Biblioteca Multimediale Marxista


Agnelli ha paura e paga la questura:
I documenti dello spionaggio e della corruzione Fiat



Edizioni «Lotta Continua»
1972


Sommario

Introduzione
Padroni corruttori e poliziotti corrotti
Chi paga e chi è pagato. Le date e i protagonisti del dossier Fiat
«Rimessione». L'espediente per affossare i processi che danno fastidio
Giovanni Colli: il complice
Ecco i poliziotti corrotti. (Elenco di alcuni dipendenti Fiat)
Quello che dovranno pagare

Introduzione:

Pubblichiamo in questo opuscolo tutta la documentazione in nostro possesso sullo "spionaggio Fiat", quale risulta dai fascicoli sequestrati dal pretore Guariniello il 5 agosto 1971 negli uffici della Fiat, e che ora si trovano a Napoli. Da questi atti emerge un dato preciso ed inequivocabile: la Fiat aveva (ed ha) il pieno e totale controllo su tutte le "forze dell'ordine" di Torino. Ricevevano infatti dalla Fiat assegni mensili o emolumenti una tantum i prefetti e i questori (compreso il famigerato Guida) che via via si sono succeduti a Torino negli ultimi anni, il capo-gabinetto della Questura dott. Stabile, i capi dell'Ufficio Politico della Questura dott. Bessone e dott. Romano, il capo regionale del SID (ex Sifar) Ten. Col. Stettermajer, il capo del nucleo investigativo dei Carabinieri Col. Astolfi, più 150 circa tra agenti e funzionari della P.S. e dei C.C. Insomma tutti, proprio tutti coloro che avevano la responsabilità della politica repressiva a Torino erano alle dipendenze della famiglia Agnelli. Tutte le montature poliziesche, gli arresti arbitrari, le false testimonianze, le aggressioni contro operai e studenti di questi ultimi anni portano dunque impresso il marchio della Fiat. Sempre dagli atti del processo risultano direttamente responsabili di corruzione tre fra i massimi dirigenti della Fiat: l'ing. Bono, vice-presidente della Fiat; l'ing. Garino ex-direttore del personale Fiat e l'ing. Gioia, Direttore Generale della Fiat. Avevamo sempre saputo che il potere dei capitalisti e il potere dello stato sono tutt'uno e non avevamo mai mancato di denunciare il potere assoluto e dispotico che la Fiat esercita su tutta la città. Lo slogan "poliziotti servi dei padroni" che tante volte ha risuonato per le strade di Torino in questi anni nasceva da una semplice constatazione dei fatti, che chiunque avrebbe potuto compiere. Lo sapevano perfettamente le migliaia di operai che vivono ogni giorno il sistema di sfruttamento della Fiat, che conoscono le sue spie e che tante volte sono stati aggrediti, anche dentro la fabbrica, dalla polizia accorsa in difesa del capitale. E non si tratta di una storia nuova. Le 150.000 schede, che il pretore Guariniello ha trovato negli uffici della Fiat, sono il risultato di una rete di spionaggio che risale agli anni '50, al periodo della gestione Valletta. Fra le persecuzioni di allora contro i militanti della Fiom, i licenziamenti di rappresaglia, i reparti confino, la caccia sistematica all'operaio di sinistra di quegli anni e l'attuale vicenda dello spionaggio Fiat vi è una precisa continuità. E le rivelazioni attuali non fanno che confermare le denunce che già allora, a più riprese, furono fatte contro i metodi fascisti e polizieschi della Fiat. Ciò nonostante le attuali rivelazioni sul "dossier Fiat" sono un fatto nuovo e estremamente importante. Oggi dire che la polizia è serva del padrone, non è più soltanto una giusta affermazione ideologica sui rapporti che intercorrono fra capitale ed istituzioni statali, non e più solo un giudizio politico sul comportamento delle forze di Polizia, ma è un dato di fatto indiscutibile, di fronte a cui nessuno può tirarsi indietro. Non solo, ma attraverso questi dati, oggi possiamo avere una coscienza più precisa di quelle che sono le trame del potere in una società borghese. Conoscere i nomi dei corrotti e dei corruttori significa per noi conoscere meglio i nostri nemici ed offrire alle masse elementi più concreti per combatterli.


Padroni corruttori e poliziotti corrotti

Tutta la vicenda del "dossier Fiat" ha offerto uno spaccato molto eloquente delle varie forze politiche e sociali. La documentazione che presentiamo in questo opuscolo sulle reazioni della stampa e dei partiti alle rivelazioni sulla Fiat parla da sé. Abbiamo visto (ancora una volta!) come tutta la stampa italiana è sotto il bavaglio della Fiat e non solo "La Stampa", serva per eccellenza, ma anche giornali che come l' "Espresso", si danno arie di spregiudicatezza. Abbiamo visto il Procuratore Generale di Torino Giovanni Colli tentare in tutti i modi di affossare il processo, evitando di incriminare, come sarebbe stato suo dovere, le persone che risultavano colpevoli dagli atti. Abbiamo visto il governo, per bocca del sottosegretario agli Interni on. Sarti dichiarare in parlamento di "non sapere niente". Forse mai si era realizzata una barriera di silenzio cosi compatta fra tutte le forze padronali, un'omertà così stretta e così estesa da far impallidire qualsiasi mafioso. E' un'altra utile indicazione per capire cos'è il mondo dei padroni. Ma abbiamo visto anche tutta la reticenza con cui il PCI ha affrontato la questione. Lo sforzo costante dell' "Unità" è stato quello di circoscrivere la portata delle rivelazioni al solo fatto dello spionaggio, e se si è accennato di sfuggita alla corruzione dei pubblici funzionari, è stato soltanto per dire che essi erano pagati per fornire illegalmente informazioni alla Fiat; guardandosi bene dal rivelare i nomi, perché altrimenti ci si sarebbe subito resi conto che si trattava di ben altro, e cioè del controllo realizzato dalla Fiat su tutto l'apparato poliziesco di Torino. Ma certe verità sono troppo pericolose. Aprire uno scandalo prima delle elezioni presidenziali che coinvolge da una parte la Polizia, I 'Esercito, il Ministero degli Interni e lo stesso governo e dall'altro la massima potenza economica del capitalismo italiano, avrebbe significato per il PCI trovarsi in difficoltà nella complessa manovra di inserimento nell'area di governo che stava portanto avanti con iniziative sempre più spregiudicate. Per contrattare con gli altri partiti l'affossamento del divorzio, per offrirsi alla DC come interlocutore responsabile, anche per la presidenza della Repubblica, il PCI aveva bisogno che le acque restassero calme. Niente scandali. Nessun potente sotto accusa. D'altra parte come si faceva a denunciare padroni e governo e nello stesso tempo mettersi d'accordo con loro. Oggi, dopo l'elezione di Leone con i voti fascisti, il riportare a galla il "dossier Fiat" sarà necessario al P.C.I. esclusivamente per dare una mano di rosso alle tesi congressuali. E non si tratta di un atteggiamento nuovo. Tutti ci ricordiamo come il P.C.I. continuò ad "esprimere forti perplessità sul suicidio di Pinelli" quando ormai in tutte le piazze si gridava: "Calabresi sei un assassino", e come avallò le tesi di Guida, Calabresi e Amati sulla responsabilità di Valpreda all'indomani della strage di stato, guardandosi bene in entrambi i casi dall'aprire una campagna di massa contro i poliziotti assassini ed i fascisti autori della strage. Ma anche allora la situazione era "critica", occorreva addormentare le masse con la promessa di riforme e garantire ai padroni il sostegno della produttività. Lo sforzo dei revisionisti è stato (allora come ora) quello di nascondere la verità, che pure essi conoscevano (e meglio di noi!) e cioè di privare i proletari di quegli strumenti che avrebbero loro permesso di affrontare l'avversario di classe con maggior chiarezza e determinazione. Il risultato di tutto questo, del silenzio ermetico e mafioso dei borghesi, così come della reticenza interessata dei revisionisti è che oggi a Torino la maggior parte degli interessati (operai, studenti, proletari) che leggono "La Stampa" o l' "Unità" ignorano completamente quello che il pretore Guariniello ha trovato negli uffici della Fiat. "La città deve sapere". Così era intitolata l'assemblea tenuta sabato 13 novembre al Teatro Alfieri di Torino. Peccato che alla folla che stipava il teatro ci si sia ben guardati di "far sapere" qualcosa. Emilio Pugno, segretario della Camera del Lavoro di Torino, ha sì proclamato a gran voce: "fuori i nomi!", ma ha accuratamente evitato di dirli lui, che certo li conosce meglio di noi e può disporre di informazioni migliori delle nostre. Ma a Pugno interessano le riforme, non la verità. A noi interessa la verità. Perché siamo comunisti e pensiamo che la verità è sempre rivoluzionaria. Perché vogliamo che le masse imparino a riconoscere fino in fondo i loro nemici, sappiano come si muovono, conoscano gli interessi che li uniscono. Perché abbiamo decine di compagni che sono stati arrestati, processati e sbattuti in galera (ora possiamo ben dirlo) dalla Fiat e di fronte alla nuova escalation della repressione che ci si prospetta, non possiamo perdere l'occasione di denunciare a tutti qual'è la vera natura di questa politica repressiva, chi la muove e chi ne trae profitto.
Gli obiettivi della nostra campagna sul "dossier Fiat" sono chiari:
- vogliamo che il processo ritorni a Torino, in modo che la classe operaia della Fiat possa controllarne lo svolgimento; e pronunciare le condanne;
- vogliamo che siano condannati per corruzione e messi in galera l'lng. Bono, I'lng. Garino e l'lng. Gioia, tutti i funzionari di P.S., gli ufficiali del C.C. e dei SID, e tutti gli altri agenti che figurano nel fascicolo processuale; nonché il Procuratore Generale dott. Colli per omissione di atti d'ufficio;
- vogliamo la revisione di tutti i processi in cui hanno testimoniato poliziotti corrotti dalla Fiat e la liberazione immediata di tutti i compagni che sono in carcere;
- vogliamo che la Fiat paghi tutti i licenziati e gli arrestati per rappresaglia in base ai dati raccolti dalle spie di Agnelli dal '45 ad oggi.
E' un programma ingenuo? Certamente, non si è mai visto un padrone che si mette a mordere un altro padrone. E non crediamo che sarà un tribunale borghese a far giustizia dei padroni della Fiat, dei questori, dei prefetti, dei magistrati, dei "dottori" della "politica" implicati in questo sporco affare. Malgrado questo, noi vogliamo portarlo avanti perché crediamo che a Torino esistano le forze per rompere i silenzi e le complicità, per investire direttamente le masse del compito di giudicare e condannare i loro sfruttatori. Ci rivolgiamo agli ex-partigiani, ai vecchi operai comunisti che hanno conosciuto la repressione di Valletta e non sono disposti ad avallare le nuove manovre della Fiat. Ci rivolgiamo agli studenti, perché mettano all'ordine del giorno di tutte le loro assemblee la questione dello spionaggio Fiat. E' un modo, per loro, di affrontare in maniera più diretta la realtà che li circonda. Il loro contributo nella denuncia e nella propaganda è decisivo per dare alla stessa un carattere di massa. Ma soprattutto ci rivolgiamo alla classe operaia che è la naturale protagonista di tutta questa vicenda. Per gli operai non c'è stata nessuna "rivelazione". Che la polizia fosse al servizio di Agnelli, l'avevano sempre visto con i loro occhi. La presenza nelle officine di spie camuffate da operai, gli attacchi repressivi del padrone, le sospensioni e i licenziamenti sono cose che essi verificano ogni giorno e che vedono come un concreto ostacolo alla loro possibilità di lottare e di organizzarsi in fabbrica. Legare lo "scandalo Fiat" alle concrete condizioni con cui gli operai si scontrano nelle officine è il mezzo per far sì che la classe operaia sappia prendere nelle sue mani tutta la questione dello spionaggio e mettere con le spalle al muro Agnelli, le sue spie e i poliziotti suoi servi. C'è un'ultima cosa che vale la pena di ricordare, Abbiamo parlato della continuità che esiste fra le persecuzioni di Valletta negli anni '50 e quelle di Agnelli di oggi. Ma c'è anche una grande differenza. Allora la Fiat poteva agire impunemente contro una classe operaia divisa e frantumata, diseducata ideologicamente dalle organizzazioni del movimento operaio che nel dopoguerra avevano fatto di tutto per restituire ad Agnelli la sua potenza economica intatta, basandosi sui modelli del produttivismo staliniano. Ora è tutto l'opposto. Dalle grandi lotte del '69 ad oggi la classe operaia ha conquistato una nuova forza autonoma ed ha saputo mantenersi all'attacco. Ai miti revisionisti di collaborazione ha opposto la coscienza della sua totale estraneità al mondo e agli interessi del padrone. Il suo modello non è più l'operaio stakanovista che si spremeva come un limone per produrre sempre di più, ma sono le masse degli operai cinesi che considerano la politica più importante della produzione. Le tensioni attualmente presenti nella Fiat contro gli aumenti di produzione, la distribuzione delle pause, l'assegnazione discriminata delle categorie sono la prova che la classe operaia non è uscita disarmata da questi tre anni di lotte. Ed è certo grazie a questo clima politico che un pretore si è permesso di fare quello che finora nessuno si era mai sognato, di andare cioè a mettere le mani dentro i santuari della Fiat. Quando la magistratura milanese ha aperto il procedimento per omicidio contro Calabresi, a due anni dall'assassinio del compagno Pinelli, Calabresi era già stato accusato e processato centinaia di volte nelle piazze, nelle fabbriche e nelle scuole. E' stata la dimostrazione che è possibile condurre una campagna d'opinione con l'appoggio e la partecipazione attiva delle masse e che in questo modo è possibile rompere la congiura del silenzio dei borghesi e dei revisionisti. E' per questo che diciamo: padroni corruttori e poliziotti corrotti in galera! Giustizia proletaria contro gli sfruttatori!


Chi paga e chi è pagato

Le date e i protagonisti della storia del Dossier Fiat

I FASE: CATERINO CERESA

24 settembre 1970: Una spia licenziata senza "giusta causa".
Il signor Ceresa Caterino cita la Fiat dinanzi alla sezione lavoro della Pretura di Torino. Ceresa chiede al pretore di dichiarare illeggittimo il suo licenziamento, avvenuto il 5 marzo 1970, per "carenza degli estremi della giusta causa o del giustificato motivo". La Fiat si oppone e il processo ha inizio. La Fiat afferma che Ceresa era "un semplice fattorino". Ceresa sostiene di aver svolto, per diciassette anni, dall'agosto del 1953, sempre le mansioni della spia.

16 giugno 1971: La carriera della spia Ceresa: dalla motoretta alla fuoriserie, l'ascesa; dalla fuoriserie al treno, la decadenza.
Il pretore, dopo aver predisposto le indagini istruttorie su "tutto quanto è oggetto della controversia", cioè sulle esatte funzioni del Ceresa, convoca le parti per l'udienza conclusiva. E qui viene fuori tutto o quasi tutto. Ceresa racconta, i suoi capi confermano. La spia aveva iniziato a svolgere il suo mestiere come sottufficiale dei carabinieri. Nell'agosto del 1953 il commendatore Sante Losi, un altro ex poliziotto, lo arruola nel "Sifar" della Fiat aumentandogli lo stipendio e promettendogli una brillante carriera. Nascevano allora, negli anni più bui della razionalizzazione capitalistica, negli anni degli eccidi di Scelba e di De Gasperi, negli anni del centrismo e di papa Pacelli, i "Servizi Generali" della Fiat. La creatura prediletta di Valletta, lo strumento della più bieca reazione antioperaia, una mostruosa centrale di spionaggio politico e di ricatto della cui attività dovevano fare le spese migliaia e migliaia di compagni operai della FIOM e del PCI. E l'infaticabile animatore del SIFAR vallettiano in quei primi anni è proprio il commendator Losi con il suo collaboratore Ceresa. Losi, ormai spia in pensione, e il suo successore come capo-spia, l 'ex-colonnello dell'aviazione Secondo Cellerino, pilota personale di Agnelli, testimoniano davanti al pretore sulle funzioni del Ceresa. E confermano integralmente tutta la storia della carriera della spia. Aveva iniziato girando in motoretta il Ceresa a svolgere indagini "sulle referenze, le assunzioni, le promozioni, le lettere anonime e il chiarimento di situazioni particolarmente importanti per l'azienda, l'accertamento delle assenze abusive dal lavoro, e, nell'ambito delle referenze, l'accertamento delle tendenze politiche dell'interessato". (E' Cellerino che parla). Ceresa, con i suoi giri, si conquistò la stima dei suoi capi così da essere ritenuto "un elemento particolarmente valido cui erano affidati lavori di delicatezza e di responsabilità". E' sempre Cellerino che parla e che aggiunge, con una certa fierezza "ma vi erano elementi anche migliori di lui, quali il Chessa e il Bobolo". Venne quindi il suo turno di usufruire per svolgere il suo lavoro di un'automobile di servizio. In auto Ceresa estese il suo raggio d'azione. Nuovi paesi, nuove città, nuove persone, non più "l'accertamento delle assenze abusive dal lavoro" da controllare ma "le anomale tendenze psichiche" del dottor M.E.L. a Passerano Marmorito, la "relazione amorosa di M.M. e C.L." a Chiavari. Insomma Ceresa nella versione di spia-voyeur è giunto ai vertici della sua carriera. E comincia lenta e inarrestabile la decadenza. Ceresa, nell'inverno del 1969, viene comandato per una indagine a Milano. Deve però usare il treno e non la sua fedele "automobile di servizio". Per Ceresa è una mazzata in fronte: si sente declassato e si rifiuta di obbedire. O in macchina o niente Milano. Cellerino non si impressiona: prende la spia, ormai in disgrazia, e lo sbatte in ufficio a "battere a macchina i cartellini" per le spiate: lo mette insomma, (sono sempre parole di Cellerino anche queste) "insieme agli anziani e ai meno capaci". Ceresa a modo suo lotta. Da ruffiano, cioè. Va dal direttore della divisione personale, cavalier Ferrero, ma viene mandato al diavolo. Allora si rivolge, sempre in cerca di protezione, al suo ex-benefattore Sante Losi. Dopo un colloquio tra Losi e un dirigente del servizio centrale amministrativo e assunzioni operai Fiat, tale Negri, gli viene proposto di dare le dimissioni con un milione di buona uscita o di passare come operaio al "Servizio Centrale Assunzioni" con mansioni "analoghe a quelle dianzi espletate". Ceresa ribadisce il suo concetto: spia d'accordo, ma mai come operaio. E rifiuta la proposta. E la Fiat, il 5 marzo 1970, lo licenzia.

Inserzione sulla STAMPA di Torino: la Fiat cerca nuove spie

12 luglio 1971: Ceresa, licenziato e condannato, esce dalla scena. Entra al suo posto come imputato Agnelli.
Il pretore di Torino, Converso, sezione lavoro, pronuncia la sentenza che dà torto al Ceresa e ragione, nella vertenza specifica, all'ingegner Gaudenzio Bono, vice-presidente e amministratore della Fiat. Contemporaneamente però il pretore trasmette un rapporto al pretore penale su quanto è emerso dal processo indagini sui privati svolte senza licenza, corruzione di pubblici ufficiali (perché era impensabile che tutte le informazioni che Ceresa aveva detto di raccogliere si potessero avere senza un appoggio diretto di polizia e carabinieri). Alla base del ragionamento del pretore c'era l'accertata differenza tra i Servizi Generali e il Servizio Centrale Assunzioni della Fiat. Se si fosse trattato semplicemente di prendere informazioni sui nuovi assunti Ceresa avrebbe dovuto lavorare presso il Servizio Centrale Assunzioni, che questo compito aveva. La realtà era quindi che i Servizi Generali erano una vera e propria centrale di spionaggio a tutti i livelli con fini di ricatto e di controllo politico su centinaia di migliaia di persone operai e non operai della Fiat. Se le parole di Ceresa facevano pensare al funzionamento di uno schedario esteso alla vita privata e alle opinioni politiche degli schedati. La parola quindi spettava al pretore penale. La prima fase si chiude.

PERSONAGGI E INTERPRETI DELLA I FASE
Caterino Ceresa - spia della Fiat
Cellerino Mario - spia della Fiat
Botolo Edoardo - spia della Fiat
Maria Raffaele - spia della Fiat
Addis Giuseppino - spia della Fiat
Iriano Vito - spia della Fiat
Losi Sante - commendatore, capo delle spie Fiat
Cellerino Secondo - capo delle spie Fiat
Bono Gaudenzio - vicepresidente della Fiat
Ferrero - cavaliere, direttore della divisione personale
Negri - dirigente del servizio centrale amministrativo e assunzioni operai Fiat.
Chessa - spia Fiat
Converso Angelo - pretore del lavoro

II FASE: GIANNI AGNELLI

25 luglio 1971: la bomba è innescata, la notizia di un affare che può diventare clamoroso arriva ai giornali. L'Unità esce con un articolo dal titolo Gli spioni del monopolio Fiat, e annuncia che la sentenza del pretore Converso "conferma" che alla Fiat si indaga sui dipendenti e su coloro che hanno rapporti con l'impresa. In fondo all'articolo, a chiusura, è scritto: "Un'ultima considerazione va fatta sulla collaborazione che questo ufficio di spionaggio della Fiat non può non aver avuto con organi dello stato, come la polizia e i carabinieri". La bomba è solo innescata. Perché non farla scoppiare subito?

5 agosto 1971: un pretore coraggioso, una cassaforte, una perquisizione.
Il pretore che riceve l'incartamento dal pretore Converso, è il professor Raffaele Guariniello. Egli capisce subito che le rilevazioni del Ceresa sono troppo circostanziate per non essere vere; comunque per esserne certo gli resta da fare una sola cosa: andare negli uffici di questi benedetti Servizi Generali e prendere visione diretta degli schedari. Il momento è ben scelto. La Fiat è in ferie, Torino è semideserta. Via Giacosa, palazzo Fiat. Guariniello arriva di buon mattino accompagnato da un cancelliere e da un ufficiale giudiziario. Un attacco di panico travolge i pochi sbigottiti funzionari Fiat che sono al lavoro. Il dossier è lì. Nessuno aveva pensato a far sparire il materiale compromettente: l'arroganza del potere che non può neppure immaginare una ingerenza nei suoi affari. Allineati in bell'ordine ci sono da destra a sinistra:
i fascicoli degli schedati, operai, giornalisti, professori, dirigenti, industriali, uomini politici di ogni livello.
i fascicoli dei corrotti, poliziotti, carabinieri, questori, ecc. tutta gente pagata dalla Fiat oltre che per spiare, per arrestare, picchiare, ricattare compagni, operai, militanti della sinistra. E anche questo lo vedremo meglio in seguito.
I fascicoli degli informatori periferici, messi comunali, parroci di paese, ecc. (C'era un messo comunale che chiedeva un aumento di 5 mila lire all'anno su uno stipendio di 10.000 lire all'anno: Cellerino gli risponde di no "per ragioni di bilancio". Sono oltre 150.000 schede su cui è scrupolosamente annotato tutto. Accanto ai nomi dei poliziotti corrotti c'è l'indicazione delle somme versate, il motivo della corruzione, copia degli assegni firmati da alti dirigenti Fiat, ecc. Per portarle via tutte ci vorrebbero dei camion. Guariniello prende quelle che può e se ne torna in Pretura. Alla cassaforte incriminata vengono apposti i sigilli giudiziari.

15-18 agosto l'incontro di Antagnod.
Nei giorni immediatamente successivi alla perquisizione, dagli uffici di via Giacosa si assiste ad un febbrile via vai di indaffarati fattorini che portano via casse voluminose. Sono i dossier e le schede che Guariniello, non avendoli potuti portar via, aveva posto sotto sequestro. E' un reato previsto dal codice penale (art. 334), ma la magistratura non se ne accorge. Si muove il capo della Fiat in persona. Ad Antagnod, un paesino della Val d'Aosta, c'è un "vertice" tra il presidente della repubblica Giuseppe Saragat, il procuratore generale di Torino, Giovanni Colli, e il presidente della Fiat, Giovanni Agnelli. Viene approntato in quella sede un complesso gioco delle parti che dovrebbe riuscire a soffocare lo "scandalo". Gianni Agnelli pone la candidatura di Cellerino a capro espiatorio e baderà alle coperture "politiche" della vicenda, Colli curerà la parte tecnico-giuridica. Contemporaneamente Guariniello, avendo ravvisato nel materiale sequestrato gli estremi per reati ben più gravi di quelli che sono di competenza del pretore, trasmette gli atti alla procura della repubblica, perché proceda alla fase istruttoria. La pratica viene immediatamente affidata al dott. Piscopo; viene rubricata col n. 23042/71; per essa risultano imputati del reato di cui agli articoli 134 e 140 del testo unico di pubblica sicurezza, il Cellerino e il gruppo di spie che svolgevano le stesse mansioni del Ceresa. Le norme citate stabiliscono che senza licenza del prefetto non è possibile svolgere alcuna attività di tipo investigativo. Minimizzare è l'imperativo categorico in Procura sin dal primo momento. Anche se non si capisce perché, se i reati sono soltanto quelli in rubrica, la pratica non e più nelle mani del pretore.

PERSONAGGI E INTERPRETI DELLA II FASE
Giuseppe Saragat - presidente
Giovanni Agnelli - presidente
Giovanni Colli - procuratore generale
Raffaele Guariniello - pretore penale
Diego Novelli - giornalista dell'Unità
Piscopo Gerardo - procuratore

PROCURA DELLA REPUBBLICA - TORINO
N. 10081/71 Torino 29 novembre 1971
IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
letta la dichiarazione con cui Montana Calogero si costituisce parte civile nel procedimento penale portante il n. 10081/71 del registro generale di questa Procura, a carico di Cellerino Mario e altri quali indiziati del reato di cui agli artt. 134-140 T.U.L.P.S. (investigazione e raccolta di informazioni per conto di privati senza licenza del Prefetto) e art. 326 C.P. (rivelazione di segreti d'ufficio). Preso atto che la costituzione, come si legge testualmente nel relativo atto sottoscritto dal Montana, avviene: "al fine, di ottenere, quale licenziato per rappresaglia politica dalla Soc. Fiat il risarcimenito dei danni materiali conseguenti al reato"; considerato che la pretesa risarcitoria del Montana si fonda su un fatto del tutto diverso di quello oggetto del procedimento nel quale egli si costituisce, fatti che col primo non hanno nemmeno in astratto, alcun rapporto né diretto, né indiretto, né immediato, né mediato; ritenuto pertanto che il Montana appare assolutamente privo di legittimazione alla azione civile che pretende esercitare in questo processo e che di conseguenza la sua costituzione deve essere dichiarata inammissibile
P.Q.M.
visti gli articoli 22-99 C.P.P. dichiara inammissibile la costituzione di parte civile di Montana Calogero nel procedimento penale 10081/71 a carico di Cellerino Mario ed altri. Ordina che copia del presente provvedimento venga notificato al Montana elettivamente domiciliato presso l'avv. Bianca Guidetti Serra in Torino, via S. Dalmazio, 24.
IL S. PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
dott. Gerardo Piscopo

III FASE: GIOVANNI COLLI

6 settembre 1971 : Il mezzo per affossare tutto è stato trovato: il procuratore chiede la rimessione.
La procura trova il mezzo per affossare tutto o per lo meno per trasferire il processo ad altra sede. Il "patto di Antagnod" comincia a dare i suoi frutti. La trovata si chiama rimessione e la norma è quella dell'art. 55 c.p.p. sulla legittima suspicione. Infatti il procuratore della repubblica dott. Rosso trasmette gli atti alla procura generale con la richiesta di rimessione.
Riportiamo le motivazioni addotte dal dott. Rosso per giustificare la rimessione del procedimento ad altra sede (è una notizia che solo Lotta Continua finora ha dato):
1) Non è possibile incriminare i massimi dirigenti della Fiat, cioè di un complesso industriale che dà lavoro e benessere a tutta la nazione.
2) Queste notizie potrebbero suscitare uno stato di agitazione tra le masse operaie della Fiat e i gruppi extraparlamentari che ritengono di essere sorvegliati dalla Fiat.
3) Si rischiano di incriminare i buoni rapporti di collaborazione fra magistratura e forze dell'ordine, indispensabili, in questo periodo, per la quantità e la qualità degli appartenenti alle forze di polizia giudiziaria compromessi.
Da questo documento risulta tanto la corruzione dei poliziotti, quanto la responsabilità dei massimi dirigenti della Fiat, ma nessuno di loro è incriminato. Da questo momento tutti gli atti istruttori vengono sospesi, benchè la legge (art. 57 c.p.p.) dica espressamente che la richiesta di rimessione "non sospende l'istruzione o il giudizio". Ora tutto il dossier è nelle mani di Colli.

22 settembre 1971: Lotta Continua comincia a tirar fuori i nomi dei poliziotti corrotti.
Romano, Bessone, Astolfi, Stettermajer, sono i primi nomi di poliziotti e carabinieri che figuravano sul libro-paga di Agnelli. Ad una conferenza stampa svoltasi in sede i compagni di Lotta Continua informano sugli estremi dell'intera vicenda, precisano le funzioni antioperaie dei poliziotti corrotti, restituiscono alle sue esatte dimensioni l'episodio: non si tratta cioè di spionaggio aziendale. E' anche questo, ma è soprattutto la sistematica corruzione operata dalla Fiat per garantirsi la fedeltà dei poliziotti e impiegarli negli scioperi, nelle manifestazioni contro i compagni. E i poliziotti pagati, non a caso, sono sempre stati presenti in tutte le più mostruose montature poliziesche contro i nostri compagni. Il comunicato stampa di Lotta Continua si conclude "invitando gli organi d'informazione a seguire la vicenda, denunciando i tentativi di insabbiamento del processo già in atto". Lo stesso giorno L'Unità pubblica la notizia dell'avvenuto sequestro. Parla però ancora e solo di spionaggio aziendale.

23 settembre 1971: La congiura del silenzio.
I giornali italiani tacciono. Nessuno accenna alle informazioni di Lotta Continua. L'Unità fa eccezione: Coinvolti esponenti di organi di polizia e di settori dell'apparato dello Stato? è il sottotitolo, dove il punto interrogativo cancella i nomi fatti dai compagni di Lotta Continua, così come i poliziotti avevano per tutta la notte tentato di cancellare i manifesti con i nomi dei corrotti che Lotta Continua aveva affisso in tutta la città. Un volantino distribuito in tutte le fabbriche, un'edizione straordinaria di Torino in mano ai proletari con tutte le rivelazioni e i nomi informano gli operai e i proletari dei quartieri, spaccando il complice silenzio di tutta la stampa borghese. Per l'Unità la conferenza stampa di Lotta Continua non c'è stata. C'è solo un riferimento indiretto tragico nel suo involontario umorismo; "Non siamo alla ricerca del colpo giornalistico sensazionale, bensì alla ricerca della verità e non intendiamo prestarci a nessuna manovra scandalistica che potrebbe in qualsiasi modo favorire operazioni tendenti ad insabbiare o portare sulla pista sbagliata tutte le indagini in corso da parte della magistratura". Il Manifesto riporta ampi stralci della nostra conferenza stampa ma tace sui nomi.

24 settembre 1971: La velina di Agnelli è arrivata: i giornali italiani parlano.
Si assiste ad un fatto incredibile. I quotidiani italiani, sempre attenti a differenziarsi, esaltati dalla concorrenza o dalla linea o dalla tradizione del giornale, questa volta parlano dello stesso argomento in toni monotonamente uguali. Stesse parole addirittura, oltre che stesse argomentazioni, e stesse citazioni. Doglio, il capo dell'ufficio stampa della Fiat, ha la soddisfazione di vedersi un suo articolo riprodotto fedelmente da tutti i principali giornali italiani. Citiamo solo La Stampa per ovvie ragioni. Anche qui titolo con punto interrogativo: Quali accertamenti possono compiere le aziende per assumere il personale? E' un titolo che è già passato alla storia del giornalismo. Per il resto il giornale della Fiat si astiene dall'entrare nel merito della questione, riconfermando tutta la sua fiducia al dott. Colli. Pudicamente ricorda che gli "aspetti del problema sono molteplici" e che forse queste benedette indagini sui dipendenti potevano essere svolte in base ad un decreto del luglio 1941 rivolto alle industrie belliche. Dei poliziotti pagati, neanche parlarne naturalmente. A fianco, con una faccia tosta che rasenta la stupidità, il giornale riportava con tono compiaciuto la notizia della negoziante Antonia Boscolo denunciata dal pretore di Moncalieri per "aver messo sulla bilancia insieme al prosciutto due fogli di carta senza sottrarne il peso" ! I deputati comunisti presentano sui fatti un'interrogazione ai ministri dell'interno e del Lavoro. L'Associazione giuristi democratici di Torino elabora un violento documento d'accusa alla Procura della città. Il silenzio è rotto; l'affare non potrà essere comunque più insabbiato. Il segreto istruttorio rimane l'ultima trincea per chi tentava di affossare il caso: vi si schierano il dott. La Marca della Procura di Torino, la direzione della Fiat, tutti i giornali italiani per quanto riguarda i nomi dei poliziotti corrotti.

25 settembre 1971: Arriva un ennesimo dottor Calabrese
Il dottor Calabrese, del Ministero dell'interno, arriva a Torino. Si chiude nello studio di Colli e vi rimane per oltre tre ore. Apprenderemo poi, per bocca del sottosegretario agli interni Sarti, che l'ispettore non è riuscito a scoprire niente perchè il tutto era ricoperto dal segreto istruttorio. Un altro! Astolfi e Stettermejer scompaiono da Torino, trasferiti. Il giornale di Lotta Continua viene denunciato per violazioni sulla legge della stampa; nessuno dei poliziotti indicati come corrotti si sogna di sporgere querela. L'Avanti!, l'Unità e il Manifesto sono gli unici giornali a tornare sull'argomento. L'Unità polemizza con La Stampa, sulla paternità delle rivelazioni che hanno fatto scoppiare la bomba; dice testualmente: "La Stampa come la maggior parte dei giornali italiani (compreso purtroppo l'Avanti!) ha accreditato ad un gruppetto della cosidetta sinistra extraparlamentare l'iniziativa della denuncia dello scandalo, versione per la verità rifiutata dagli stessi giovanotti (sic!) di Lotta continua, che in una conferenza stampa svoltasi ieri l'altro hanno subito precisato che partivano dalle rivelazioni dell'Unità". Ed ecco citata, dopo tre giorni, per la prima volta, la nostra conferenza stampa: fatto un piccolo sforzo se ne poteva fare un altro e citare anche i nomi dei poliziotti! Presa di posizione anche delle segreterie nazionali FIOM-FIM-UILM, che in una nota chiedono alla Magistratura di portare a fondo le indagini su quello che si ostinano a chiamare spionaggio aziendale.

26 settembre 1971: E' già pronta la via d'uscita? Scaricare tutto su Cellerino?
Solo l'Unità e il Manifesto parlano ancora della cosa. Gli altri quotidiani si preoccupano di dimenticare. L'Unità tace sempre sui nomi; parla della repressione antioperaia degli anni '50 in una visione tutta interna alla Fiat. Al Consiglio nazionale della DC, apertosi in quei giorni, ad una richiesta di chiarimenti di Donat-Cattin, Restivo risponde anticipando la tesi difensiva della Fiat: nessuna corruzione di pubblici ufficiali, ma un unico corrotto, il Cellerino, che si sarebbe intascate le somme giustificandone la scomparsa con fantomatici mandati di pagamento ad altrettanto fantomatici poliziotti. La strategia di Antagnod comincia a dare i suoi frutti. Il colloquio Restivo Donat-Cattin è strettamente privato.

3 ottobre 1971: Il sottosegretario Pennachini a Torino.
Il suo viaggio avviene in un momento in cui gli ambienti giudiziari e politici della città sono infestati dalle voci più assurde e contradditorie sulle persone coinvolte nello scandalo, con nomi di magistrati, di politici, di sindacalisti, quasi tutti inventati, tanto da far pensare ad una centrale ben organizzata che agisca per intorbidire le acque speculando sul vergognoso silenzio di chi sa i nomi veri e tace. Incontro con Donat-Cattin all'inaugurazione del Salone della Tecnica e lungo ennesimo colloquio con Colli di Pennachini. I giornali tacciono tutti. L'Espresso, che esce proprio in quei giorni dedica al fatto una colonna di piombo dal titolo spiritoso di "Poliziotti in tuta". Sono anche di quei giorni le telefonate della Fiat alla Gazzetta del Popolo il cui tono sinteticamente era questo: "Silenzio sulla faccenda; ricordatevi che state attraversando un momento economico molto difficile e noi possiamo aiutarvi". Cosa nostra. Accuse alla Fiat vengono rivolte dai magistrati riuniti nel convegno di Chianciano su Giustizia e Potere.

4 ottobre 1971: Corrispondenza Colli - Donat-Cattin.
Le voci sui corrotti hanno assunto una direzione unica: Donat-Cattin e la sua corrente. Si gioca a far le vittime? Comunque Donat-Cattin scrive a Colli per chiedere che sia fatta risultare la sua completa estraneità alla vicenda. Colli non risponde neppure. Che i nomi di Guariniello riguardano solo poliziotti lo sanno ormai tutti, e l' intervento del ministro è, volendo essere buoni, superfluo. Silenzio di tomba sui giornali.

9 ottobre 1971: Un altro nome: Marcello Guida.
Crolla ancora una volta il tentativo di passare sotto silenzio l'intera vicenda. Lotta Continua, in un suo comunicato stampa, aggiunge agli altri nomi già fatti, quello dell'ex-questore di Milano, Marcello Guida. I compagni annunciano che si costituiranno parte civile contro la Fiat, ritenendola la mandante di tutte le montature poliziesche che hanno colpito a Torino i militanti e gli operai e i cui cardini sono da sempre stati proprio Romano, Bessone, e soci (v.v. docum. p. 20-21). Interrogazione al parlamento di due deputati del MPL.

10 ottobre 1971. Ma nessuno ne parla. Nessun giornale riporta un solo accenno alle nuove rivelazioni di Lotta Continua, ad eccezione del Manifesto, dell'Avanti! che si chiede: "Sono queste accuse motivate da elementi di prova o piuttosto soltanto un mezzo per imporre la revisione dei processi in cui sono accusati e condannati molti militanti del movimento? ".

14 ottobre 1971: Il fascicolo va in Cassazione.
Colli trasmette il fascicolo alla Corte di Cassazione con la richiesta di rimessione, aggiungendo una sua nota in cui "aderisce" alla richiesta già avanzata dal procuratore della repubblica dott. Rosso Severino il 6 settembre. E' dunque passato più di un mese da quando Colli ha ricevuto il fascicolo. Perchè tanto tempo? Che cosa sperava di raggiungere il Procuratore Generale? Nel frattempo nessun altro atto istruttorio è stato compiuto. Il procedimento continua ad essere a carico di Cellerino e delle altre spie; dei dirigenti Fiat e dei poliziotti corrotti nessuna menzione, benchè essi risultino incriminabili dagli atti. Sedici righe su una colonna è tutto lo spazio che l'Unità dedica alla manovra. Più doviziosa d'informazioni La Stampa che esce con un altro titolo da storia del giornalismo: Gli atti sull'investigazione privata trasmessi alla Corte di Cassazione. E nel sottotitolo: I sette dipendenti Fiat passibili di ammenda sino a 240 mila lire. I "sette dipendenti " sono le sette spie dei servizi generali, colleghi di Ceresa.

25 ottobre 1971: La pratica per la rimessione va avanti.
Il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Ilari, dà parere favorevole alla remissione associandosi alle richieste già formulate da Rosso e da Colli. L'udienza per discutere la richiesta viene fissata per il 3 dicembre.

29 ottobre 1971: Il Governo non ne sa niente.
Emilio Pugno, segretario della Camera del Lavoro di Torino, parla dalle colonne dell'Unità, rompendo il pesante silenzio della sua organizzazione: "Noi dei sindacati - afferma Pugno - lanciamo una sfida nei confronti di coloro che intendono con subdole manovre e volgari falsità cercare di favorire l'insabbiamento delle indagini". "Fuori i nomi - continua Pugno - i nomi di tutti : gli eventuali questori, prefetti, ufficiali dei carabinieri, dei delatori... ". E' una sortita violenta di cui si stenta a capire, come per la lettera a Colli di Donat-Cattin, il senso, visto che di sindacalisti nelle schede sequestrate da Guariniello non ce ne sono, e tutti lo sanno. L'affare giunge alla Camera. Il sottosegretario Sarti e il ministro Donat-Cattin rispondono alle interrogazioni presentate dal PCI, MPL, Manifesto, PSI, ecc.. Il sottosegretario Sarti annuncia che il governo non sa niente e non può sapere niente perchè tutti i documenti sequestrati sono coperti dal segreto istruttorio. Donat-Cattin dal canto suo afferma che la Fiat con il suo Servizio Assunzioni e con i suoi sette dipendenti incriminati ha violato lo statuto dei lavoratori e dichiara che è stata data disposizione affinchè i moduli di assunzione fossero compilati in modo conforme alle nuove disposizioni di legge e affinchè la Fiat ritenesse abrogato il famoso decreto del 1941 sulle industrie belliche. Basta così. Nel corso del dibattito parlamentare un solo nome viene fatto, quello di Guida ad opera del comunista Spagnoli (sull'Unità niente). I compagni del Manifesto parlano degli incontri segreti tra Umberto Agnelli e personaggi reazionari e fascisti con scopi non ben definiti; partecipano a queste riunioni Vittorino Chiusano, dell'ufficio stampa della Fiat, Scardia, sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, Scassellati, della fondazione Agnelli, Claudio Vitalone, della Procura di Roma, Garino, vice-direttore della Fiat, del giornalista Mimmo Scarano e del giovane industriale fascista, Lorenzo Vallarino Gancia. Sono i soli risultati del dibattito parlamentare. Restivo, che pure aveva ricevuto dal prefetto Casu un assegno della Fiat che provava la tentata corruzione ai danni del funzionario e che quindi cose da dire ne aveva anche per conoscenza diretta, non partecipa neanche alla seduta.

30 ottobre 1971: Si parla dello spionaggio aziendale, ma dei poliziotti corrotti no.
I giornali italiani riferiscono con abbondanti particolari del dibattito parlamentare. Nei titoli e negli articoli si insiste però con monotonia sullo spionaggio aziendale. L'Unità giudica "importante che le conferme siano venute ieri, piene e circostanziate da esponenti governativi nel dibattito di Montecitorio". E' Luca Pavolini che scrive. La voce repubblicana parla ancora di "presunto servizio investigativo". Per la Nazione il tutto è un "duro attacco alla Fiat del ministro del lavoro"

3 novembre 1971: Agnelli al Salone.
Un'altra conferma importante sulla veridicità delle notizie giunge all'Unità che le pubblica con grande rilievo, è nientemeno che la testimonianza di Gianni Agnelli. Agnelli al Salone dell'auto ammette lo spionaggio Fiat è il titolo trionfale su quattro colonne. Agnelli, in una conferenza stampa, aveva detto: "bisogna distinguere tra l'attività svolta dall'ufficio personale prima dell'approvazione dello statuto dei diritti dei lavoratori e dopo". "Pur nella sua sinteticità quella di Agnelli è un'ammissione importante, in quanto riconosce se non altro la validità delle accuse mosse alla direzione della Fiat". E' il testuale commento dell'Unità a quelle dichiarazioni! Eppure il PCI era già a conoscenza di un altro gravissimo fatto: l'assunzione di operai meridionali nelle fabbriche FIAT tramite il MSI torinese, nella persona di uno dei più noti picchiatori e consiglieri comunali del MSI, Ugo Martinat.

12 novembre 1971: Conferenza stampa di Lotta Continua. Altri nomi con le cifre della corruzione. E i nomi dei corruttori.
Le delibere di pagamento rilasciate a ufficiali di polizia e dei carabinieri con le motivazioni "per collaborazione durante gli scioperi" o "per collaborazione durante le manifestazioni" sono controfirmate dall'ingegner Bono, dall'ing. Gioia e dal dott. Garino. La struttura completa del Sifar della Fiat si basava su due uffici: i Servizi generali e il Servizio delibere, uno di carattere esecutivo l'altro decisionale, con lo scopo preciso di avvicinare pubblici funzionari e personalità politiche per corromperli. Vengono precisati e i compensi e le modalità di pagamento dei poliziotti corrotti al cui elenco si aggiunge il capo-gabinetto della Questura di Torino dott. Stabile con quasi tutti i questori succedutisi a Torino nel dopoguerra, alcuni prefetti, il comandante della legione territoriale dei carabinieri, alti ufficiali, giù giù sino ai semplici agenti per un totale di 150 nomi. Nessun giornale (tranne il Manifesto) riprende queste dichiarazioni.

13 novembre 1971: Assemblea popolare al teatro Alfieri. Quattromila proletari al processo contro Agnelli.
La manifestazione ha come titolo "La città deve sapere". Il compagno Luciano Parlanti di Lotta Continua è l'unico a fornire i nomi e le cifre tra gli applausi dei compagni operai. Era questo che la città voleva sapere. L'assemblea compatta si scioglie con la parola d'ordine processo a Torino, l'unica giustizia è quella proletaria.
3 dicembre 1971: La I sezione penale della Cassazione, presidente il dott. Giovanni Rosso, accoglie la richiesta di Colli e assegna il processo, per gravi motivi di ordine pubblico, alla Procuira della Repubblica di Napoli. L'indomani i giornali italiani, tutti i giornali italiani, si muovono con un'unica parola d'ordine: "minimizzare". 22 righe e il titolo su una colonna è lo spazio che l'Unità dedica alla notizia. Gli altri si adeguano.

PERSONAGGI E INTERPRETI DELLA III FASE
Romano Aldo - poliziotto pagato da Agnelli
Bessone Ermanno - poliziotto pagato da Agnelli
Settermajer Enrico - poliziotto pagato da Agnelli
Astolfi Alessandro - poliziotto pagato da Agnelli
Stabile - poliziotto pagato da Agnelli
Perris - poliziotto pagato da Agnelli
Guida Marcello - poliziotto pagato da Agnelli
Doglio Sandro - giornalista pagato da Agnelli
Rosso Severino - magistrato della procura della Repubblica
Ilari - magistrato
Calabrese - dottore, ispettore del ministero degli interni
Sarti - sottosegretario al ministero dell'Interno
Restivo - ministro degli interni
Donat-Cattin - ministro del lavoro
Pugno Emilio - sindacalista
Spagnoli Ugo - deputato PCI
Garino - dirigente Fiat silurato o in via di esserlo
Gioia Niccolò - dirigente Fiat silurato o in via di esserlo
Bono Gaudenzio - dirigente Fiat silurato o in via di esserlo
Giovanni Rosso - presidente della I Sezione Penale

A QUESTA CRONOLOGIA MANCA UNA DATA, LA DATA DEL GIORNO IN CUI SI TERRA' IL DEFINITIVO PROCESSO POPOLARE CONTRO AGNELLI E I SUOI COMPLICI.


IL PROCURATORE GENERALE
Con atto in data 28 settembre 1971 il Proc. Gen.le presso la Corte d'Appello di Torino chiedeva, ai sensi dell'art. 55 p.p. del c.p.p. che codesta Corte disponesse la rimessione del procedimento a carico di Cellerino Mario e altri imputati di reati di cui agli artt. 134 e 140 del T.U.L.P.S. e dell'art. 326 C.P. dagli organi giudiziari di Torino a quelli di altra sede. Nella richiesta si faceva presente che nel corso di un giudizio civile davanti alla sezione lavoro della Pretura di Torino, il magistrato aveva rilevato elementi che potrebbero costituire gli estremi dei reati di cui sopra, donde la necessità, ai fini dell'art. 3 del c. di p.p., di farne rapporto al p.m. Il proc. della Repubblica, ritenuto che per i fatti emersi si profilavano eventuali responsabilità penali a carico di un ten. Colonnello dei C.C., di due vicequestori e di altri funzionari di p.s., operanti in quella sede, nonché nei confronti dei massimi dirigenti della Fiat, con la probabilità dell'insorgenza di agitazioni di piazza, di reazioni in campo sindacale che potrebbero sfociare anche in manifestazioni violente; che, inoltre, per la qualità e la quantità degli appartenenti alle forze di polizia giudiziaria, da eventualmente incriminare, si sarebbero gravemente compromessi i rapporti tra l'autorità giudiziaria e le forze di polizia, proponeva la rimessione del procedimento ad altre sedi. Ciò premesso, non può revocarsi in dubbio alla stregua delle considerazioni dianzi esposte, l'opporrtunità che tanto l'istruzione, quanto il giudizio siano rimessi ad altro giudice, di sede diversa da quella di Torino. E' infatti di diretta e diuturna constatazione dello stato di tensione che permane nell'ambiente sindacale, soprattutto a Torino, e delle frequenti agitazioni delle masse operaie che presumono, a torto o a ragione, di essere controllate nella loro vita privata da organi del padronato in collusione con le forze di polizia. Sulla scorta, pertanto, della costante giurisprudenza di cotesta Corte nella interpretazione dell'art. 55 del c. di p.p., la cui costituzionalità è affermata e ribadita dalla C. Cost. si ritiene necessario accogliere la richiesta del P.G. di Torino, sia per gravi motivi di turbamento dell'ordine pubblico, sia per legittimo sospetto.
P.Q.M.
Si chiede che la Corte, in accoglimento della richiesta, voglia rimettere l'istruzione e il giudizio, nel procedimento de quo, ad un altro giudice di diversa sede.
Roma, 25-10-197l
O. Ilari sost.

"RIMESSIONE"
L' espediente per affossare i processi che danno fastidio


Ogni volta che i padroni rimangono impantanati nelle loro leggi impariamo delle nuove parole. Così quando l'assassino Calabresi si è trovato alle strette nel processo contro Lotta Continua abbiamo imparato "ricusazione", "legittima suspicione". Ora che è Agnelli a trovarsi inguaiato impariamo "rimessione". Tutte parole che nascondono formulette con le quali la classe dominante riesce a sfuggire alle maglie della sua giustizia. Cosa vuol dire rimessione? Il codice dice "per gravi motivi di ordine pubblico o per legittimo sospetto sulla richiesta del procuratore generale presso la corte d'appello o presso la corte di cassazione questa può rimettere l'istruzione o il giudizio da uno ad altro giudice di sede diversa". In parole povere, se a Torino c'è un processo che scotta, con la rimessione lo si può spedire a Campobasso o a Caltanissetta. Il che vuol dire semplicemente che si esercita la giustizia in nome del popolo, ma che questo deve essere tenuto il più all'oscuro possibile e il più lontano possibile. Quando si tratta di cose che lo riguardano direttamente e per le quali può assumere in prima persona il ruolo di accusatore. Pensiamo al processo per i fatti del 29 maggio ed alla bestiale campagna di stampa del giornale di Agnelli. Allora non solo non c'è stata rimessione, ma il processo è stato fatto per direttissima e così il processo intimidatorio dei 43. La rimessione scatta solo quando ci sono di mezzo i padroni o le forze repressive dello stato, basta pensare al processo per l'omicidio di Giacomo Matteotti o, più vicino a noi, quello contro gli assassini del Vajont, che invece di essere giudicati di fronte alla popolazione di Longarone, che essi avevano sterminato, poterono farsi processare all 'Aquila. E difatti furono tutti assolti o condannati a pena molto lievi.

Giovanni Colli: Il complice

"Per quanto più direttamente mi concerne, posso dire di aver fatto... tutto quanto ho saputo e potuto per tutelare questi fedeli servitori dello stato... " (G. Colli, "Relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 1971", 12-1-1971 ). Non c'è da dubitare che per l'avvenire il procuratore generale potrà, anche con maggior enfasi, vantarsi di questa tutela. E' invece motivo di dubbio se avrà la faccia tosta di ripetere: "[ La Procura Generale ha promosso ] inflessibilmente l'azione penale contro tutti coloro che hanno violato la legge, chiunque essi fossero, per qualunque motivo avessero agito o qualunque fosse la legge violata". (G. Colli, op. cit.). E' sempre pericoloso fare delle dichiarazioni di carattere così generale, specie da parte di chi non nasconde che "in realtà non si tratta di leggi, ma di rapporti di forza" (G. Colli, intervista con l'Espresso, ottobre 1971 ). D'altra parte "il diritto non è meccanica, ma arte. C'è chi la possiede e chi no, ci sono varie misure nel possederla e la misura muta in ogni individuo col progredire della sua vita, con lo svolgersi della sua avventura umana. Quel che conta è che il giudice cui manchi quell'arte, non è un giudice, ma ma un burocrate o un rivoluzionario" ( G. Colli, "Scelte politiche e interpretazioni della legge", 1968, p. l29). Di quanto sia svariata la misura, in cui Colli possiede l'arte del diritto, nel corso della sua vita non c'interessa molto. Anzi ci permettiamo di dubitare che dal tempo dei duelli per questioni d'onore nel periodo dei GUF, passando attraverso il giuramento di fedeltà alla repubblica di Salò, al titolo nobiliare arraffato al volo nel 1946 all' areoporto di Ciampino, fino ad arrivare alla tutela dei gran capi Fiat e dei poliziotti corrotti, la misura della sua arte sia cambiata. Mandato a Torino nel giugno del 1970 a scuotere la "sonnolenta" Procura Generale, Colli ha immediatamente iniziato a caratterizzare la sua azione con una serie continua di processi politici di cui era ed è l'ispiratore, l'istigatore, se non addirittura come nel caso Stettermajer-Senatore (vedi la scheda personale di Stettermajer) l'agente provocatore. D'altro canto, appoggiandosi al giornale di Agnelli e alla violenta e artificiale campagna contro la delinquenza, sollecita un rafforzamento della polizia ed un inasprimento delle pene. A chi gli chiede il perchè dell'accentuarsi della campagna repressiva, si limita a vantare una maggiore efficienza e a dire "si applica la legge". Abbiamo così una prima faccia dell'uomo; da una parte ci sono le leggi che il solerte magistrato applica, anche se fasciste, perchè tocca ai politici cambiarle, però questo vale solo a senso unico in quanto se le leggi, per pura combinazione, bisogna applicarle contro i padroni e i poliziotti, allora valgono criteri politici. Non si può incrinare la collaborazione tra polizia e magistratura incriminando 150 poliziotti, non si può dire a 150.000 operai Fiat che la polizia li scheda per conto di Agnelli, non si può far sapere che i poliziotti, che picchiano e arrestano ai cortei e agli scioperi, non lo fanno per dovere, ma per vile denaro. Colli stende così un velo di protezione su tutto, ed è per questo che, vedendo qual è stato in questi ultimi tempi il comportamento di poliziotti e carabinieri, sempre più provocatorio e repressivo a senso unico, possiamo dire con Giovanni Colli: "La persuasione, che si è diffusa nel mondo della delinquenza della quasi certa impunità... rappresenta, a nostro giudizio, una delle cause del diffondersi della criminalità e del carattere di aperta sfida alla legge che essa è venuta assumendo". (G. Colli, "Relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 1971" , 12-1-1971).
Ecco i poliziotti corrotti
(Elenco di alcuni dipendenti Fiat)

MARCELLO GUIDA. Riceveva dalla Fiat circa 1.000.000 all'anno (sotto le voci "aiuto in una manifestazione", "aiuto durante uno sciopero"). La sua carriera: uomo di fiducia di Mussolini, è stato direttore del carcere per prigionieri politici di Ventotene, dove sono morti diversi antifascisti. Dopo la guerra fa il questore.
A Torino ce lo ricordiamo aver comandato le cariche contro il corteo di studenti medi davanti alla facoltà di Architettura, con inaudita violenza. Allora si parlò di una studentessa uccisa, ci furono interrogazioni in parlamento. (20 novembre '68).
Ordina la carica contro un corteo antifascista di solidarietà con la Grecia. (8 maggio '69).
Organizza, prepara e comanda personalmente le cariche e i rastrellamenti contro un corteo operaio autonomo in corso Traiano. Ne seguono scontri per otto ore, ci sono centinaia di feriti, molti gravi. L'ordine è di arrestare (e far licenziare) quanti più operai possibile. L'attacco avviene al culmine di una lotta operaia autonoma che dura da 50 giorni. (3 luglio '69). In corso Traiano Marcello Guida viene ferito in fronte da una pietra. Pochi giorni dopo viene trasferito a Milano. In tutte le occasioni riferite l'organizzatore materiale della violenza poliziesca è il vice questore Voria che si è meritato l'appellativo di nazista dai proletari di Torino.
A Milano: giovedì 6 novembre '69: Guida fa attaccare un corteo operaio che manifesta davanti alla Fiat di corso Sempione. Sabato 19 novembre '69: provoca un corteo dell'Unione dei Comunisti Italiani durante uno sciopero generale per la casa, in via Larga. Escono operai da un comizio sindacale al Teatro Lirico, vengono caricati. Seguono ore di scontri. Muore l'agente di P.S. Annarumma. In serata Guida viene cacciato dalle caserme di P.S. in rivolta. Lunedì 15 dicembre '69: Questura di Milano. Calabresi, Mucilli, Lograno, Panessa assassinano Giuseppe Pinelli durante un interrogatorio. Marcello Guida è il complice principale. E' il primo ad arrivare all'ospedale Fatebenefratelli dove impone la presenza di un poliziotto al capezzale di Pinelli. Poche ore dopo dichiara il falso alla TV: "era fortemente indiziato, il suo alibi era crollato" . Poi aggiunge: "Vi giuro: non l'abbiamo ucciso noi". Pochi mesi dopo viene promosso ad incarichi ministeriali e trasferito a Roma.

TENENTE COLONNELLO ENRICO STETTERMAJER capo del nucleo speciale dei carabinieri di Torino (SID, ex SIFAR). Non era tenuto in gan conto dalla Fiat : si offre personalmente di occuparsi del settore esercito. Viene pagato 150.000 al mese, ma ha l'ardore del neofita. E' infatti il protagonista di una delle montature poliziesche più clamorose. Giovedì 6 maggio arresta personalmente il compagno Fulvio Senatore (25 anni, studente) con l'accusa di spionaggio militare (pene: da 3 a 16 anni di carcere). Al giudice istruttore confida con orgoglio: "E' il primo esponente di Lotta Continua coinvolto in un caso di attività spionistica". Stettermajer si serve di un soldato (Gaudina Mario, 20 anni, genovese, elettricista, ex iscritto al MSI, ora di un gruppo di destra) per montare la provocazione. Il Gaudina dovrebbe consegnare una busta con notizie compromettenti al Senatore. L'appostamento è pronto, ma Senatore non accetta la busta. Stettermajer lo arresta lo stesso. (Stettermajer affermerà in istruttoria di essersi confidato con alcuni magistrati, e in particolare con il procuratore generale Giovanni Colli e questo gli aveva detto che se si trovava la busta addosso il gioco era fatto). Pazienza, Stettermajer si è sbagliato. Fulvio Senatore resta in carcere tre mesi, poi viene assolto per inattendibilità del teste di accusa (Gaudina). La montatura è così scoperta e smascherata (se ne è occupato anche l'Espresso - ottobre 71 ), ma Colli ora vuole ricorrere in appello contro Senatore. Si vede che la busta non è più necessaria. Stettermajer in questa azione agiva d'accordo non solo con la procura generale, ma anche con i suoi superiori di Roma. Il caso, se riuscito, avrebbe avuto grossa risonanza. In quel momento infatti il Borghese, lo Specchio, Candido, il Secolo d'Italia e altri giornali fascisti insistevano sulle "attività sovversive" di Lotta Continua nelle caserme e chiedevano a gran voce lo scioglimento della nostra organizzazione. Peccato Enrico Stettermajer resta a 150.000 lire mensili. Ora è trasferito e irreperibile.

BESSONE ERMANNO, capo della squadra politica di Torino e ROMANO ALDO, commissario della squadra politica di Torino. Ricevono regolarmente dalle 250 alle 400.000 lire mensili l'uno. Sono sempre presenti a tutte le manifestazioni, gli scioperi, i picchetti. Conoscono tutti, sono gli organizzatori delle schedature della questura e sono sempre presenti in tutte le montature poliziesche contro i compagni. In particolare sono presenti (Romano) nell'arresto dei compagni Sofri, Mochi e Derossi in seguito ad una manifestazione davanti al Municipio delle famiglie di via Sansovino (novembre '70). I compagni restano in carcere tre mesi prima di essere riconosciuti completamente estranei ai fatti. Sono presenti alle Porte Palatine il 29 maggio '71 (Bessone e Romano). Viene attaccato un corteo operaio, seguono scontri per cinque ore. Ci sono 56 arresti, 13 compagni stanno ancora scontando due anni di carcere. L'ordine delle cariche parte dal dottor Bessone che esegue con tempismo manageriale le richieste del suo superiore avv. Cuttica della Fiat. (Cuttica il giorno stesso sulle colonne della Stampa del suo dipendente Ronchey invita alla repressione contro Lotta Continua). Bessone e Romano sono seri, colti, pacati e signorili. Il secondo però nasconde una doppia vita: lo si può vedere spesso nei night club torinesi dove mangia, beve e se la spassa coi soldi della Fiat, in veste di play-boy. Ma anche lì non deve essere tutto chiaro: una sera del novembre '70 mentre rincasa a tarda ora, gli sparano sei colpi di pistola. Non lo prendono. L'inchiesta per tentato omicidio viene prontamente archiviata. Ora è a riposo e non si vede più in giro.

ASTOLFI ALESSANDRO, colonnello dei carabinieri. Fa parte del SID. Pagato dalla Fiat una tantum. Alle sue dipendenze il falso operaio dell' OSA Lingotto, Salvatore Cieri, infiltrato in Lotta Continua con il compito di proporre armi. Citiamo testualmente la dichiarazione che la spia Salvatore Cieri ha reso davanti alla pretura di Torino il l2-10-'71 in cui saltano fuori anche altri nomi interessanti. "...Io da due anni sono dipendente Fiat ed oltre al lavoro come operaio sono stato 'confidente' della Fiat e della polizia. In particolare il mio compito era di controllare il movimento politico di 'Lotta Continua'. Il mio compito era di riferire al cap. Porta, capo sezione dei sorveglianti. Ero pagato a parte per questo lavoro. Per quanto concerne il mio lavoro con la Fiat ho avuto anche rapporti col sig. Motta Fabrizio della sede di corso Marconi. Tutte le sere alle 18,10 ho appuntamento con il sig. Motta davanti alla Banca in Piazza Carducci. Sono stato aggregato a questo servizio dal Caposquadra Sig. Di Giacomo in relazione ad un furto che era avvenuto nel mio reparto. Ogni prestazione era retribuita a parte "a fondo perso". In particolare era mia possibilità entrare e uscire dalla Fiat quando volevo. Svolgevo analogo lavoro per la polizia ed in particolare ero in contatto con la squadra politica per cui potevo rivolgermi loro in ogni momento. Fornivo loro tutto il materiale di "Lotta Continua". Avevo contatti con il dott. Bellofiore, ma ero pagato da un certo Franco della squadra politica. Avevamo pattuito L. 30.000 ogni giorno 10 del mese. Non firmavo ricevute. Poiché non era regolare nei pagamenti ed era già quattro mesi che fornivo lettere intestate a Lotta Continua e nominativi, gli chiesi il pagamento. Circa due mesi fa dissi loro che non intendevo continuare perché non mantenevano le promesse... Per quanto concerne i miei rapporti coi Carabinieri, preciso che fornivo loro le stesse notizie, passando in Via Giolitti tutti i giorni. Mi forniscono somme di denaro e materiale (macchina fotografica). A questo proposito, anche la Fiat mi aveva fornito un registratore Grundig, tascabile, per eventuali registrazioni sul finanziamento di Lotta Continua. Ho avuto tre colloqui con il Col. Alessandro Astolfi, col cap. Formato, col maresciallo Savoia e col maresciallo Conca Mario e la mia collaborazione continua tutt'oggi. Sono stato nel Meridione, mandato da Lotta Continua visitando le varie sedi e prendendo nominativi. Tutto ciò d'accordo con i Carabinieri a cui ho consegnato il materiale. Firmato: Cieri Salvatore"
Questi i nomi con cui noi abbiamo personalmente un conto aperto. La lista dei questori coinvolti è però più lunga e con tutti costoro la classe operaia ha un conto aperto da PERRIS a DE NARDIS (trasferito in questi giorni a Roma, chiamato dal nuovo presidente della Repubblica a dirigere la polizia del Quirinale).

Ecco i poliziotti corrotti

(Elenco di alcuni dipendenti Fiat)

MARCELLO GUIDA. Riceveva dalla Fiat circa 1.000.000 all'anno (sotto le voci "aiuto in una manifestazione", "aiuto durante uno sciopero"). La sua carriera: uomo di fiducia di Mussolini, è stato direttore del carcere per prigionieri politici di Ventotene, dove sono morti diversi antifascisti. Dopo la guerra fa il questore.
A Torino ce lo ricordiamo aver comandato le cariche contro il corteo di studenti medi davanti alla facoltà di Architettura, con inaudita violenza. Allora si parlò di una studentessa uccisa, ci furono interrogazioni in parlamento. (20 novembre '68).
Ordina la carica contro un corteo antifascista di solidarietà con la Grecia. (8 maggio '69).
Organizza, prepara e comanda personalmente le cariche e i rastrellamenti contro un corteo operaio autonomo in corso Traiano. Ne seguono scontri per otto ore, ci sono centinaia di feriti, molti gravi. L'ordine è di arrestare (e far licenziare) quanti più operai possibile. L'attacco avviene al culmine di una lotta operaia autonoma che dura da 50 giorni. (3 luglio '69). In corso Traiano Marcello Guida viene ferito in fronte da una pietra. Pochi giorni dopo viene trasferito a Milano. In tutte le occasioni riferite l'organizzatore materiale della violenza poliziesca è il vice questore Voria che si è meritato l'appellativo di nazista dai proletari di Torino.
A Milano: giovedì 6 novembre '69: Guida fa attaccare un corteo operaio che manifesta davanti alla Fiat di corso Sempione. Sabato 19 novembre '69: provoca un corteo dell'Unione dei Comunisti Italiani durante uno sciopero generale per la casa, in via Larga. Escono operai da un comizio sindacale al Teatro Lirico, vengono caricati. Seguono ore di scontri. Muore l'agente di P.S. Annarumma. In serata Guida viene cacciato dalle caserme di P.S. in rivolta. Lunedì 15 dicembre '69: Questura di Milano. Calabresi, Mucilli, Lograno, Panessa assassinano Giuseppe Pinelli durante un interrogatorio. Marcello Guida è il complice principale. E' il primo ad arrivare all'ospedale Fatebenefratelli dove impone la presenza di un poliziotto al capezzale di Pinelli. Poche ore dopo dichiara il falso alla TV: "era fortemente indiziato, il suo alibi era crollato" . Poi aggiunge: "Vi giuro: non l'abbiamo ucciso noi". Pochi mesi dopo viene promosso ad incarichi ministeriali e trasferito a Roma.

TENENTE COLONNELLO ENRICO STETTERMAJER capo del nucleo speciale dei carabinieri di Torino (SID, ex SIFAR). Non era tenuto in gan conto dalla Fiat : si offre personalmente di occuparsi del settore esercito. Viene pagato 150.000 al mese, ma ha l'ardore del neofita. E' infatti il protagonista di una delle montature poliziesche più clamorose. Giovedì 6 maggio arresta personalmente il compagno Fulvio Senatore (25 anni, studente) con l'accusa di spionaggio militare (pene: da 3 a 16 anni di carcere). Al giudice istruttore confida con orgoglio: "E' il primo esponente di Lotta Continua coinvolto in un caso di attività spionistica". Stettermajer si serve di un soldato (Gaudina Mario, 20 anni, genovese, elettricista, ex iscritto al MSI, ora di un gruppo di destra) per montare la provocazione. Il Gaudina dovrebbe consegnare una busta con notizie compromettenti al Senatore. L'appostamento è pronto, ma Senatore non accetta la busta. Stettermajer lo arresta lo stesso. (Stettermajer affermerà in istruttoria di essersi confidato con alcuni magistrati, e in particolare con il procuratore generale Giovanni Colli e questo gli aveva detto che se si trovava la busta addosso il gioco era fatto). Pazienza, Stettermajer si è sbagliato. Fulvio Senatore resta in carcere tre mesi, poi viene assolto per inattendibilità del teste di accusa (Gaudina). La montatura è così scoperta e smascherata (se ne è occupato anche l'Espresso - ottobre 71 ), ma Colli ora vuole ricorrere in appello contro Senatore. Si vede che la busta non è più necessaria. Stettermajer in questa azione agiva d'accordo non solo con la procura generale, ma anche con i suoi superiori di Roma. Il caso, se riuscito, avrebbe avuto grossa risonanza. In quel momento infatti il Borghese, lo Specchio, Candido, il Secolo d'Italia e altri giornali fascisti insistevano sulle "attività sovversive" di Lotta Continua nelle caserme e chiedevano a gran voce lo scioglimento della nostra organizzazione. Peccato Enrico Stettermajer resta a 150.000 lire mensili. Ora è trasferito e irreperibile.

BESSONE ERMANNO, capo della squadra politica di Torino e ROMANO ALDO, commissario della squadra politica di Torino. Ricevono regolarmente dalle 250 alle 400.000 lire mensili l'uno. Sono sempre presenti a tutte le manifestazioni, gli scioperi, i picchetti. Conoscono tutti, sono gli organizzatori delle schedature della questura e sono sempre presenti in tutte le montature poliziesche contro i compagni. In particolare sono presenti (Romano) nell'arresto dei compagni Sofri, Mochi e Derossi in seguito ad una manifestazione davanti al Municipio delle famiglie di via Sansovino (novembre '70). I compagni restano in carcere tre mesi prima di essere riconosciuti completamente estranei ai fatti. Sono presenti alle Porte Palatine il 29 maggio '71 (Bessone e Romano). Viene attaccato un corteo operaio, seguono scontri per cinque ore. Ci sono 56 arresti, 13 compagni stanno ancora scontando due anni di carcere. L'ordine delle cariche parte dal dottor Bessone che esegue con tempismo manageriale le richieste del suo superiore avv. Cuttica della Fiat. (Cuttica il giorno stesso sulle colonne della Stampa del suo dipendente Ronchey invita alla repressione contro Lotta Continua). Bessone e Romano sono seri, colti, pacati e signorili. Il secondo però nasconde una doppia vita: lo si può vedere spesso nei night club torinesi dove mangia, beve e se la spassa coi soldi della Fiat, in veste di play-boy. Ma anche lì non deve essere tutto chiaro: una sera del novembre '70 mentre rincasa a tarda ora, gli sparano sei colpi di pistola. Non lo prendono. L'inchiesta per tentato omicidio viene prontamente archiviata. Ora è a riposo e non si vede più in giro.

ASTOLFI ALESSANDRO, colonnello dei carabinieri. Fa parte del SID. Pagato dalla Fiat una tantum. Alle sue dipendenze il falso operaio dell' OSA Lingotto, Salvatore Cieri, infiltrato in Lotta Continua con il compito di proporre armi. Citiamo testualmente la dichiarazione che la spia Salvatore Cieri ha reso davanti alla pretura di Torino il l2-10-'71 in cui saltano fuori anche altri nomi interessanti. "...Io da due anni sono dipendente Fiat ed oltre al lavoro come operaio sono stato 'confidente' della Fiat e della polizia. In particolare il mio compito era di controllare il movimento politico di 'Lotta Continua'. Il mio compito era di riferire al cap. Porta, capo sezione dei sorveglianti. Ero pagato a parte per questo lavoro. Per quanto concerne il mio lavoro con la Fiat ho avuto anche rapporti col sig. Motta Fabrizio della sede di corso Marconi. Tutte le sere alle 18,10 ho appuntamento con il sig. Motta davanti alla Banca in Piazza Carducci. Sono stato aggregato a questo servizio dal Caposquadra Sig. Di Giacomo in relazione ad un furto che era avvenuto nel mio reparto. Ogni prestazione era retribuita a parte "a fondo perso". In particolare era mia possibilità entrare e uscire dalla Fiat quando volevo. Svolgevo analogo lavoro per la polizia ed in particolare ero in contatto con la squadra politica per cui potevo rivolgermi loro in ogni momento. Fornivo loro tutto il materiale di "Lotta Continua". Avevo contatti con il dott. Bellofiore, ma ero pagato da un certo Franco della squadra politica. Avevamo pattuito L. 30.000 ogni giorno 10 del mese. Non firmavo ricevute. Poiché non era regolare nei pagamenti ed era già quattro mesi che fornivo lettere intestate a Lotta Continua e nominativi, gli chiesi il pagamento. Circa due mesi fa dissi loro che non intendevo continuare perché non mantenevano le promesse... Per quanto concerne i miei rapporti coi Carabinieri, preciso che fornivo loro le stesse notizie, passando in Via Giolitti tutti i giorni. Mi forniscono somme di denaro e materiale (macchina fotografica). A questo proposito, anche la Fiat mi aveva fornito un registratore Grundig, tascabile, per eventuali registrazioni sul finanziamento di Lotta Continua. Ho avuto tre colloqui con il Col. Alessandro Astolfi, col cap. Formato, col maresciallo Savoia e col maresciallo Conca Mario e la mia collaborazione continua tutt'oggi. Sono stato nel Meridione, mandato da Lotta Continua visitando le varie sedi e prendendo nominativi. Tutto ciò d'accordo con i Carabinieri a cui ho consegnato il materiale. Firmato: Cieri Salvatore"
Questi i nomi con cui noi abbiamo personalmente un conto aperto. La lista dei questori coinvolti è però più lunga e con tutti costoro la classe operaia ha un conto aperto da PERRIS a DE NARDIS (trasferito in questi giorni a Roma, chiamato dal nuovo presidente della Repubblica a dirigere la polizia del Quirinale).


Quello che dovranno pagare

I conti che intendiamo presentare ad Agnelli sono piuttosto salati.
Operai licenziati. Non disponiamo dei dati complessivi degli operai licenziati dalla Fiat per rappresaglia in questi ultimi anni. Comunque solo fra i militanti e gli operai vicini a Lotta Continua, e soltanto nello stabilimento di Mirafiori, vi sono stati dal 1969 ad oggi 106 operai licenziati per motivi politici. Per alcuni di essi è in corso la causa per la riassunzione davanti al Pretore di Torino. In seguito agli scioperi autonomi avvenuti all'interno della Mirafiori il 29 ottobre 1969 cento operai, cioè tutti i più combattivi che avevano assunto posizioni dirigenti nel corso della lotta, furono sospesi a tempo indeterminato. Riassunti dopo un mese di lotte, furono trasferiti in altre sezioni Fiat, in reparti isolati dove potessero essere innocui. Tutti gli operai che sono stati arrestati nel corso di manifestazioni politiche, sono stati immediatamente licenziati dalla Fiat e non sono stati più riassunti anche se messi in libertà provvisoria o assolti al processo. La motivazione che la Fiat adduce in questi casi è "assenza ingiustificata" (sic!). Così è stato per i compagni Raffaele Lotrecchio, Romano Sandri, Vinicio Sussarello e Italo Giliotti arrestati dopo gli scontri del 29 maggio 1971; così i compagni Rocco Grieco e Aldo Zinno arrestati nel corso della lotta dei pendolari della linea Torino-Asti nel luglio 1971.
Processi e montature poliziesche. Non stiamo qui a ricordare quanti compagni sono finiti in galera a Torino grazie all'azione con giunta Fiat-questura-Sid-magistratura. Ci basta ricordare le montature più clamorose: Il 15 novembre 1970 i compagni Sofri, Derossi, Mochi e De Candia furono messi in carcere per una manifestazione a cui non avevano partecipato. Sono dovuti rimanere tre mesi dentro prima che il Tribunale riconoscesse la montatura della polizia e li mandasse assolti. Sul caso del compagno Senatore abbiamo parlato nella scheda sul col. Stettermajer. Nel giugno 1971 tre operai della Fiat Lingotto sono stati arrestati per dei picchetti di un anno prima e sono stati liberati solo agli inizi di novembre. Il processo per direttissima contro i 56 compagni arrestati negli scontri del 29 maggio 1971 ha fatto epoca per la sua conduzione fascista e per la durezza delle condanne. Tredici di loro sono ancora in carcere per scontare delle pene fino a due anni. Torino è poi famosa per i reati d'opinione. Il primo processo che si è concluso, quello per i nostri volantini contro i capi-reparto della Fiat, è terminato con la condanna di 1 anno e 5 mesi per i compagni Viale e Baldelli. Ad iniziarlo era stato l'ing. Gioia Direttore Generale della Fiat, che, con una lettera indirizzata alla Procura di Torino, richiedeva la nostra incriminazione e specificava i reati da applicarci. Gioia è uno dei tre dirigenti Fiat che devono finire in galera per corruzione.