorrente, bensì di infrangere ed annientare i punti fondamentali di un'industria capace di trasformarsi in base di partenza verso il socialismo.

 

L'incrocio del formidabile potenziale industriale tedesco con il bacino agricolo danubiano, avrebbe realizzato l'embrione decisivo del socialismo. Impedire la comunione di questi due fattori, ecco l'obbiettivo del capitalismo mondiale. Se la Germania nel suo formidabile sviluppo industriale minacciava di valicare gli argini-base della società borghese - e questo pericolo non era possibile evitarlo neanche con la buona volontà di Hitler - evidentemente il capitalismo, e per lui Hitler stesso, non poteva non convincersi che l'unica strada per risolvere la crisi di sviluppo era la guerra. La guerra giacché l'altro corno del dilemma si chiamava rivoluzione ed esso pure covava in potenza nelle viscere del capitalismo.

 

La situazione tedesca dopo la decapitazione degli spartachisti nel 1919 con l'assassinio di Rosa Luxemburg e Carlo Liebnecht da parte di sicari militaristi diretti della socialdemocrazia per il capitalismo mondiale, era soddisfacente e poteva vivacchiare tranquillo intervenendo attraverso aiuti economici finanziari ecc.

 

La possibilità di vittoria proletaria nel periodo di crisi del 1923, era già compromessa dall'errore commesso al congresso di Halles nel 1922 con la fusione degli spartachisti e socialisti indipendenti; fatto, questo, che comportò l'annegamento della parte sana degli spartachisti in seno alla zavorra opportunista. Le tesi opportuniste del III Congresso dell'Internazionale completarono il quadro della disfatta del proletariato tedesco, il quale, guidato dai centristi, doveva cadere nelle braccia del fascismo e trascinato alla guerra. Il capitalismo mondiale poteva giudicare pacificamente l'evolversi della situazione tedesca che la mancanza di un vero partito impediva di sboccare verso la rivoluzione. Il trionfo di Hitler ha rappresentato la conclusione della crisi che aveva già imboccato la via della guerra.

 

Il ruolo controrivoluzionario dei Noske, Scheidemann e compagni, rappresentanti della socialdemocrazia tedesca, e la politica centrista, erano la garanzia per il capitalismo mondiale dello svolgersi inevitabile della situazione tedesca verso il fascismo: cioè la guerra.

 

Hitler al potere in Germania nel 1933 rappresentava l'unica via di salvezza della situazione tedesca nei confronti degli interessi mondiali del capitalismo. La corsa sfrenata agli armamenti fatta dal nazismo, era l'unica politica capace di dare respiro ad una economia senza via d'uscita. Il riarmamento della Russia, l'annessione della Sarre ecc. non erano altro che gli anelli di una stessa catena, che aveva diretto legame alle basi stesse della società borghese. Più che un disperato tentativo di arginare l'irruenza tedesca verso la guerra alla conferenza di Monaco verso il 1938 si recitò una commedia che consisteva nel reciproco tasto di polso per misurarsi la temperatura che, pur essendo altissima nei confronti della Germania, travagliava tutti i presenti della stessa febbre; la diagnosi era senza appello: la GUERRA.

 

La crisi sociale acuta del subito dopoguerra che investì il settore italiano, permise al capitalismo di infrangere l'assalto proletario del 1919, grazie ad un partito che per la sua stessa struttura ideologica politica e organizzativa, non poteva essere idonea per guidare la classe proletaria alla conquista del potere. Da questa posizione la borghesia italiana, fiancheggiata dal capitalismo mondiale, passò all'offensiva dimostrando di aver compreso il significato rivoluzionario del congresso di Livorno del 1921, dal quale sortiva un partito comunista diretto dalla sinistra. Questo fattore costrinse il nemico a precipitare gli eventi verso il trionfo fascista. La borghesia italiana trattata da Cenerentola, sul tappeto verde di Versailles, potrà sfogare la sua bile controrivoluzionaria per più di vent'anni sul corpo del proletariato; invece di rivendicazioni territoriali essa riceverà con grande orgoglio il manganello forgiato a Londra e benedetto dal rappresentante del mondo religioso: il Papa.

 

La crisi di sviluppo che scosse nel 1935 la borghesia italiana, ebbe ancora una volta al suo fianco i rappresentanti quotati del capitalismo mondiale, il quale era preoccupato di una sola cosa: impedire alle grandi masse italiane di veder chiaro nell'avventura africana, giacché essa era l'unica via d'uscita per risolvere momen- taneamente la crisi sociale interna; risolvere momentaneamente la crisi interna signi- ficava impedire il manifestarsi di quei sintomi che avrebbero potuto rappresentare i punti di appoggio di una ripresa mondiale del meccanismo di classe. A completare l'annebbiamento della realtà ai proletari italiani furono le sanzioni. Si trattava di far credere infatti alle grandi masse che il loro problema d'esistenza era legato alla conquista di nuovi territori. Applicare le sanzioni voleva dire, in un certo senso, facilitare il compito di propaganda guerriera della borghesia italiana, la quale poteva facilmente convincere le masse che l'ostilità inglese era dovuta alla sua tendenza rapace che la spingeva a lottare contro ogni tentativo altrui di conquistare nuovi territori.

 

La prova di connubio della borghesia italiana con il capitalismo mondiale, viene data dal beneplacito inglese al passaggio delle navi italiane in rotta verso l'Africa, e dall'altro canto della inutilità dal punto di vista economico delle terre occupate, non rappresentando esse una contropartita immediata di una messa in valore commerciale. Questo al tempo stesso prova che la guerra d'Etiopia non era altro, per il capitalismo, che un diversivo necessario a far deviare un complesso di contraddizioni interne, aventi quale origine la crisi di sviluppo di cui era travagliata la società italiana.

 

La necessità di dirigersi immediatamente dopo verso il settore spagnolo non fa altro che rinsaldare la tesi suaccennata. Lo svolgimento della guerra di Spagna potrebbe far supporre l'esistenza di guerre fondamentalmente differenti l'una dall'altra, ma tale supposizione non può sorgere che da un giudizio fatto sulle apparenze. Infatti l'assoluta assenza in questo conflitto di particolari interessi territoriali, conferma la natura di questa guerra, la quale trova anch'essa origine nella lotta che il capitalismo mondiale ha ingaggiato contro il proletariato mondiale. La presenza nella guerra di Spagna di tutta la gamma del capitalismo mondiale, Russia compresa, dimostra l'interessamento che il nemico manifestava impedendo al proletariato spagnolo di trovare la via della sua vera lotta. Inchiodarlo sui campi di battaglia al servizio dei due diversivi di pretta marca borghese, il Burgos di Franco e la Barcellona di Companis, ecco il loro vero obiettivo.

 

Se la guerra di Spagna può sorgere dalla deviazione di un movimento di classe (sciopero generale) la guerriglia partigiana si presenta nelle situazioni di frattura militare e politica, cioè dei momenti propizi per una possibile entrata in campo della classe proletaria. Difatti il proletariato in genere è preso nell'ingranaggio della guerriglia partigiana in un momento che, stanco e demoralizzato cerca una via d'uscita e la trova nell'indicazione centrista che, sotto il manto del comunismo, può facilmente trascinarlo ed inchiodarlo di nuovo alla guerra illudendolo di lottare per la rivoluzione.

 

Si può affermare che nell'ambito della guerra il partigianismo si presenta quale manovra estrema in vista di chiudere il passo allo straripamento delle masse sul terreno della lotta contro la guerra.

 

CONCLUSIONI

 

1°) L'enorme sviluppo dell'apparato produttivo mondiale, costringe il capitalismo a dirigersi verso uno sbocco che possa essere nello stesso tempo distruttore e realizzatore di plus valore. Il punto di partenza per la realizzazione di questo piano si trova nello stesso meccanismo dell'economia di guerra, la quale troverà nel vasto campo della guerra in atto la base per sviluppare al massimo le capacità distruttive. Ma sarà solo nelle direttive fondamentali dell'azione bellica che il capitalismo svelerà la mostruosità del suo duplice obbiettivo.

 

2° Tenuto conto della formidabile potenzia- lità dell'apparato industriale tedesco, che rappresentava una permanente minaccia di sfuggire al controllo, diviene evidente che la direttiva bellica era in Germania, giacché annientare questo potente meccanismo vuol dire distruggere un fattore socialista di primo ordine e nello stesso tempo creare le condizioni per una ripresa economica su scala mondiale, fattore quest'ultimo necessa- rio alla realizzazione del plus valore, caratte- ristica fondamentale dell'economia capita- listica.

 

3°) Non esiste problema economico senza quello politico: da questa elementare nozione marxista si deve concludere logicamente l'esistenza di una direttiva capitalistica nella condotta della guerra, con obbiettivo il fattore politico, che scaturisce da quella stessa potenza economica, contro la quale la guerra ebbe il suo punto di partenza. Evidentemente la guerra attuale nella sua conclusione ultima, si concretizza come manifestazione di lotta contro il proletariato. Non esiste possibilità di distacco tra il fattore economico, procreatore di socialismo, e la classe proletaria, prodotto diretto del concentramento industriale. Il nemico di classe chiama il proletariato alla guerra per l'annientamento di se stesso, giacché distruggendo l'apparato economico, elimina ciò che lo ha procreato, quale fattore politico e storico capace di gettare le basi di una nuova società.

 

4°) L'instaurazione del fascismo sul settore italiano, in un periodo di ritirata del proletariato, dimostra l'importanza decisiva del partito di classe, importanza che lo stesso nemico deve riconoscere e correre ai ripari preventivi. Il pericolo rappresentato dal partito comunista italiano subito dopo Livorno, si concretizzava non nella sua forza organica o numerica e nemmeno nelle sue intenzioni di guidare il proletariato al potere, ma bensì nelle sue armi politiche e tattiche, le quali per aver saputo elevarsi e completare l'esperienza russa, potevano realmente essere un pericolo mortale per la società capitalista. L'abbandono della situazione tedesca, malgrado la crisi acuta che ne era preda nelle mani della socialdemocrazia e del centrismo, dimostra con quale profondità il capitalismo analizza gli organismi di guida del proletariato, mettendo al servizio dei propri interessi certe posizioni politiche che non hanno la qualità di presentarsi nettamente contro di esso.

 

Il partito di fronte alla guerra

 

1°) Nel chiamare i proletari a disertare la guerra, il Partito non fa altro che indicare ad essi un orientamento elementare di difesa contro una violenza che tende ad eliminarli quale fattore di concorrenza sia sul terreno economico come su quello politico.

 

2°) La posizione degli operai di fronte alla guerra deve essere di lotta e non di passività, la posizione passiva vuol dire incoscienza del pericolo che la guerra rappresenta per gli operai, le loro famiglie e per la loro classe, estremo limite del progresso. La coscienza di classe del proletariato di fronte alla guerra si manifesta concretamente nei seguenti punti: Nel disertare i sindacati divenuti organi dello Stato; nel rigettare con disprezzo l'arma delle rivendicazioni immediate giacché essa rappresenta un legame diretto all'economia distruttiva e produttrice di morte proletaria, cioè la collaborazione con la guerra. L'indirizzo che il Partito dà ai proletari di sabotare la macchina bellica, rappresenta l'unica arma che gli permette l'azione minima contro la guerra. La violenza proletaria contro il meccanismo produttivo, realizza la coscienza di classe nei confronti del conflitto.

 

3°) Ai proletari deviati verso la guerra partigiana, il Partito si rivolge chiamandoli alla diserzione ribellandosi alla disciplina militare. Il P. farà capire a questi proletari la loro falsa posizione nei confronti dei loro interessi ed inoltre il mortale pericolo, in cui essi si trovano, di farsi massacrare in una lotta impari con un organismo ancora in efficienza quale il militarismo tedesco. Chiamandoli alla diserzione indicherà loro la posizione di attesa difensiva, unico atteggiamento che potrà dare loro la possibilità di partecipare alla grande battaglia di classe nel prossimo domani.

 

4°) Disertare e sabotare la guerra sono due parole d'ordine di applicazione concreta, giacché sono i punti di partenza per raggiungere il fine ultimo nei quadri della guerra: quello di trasformarla in rivoluzione.

 

5°) Per il proletariato la questione della lotta armata si pone in due situazioni fondamentali differenti l'una dall'altra: periodo di ritirata dopo una disfatta, cioè lotta difensiva; sfacelo statale, disorien- tamento del nemico di classe, periodo d'assalto proletario, cioè lotta offensiva. Lo scatenamento della guerra da parte del capitalismo presuppone la completa disfatta della classe proletaria. La guerra rappresenta l'arma di aggressione della borghesia contro il proletariato. Allo scoppio della guerra il proletario si pone contro la guerra in una posizione difensiva disertandola, ma all'atto stesso della diserzione esso si trova nell'assoluta necessità di armarsi per difendere la sua posizione di disertore cioè… [ manca del testo] In questa fase della guerra dunque, la lotta armata espressa da minoranze proletarie si trova sul terreno difensivo ed in collegamento diretto con la lotta quotidiana del proletariato nel suo insieme sui posti di lavoro, che si concretizza con il sabotaggio. Lotta difensiva armata e sabotaggio sono due punti di partenza in direzione della lotta armata offensiva che realizza la formula finalista della lotta proletaria contro la guerra. Il centrismo pur di alimentare la guerra, cerca di incanalare il malcontento della messa sul terreno delle rivendicazioni immediate pur sapendo l'impossibilità assoluta di rompere il cerchio infernale della guerra con questa arma diventa preda del nemico; spinge il proletariato allo sciopero generale armato, in condizioni e rapporti di forza assolutamente sfavorevoli adempiendo perfettamente il suo ruolo di provocazione nelle file proletarie. La provocazione centrista in questo caso non consiste nel fatto delle parole d'ordine di per se stesse; rivendicazioni e sciopero armato sono due armi che appartengono all'arsenale proletario. Ma nel servirsi di queste armi in situazioni contingenti e storiche, non corrispondenti agli interessi proletari e perciò indirettamente legate all'atmosfera dominante della guerra.

 

6°) Su questi capisaldi concreti della lotta proletaria lanciati dal Partito, si costruisce realmente il fine ultimo della presa del potere. Un partito che pur essendo presente organicamente, non avrà saputo vivere la guerra nella sua posizione reale di lotta contro di essa, non potrà domani presentarsi alle masse. La forza organica di un partito è meno che nulla se non è aggiunta la forza politica, la quale può essere assente anche per il mancato lancio di una sola parola d'ordine.

 

(Luglio 1944. Dattiloscritto)

 

 

Volantino della Federazione di Torino del PC Internazionalista

 

Ai proletari partigiani

 

A tutti i lavoratori

 

Proletari!

 

Quando il capitalismo italiano, sotto veste fascista, vi inculcò il bacillo della guerra dicendovi che le vostre sofferenze, e la mancanza di un vostro tenore di vita adeguato ai bisogni dell'esistenza, erano dovute alla mancanza di spazio territoriale, mentiva sapendo di mentire. Come era possibile parlare di spazio vitale e di necessità di conquista territoriale quando, sul suolo nazionale, l'accumulazione del capitale era talmente grande quanto grande era la miseria delle masse? Parlare di guerra di conquista mentre la ricchezza, sudore dei proletari, veniva accumulata nelle casseforti del capitalista privato e sperperato nella voragine della produzione bellica? nel mantenimento di una burocrazia parassitaria, di una rete di spionaggio che varcava le stesse frontiere, inghiottendo a getto continuo l'oro che rappresenta i vostri sacrifici? Di un organismo di polizia mastodontico? E di un'armata permanente, vera sanguisuga sul corpo di tutta la massa proletaria italiana? Eppure il nemico di classe si faceva rappresentare da un uomo, il quale, per lo stesso fatto di avere vissuto nelle file proletarie aveva i requisiti adatti per amministrare gli interessi di quella classe borghese che preferiva lanciarsi nella guerra, cioè nella distruzione ancora più massiva di ciò che rappresentava di già tutto l'apparato repressivo, burocratico militarista, ed economico di guerra.

 

Proletari!

 

Se il capitalismo italiano, sotto spoglie fasciste, ha preferito la distruzione del potenziale di ricchezza nazionale piuttosto di elevare il tenore di vita delle masse, non ha fatto né più né meno che il suo dovere di conservatore del suo dominio di classe; che questo dominio avvenga sulla miseria sui sudori sulle lacrime ed il sangue di milioni di lavoratori, tutto ciò è nella normalità della politica di classe della borghesia. Infatti, come si può concepire che il capitalismo ceda il suo potere, ed elimini il suo metodo di sfruttamento spontaneamente? Chi crede a una simile utopia è un nemico del proletariato, poiché, l'esperienza dimostra, che il nemico preferisce creare il caos piuttosto che cedere il potere alla classe progressista rappresentata dal proletariato.

 

Dall'altra parte bisogna rigettare la tesi che, con un governo di democrazia anche "progressiva", il capitalismo italiano avrebbe evitato di sboccare nella guerra, che questa guerra avrebbe avuto altre caratteristiche in rapporto alle alleanze. Questo non cambia il fatto che il dilemma per l'Italia rimaneva il medesimo cioè: guerra o rivoluzione. Il proletariato italiano si trovò nell'assoluta impossibilità di contrapporre la rivoluzione alla guerra, e il nemico poté facilmente, attraverso la demagogia imperialista spingere le masse al grande crimine del loro massacro. Diviene chiaro perciò che quello che interessa al capitalismo è di fare la guerra, giacché per lui c'è un solo nemico e questo si chiama proletariato, ed è questo proletariato che bisogna deviarlo dalla sua linea classista; quando non basta la demagogia mussoliniana basta sullo spazio vitale, a un certo momento si ricorrerà al gallonato Badoglio affiancato dalla lurida masnada dei Savoia, in nome del cosiddetto antifascismo, (proprio loro i creatori del manganello) e poi il fascismo stesso potrà presentarsi sotto spoglie repubblicane e socialiste, pur di poter trascinare, nel cerchio della morte, la gioventù proletaria. Ma se questa gioventù potrà facilmente individuare il mostro capitalista dietro le quinte della repubblica sociale, allora, si presenterà una nuova formula, più accettabile dal cervello sconvolto dei proletari; e questa formula si chiamerà Repubblica "progressista", si chiamerà anche socialismo, ma dietro di questa facciata, si nasconderà la guerra, cioè, la morte economica fisica e politica del proletariato, il suo sfruttamento, il crollo della sua indipendenza di classe, del suo ruolo storico, della sua rivoluzione.

 

Proletari partigiani!

 

Voi in un certo senso potere diventare l'elemento di punta della lotta proletaria poiché, nella vostra maggioranza, concepite nel vostro cervello l'intenzione di lottare, nelle prossime situazioni, a fianco alla classe proletaria: non per la collaborazione, con un nemico che non sarà più fascista, ma non per questo non sarà capitalista; non per uno pseudo-governo operaio, ma per marciare verso la meta suprema, dello stato proletario, basato sulla propria dittatura di classe, che non ha nulla a che fare con il totalitarismo come la propaganda controrivoluzionaria tenta presentare.

 

Ma questo vostro ruolo d'avanguardia, di battaglia rivoluzionaria, potrà realizzarsi a una sola condizione e cioè la presa di coscienza della vostra pericolosissima posizione, in cui attualmente vi trovate. Voi che avete capito di disertare la guerra fascista, e con questo atto vi siete messi all'avanguardia della lotta per trasformare la guerra in rivoluzione, dovete evitare di farvi trascinare nell'orbita di altri agguati che potrebbero presentarsi sotto diversi aspetti. il primo: quella della manovra del nemico di classe di fare di voi degli affiancatori nel tentativo di ripristinare il potere e l'autorità del capitalismo a spoglie democratiche, il che vorrebbe dire fare di voi un fattore di conservazione borghese. Il secondo: quello di credere, di illudersi di poter dare la scalata al potere, contrapponendo alle armate di occupazione una vostra armata, e questa illusione (a parte il fatto che gli stessi pensatori del marxismo rivoluzionario l'hanno sfatata dichiarando l'impossibilità, da parte proletaria, di vincere contrapponendo al nemico un organismo militare creato a priori) ai proletari inquadrati nelle file del partigianismo greco costò cara, poiché l'illusione, caduta nel sangue prima, finì nella capitolazione e nel compromesso poi.

 

Questa esperienza dimostra ancora una volta che l'assalto al potere si presenta quale compito del proletariato, tenendo conto che questo viene risolto solo in date condizioni; e queste condizioni possono essere individuate solo da un organismo dirigente sorto non dalla contingenza, ma da tutta un'epoca che, per essere stata di disfatte e di tradimenti, ha potuto procreare l'utensile adatto alla vittoria rivoluzionaria.

 

Il compito fondamentale di questo organismo, nei confronti delle masse proletarie, non potrà mai confondersi con l'illusione demagogica e criminale di creare un'armata prima che il capolavoro insurrezionale non sia stato risolto dal partito e portato a termine con la presa del potere di classe. Quale è questo organismo? Forse uno di quei partiti che hanno la responsabilità di aver portato il proletariato alla guerra tradendo la rivoluzione? Certamente no: chi incita alla guerra sarà un collaboratore del nemico, anche in quelle situazioni travolgenti e favorevoli per la presa del potere da parte proletaria.

 

Viceversa, l'organismo che offre la più grande garanzia di guida rivoluzionaria, non può essere che quel partito la cui base ideologica e tattica gli ha permesso non solo di evitare la caduta nel tradimento interventista, ma anche di indicare nella tempesta la direttiva di lotta contro l'infame agguato della guerra teso al proletariato italiano e mondiale.

 

Viva la presa del potere proletario

Viva la rivoluzione italiana

Tutto il potere al proletariato contro qualsiasi interventismo e manovra

Non un uomo, non un soldo alla guerra

Per l'unità dei postulati generali di lotta, diserzione, disfattismo rivoluzionario, devono formare una sola parola d'ordine: Rivoluzione

 

Il Comitato federale torinese del Partito Comunista Internazionalista

 

(Volantino, novembre 1944)

 

 

Provocazione. Contro la propaganda partigianesca

 

La guerra è entrata nella sua fase risolutiva, di fronte all'enorme superiorità degli avversari, le truppe tedesche devono effettuare una serie di continue ritirate, il cui vero significato di avvicinamento alla completa disfatta non può venire nascosto dai bollettini del comando germanico, malgrado l'assurdità e la ridicolaggine di certe affermazioni, che vorrebbero apparire quali successi difensivi la perdita di territori e di città strategicamente ed industrialmente importanti.

 

L'unico fronte tranquillo è quello italiano, perché gli anglo-americani hanno l'interesse militare di tenere agganciate le divisioni tedesche, senza respingerle verso le Alpi, mentre politicamente ritardano l'unione delle masse operaie del Piemonte, della Lombardia e della Liguria, animate da spirito di lotta classista, al governo monarchico di Bonomi, che ha già una vita tanto difficile.

 

In questa atmosfera di attesa della prossima fine del conflitto, il Comitato di Liberazione lancia nuovamente, specialmente per mezzo del Partito Comunista Italiano, i suoi incitamenti alle masse operaie di prepararsi all'insurrezione contro il nazi-fascismo.

 

Noi definiamo provocatoria tale propaganda ed affermiamo che se la classe operaia commettesse l'ingenuo errore di insorgere contro le truppe germaniche andrebbe incontro ad un massacro terribile.

 

Gli episodi dolorosi di Grosseto, di Parigi e di Varsavia costituiscono un istruttivo insegnamento, che non bisogna dimenticare.

 

Assurda è poi la confusione che si fa tra guerra e rivoluzione.

 

La classe operaia non è militarista, ed in nessun periodo storico i partiti politici proletari hanno posto il problema dell'azione sul piano della guerra di carattere militare contro l'esercito, che richiede, oltre tutto, speciali capacità tecniche.

 

Il proletariato è contro la guerra e lotta contro di essa facendo propaganda per la diserzione ed il boicottaggio, pronto ad approfittare di una eventuale situazione favorevole per trasformarla in una lotta civile per la conquista del potere.

 

La classe operaia è rivoluzionaria, ma la lotta rivoluzionaria non ha nulla a che fare con la guerra tra eserciti: diversa ne è la tecnica, diversi i metodi, diverse quindi le doti che i dirigenti devono possedere.

 

Il proletariato ha già dimostrato che o lotterà per la conquista del potere, ed il partito bolscevico, guidato da Lenin, ha dato un magnifico esempio che si dimostra come un partito politico operaio possa e debba dirigere la rivoluzione.

 

Mancando ora la possibilità di trasformare la guerra in lotta civile, come è successo in Russia nel 1917, la classe operaia deve organizzarsi e prepararsi per la prossima lotta contro il capitalismo italiano, i cui interessi, dopo la caduta del fascismo, sono difesi dal Comitato Nazionale di Liberazione.

 

I partiti che tentano di promuovere l'insurrezione contro le forze militari, anche, e specialmente, se si chiamano comunisti, compiono opera provocatoria e dimostrano la loro intima essenza antiproletaria.

 

Il Partito Comunista Internazionalista addita al proletariato l'unica via veramente rivoluzionaria, seguendo la quale potrà conquistare il potere e porre fine allo sfruttamento capitalistico.

 

UN GRUPPO DI COMUNISTI INTERNAZIONALISTI

 

(Volantino distribuito ad Asti, dicembre 1944)

 

 

Schema di programma del Partito Comunista Internazionalista

 

Nota - Il presente schema di Programma si ricollega al nostro programma-base che sono le Tesi di Roma, elaborate e approvate al II Congresso del Partito Comunista d'Italia (1922)

 

I. SITUAZIONE E PROSPETTIVA

 

La guerra, in questa sua convulsa e feroce fase conclusiva, mostra, accanto al declino della potenza tedesca, la vittoriosa affermazione delle armi alleate con netto vantaggio militare e politico degli Stati Uniti e della Russia. Si profila così la prospettiva di una pace democratica assicurante agli Stati Uniti soprattutto, un'incontrastata egemonia economico-finanziaria sul mondo. Ciò potrebbe significare non soltanto una guerra vinta, ma una pace vittoriosa, un consolidamento cioè del capitalismo che sarebbe riuscito così a tagliare ancora una volta la strada al proletariato, che nella crisi aperta dalla guerra aveva posto la possibilità di riuscita di un moto rivoluzionario. La validità di una tale ipotesi, poiché la guerra è sempre in atto, e in essa può ancora giocare l'imponderabile, potrebbe anche non essere confermata in pieno dai prossimi eventi, ma, allo stato attuale della crisi e con gli elementi a disposizione, nulla fa presagire che ciò potrà verificarsi. Questo è comunque certo: che la vittoria schiacciante delle potenze dell'intesa, rafforzerà potentemente il fronte di resistenza del capitalismo mondiale e restringerà le possibilità obiettive della rivoluzione proletaria. Si ha la riprova della giustezza di questa analisi nella constatazione che una parte del proletariato "sente" la guerra democratica e guarda ad essa e alla sua vittoriosa conclusione come se si trattasse della "sua" guerra e della "sua" vittoria.

 

La responsabilità storica di questa tragica deviazione dalla giusta linea di classe spetta ai partiti socialista e centrista che hanno agito ed agiscono di fronte alla guerra non come forze di destra del proletariato, ma come reali e coscienti forze della sinistra borghese.

 

II. FASCISMO E DEMOCRAZIA

 

Il fascismo come esigenza della società borghese ed espressione organica della difesa del privilegio sul piano dello Stato autoritario nella fase più acuta della crisi capitalistica, è ormai episodio che interessa assai più da vicino i necrofori che la politica e la storia. Ma va constatato che il fascismo muore non per effetto di una lotta frontale violenta condotta dal proletariato, non è spazzato via cioè da un'ondata rivoluzionaria; ciò vuol dire che vi è pacifico trapasso di potere da un piano di politica ad un altro più adeguato alle nuove necessità scaturite dalla guerra e che le esigenze dello Stato autoritario, quale abbiamo conosciuto e sperimentato - e che sono sempre vive e consistenti come vivo e consistente è tutto il capitalismo da cui tali esigenze hanno origine - saranno alla base dello Stato democratico, le stesse con in più l'ipocrisia e l'inganno delle libertà, riservate di fatto a coloro che detengono il potere.

 

Va quindi da sé che i termini del conflitto sociale non sono venuti così a modificarsi minimamente e, quali che siano le forze al timone dello Stato, per il nostro partito esse difendono gli interessi del capitalismo con tutti i mezzi, gli stessi adoperati dal fascismo, contro ogni tentativo proletario di impossessarsi del potere.

 

Contro lo Stato democratico, la tattica del partito del proletariato non cambia: non crediamo alle sue elezioni né alla sua costituente, né alla sua libertà di stampa, di parola e di organizzazione; ma il partito si varrà di questa, come di ogni concessione a cui la borghesia sarà costretta, all'unico scopo di irrobustirsi e di essere in grado di colpir sodo. Allo stato attuale, la guerra ha prostrato il fascismo, ma non mancherà di prostrare politicamente i partiti a tradizione proletaria del Comitato di Liberazione Nazionale, che, legati alle forze vittoriose della guerra cui devono le loro momentanee fortune politiche, sono oggi costretti a continuarla. Il nostro partito, com'è stato solo a combattere la guerra dell'imperialismo nazifascista, sarà solo a combattere quella delle democrazie.

 

III. IL NOSTRO PARTITO E LA RUSSIA

 

La Russia ha cessato di essere per il nostro partito il paese della prima grande realizzazione rivoluzionaria del proletariato mondiale, e rimane pagina aperta all'indagine critica del marxismo rivoluzionario, a cui è oggi affidato il compito di individuare e mettere a nudo le ragioni storiche d'ordine economico e politico, che sono state, in Russia, alla base della sconfitta del potere proletario e hanno operato come elemento determinante del dissolvimento delle forze politiche dell'Internazionale comunista. Dalla violenta repressione operata contro gli autentici rivoluzionari di Kronstadt fino alla liquidazione fisica di tutte le opposizioni alla politica nazionalista di Stalin, è evidente nello Stato operaio un ingrandire costante di questo curioso, paradossale equivoco: tutti vi operano per armare la rivoluzione contro ogni velleità di ritorno del capitalismo, e tutti, rivoluzionari o no, hanno contribuito di fatto ad armare le milizie della più spietata reazione antiproletaria che doveva strangolare la rivoluzione di Ottobre e, con essa, i suoi combattenti migliori. Per i marxisti, le cause di ciò non vanno ricercate in cielo né risiedono nella perversità di alcuni uomini, ma vivevano nelle cose dello Stato proletario, alimentate dalla politica di compromesso portata dall'economia sul piano della stessa ideologia imperante all'epoca di Lenin e di Trotsky.

 

In virtù dell'esperienza russa, è acquisito ormai alla lotta del proletariato che la violenza rivoluzionaria è storicamente necessaria e vitale solo se esercitata da forze di classe nelle cui vene circoli sangue proletario, ed abbia come finalità non la soluzione di interessi generici, subiettivi e contingenti, siano pure legati alla vita di uno Stato proletario, ma sia sospinta da esigenze permanenti e fondamentali di classe, nei cui confronti lo Stato è soltanto episodio e semplice e temporaneo accidente. In caso diverso, la violenza cessa di essere levatrice della storia e spiana la strada ai ritorni della reazione.

 

Il partito ritiene che dalla repressione di Kronstadt alla liquidazione del Partito Comunista, la violenza dello Stato operaio degenerato è stata la espressione di una volontà direttiva e d'interessi economici e politici non più coincidenti con la lotta del proletariato. Sarà così meno difficile domani ai partiti della nuova Internazionale definire i termini, sul piano teorico e tattico, della politica contro il compromesso.

 

A conclusione affermiamo:

 

La dittatura del proletariato non deve in nessun caso ridursi a dittatura di partito, anche se si trattasse del partito del proletariato, intelligenza e guida dello Stato operaio.

 

Lo Stato e il Partito al potere, in quanto organi di tale dittatura, portano in germe la tendenza al compromesso col vecchio mondo, tendenza che si sostanzia e si potenzia, come l'esperienza russa ha insegnato, nella temporanea incapacità della rivoluzione in un dato paese di irradiarsi, saldandosi col moto insurrezionale d'altri paesi.

 

In una fase dunque di politica temporeggiatrice imposta dalla gradualità dello sviluppo rivoluzionario, gli interessi della rivoluzione si garantiscono con la presenza operante del proletariato - soprattutto delle sue forze più coscienti - negli organi essenziali della dittatura, con le cariche elettive, col diritto di rimozione dalle cariche, col libero esercizio del sindacato operaio a tutela dei propri interessi di classe nei confronti dello Stato e di tutte le stratificazioni economiche non ancora socialiste: in una parola, col più ampio esercizio della democrazia operaia. Se in questa fase della dittatura di classe è anacronistica la libera esistenza dei partiti, dovrà però essere libera l'opera di critica e di opposizione nell'ambito del partito della dittatura. L'esercizio della più vasta democrazia nei rapporti fra il proletariato e il partito, fra proletariato e Stato operaio, presuppone un altissimo grado di maturità politica raggiunta dal proletariato e l'esistenza di condizioni obiettivamente sufficienti per tale esercizio in ogni settore economico e sociale dello Stato operaio.

 

È implicito che è compito del partito che esercita la dittatura elevare tali stratificazioni arretrate fino al livello degli interessi rivoluzionari di classe, attraverso i mezzi e i metodi consentiti dalla stessa democrazia operaia, quali il libero dibattito, la libera espressione nelle assemblee, ecc.

 

Lo Stato - sopravvivenza borghese della quale il proletariato non può fare a meno di servirsi per eliminare i residui di una società divisa in classi, ma di cui deve affrettare la dissoluzione - tende tanto più a sopravvivere e a rafforzarsi, invece di deperire, quanto più si isola dal moto del proletariato internazionale, pretendendo di costruire nel proprio ambito il socialismo, e di contrapporsi come Stato operaio agli Stati borghesi sull'arena mondiale.

 

IV. LA NUOVA INTERNAZIONALE

 

La vastità e la durata del conflitto, la profondità e l'asprezza degli urti ideologici, l'esperienza negativa del primo Stato proletario e della sua Internazionale, devono aver determinato le condizioni favorevoli per la creazione e il rafforzamento di organizzazioni comuniste nei singoli paesi, che attendono l'ora di potersi riunire per gettare le basi della nuova Internazionale. Questa dovrà tener conto soprattutto delle loro esperienze negative, per divenire di fatto l'organo della rivoluzione mondiale comunista. Il nostro partito, che in questi ultimi decenni ha sentito più di ogni altro la carenza di un organo direttivo internazionale che fosse realmente guida e incentivo alla lotta del proletariato, e ne ha coraggiosamente denunciato le insufficienze, gli errori e le deviazioni, e infine il tradimento, e che non si è lasciato sfuggire occasione per riannodare contatti tra le forze della sinistra internazionale, saprà prendere l'iniziativa al momento opportuno. Esso è ideologicamente preparato a questo compito di ripresa e afferma fin da oggi che la nuova Internazionale:

 

a) dovrà evitare di divenire lo strumento dello Stato operaio e della sua politica, ma, considerandosi la più alta assise dei lavoratori del mondo, dovrà difendere gli interessi della rivoluzione anche nei confronti dello Stato operaio;

 

b) dovrà evitare di burocratizzarsi, facendo del suo centro direttivo, come dei centri periferici, il campo di manovra del carrierismo funzionaristico;

 

c) dovrà evitare che la politica di classe sia pensata e realizzata con criteri formalistici e amministrativi.

Il pericolo di incrostazioni opportunistiche e di autoritarismo funzionaristico potrà essere neutralizzato a tempo ed eliminato soltanto da un'attiva partecipazione degli organi politici del proletariato dei diversi paesi alla vita politica dell'Internazionale, dal suo vigile controllo sugli uomini e sugli organi preposti ai centri direttivi e di responsabilità.

 

V. LA NOSTRA TATTICA

 

Abbiamo già affermato che la tattica del partito non cambia con l'apparente e formale modificarsi delle condizioni esterne e politiche dello Stato. Se il corso della guerra non sarà brutalmente interrotto o radicalmente mutato col cedimento di qualche settore per effetto d'una riuscita sollevazione operaia, contro la prevedibile esperienza democratica, sotto la tutela delle vittoriose forze alleate, il nostro partito porrà la lotta del proletariato sul piano della tattica rivoluzionaria, che consiste nell'interpretare tempestivamente le situazioni dall'angolo visuale di classe, nell'adeguare ad esse le parole d'ordine dell'azione, nell'armare a tempo il proletariato delle idee essenziali di cui si alimenta la sua lotta e dei mezzi necessari al consolidamento della vittoria. Nell'immediato dopoguerra, mentre sotto la guida dei socialisti e centristi si ripeterà la manovra cara alla reazione democratica di deviare la spinta rivoluzionaria per farla arenare nelle secche delle rivendicazioni parziali ed immediate e nel compromesso approfittando dell'inevitabile smarrimento politico economico e morale che si abbatterà su tutti gli organi dello Stato e sullo spirito delle masse, e della incapacità della classe dirigente responsabile della guerra di organizzare la pace nel senso di risolvere gli enormi problemi posti sul tappeto dalla guerra, il nostro partito adeguerà la sua tattica al maturare di favorevoli condizioni obiettive e condurrà la lotta nell'alveo della tradizione rivoluzionaria per essere in realtà di guida e non al rimorchio dei prossimi avvenimenti. È perciò ovvio che gli espedienti tattici della democrazia saranno gettati tra i ferri vecchi della politica, non appena il partito riterrà che la situazione precipiti verso una soluzione rivoluzionaria.

 

E poiché la nostra linea politica non sarà influenzata né da suggestioni idealistiche né dalle teoriche della spontaneità, ciò consentirà che la volontà di lotta del partito coincida con la volontà delle grandi masse, allorché queste esprimeranno in sintesi l'urgere di una necessità realizzatrice nel senso dell'attacco rivoluzionario per la conquista del potere.

 

Ma non si avrà conquista seria del potere, se il partito non avrà prima conquistato l'influenza sulle grandi masse del proletariato. A questo scopo il partito così definisce i propri compiti:

 

a) le masse non si conquistano quando e come si vuole, se condizioni obiettive non le agitano, a nulla valgono su di esse le acrobazie manovriere dei partiti che vorrebbero influenzarle e farle scattare al tocco di bacchette magiche;

 

b) lo spirito combattivo delle masse, allorché si accende alla lotta, segna come in un diagramma il processo d'instabilità e di crisi che pervade l'apparato produttivo del capitalismo, i suoi mercati e il complesso della sua organizzazione politica. In questo momento, il partito può operare il suo inserimento nella lotta, ed esserne uno degli elementi determinanti, attrarre nella sua orbita le masse a potenziarne unitariamente le energie per indirizzarle verso il raggiungimento di determinati obiettivi;

 

c) la riuscita di una tale manovra è possibile nella misura in cui il partito avrà saputo creare in seno alle masse organismi permanenti di propaganda, di proselitismo e di agitazione; nella misura in cui avrà saputo conquistare la fiducia, con l'aderenza costante alla vita e alle lotte del proletariato e alle sue esigenze di classe; nella misura infine in cui avrà dimostrato di non aver illuso con agitazioni intempestive e non sentite, con la ginnastica a vuoto dello sciopero per lo sciopero, o dello sciopero per fini aberranti allo spirito e agli interessi di classe;

 

d) il nostro partito, che non sottovaluta l'influenza degli altri partiti a tradizione operaia e l'importanza di tale influenza sulle masse, si fa assertore del "fronte unico", manifestazione organica dell'unità proletaria al di fuori dei partiti, essenziale ai fini della lotta e della vittoria, naturale e libera palestra al conflittare delle opposte correnti politiche, in cui il nostro partito giuocherà il suo ruolo preminente di guida della maggioranza del proletariato, perché ne è l'interprete fedele, perché ne rappresenta gli interessi fondamentali e perché, soprattutto, ha dimostrato di essere la sua unica e sicura guida alla lotta rivoluzionaria.

 

VI. PROBLEMA SINDACALE

 

Allo stato attuale il problema sindacale è inesistente e i residui delle vecchie organizzazioni sindacali a vita clandestina han dimostrato di servire più come pedina per agitazioni politiche legate alla guerra che come autentici organi della lotta operaia.

 

La ripresa sindacale, che si avrà con la fine della guerra, risentirà delle sue vicende politiche e vedrà potentemente rafforzato il tradizionale predominio socialdemocratico sui sindacati e reso più autoritaria la sua burocrazia. Ad onta di tali prospettive il nostri partito agiterà non appena possibile il problema della riorganizzazione unitaria del movimento operaio, ricostituirà la rete delle sue frazioni sindacali dal gruppo comunista di officina (composto di comunisti e di operai senza partito), fino al comitato Sindacale nazionale comunista: e se lo riterrà necessario si farà iniziatore di un "Fronte delle sinistre Sindacali" per rovesciare i capi della Confederazione del lavoro.

 

Intanto il partito concentrerà la sua attenzione e il suo lavoro sul legame sistematico con le officine allo scopo di formare non solo un apparato interno, ma anche una rete per la manovra delle grandi masse.

 

VII. LAVORO TRA I CONTADINI

 

Questa guerra a somiglianza della precedente, e certo in proporzioni maggiori, deve aver approfondito nei contadini il distacco col mondo delle tradizioni secolari, della sudditanza economica e politica e deve aver agito da piccone demolitore da un lato contro i vieti ed angusti sistemi di conduzione agricola e dall'altro contro il predominio delle cricche parassite dello schiavismo agrario. Il distacco tra la popolazione dei campi e quella urbana è andato attenuandosi e molte incomprensioni e più di una differenza sono scomparse; avvicinate, accomunate quasi dalle sofferenze fisiche e dalle costrizioni morali e politiche imposte con la violenza da una dittatura senza scrupoli e da una guerra feroce.

 

Se il contadino che pensa con lentezza, ma pensa con una logica chiara e profonda, fosse giunto dopo tante esperienze a percepire il legame di corresponsabilità che corre tra il padrone della terra che egli lavora e le forze politiche che vollero questa guerra di sterminio, un grande passo sarebbe stato compiuto verso la rivoluzione.

 

Le nostre campagne che la guerra avrebbe dovuto trasformare sospingendole, come in parte ha fatto, verso più alti gradi di evoluzione economica, al quinto anno di guerra si trovano paurosamente impoverite di braccia e di riserve per le razzie sistematiche dei belligeranti nemici ed amici, strette tra le lusinghe effimere del mercato nero e la svalutazione monetaria, che rende nullo il loro sacrificio e sotto l'assillo dell'intervento monopolistico e rapinatore dello Stato. Non dubitiamo che tali vicende abbiano creato nello spirito delle masse contadine avversioni e odio contro un regime economico politico che l'esperienza ha mostrato insensato e criminale.

 

Il dopoguerra si presenta perciò ricco di promesse rivoluzionarie anche in questo settore nel quale il proletariato industriale aveva trovato fino a ieri sorda tenace opposizione al comune sforzo di emancipazione. Il nostro partito ha sempre riconosciuto il ruolo che il contadiname soprattutto quello povero è destinato ad avere nella rivoluzione italiana e pone fin d'ora all'ordine del giorno il problema dei contadini facendo suo il programma definito al II Congresso del Partito Comunista Italiano, programma sempre vivo e attuale e come impostazione tattica nella fase che precede la conquista del potere, e come indirizzo concreto e costruttivo nella prima difficile fase di realizzazione d'una economia socialista.

 

Dal punto di vista pratico il partito conta sulla riorganizzazione dei Sindacati dei salariati agricoli e delle leghe dei mezzadri e dei piccoli fittavoli, e per i piccoli proprietari sulla organizzazione di un'associazione di difesa dei loro interessi economici.

 

Il Comitato Centrale del Partito Comunista Internazionalista

 

Settembre 1944

 

Presentato dal CC nel novembre successivo.

 

(Da un opuscolo, Edizioni del Partito Comunista Internazionalista, 1945)

 

 

Abbasso i traditori della causa proletaria

 

PROLETARI ITALIANI!

 

I grandi battenti della vera Storia stanno per aprirsi, l'ora dell'entrata in campo delle masse proletarie, forse non è lontana; i primi lampi della riscossa, quali sintomi precursori della tempesta sociale si intravvedono già, anche se questi primi sintomi si presentano sotto spoglie tutt'altro che genuine dal punto di vista di classe.

 

Le manifestazioni proletarie dell'Italia meridionale; quelle di Brusselle, come pure le altre frammentarie notizie di disobbedienza militare sui vari fronti di guerra, ci fanno intravvedere i primi guizzi di luce attraversanti nei cervelli oscurati di milioni di proletari travolti da lunghi anni dalle tenebre di una follia collettiva di suicidio.

 

PROLETARI

 

L'esperienza dell'altra guerra (la quale potè aver fine grazie alla vittoria proletaria nel settore russo) preoccupò molto il capitalismo internazionale. Da questa preoccupazione sorge spontanea la sua volontà di finire la guerra attraverso il meccanismo della vittoria militare, il cui risultato dovrebbe consistere in un completo annientamento del complesso economico-industriale ivi comprese le grandi masse proletarie.

 

A questo scopo, il centrismo, avanguardia della controrivoluzione, anche quest'anno ha osato mettere al servizio del capitalismo e della guerra la prima grande vittoria proletaria, la Rivoluzione Russa.

 

Per tenervi incatenati al carro della guerra, i centristi e i socialisti, ancora una volta, non hanno esitato a servirsi della Rivoluzione d'Ottobre per esaltare il vostro massacro premeditato e voluto dal capitalismo mondiale. Si è voluto mescolare la personalità del Compagno Lenin ed il suo capolavoro rivoluzionario con la guerra in attom la quale rappresenta l'opposto di ciò che fu la Rivoluzione Proletaria Russa. Perchè guerra e rivoluzione sono due termini inconfondibili.

 

L'uno - la Rivoluzione - esprime la vostra vittoria, la vostra vita! L'altro - la guerra - la vostra disfatta, la vostra morte!

 

Il centrismo e la socialdemocrazia deve giudicare i proletari terribilmente ignoranti, nel campo politico, per osare una simile turlupinatura. Queste carogne controrivo- luzionarie misurano l'ignoranza proletaria con il metro della loro malafede e della loro bassezza politica, che è capace di presentare Lenin quale complice di un tradimento senza pari ai danni del proletariato mondiale. Lenin, complice degli interventisti e socialcentristi? Lui, che bollò a sangue i guerraioli della II° Internazionale Socialista. Lui, che, dopo la presa del potere, in Russia, combattè in seno al Partito, accanitamente, la formula antiproletaria della "guerra rivoluzionaria" sostenuta da Bucarin, e contro l'equivoca posizione "nè guerra nè pace" sostenendo tenacemente sino al suo trionfo l'unica posizione di classe, in quella contingenza, la PACE!

 

Perchè Lenin non si dichiarò, in quel momento per la guerra, come oggi fa il centrismo assieme a tutti i nemici del proletariato? Eppure, nel 1918, i rapporti di forza, militari, erano a favore dell'Intesa, e la Germania si trovava in ginocchio. Eppure Lenin non esita a firmare la pace di Brest, dimostrando, irrefutabilmente, che il suo obiettivo non era quello di poter partecipare "all'assemblea dei briganti di Versailles" - come egli l'aveva definita - ma il suo sguardo rivoluzionario fissava, non il tappeto della pace capitalista, ma: della ripresa della lotta di classe.

 

La sua posizione NON era pacifista, NON era guerriera, era: un blocco unico, una direttiva unica mirante al raggiungimento della Rivoluzione Mondiale. Nella stessa epoca fu lo stesso Lenin che espresse l'idea di: preferire una ritirata sugli Urali assieme ai proletari di Pietrogrado, pur di evitare il combattimento con le armate tedesche. Egli preferiva fuggire la guerra in attesa della ripresa della lotta di classe proletaria su scala mondiale. (Quale abisso tra il rivoluzionario Lenin ed il centrismo guerraiolo e collaborazionista!!)

 

Tutto, fu messo in opera da Lenin, pur di portare una chiarificazione nelle file proletarie delle armate in guerra, pur di aiutare i proletari degli altri settori a farla finita con la guerra. La Rivoluzione Russa era scoppiata con il grido di abbasso la guerra non poteva pertanto confondersi con essa. Ci è voluta una serie di disfatte proletarie sul terreno internazionale, ci è voluto la degenerazione dello Stato Proletario con la sua mancata funzione internazionalista e, solo dopo questa sua opera nefasta, il centrismo, trascinando al massacro fratricida il proletariato mondiale è riuscito a confondere agli occhi delle masse il significato eminentemente rivoluzionario e internazionalista della rivolauzione russa con l'attuale guerra la cui natura scaturisce dalle necessità, per il capitalismo mondiale, di atterrare il suo antagonista storico: il proletariato.

 

PROLETARI!

 

Mentre il vostro nemico di classe si prepara a portare a termine il suo agguato nei vostri confronti, mentre le vostre sofferenze materiali e morali aumentano di giorno in giorno, per voi non esiste altra via d'uscita che la battaglia. La battaglia che dovrà esprimere nettamente i vostri interessi di classe e che conseguentemente, essa, dovrà essere impostata su una triplice condotta d'azione politica: 1°) nei confronti del fascismo, 2°) nei confronti della democrazia, 3°) nei confronti del centrismo.

 

L'ora è suonata per i proletari coscienti di fare il bilancio della guerra e di scegliere i suoi capi, per individuare l'organiscmo che per il suo passato e per il suo presente possa dare la garanzia per l'avvenire. Nessuna forza al mondo potrà infrangere la violenza proletaria quando essa si trova compattamente incanalata e guidata da un vero partito rivoluzionario! Mentre la violenza rivoluzionaria del proletariato sarà ridotta a meno che nulla, neutralizzata, se guidata da organismo o partito complici della guerra e della collaborazione, anche se la complicità è avvenuta sotto l'egida del comunismo, della repubblica sociale, del socialismo o della libertà democratica.

 

A tutti questi traditori che ammantano i loro crimini con parole dorate, alla loro ipocrisia, il proletariato deve dire la sua parola che rompe ogni legame ideologico, politico ed organizzativo.

 

PROLETARI!

 

La vostra vittoria di classe potrà avvenire a una sola condizione, che, l'organismo politico di guida abbia nelle sue file la capacità e la volontà di lottare fino in fondo, la presa del potere, rigettando qualsiasi compromesso con qualsiasi forma di dominazione capitalista.

 

W la Rivoluzione Proletaria!

 

W il proletariato italiano e internazionale!

 

Abbasso i traditori della causa proletaria!

 

Il Comitato Esecutivo del Partito Comunista Internazionalista

 

(Milano, dicembre 1944 )

 

 

 

1945

 

 

Che cos’è e che cosa vuole il Partito Comunista Internazionalista

 

CHI SIAMO?

 

Il nostro partito non è uno dei tanti partiti nati artificialmente dalla fungaia dell'antifascismo generico, ma è il continuatore diretto del Partito Comunista d'Italia, così come si formò alla scissione di Livorno sulle basi fondamentali delle Tesi del II Congresso dell'Internazionale comunista (1920) ed agì e operò nei suoi primi anni di vita. le basi ideologiche che allora furono gettate rappresentano per noi una realtà permanente, la necessaria linea di demarcazione di ogni partito comunista degno di questo nome. Esse si riassumono nel taglio netto col riformismo, col centrismo e con la tattica della collaborazione, nel principio che l'emancipazione del proletariato può essere ottenuta solo attraverso la presa violenta del potere e l'esercizio della dittatura proletaria contro la classe sfruttatrice, e che la vittoria della rivoluzione comunista è possibile solo su scala internazionale, così come internazionali sono i problemi che agitano la classe operaia di tutti i paesi.

 

Questi principi, che hanno presieduto alla rivoluzione russa, ma che hanno trovato la loro più lucida espressione nella piattaforma politica del Partito Comunista d'Italia (Tesi di Roma, 1922), sono stati difesi dagli uomini della Sinistra quando ancora reggevano il timone del partito da essi creato e quando, nel 1923, furono arbitrariamente allontanati dalla direzione del partito; lo furono più tardi quando la Sinistra si organizzò in frazione (1927) nell'estremo tentativo di ricondurre il partito stesso e l'Internazionale sulla via maestra tracciata da Lenin; lo sono oggi, da quando l'impossibilità di condividere la politica di compromesso e di adesione alla guerra di tutti i partiti comunisti degeneri consigliò, in pieno conflitto mondiale, il definitivo distacco dal centrismo e la creazione di un partito di classe che, appunto per reazione al bellicismo e opportunismo nazionale del vecchio partito, si chiamo "Comunista Internazionalista".

 

SINISTRI, O SEMPLICEMENTE, COMUNISTI?

 

Noi siamo la Sinistra italiana nella sua continuità ideologica e organizzativa; e lo riaffermiamo. È stata la Sinistra italiana la prima, fra tutti i partiti dell'Internazionale, a gettare il grido di allarme sugli smarrimenti e sulla successiva degenerazione della III Internazionale; è stata essa, nel lavorio ideologico della Frazione all'estero, a trarre le logiche conseguenze dall'esperienza delle lotte del proletariato nel ventennio dell'altro dopoguerra.

 

Ma, a chi ci accusa di essere "scissionisti", noi rispondiamo che oggi non esiste più una questione di "sinistra" o di "centro", poiché si tratta, semplicemente, di rimanere sul piano di classe o di abbandonarlo, di essere o non essere comunisti, in altre parole di scegliere fra democrazia progressiva e rivoluzione proletaria. Non diversamente, ventiquattro anni fa, si trattava di scegliere fra il riformismo, il massimalismo e la tattica anti-collaborazionista, anti-pattriottarda e francamente rivoluzionario di Lenin. Non noi abbiamo scisso e scindiamo le forze rivoluzionarie del proletariato, ma coloro che, in piena guerra mondiale, sono stati per l'"unità nazionale" e per la "difesa della patria" e oggi, all'aprirsi della crisi più profonda del regime capitalista, orientano il proletariato verso la legalità borghese e il compromesso politico, anziché verso la rivoluzione.

 

TROTZKISTI?

 

L'etichetta che ci è spesso affibbiata di "trotzkisti" è soltanto polemica e quindi falsa: non solo perché non siamo vincolati a nessun nome e a nessuna personalità fisica, per grande che sia, ma perché dal "trotzkismo" ci hanno diviso e ci dividono profonde divergenze. Non saremo noi a negare i meriti storici di Trotsky nella realizzazione dell'Ottobre russo e nelle prime e gloriose battaglie dello Stato operaio. Ma siamo stati e siamo noi i primi a riconoscere quanto nel "trotzkismo" porta la responsabilità del fallimento dello Stato operaio e dell'Internazionale, e a condannare sia una concezione della tattica e del compromesso che doveva costantemente porlo sullo stesso piano del centrismo internazionale, sia quel concetto della "difesa della patria", anche se proletaria, che rappresenta per noi una frattura ideologica ed organizzativa dell'internazionalismo operaio.

 

Perciò, mentre ci siamo trovati più volte accanto alla Sinistra russa nella lotta contro le manifestazioni degenerative dell'Internazionale, non abbiamo condiviso né il tono acremente personale della polemica trotzkista, né la sua costante tendenza al blocco, e abbiamo ritenuto prematura e viziata nelle sue basi ideologiche la fondazione della IV Internazionale.

 

LA NOSTRA ANALISI DELLA SITUAZIONE PRESENTE

 

Nel corso del secondo conflitto mondiale, il nostro partito è stato l'unico raggruppamento operaio a levare la bandiera dell'inter- nazionalismo e della lotta di classe al disopra e contro l'ubriacatura patriottica e collaborazionista degli opportunisti. Ha combattuto la guerra come la più mostruosa manifestazione del capitalismo imperiali- stico e come un riuscito tentativo di portare decisamente a termine la lotta contro il proletariato, e ha ripugnato così dall'ideologia della "guerra fascista" come dall'ideologia della "guerra democratica". Ha perciò chiamato la classe operaia a combattere il fascismo non con le armi infami della guerra, ma con le armi politiche della lotta di classe, e l'ha messo in guardia contro le manovre di chi, per combattere il fascismo, lo buttava nelle braccia delle democrazie. Per noi la guerra o si concludeva con la sua trasformazione in guerra civile o si sarebbe conclusa con una "pace" borghese sotto etichetta democratica, allo stesso modo che il fascismo o cadeva sotto i colpi della rivoluzione proletaria o avrebbe ceduto i poteri ai rappresentanti in veste antifascista della stessa classe che l'aveva generato.

 

A questo modo crudamente marxista di analizzare le situazioni storiche i fatti hanno dato ragione. In Italia la lotta eroica contro il fascismo si è conclusa col pacifico trapasso di poteri dalla borghesia fascista a quella democratica, senza modificare le basi della società borghese e i rapporti fra padrone e operaio: sul piano internazionale la guerra si è conclusa, senza l'intervento di fattori rivoluzionari, con la vittoria militare, politica ed economica del capitalismo internazionalmente più saldo, il capitalismo americano.

 

Ma, mentre constatiamo questo, riteniamo anche che la fine della guerra abbia aperto una fase di profonda crisi borghese, e che in questa crisi il proletariato italiano e mondiale possa inserire la sua lotta finale per il potere. Ad una condizione però: che abbia una guida, la guida di un partito rivoluzionario non compromesso in ibride alleanze politiche e in fallaci combinazioni parlamentari.

 

PARLAMENTO, COSTITUENTE O PRESA DEL POTERE?

 

Il nostro compito è oggi appunto questo: rinsaldare i quadri di un partito che tenda con tutte le sue energie a guidare il proletariato verso la sua rivoluzione. Noi non abbiamo cessato, mentre combattevamo il fascismo, di sfatare le ricorrenti illusioni democratiche: oggi che da tutte le parti si levano inni alla democrazia, non tralasciamo dal mettere in guardia il proletariato contro l'illusione che il potere conquisti attraverso la scheda elettorale o che al socialismo si vada per via legale, a suon di decreti-legge emanati da un governo di maggioranza socialista o centrista.

 

Allo stesso modo, noi sottoponiamo ai colpi della critica marxista la Costituente, in cui vediamo sia un metodo di consolidamento del regime borghese, sia il tentativo di far arenare nelle secche della legalità e del parlamentarismo la marea montante della rivoluzione proletaria. E se il nostro partito deciderà di partecipare alle elezioni, questa sua decisione sarà mai influenzata dalla preoccupazione di conquistare seggi nelle amministrazioni comunali e provinciali o in parlamento, ma da ragioni di battaglia politica e di difesa dei nostri quadri dalla dittatura della coalizione democratica.

 

Noi saremo per la partecipazione alle elezioni se la situazione obiettiva non porrà nei prossimi mesi in termini di concrete possibilità pratiche il problema della rivoluzione, ma saremo per l'astensione e il sabotaggio della Costituente se la situazione si evolverà verso un urto diretto fra proletariato e borghesia e tutte le energie della classe operaia dovranno allora essere tese alla conquista rivoluzionaria del potere.

 

SINDACATI E ORGANISMI DI MASSA

 

Noi siamo sempre stati, e rimaniamo, fautori del sindacato unitario e libero, che cioè comprenda tutti gli operai della stessa categoria e, fuori da ogni sudditanza dallo Stato, riconosca a tutte le correnti sindacali la piena libertà di eleggersi i dirigenti, Gli stessi criteri organizzativi rivendichiamo per le commissioni interne e per tutti gli organi analoghi sorti a difesa degli interessi delle maestranze contro gli imprenditori.

 

Ma, edotti da una lunga esperienza, riteniamo che i sindacati non siano né possono mai essere gli organi genuini della lotta di classe, sia per il prevalere degli interessi corporativi a danno delle finalità politiche in seno ad essi, sia per i vincoli che attualmente li legano allo Stato, né ci illudiamo di poter smantellare nel loro ambito il tradizionale predominio della burocrazia confederale.

 

Crediamo che, nella fase di crisi economica e sociale che sta aprendosi in Italia e nel mondo, il proletariato dovrà cercare gli strumenti della sua lotta in organismi nati sul posto di lavoro e convoglianti senza interferenze funzionaristiche tutta la massa degli operai. Questi organismi sono i Consigli di fabbrica, che, eletti democra- ticamente, non infeudati allo Stato né ai sindacati di categoria, rappresenteranno la più viva palestra di formazione politica e rivoluzionaria del proletariato. La più efficace leva per la conquista del potere e, a rivoluzione compiuta, l'organo-base della gestione proletaria delle fabbriche.

 

Sono questi gli organismi che noi contrapponiamo ai C. L. N. aziendali, organi nati di riflesso dalla politica di collaborazione dei cinque partiti e perciò costituzionalmente legati allo Stato borghese-democratico.

LA CRISI DEL DOPOGUERRA E LA CLASSE OPERAIA E CONTADINA

 

I mesi prossimi saranno caratterizzati da una crisi economica che inciderà profondamente sulle condizioni di vita del proletariato e che non sarà superata neppure dal tentativo del gruppo delle potenze capitalistiche vittoriose di ossigenare l'economia italiana e di regolare le concessioni di viveri e di materie prime in funzione di un suo infeudamento alle rispettive economie. L'Italia dovrà affrontare non solo un periodo di carestia e di faticoso trapasso dall'economia di guerra all'economia di pace, ma sarà schiacciata sotto il peso dei debiti contratti dal vecchio regime e di quelli che il nuovo sarà costretto a contrarre. Di questa crisi l'operaio risentirà direttamente come salariato, come consumatore e come contribuente, e non mancherà di agitarsi per quella soluzione dei suoi problemi di vita che nessuna democrazia borghese potrà mai garantirgli.

 

Il partito lo sosterrà in questa lotta tanto attraverso la propaganda e l'agitazione politica quanto attraverso gli organismi sindacali e di massa, ma non si stancherà di dimostrargli che qualunque "miglioramento" parziale delle sue condizioni di vita è destinato a rimanere illusorio finché non sarà distrutto il regime di sfruttamento del lavoro caratteristico del sistema di produzione borghese.

 

La crisi avrà violente ripercussioni anche sulla classe contadina e farà presto svanire l'euforia dei facili guadagni realizzati da alcune categorie rurali in regime di guerra. In un paese in cui la classe contadina è composta da un largo strato di salariati e da un'enorme massa di piccoli proprietari e coloni, l'indebitamento e la fame di terra conseguenti al conflitto renderanno ancor più fragile le basi dell'economia agraria e agiteranno non soltanto gli strati contadini naturalmente inclini a combattere la stessa battaglia del proletariato industriale - i braccianti, - ma i piccoli proprietari e coloni che solo in un successo della rivoluzione proletaria potranno sperar di uscire dalla morsa della pressione fiscale e dei prestiti usurari. Il nostro partito asseconderà queste agitazioni non solo mobilitando il contadiname povero contro il giogo del grande capitale, ma convincendolo dei concreti vantaggi di una rivoluzione che, mentre procederà bensì alla collettivizza- zione immediata delle grandi e medie proprietà capitalistiche, non può porsi come compito immediato l'abolizione della piccola proprietà terriera, ma la sua liberazione dai gravami che oggi la soffocano e la sua graduale integrazione nell'economia socia- lista attraverso forme cooperative, consortili e simili.

 

D'altra parte, attorno ai Consigli di fabbrica e di azienda saranno portati a gravitare come forze ausiliarie della rivoluzione quegli strati impiegatizi ed intellettuali che per condi- zioni economiche non si differenziano quasi affatto della classe operaia, ma ne sono tenuti lontani in tempi normali da una diversità di condizioni sociali e di abitudini di vita.

 

LA CONQUISTA DEL POTERE

 

Tuttavia, le lotte che il proletariato industriale   e   agricolo,  fiancheggiato   dall’esercito dei contadini poveri e da alcune categorie piccolo-borghesi, condurrà in questa fase della vita politica italiana e mondiale avranno importanza e significato non in sé, ma solo in quanto momenti successivi di una lotta più vasta che deve condurre il proletariato al potere per l'edificazione socialista.

 

Per il nostro partito le socializzazioni, statizzazioni e nazionalizzazioni di cui tanto si parla nei cosiddetti ambienti di sinistra, anche se realizzate col controllo di organismi operai, non sono che espedienti per il salvataggio del profitto capitalistico se non sono precedute dalla conquista del potere da parte della classe lavoratrice. E la via che porta a tale conquista non passa per le elezioni e la Costituente, né per i "governi di popolo", ma implica l'atto violento della rivoluzione. Premessa necessaria di quest'ultimo è l'esistenza di un partito fondato su basi di vigorosa intransigenza e intimamente legato agli organismi di classe in cui si esprimono gli interessi, le categorie e le aspirazioni del proletariato.

 

Solo dopo l'atto violento della presa del potere, il proletariato, e il partito attraverso il quale si eserciterà la sua dittatura, potranno attuare quelle profonde trasfor- mazioni della struttura economica che devono portare ad un'organizzazione siste- matica della produzione sociale per fini sociale e alla soppressione di qualunque privilegio di classe. La dittatura del proletariato sulla classe vinta poggerà da una parte sulla compattezza del partito della rivoluzione e, dall'altra, sul più esteso esercizio della democrazia operaia in tutti i gangli dello Stato, negli organismi sindacali e dentro il partito stesso.

 

LA NUOVA INTERNAZIONALE

 

Perché, riteniamo che le lotte del proletariato italiano siano legate nel loro divenire e nei loro destini alle lotte del proletariato mondiale, uno dei punti fermi della nostra concezione politica è l'urgente necessità di un organismo internazionale che quelle lotte coordini e, mantenendosi immuni dalle forme di degenerazione della II e della III, reagisca pure alle inevitabili tendenze involutive dello Stato operaio.

 

Questa nuova Internazionale non può nascere che sulle basi di partenza dell'Internazionale di Lenin, completate dalle successive elaborazioni della Sinistra e dalle esperienze di un ventennio di lotte. Essa si garantirà contro il pericolo dell'irrigidimento funzionaristico con tanto maggior efficacia quanto più solida e chiara sarà la sua piattaforma di partenza e quanto meno subordinerà la sua linea politica agli interessi mutevoli e alle esigenze contingenti dello Stato proletario.

 

Solo su queste basi sarà possibile al proletariato italiano, dopo tante eroiche lotte e tanti sanguinosi sacrifici, la vittoria.

 

(Opuscolo, Edizioni del Partito Comunista Internazionalista, marzo 1945)

 

 

Circolare del Partito Comunista Internazionalista

 

Cari compagni,

 

Poiché l'attuale fase di lotta politica in Italia evolve rapidamente verso forme insurrezionali dominate e guidate da partiti a fisionomia borghese, è necessario, anche per evitare equivoci nell'atteggiamento dei nostri gruppi territoriali e di fabbrica, chiarire bene le prospettive e le direttive del P. nei confronti dell'"insurrezione nazionale".

 

Precedenti documenti hanno già definito con sufficiente chiarezza come noi vedessimo la situazione. Fin dal nostro primo apparire sulla scena pubblica, avevamo espresso l'opinione che il 25 luglio rappresentava - pur col suo carattere di colpo di stato - una prima frattura dell'ordine politico e sociale borghese, ma che alla società capitalistica era riuscito di sanare questa ferita mobilitando le masse al servizio della guerra democratica e soggiogandole così alla volontà di quello che allora definimmo, le "forze egemoniche" del conflitto. dal piano sociale e di classe, la lotta proletaria veniva insomma spostata sul terreno della pura lotta antifascista e antitedesca, e le fasi di questa lotta si risolvevano, nella teoria e nella pratica, in altrettanti episodi in corso.

 

Gli avvenimenti successivi dovevano dimostrare la giustezza di quest'interpretazione e dar valore di attualità alle prospettive del Partito, le quali riconoscevano che la classe operaia continuava - e avrebbe continuato fino alla usura delle forze dominanti della guerra - ad agire come pedina di uno dei due blocchi belligeranti, e perciò ai fini della conservazione borghese. A meno dell'intervento di fattori imponderabili, riconoscemmo perciò che la crisi della società borghese, e quindi la possibilità di un'ondata rivoluzionaria in ascesa, si spostava nel tempo, per coincidere con l'esaurirsi delle forze che avevano dominato la scena bellica e sorretto lo sforzo militare dei belligeranti.

 

Di fronte alle ricorrenti velleità di sciopero insurrezionale, assumemmo perciò logicamente una posizione di critica, non già perché fossimo contrari al ricorso alle armi e allo sciopero, ma perché, nella situazione di fatto e sotto l'impero delle dominanti forze politiche, essi rappresentavano un tentativo d'impegnare il proletariato in una lotta non sua e rispondere a precise finalità borghesi. Indicammo perciò anche agli operai che, se moti a carattere di massa fossero avvenuti, il nostro dovere sarebbe stato d'intervenire imprimendo al movimento una netta fisionomia anti-bellicista e anti-patriottarda, la stessa fisionomia - del resto - che avremmo voluto imprimere all'auspicato e non realizzato fronte unico dal basso.

 

Queste premesse dovevano essere brevemente ricordate per definire il nostro atteggiamento di fronte alla ventilata e certo prossima insurrezione antifascista. Noi non neghiamo affatto che esista un problema di distruzione del sopravvivente apparato repressivo fascista: sarebbe ridicolo che lo negassimo. Ma riconosciamo anche che, allo stato dei fatti, l'azione antifascista rimane circoscritta, dalle forze politiche dominanti, a finalità di conservazione borghese e di difesa della patria, e, mentre è diretta all'eliminazione fisica dei rappresentanti ufficiali della repressione fascista, tende non solo a mantenere intatte le basi sociali del fascismo (il regime di produzione capitalistico), ma a scaricare le energie proletarie nel letto della guerra, della patria, della democrazia, invece che in quello della rivoluzione. È chiaro che per noi non esiste una lotta antifascista staccata dalla lotta contro il capitalismo, e che non si potrà mai parlare di sterminio radicale del fascismo finché non sono sradicate le basi storiche da cui ha tratto origine questa forma di dominazione del capitale. Per la stessa ragione è chiaro che, per noi, il compito storico di distruggere il fascismo spetta soltanto alla classe operaia in quanto agisca sul terreno rivoluzionario e classista, e non potrà mai essere assunto da organismi, come il Cln, che si muovono nell'orbita della politica borghese. D'altra parte, pecche- remmo di astrattismo se non riconoscessimo che, negli avvenimenti a carattere insurrezionale cui assisteremo, l'iniziativa è e resta nelle mani di quelle stesse forze che hanno dominato la scena del conflitto mondiale e che, nell'attuale stato dei rapporti di forza, sarebbe romantico sognar di mutar col nostro solo intervento il corso della storia e far sboccare un moto a carattere democratico-patriottardo in un moto a carattere rivoluzionario-classista.

 

Il nostro intervento sarà dunque ispirato a questi criteri:

 

1) critica preventiva delle finalità politiche e della direzione tattica dell'insurrezione nazionale e dello sciopero armato;

 

2) intervento nel moto insurrezionale dovunque esso assuma carattere di massa, e azione in esso come forza politica differenziatrice;

3) sfruttamento dell'agitazione in corso per la conquista di quelle posizioni che possano giovare sia alla prosecuzione della battaglia proletaria nei mesi che verranno, sia al potenziamento del Partito.

 

Per quel che riguarda il 1° punto, l'opera dei compagni deve essere estremamente vigile e tattica: non impostare la nostra critica sul sabotaggio astratto dallo sciopero e dell'insurrezione, ma sulla chiarificazione delle sue finalità e dei suoi obiettivi, sull'indicazione dell'errore politico di moti insurrezionali a scopi semplicemente democratici e, peggio ancora, patriottardi e bellicisti; indicare sempre che, comunque, nel caso che moti di massa si verifichino, il nostro posto sarà accanto al proletariato per orientarlo per partecipare alla lotta con nostre e classiste parole d'ordine.

 

Per quel che concerne il 2° punto, è ovvio che, intervenendo in azioni di massa e solo in esse, noi combattiamo lo stesso apparato repressivo fascista che gli altri movimenti politici combattono; ma il nostro compito rimane sempre quello di far leva sul nostro raggio d'influenza in seno alla classe operaia affinché, sulla sanguinosa esperienza, questa esca armata degli strumenti politici e pratici indispensabili per procedere, nelle fasi successive della crisi, verso la meta finale della conquista del potere.

 

Riguardo al 3° punto, la parola d'ordine che il P. lancerà, attraverso la stampa ai compagni di base, saranno: 1) armamento del proletariato; 2) costituzione in organismi di fronte unico operato dal basso (consigli di fabbrica, ecc.) a difesa delle eventuali conquiste realizzate e per l'estensione della lotta di classe secondo un piano unitario in regime democratico.

 

Queste parole d'ordine hanno per i membri del P. e per i gruppi di fabbrica carattere impegnativo: la prima, nel senso che nulla deve essere trascurato per rinforzare l'armamento del P. e in genere degli organismi operai; la seconda, nel senso che i nostri gruppi di fabbrica devono essere gli elementi propulsori di ogni iniziativa unitaria con finalità di classe sui posti di lavoro.

 

È ovvio che tutti gli episodi di lotta proletaria che potranno verificarsi (occupazione di fabbrica, espropriazioni, ecc.) i compagni parteciperanno sempre con una duplice funzione di chiarificazione degli obiettivi e di impulso a portare la lotta su un terreno esplicitamente classista e non limitato alla contingenza della lotta contro il fascismo.

 

I compagni eviteranno - anche per non compromettere i nostri già esili quadri - ogni iniziativa parziale a sfondo attivistico che esca dai limiti tracciati più sopra. Chiarimenti di carattere pratico verranno dato nelle prossime riunioni di capigruppo.

 

Il CE del P.C. Internazionalista

 

(Circolare dattiloscritta. 13 aprile 1945)

 

 

Per la creazione e il  potenziamento dei gruppi comunisti di fabbrica

 

OPERAI IMPIEGATI TECNICI

 

L'istinto di classe deve avervi avvertito del precipitoso e violento maturare della crisi che investe oramai tutta la traballante e fradicia impalcatura del regime capitalistico. Segno infallibile e precursore di eventi decisivi è lo smarrimento abbattutosi sullo spirito della classe dirigente indecisa a quale delle due guardie del corpo affidare la difesa del suo privilegio e del suo avvenire di classe: se al fascismo dimostratosi, è vero, ottimo mazziere del capitale, ma inintelligente e maldestro iniziatore ed organizzatore della guerra più suicida che la storia borghese ricordi; oppure affidarla alle multicolori forze della democrazia, più capaci queste a manovrare le grandi masse proletarie per fare di esse la forza effettiva ed essenziale della guerra antiproletaria, e per fare del loro programma di libertà ed emancipazione, attraverso un perverso giuoco di illusionismo politico, la trappola ideale d'una rinnovata schiavitù economica.

 

Qualunque possa essere la scelta della borghesia, il proletariato non smarrirà per questo il suo obiettivo di classe, come non modificherà i mezzi della sua lotta. Vittima secolare della violenza borghese, affiderà solo alla violenza di classe il compito di sanare d'un colpo tutte le ingiustizie.

 

OPERAI IMPIEGATI TECNICI

 

Mentre la guerra si avvia alla sua fatale conclusione e sui popoli vinti si accasceranno esausti impoveriti e profondamente delusi i vincitori, al proleta- riato spetta di dare l'ultimo colpo di piccone, e sulle macerie del mondo borghese ricostruire la società su basi socialiste. Ma dovrà saper cogliere l'occasione e prepararsi, tenacemente prepararsi in questa torbida vigilia rivoluzionaria. - E prepararsi vuol dire:

 

a) imporsi il compito dell'unità delle sue forze;

 

b) aver chiara la coscienza della propria missione di classe rivoluzionaria;

 

c) far propria una intransigente linea di condotta tattica che sia illuminata da una teoria rivoluzionaria, lontana dalla peste ideologica dello sciovinismo patriottardo, dal compromesso e dalla collaborazione, quale il marxismo critico ha forgiato e l'esperienza dei moti rivoluzionari europei e della rivoluzione russa hanno validamente saggiato sul terreno dell'azione.

 

A questo fine il PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALISTA ha posto a fondamento della sua attività organizzativa la creazione e il potenziamento dei gruppi di fabbrica aventi per obbiettivo l'unità organica delle forze del lavoro, l'unità nella direzione e nella condotta della lotta. Tale organismi hanno una loro storia di attività e di conquista, ricollegandosi alla rapida affermazione del nostro partito, subito dopo Livorno, nella fase più acuta della crisi italiana nell'altro dopo guerra.

 

Nei gruppi di fabbrica, che riuniscono accanto ai militanti del Partito i simpatizzanti e i senza partito, si realizzano tutte le premesse per un'intesa con gli organismi similari di fabbrica di diversa tendenza politica, per la formazione del fronte unico operaio sotto il controllo e la guida dei Comitati unitari di agitazione democraticamente eletti dalla base.

 

Senza il tempestivo e organico raggrup- pamento delle masse operaie, la rivoluzione italiana verrebbe a mancare d'una condi- zione obbiettiva d'importanza fondamentale per il suo vittorioso affermarsi.

 

OPERAI IMPIEGATI TECNICI

 

I gruppi di fabbrica sono i vostri organismi di classe che vi consentono di porre e agitare tanto i problemi contingenti di natura sindacale o salariale, quanto gli altri più strettamente connessi all'azione rivoluzio- naria per la conquista del paese.

 

OPERAI IMPIEGATI TECNICI

 

Stiamo per vivere ore decisive nella storia del proletariato; è perciò necessità indero- gabile che dalla fabbrica e da ogni posto di lavoro sorga la milizia ferrata, incorruttibile della battaglia di classe.

OPERAI IMPIEGATI TECNICI

 

Organizzatevi nei gruppi di fabbrica per la lotta contro la guerra e contro i suoi fautori di destra e di sinistra; per la lotta contro lo spettro della fame che incombe minaccioso sulle vostre case; per la vita e l'avvenire dei vostri figli. Organizzatevi per marciare uniti alla conquista rivoluzionaria di tutto il potere.

 

IL COMITATO NAZIONALE DEI GRUPPI COMUNISTI DI FABBRICA

 

(Aprile 1945. Volantino.)

 

Punti di orientamento del Partito Comunista Internazionalista

 

NOI E LA PACE

 

Il proletariato che ha fatto la guerra senza volerla deve impedire che la pace, con la sua crisi economica che si proietta nello spirito delle grandi masse, sia piegata ai propri fini dal capitalismo internazionale e rappresenti l'inizio d'un nuovo periodo della vita borghese che nessuna promessa economica e ideologica storicamente giustificata.

 

La pace borghese sarà come è sempre stata la preparazione obbiettiva ad un nuovo macello mondiale.

 

La pace vera, la pace duratura, è solo possibile con l'eliminazione del regime della guerra: il capitalismo, il quale sparirà alla sola condizione che il proletariato appresti volontà idee e forze per spazzarlo via dalla scena del mondo su cui ha dominato tirannico e sfruttatore per oltre un secolo.

 

La pace vera, la pace duratura, è saldamente legata all'esito vittorioso della lotta proletaria. La Federazione degli Stati Comunisti di Europa è la prima tappa verso l'ordine nuovo del mondo: l'Internazionale, è la garanzia contro ogni ritorno alla barbarie del capitalismo imperialista.

 

NOI E LA SITUAZIONE INTERNA

 

Ora è evidente che l'eliminazione del nazi-fascismo, pagina gloriosa ed eroica del nostro popolo lavoratore, non ha significato in nessun modo modificazione delle condizioni sociali, politiche ed economiche che fanno del proletariato l'eterna forza soggetta da cui la borghesia potrà e vorrà ancora attingere somma di ricchezze senza limite per alimentare una vita di ozio e di dissipazione, e da cui recluterà mezzi e combattenti per le sue nuove avventure e le sue guerre.

 

I Comunisti Internazionalisti che hanno avversato la guerra e combattute le forze politiche responsabili, hanno oggi chiara la coscienza della strada da percorrere.

 

Mentre i partiti del Blocco democratico marciano verso la soluzione legalitaria e borghese della crisi aperta dalla guerra, i Comunisti Internazionalisti, che interpretano la crisi secondo la dialettica del marxismo, operano la mobilitazione del proletariato sul piano di classe per l'attacco rivoluzionario del potere borghese, anche se al suo vertice le leve della direzione politica fossero nelle mani della più progressiva delle forze democratiche borghesi.

 

Noi non siamo davvero teneri per la monarchia dei Savoia, come per nessun'altra monarchia, e attendiamo la sua eliminazione dal complesso nazionale con la stessa appassionata urgenza e lo stesso interesse che avremmo per l'estirpazione di un cancro dal corpo di una persona cara, ma denunciamo il tentativo di fare della questione istituzionale un problema fondamentale, un espediente addormentatore delle masse per allontanarla dai veri e veramente fondamentali obbiettivi della sua lotta.

 

La democrazia progressiva è in sede teorica la più grande mistificazione fatta al proletariato dopo il fascismo; in sede politica è il più recente e sottile e ben riuscito espediente tattico della borghesia per costringere il proletariato a pagare in contanti gli oneri della pace, dopo aver pagato col sangue quelli della guerra non sua.

 

NOI E L'INSURREZIONE

 

L'insurrezione, fatta dal proletariato per finalità non proletarie, ha creato una stranissima situazione. Certi partiti politici a vaghe aspirazioni rivoluzionarie abilmente colorate di progressismo credono, o meglio si illudono, d'essere essi gli arbitri della nuova situazione, di avere il potere in mano, e non s'accorgono di avere mani e piedi legati, di essere, in una parola, alla mercé del padrone capitalista. Il risveglio sarà crudo. Che il sacrificio dei combattenti proletari di Grecia proprio nulla abbia insegnato?

 

Anche molti operai sono vittime di quest'illusione. Hanno creduto che l'officina fosse ormai da gestire sotto il loro diretto controllo, che tecnici e impiegati obbedissero alla loro volontà, che i padroni fossero stati allontanati, così per miracolo, dal vento dell'insurrezione patriottica.

 

Poi, la dura realtà si è fatta innanzi sotto la veste del buon senso, della responsabilità, del civismo dei nuovi bonzi social-centristi, i quali hanno fatto capire agli insubordinati che gli operai dovranno continuare ad essere operai e che i padroni sono in definitiva sempre i padroni. Evviva!

 

NOI E I COMPITI DEL PROLETARIATO

 

Sta a te, operaio, di non ricadere in nuove esperienze negative; potrai evitarle soltanto se non abbandonerai il piano di classe della tua lotta.

 

Il fascismo non è morto, non solo perché non è morta la classe che gli ha dato i natali, ma perché, attraverso un'efficace mimetizzazione, troppi elementi fascisti si sono infiltrati negli organismi militari, politici, economici del nuovo regime. È questo, operaio, una ragione di più per vigilare perché il moto iniziato continui su un terreno di classe, e, soprattutto, per affrettare la preparazione dei quadri politici di un partito che si ponga come obiettivo non la conservazione della società borghese, ma la rivoluzione proletaria. Non c'è "epurazione" che tenga, se non si strappa il male alla radice.

 

Ricostruisce i tuoi sindacati, ma ricordati che l'aumento del salario è cosa effimera e anticlassista se perdi di visione il problema storico della tua completa emancipazione, economica e politica.

 

Hai esperimentato per oltre vent'anni la stupida e tirannica dittatura del funziona- rismo sindacale fascista; evita di crearne un'altra sotto l'egida dei tre partiti della democrazia. Il sindacato o è libera palestra di interessi, di idee e di metodi, o si trasforma in cittadella della controri- voluzione.

 

Questa è l'ora dei consigli di fabbrica.

 

Soltanto con i consigli tu, operaio, potrai garantire la continuità della tua lotta se il sindacato diverrà, come diverrà, monopolio dei partiti non rivoluzionari; soltanto con i consigli tu potrai diventare politicamente e tecnicamente degno di gestire domani la fabbrica in cui lavori.

 

Il Consiglio di fabbrica sia la bandiera della tua prossima battaglia, la premessa del tuo attacco rivoluzionario al potere.

 

Il Partito Comunista Internazionalista

(Volantino. 1° Maggio 1945)