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PROBLEMI ECONOMICI DEL SOCIALISMO NELL'URSS


Ai partecipanti alla discussione economica
Osservazioni sulle questioni economiche relative alla discussione del novembre 1951
Ho ricevuto tutti i documenti sulla discussione economica svoltasi per giudicare il progetto di manuale di economia politica. Ho ricevuto, tra l'altro, le "Proposte per migliorare il progetto di manuale di economia politica'', le "Proposte per eliminare gli errori e le imprecisioni'' nel progetto, la "Nota informativa sulle questioni in discussione''.
Su tutti questi materiali, come pure sul progetto di manuale ritengo necessario fare le seguenti osservazioni.

1. - Questione del carattere delle leggi economiche nel socialismo.
Alcuni compagni negano il carattere obiettivo delle leggi della scienza, in particolare delle leggi dell'economia politica nel socialismo. Essi negano che le leggi dell'economia politica riflettano le leggi di sviluppo di processi che si compiono indipendentemente dalla volontà degli uomini. Essi ritengono che, data la particolare funzione assegnata dalla storia allo Stato sovietico, lo Stato sovietico e i suoi dirigenti possano abolire le vigenti leggi della economia politica, possano "formare'' nuove leggi, "creare'' nuove leggi.
Questi compagni si sbagliano profondamente. Essi come si vede, confondono le leggi scientifiche, che riflettono i processi obiettivi che si svolgono nella natura o nella società indipendentemente dalla volontà degli uomini, con le leggi che vengono emanate dai governi, create per volontà degli uomini e che hanno solo una forza giuridica. Ma non si può in nessun modo confondere queste leggi.
Il marxismo intende le leggi della scienza, - si tratti di leggi delle scienze naturali o di leggi dell'economia politica, - come un riflesso di processi obiettivi che si svolgono indipendentemente dalla volontà degli uomini. Gli uomini possono scoprire queste leggi, conoscerle, studiarle, tenerne conto nelle loro azioni, utilizzarle negli interessi delle società, ma non possono cambiarle o abolirle. Tanto meno essi possono formare o creare nuove leggi della scienza. Significa forse questo che, per esempio, i risultati delle azioni delle leggi della natura, i risultati delle azioni delle forze della natura siano in genere irreparabili, che le azioni distruttive delle forze della natura abbiano sempre e dappertutto luogo con una violenza elementare e implacabile, che non possa venir sottoposta alla influenza degli uomini? No, non significa questo. Se si escludono i processi astronomici, geologici e alcuni altri, dove gli uomini, anche se conoscono le leggi del loro sviluppo, sono effettivamente impotenti a influire su di esse, in molti altri casi gli uomini sono lungi dall'essere impotenti per quanto concerne la possibilità di influenzare i processi della natura. In tutti questi casi gli uomini, conosciute le leggi della natura, possono, tenendone conto e basandosi su di esse, applicandole e utilizzandole abilmente, limitare la sfera della loro azione, dare alle forze distruttive della natura un altro indirizzo, rivolgere le forze distruttive della natura all'utile della società.
Prendiamo uno degli innumerevoli esempi. Nella remota antichità lo straripamento dei grandi fiumi, le inondazioni, la distruzione che ne conseguiva delle abitazioni e dei campi seminati erano ritenuti una sciagura irreparabile, contro la quale gli uomini erano impotenti. Tuttavia, col passar del tempo, con lo sviluppo delle conoscenze umane, allorché gli uomini impararono a costruire dighe e centrali elettriche, si rivelò possibile allontanare dalla società le sciagure delle inondazioni che prima sembravano irreparabili. Non solo, ma gli uomini impararono a imbrigliare le forze distruttive della natura, a metter loro, per così dire, il morso, a rivolgere la forza dell'acqua a vantaggio della società e a utilizzarla per l'irrigazione dei campi, per ottenerne energia.
Significa forse questo che gli uomini in questo modo abbiano abolito le leggi della natura, le leggi della scienza, abbiano creato nuove leggi della natura, nuove leggi della scienza? No, non significa questo. Il fatto è, che tutto questo sistema di prevenzione delle azioni delle forze distruttive dell'acqua e di utilizzazione di esse nell'interesse della società si attua senza che vi sia alcuna violazione, modificazione o abolizione delle leggi della scienza, senza che si creino nuove leggi della scienza. Al contrario, tutto questo sistema si realizza sul preciso fondamento delle leggi della natura, delle leggi della scienza, perché qualsiasi violazione delle leggi della natura, la loro minima violazione porterebbe a una disorganizzazione dell'impresa, al crollo del sistema.
Lo stesso si deve dire delle leggi dello sviluppo economico, delle leggi dell'economia politica, - non importa se si tratti del periodo del capitalismo o del periodo del socialismo. Anche qui come nelle scienze naturali, le leggi dello sviluppo economico sono leggi obiettive, che riflettono i processi di sviluppo economico che si compiono indipendentemente dalla volontà degli uomini. Gli uomini possono scoprire queste leggi, conoscerle, e basandosi su di esse utilizzarle nell'interesse della società, dare un altro indirizzo alle azioni distruttive di alcune leggi, limitare la loro sfera di azione, dare spazio ad altre leggi che cerchino di aprirsi un varco, ma non possono distruggerle o creare nuove leggi economiche.
Una delle particolarità dell'economia politica sta nel fatto che le sue leggi, a differenza delle leggi delle scienze naturali, non sono eterne, che esse, o per lo meno la maggior parte di esse, vigono nel corso di un determinato periodo storico, dopo di che cedono il posto a leggi nuove. Ma esse, queste leggi, non si distruggono; bensì perdono la loro forza a causa delle nuove condizioni economiche e scompaiono dalla scena per lasciare il posto a nuove leggi, che non si creano per volontà degli uomini, ma sorgono sulla base di nuove condizioni economiche.
Si cita l'Antidüring di Engels, la sua formula secondo cui, con la liquidazione del capitalismo e la collettivizzazione dei mezzi di produzione, gli uomini avranno il potere sui loro mezzi di produzione, conseguiranno la libertà del giogo delle relazioni economico-sociali, diverranno "signori'' della loro vita sociale. Engels chiama questa libertà "necessità cosciente''. Ma che cosa può significare "necessità cosciente''? Significa che gli uomini, avendo preso conoscenza delle leggi obiettive ("necessità''), le applicheranno in modo pienamente cosciente nell'interesse della società. Proprio per questo Engels dice nello stesso punto che:
"Le leggi della loro attività sociale, che sino allora stavano di fronte agli uomini come leggi di natura estranee e che li dominavano, vengono ora applicate dagli uomini con piena cognizione di causa e quindi dominate''1.
Come si vede, la formula di Engels non parla affatto a vantaggio di coloro i quali pensano che nel socialismo si possano abolire le leggi economiche esistenti e crearne di nuove. Al contrario, essa non richiede l'abolizione, ma la conoscenza delle leggi economiche e una loro abile applicazione.
Si dice che le leggi economiche rivestano un carattere elementare, che le azioni di queste leggi siano irreparabili, che la società sia impotente di fronte ad esse. Ciò non è vero. Questo significa fare delle leggi dei feticci, rendersi schiavi delle leggi. è provato che la società non è impotente di fronte alle leggi, che la società può, dopo aver conosciuto le leggi economiche e basandosi su di esse, limitare la sfera della loro azione, utilizzarle nell'interesse della società e "mettere loro il morso'', come succede per quanto riguarda le forze della natura e le leggi loro, come succede nell'esempio dato sopra dello straripamento dei grandi fiumi.
Si cita la particolare funzione del potere sovietico nell'opera di costruzione del socialismo, funzione che gli darebbe la possibilità di sopprimere le esistenti leggi dello sviluppo economico e "formarne'' delle nuove. Anche questo non è vero.
La particolare funzione del potere sovietico si spiega con due circostanze: in primo luogo col fatto che il potere sovietico non doveva sostituire una forma di sfruttamento con un'altra forma, come è avvenuto nelle rivoluzioni del passato, ma liquidare qualsiasi sfruttamento; in secondo luogo col fatto che, in seguito all'assenza nel paese di qualsiasi germe già formato di economia socialista, esso dovette creare, per così dire, sul "vuoto'', nuove forme socialiste di economia.
Compito, questo, indubbiamente difficile e complesso, che non aveva precedenti. Ciò nondimeno, il potere sovietico ha assolto questo compito con onore. Ma esso non l'ha assolto perché abbia distrutto le leggi economiche esistenti e "formato'' leggi nuove, ma solo perché si è appoggiato alla legge economica della necessaria corrispondenza nei rapporti di produzione al carattere delle forze produttive. Le forze produttive del nostro paese, specialmente nell'industria, avevano un carattere sociale; la forma della proprietà, invece, era privata, capitalistica. Basandosi sulla legge economica della necessaria corrispondenza dei rapporti di produzione al carattere delle forze produttive, il potere sovietico ha socializzato i mezzi di produzione, li ha resi proprietà di tutto il popolo e in tal modo ha distrutto il sistema dello sfruttamento, ha creato forme socialiste di economia. Se non ci fosse stata questa legge e non si fosse appoggiato su di essa, il potere sovietico non avrebbe potuto assolvere il suo compito.
La legge economica della necessaria corrispondenza dei rapporti di produzione al carattere delle forze produttive cerca da tempo di aprirsi un varco nei paesi capitalistici. Se essa non si è ancora aperto un varco e non ha trovato sbocco, ciò è stato perché incontra una fortissima resistenza da parte delle forze della società che hanno fatto il loro tempo. Qui ci imbattiamo in una altra peculiarità delle leggi economiche. A differenza delle leggi delle scienze naturali, dove la scoperta e l'applicazione di una nuova legge hanno luogo in modo più o meno pacifico, nel campo economico la scoperta e l'applicazione di una nuova legge, la quale urti gli interessi delle forze della società che hanno fatto il loro tempo, incontrano una fortissima resistenza da parte di queste forze. Occorre, di conseguenza, una forza, una forza sociale capace di superare questa resistenza. Una forza simile si è trovata nel nostro paese nella forma dell'alleanza della classe operaia e dei contadini, che rappresentano la schiacciante maggioranza della società. Una forza simile negli altri paesi capitalistici non si è ancora trovata. Qui sta il segreto del fatto che il potere sovietico sia riuscito a sconfiggere le vecchie forze della società e la legge economica della necessaria corrispondenza dei rapporti di produzione al carattere delle forze produttive abbia ricevuto da noi pieno sbocco.
Si dice che la necessità dello sviluppo pianificato (proporzionale) dell'economia del nostro paese dà la possibilità al potere sovietico di sopprimere le leggi economiche esistenti e crearne delle nuove. Ciò non è affatto vero. Non si possono confondere i nostri piani annuali e quinquennali con la legge economica obiettiva dello sviluppo pianificato, proporzionale dell'economia nazionale. La legge dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale è sorta come contrapposizione alla legge della concorrenza e dell'anarchia della produzione nel capitalismo. è sorta sulla base della socializzazione dei mezzi di produzione, dopo che la legge della concorrenza e dell'anarchia della produzione aveva perduto la sua efficacia. è entrata in vigore perché una economia nazionale socialista si può avere soltanto sulla base della legge economica dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale. Questo significa che la legge dello sviluppo pianificato dell'economia nazinale dà la possibilità ai nostri organi pianificatori di pianificare in modo giusto la produzione sociale. Ma non si deve confondere la possibilità con la realtà. Si tratta di due cose differenti. Per far sì che questa possibilità diventi realtà occorre studiare questa legge economica, occorre impadronirsene, occorre imparare ad applicarla con perfetta cognizione di causa, occorre elaborare dei piani che riflettano per intiero le esigenze di questa legge. Non si può dire che i nostri piani annuali e quinquennali riflettano per intiero le esigenze di questa legge economica.
Si dice che alcune leggi economiche, tra cui anche la legge del valore, vigenti da noi col socialismo, siano leggi "trasformate'' o persino "trasformate in modo radicale'' sulla base dell'economia pianificata. Anche questo non è vero. Non si possono "trasfor-mare'' le leggi e tanto meno "in modo radicale''. Se si potessero trasfomare, si potrebbero anche abolire, sostituendole con altre leggi. La tesi della "trasfomazione'' delle leggi è una sopravvivenza dell'erronea fomula della "distruzione'' e della "formazione'' delle leggi. Benché la formula della trasformazione delle leggi economiche sia oramai entrata da tempo da noi nell'uso comune, sarà meglio rinunciarvi nell'interesse dell'esattezza. Si può limitare la sfera di azione di queste o quelle leggi economiche, se ne possono prevenire le azioni distruttive, se, naturalmente, vi sono, ma non si può "trasformarle'' o "distruggerle''.
Di conseguenza, quando si parla dell'"assoggettamento'' delle forze della natura o delle leggi economiche, del "dominio'' su di esse e così via, non si vuol affatto dire con questo che gli uomini possano "distruggere'' le leggi della scienza o "formarle''. Al contrario, con questo si vuol dire solamente che gli uomini possono scoprire le leggi, conoscerle, impadronirsene, imparare ad applicarle con perfetta cognizione di causa, utilizzarle nell'interesse della società e in tal modo assoggettarle, raggiungere il dominio su di esse.
Dunque, le leggi dell'economia politica nel socialismo sono leggi obiettive, che riflettono le leggi di sviluppo dei processi della vita economica, i quali si compiono indipendentemente dalla nostra volontà. Coloro che negano questa tesi, negano in sostanza la scienza, ma negando la scienza negano con ciò stesso la possibilità di qualsiasi previsione - di conseguenza negano la possibilità che la vita economica venga diretta.
Si potrà dire che tutto ciò che qui si afferma è giusto e universalmente noto ma che non vi è nulla di nuovo e che, di conseguenza, non vale la pena di perdere il tempo per ripetere verità universalmente note. Certo, qui non vi è effettivamente nulla di nuovo, ma sarebbe sbagliato pensare che non valga la pena di perdere il tempo per ripetere alcune verità a noi note. Il fatto è che a noi, quale nucleo dirigente, si accostano ogni anno migliaia di nuovi giovani quadri; essi ardono dal desiderio di aiutarci, ardono dal desiderio di mostrare quel che valgono, ma non hanno una sufficiente preparazione marxista, non conoscono molte verità a noi ben note e sono costretti a vagare nelle tenebre. Essi sono colpiti dalle colossali conquiste del potere sovietico; gli straordinari successi del sistema sovietico fanno loro girare la testa ed essi cominciano a immaginare che il potere sovietico "possa tutto'', che per esso "tutto sia una bazzecola'', che esso possa sopprimere le leggi della scienza, formare nuove leggi. Come dobbiamo comportarci con questi compagni? Come educarli nello spirito del marxismo-leninismo? Io ritengo che una sistematica ripetizione delle cosiddette verità "universalmente note'', un loro paziente chiarimento sia uno dei migliori mezzi di educazione marxista di questi compagni.

2. - Questione della produzione mercantile nel socialismo
Alcuni compagni affermano che il partito ha agito erroneamente mantenendo la produzione mercantile dopo aver preso il potere e nazionalizzato i mezzi di produzione nel nostro paese. Essi ritengono che il partito allora avrebbe dovuto eliminare la produzione mercantile. A questo proposito essi citano Engels, il quale dice:
"Con la presa di possesso dei mezzi di produzione da parte della società, viene eliminata la produzione di merci e con ciò il dominio del prodotto sui produttori''2.
Questi compagni sbagliano profondamente:
Esaminiamo la formula di Engels. La formula di Engels non si può considerare del tutto chiara e precisa, giacché in essa non si indica se si parli della presa di possesso da parte della società di tutti i mezzi di produzione o solamente di una parte dei mezzi di produzione; se cioè tutti i mezzi di produzione siano diventati patrimonio di tutto il popolo o solamente di una parte dei mezzi di produzione. Questa formula di Engels si può dunque interpretare in un modo o nell'altro.
In un altro luogo dell'Antidühring, Engels parla del possesso "di tutti i mezzi di produzione'', del possesso "di tutto il complesso dei mezzi di produzione''. Quindi Engels nella sua formula non intende parlare della nazionalizzazione di una parte dei mezzi di produzione, ma di tutti i mezzi di produzione, ossia del fatto che siano diventati patrimonio di tutto il popolo non solo i mezzi di produzione dell'industria, ma anche quelli dell'agricoltura.
Ne consegue che Engels intende parlare di paesi in cui il capitalismo e la concentrazione della produzione siano tanto sviluppati, non solo nell'industria, ma anche nell'agricoltura, da far sì che si possano espropriare tutti i mezzi di produzione del paese e trasformarli in proprietà di tutto il popolo. Engels ritiene, di conseguenza, che in questi paesi, oltre a collettivizzare tutti i mezzi di produzione, si debba eliminare la produzione mercantile e questo, naturalmente, è giusto.
Un paese di questo genere era, alla fine dello scorso secolo, al momento della pubblicazine dell'Antidühring, soltanto l'Inghilterra, dove lo sviluppo del capitalismo e la concentrazione della produzione, tanto nell'industria quanto nell'agricoltura, erano giunte a un punto tale che vi era la possibilità, in caso di presa del potere da parte del proletariato, di far diventare tutti i mezzi di produzione del paese patrimonio di tutto il popolo e di eliminare la produzione mercantile.
Tralascio nel presente caso la questione dell'importanza per l'Inghilterra del commercio estero, col suo enorme peso specifico nell'economia nazionale dell'Inghilterra. Ritengo che solamente studiando questa questione si potrebbe risolvere definitivamente la questione del destino della produzione mercantile in Inghilterra dopo la presa del potere da parte del proletariato e la nazionalizzazione di tutti i mezzi di produzione.
Del resto, non solamente alla fine dello scorso secolo, ma anche al giorno d'oggi nessun paese ha ancora raggiunto quel grado di sviluppo del capitalismo e di concentrazione della produzione nell'agricoltura che noi osserviamo in Inghilterra. Per quanto riguarda gli altri paesi, nonostante lo sviluppo del capitalismo nelle campagne, esiste ancora nelle campagne una classe abbastanza numerosa di piccoli e medi proprietari-produttori, la cui sorte bisognerebbe determinare in caso di presa del potere da parte del proletariato.
Ma ecco sorgere una questione: che cosa devono fare il proletariato e il suo partito se in un paese o in un altro, compreso fra questi il nostro paese, esistono condizioni favorevoli per la presa del potere da parte del proletariato e l'abbattimento del capitalismo; se il capitalismo nell'industria ha talmente concentrato i mezzi di produzione che si possono espropriare e dare in possesso alla società, ma se l'agricoltura, nonostante lo sviluppo del capitalismo, è ancora talmente frazionata in innumerevoli piccoli e medi proprietari-produttori, che non si presenta la possibilità di porre la questione dell'espropriazione di questi produttori?
A questa domanda la formula di Engels non dà risposta. Del resto, essa non doveva neppure rispondere a questa domanda, perché era sorta sulla base di un'altra questione, e precisamente della questione di quale doveva essere il destino della produzione mercantile dopo che fossero stati collettivizzati tutti i mezzi di produzione.
E dunque, come fare se non tutti i mezzi di produzione sono stati collettivizzati, ma lo è stata solamente una parte dei mezzi di produzione, eppure vi sono condizioni favorevoli per la presa del potere da parte del proletariato, - deve il proletariato prendere il potere e si deve subito dopo distruggere la produzione mercantile?
Non si può, naturalmente, considerare una risposta l'opinione di taluni pretesi marxisti, i quali ritengono che in tali condizioni bisognerebbe rinunciare alla presa del potere e aspettare finché il capitalismo sia riuscito a ridurre alla miseria milioni di piccoli e medi produttori trasformandoli in braccianti e a concentrare i mezzi di produzione nell'agricoltura, e che solo dopo di questo si possa porre la questione della presa del potere da parte del proletariato e della socializzazione di tutti i mezzi di produzione. E' evidente che una simile "via di uscita'' non può essere seguita dai marxisti se essi non vogliono definitivamente coprirsi di vergogna.
Non si può neppure considerare una risposta l'opinione di altri pretesi marxisti, i quali ritengono che bisognerebbe prendere il potere, passare alla espropriazione dei piccoli e medi produttori nelle campagne e socializzare i loro mezzi di produzione. Neppure questa via assurda e delittuosa può essere seguita dai marxisti, perché una via simile comprometterebbe ogni possibilità di vittoria della rivoluzione proletaria, getterebbe per lungo tempo i contadini nel campo dei nemici del proletariato.
E' stato Lenin a dare una risposta a questa questione nei suoi scritti sulla Imposta in natura e nel suo celebre Piano cooperativo.
La risposta di Lenin si riduce in breve a quanto segue:
a) non lasciar passare le condizioni favorevoli per la presa del potere: che il proletariato prenda il potere senza aspettare fino a che il capitalismo sia riuscito a ridurre alla miseria la popolazione di molti milioni di piccoli e medi produttori individuali;
b) espropriare i mezzi di produzione nell'industria e trasformarli in patrimonio di tutto il popolo;
c) per quanto riguarda i piccoli e medi produttori individuali riunirli gradualmente in cooperative di produzione, cioè in grandi aziende agricole, i colcos;
d) sviluppare in tutti i modi l'industria e dare ai colcos la base tecnica moderna della grande produzione, ma non espropriarli, bensì, al contrario, rifornirli intensamente di trattori di prima qualità e di altre macchine;
e) per la saldatura economica della città e della campagna, dell'industria e dell'agricoltura, conservare per un certo tempo la produzione mercantile (scambio attraverso la compra-vendita), come unica forma di rapporti economici con la città accettabile per i contadini, e sviluppare appieno il commercio sovietico, statale e cooperativo-colcosiano, eliminando dalla circolazione delle merci ogni genere di capitalisti.
La storia della nostra edificazione socialista dimostra che questa via di sviluppo, tracciata da Lenin, ha dato ottima prova di sé.
Non vi può esser dubbio che per tutti i paesi capitalistici aventi una classe più o meno numerosa di piccoli e medi produttori questa via di sviluppo è l'unica possibile e razionale per la vittoria del socialismo.
Si dice che la produzione mercantile in qualsiasi condizione deve portare e necessariamente porterà al capitalismo. Questo non è vero. Non sempre e non in qualsiasi condizione! Non si può identificare la produzione mercantile con la produzione capitalistica. Sono due cose diverse. La produzione mercantile porta al capitalismo solamente se esiste la proprietà privata dei mezzi di produzione, se la forza lavoro si presenta sul mercato come una merce che il capitalista può comprare e sfruttare nel processo di produzione, se, di conseguenza, esiste nel paese un sistema di sfruttamento degli operai salariati da parte dei capitalisti. La produzione capitalistica incomincia là, dove i mezzi di produzione sono concentrati in mani private e gli operai, privi di mezzi di produzione, sono costretti a vendere la loro forza lavoro come una merce. Senza di ciò non vi è produzione capitalistica.
Ebbene, e se non esistono queste condizioni che trasformano la produzione mercantile in produzione capitalistica, se i mezzi di produzione non sono più proprietà privata, ma proprietà socialista, se non esiste un sistema di lavoro salariato e la forza lavoro non è più una merce, se il sistema dello sfruttamento è già da tempo liquidato, - cosa dire allora: si può considerare che la produzione mercantile porti in ogni caso al capitalismo? No, non si può. E la nostra società è proprio una società in cui la proprietà privata dei mezzi di produzione, il sistema del lavoro salariato, il sistema dello sfruttamento non esistono più da tempo.
Non si può considerare la produzione mercantile come qualcosa a sé stante, indipendente dalle condizioni economiche circostanti. La produzione mercantile è più antica della produzione capitalistica. Essa esisteva nel sistema schiavistico e lo serviva, e tuttavia non ha portato al capitalismo. Essa esisteva nel feudalesimo e lo serviva, e tuttavia, benché preparasse alcune condizioni della produzione capitalistica, non ha portato al capitalismo. Si domanda allora perché la produzione mercantile non può servire per un certo periodo anche la nostra società socialista senza portare al capitalismo, quando si tenga presente che la produzione mercantile non ha da noi quella diffusione illimitata e universale che ha nelle condizioni del capitalismo, quando si tenga presente che essa da noi è costretta entro limiti rigorosi, grazie a condizioni economiche decisive, quali sono la proprietà collettiva sui mezzi di produzione, la liquidazione del sistema del lavoro salariato, la liquidazione del sistema dello sfruttamento.
Si dice che, dopo che nel nostro paese si è stabilito il dominio della proprietà collettiva sui mezzi di produzione e il sistema del lavoro salariato e dello sfruttamento è stato liquidato, l'esistenza della produzione mercantile ha perduto ogni senso e pertanto si dovrebbe eliminare la produzione mercantile.
Ma anche questo non è vero. Attualmente da noi esistono due forme fondamentali di produzione socialista: la produzione statale, di tutto il popolo, e quella colcosiana, che non si può dire di tutto il popolo. Nelle aziende statali i mezzi di produzione e la produzione stessa sono proprietà di tutto il popolo. Nelle aziende colcosiane, invece, benché i mezzi di produzione (la terra, le macchine) appartengano pur essi allo Stato, tuttavia la produzione dei prodotti è proprietà dei singoli colcos, giacché nei colcos il lavoro, come le sementi, sono di proprietà dei colcos, mentre della terra, che è stata concessa ai colcos in uso eterno, i colcos dispongono di fatto come di una loro proprietà, benché non possano venderla, comprarla, darla in affitto o ipotecarla.
Questa circostanza porta al fatto che lo Stato può disporre solamente della produzione delle aziende statali, mentre della produzione colcosiana dispongono solamente i colcos, come di una loro proprietà. Ma i colcos non vogliono alienare i loro prodotti altrimenti che sotto forma di merci, in scambio alle quali essi vogliono ricevere le merci loro necessarie. Altri legami economici con la città che non siano quelli commerciali, che non siano lo scambio mediante compra-vendita oggi i colcos non li accettano. Per questo la produzione mercantile e la circolazione delle merci sono attualmente da noi una necessità così come lo erano, diciamo, trent'anni fa, quando Lenin proclamò la necessità di un sviluppo completo della circolazione delle merci.
Naturalmente, quando invece dei due fondamentali settori produttivi, quello statale e quello colcosiano, vi sarà un solo settore produttivo che abbracci tutto e abbia il diritto di disporre di tutti i prodotti di consumo del paese, allora la circolazione delle merci con la sua "economia monetaria'' scomparirà, come un elemento non più necessario dell'economia nazionale. Ma finché questo non avvenga, finché sussistono due settori produttivi fondamentali, la produzione mercantile e la circolazione delle merci devono restare in vigore come elemento necessario e sotto ogni aspetto utile del sistema della nostra economia nazionale. In qual modo avverrà la creazione di un unico settore che abbracci tutto, attraverso un semplice assorbimento del settore colcosiano da parte del settore statale, il che è poco verosimile (giacché ciò sarebbe accolto come un'espropriazione dei colcos), o attraverso la organizzazione di un unico organo economico di tutto il popolo (con una rappresentanza della industria di Stato e dei colcos) che abbia il diritto di calcolare in un primo tempo tutti i prodotti di consumo del paese, e con il passare del tempo anche di distribuire i prodotti col sistema, diciamo, dello scambio in natura, - questa è una questione particolare, che richiede un esame a parte.
Di conseguenza, la nostra produzione mercantile non è una produzione mercantile normale, ma una produzione mercantile di tipo particolare, una produzione mercantile senza capitalisti, che ha a che fare sostanzialmente con merci di produttori socialisti riuniti (lo Stato, i colcos, le cooperative), la cui sfera di azione è limitata agli oggetti di consumo personale, che evidentemente non può in alcun modo svilupparsi come produzione capitalistica e che è destinata a servire, insieme con la sua "economia monetaria'', la causa dello sviluppo e del rafforzamento della produzione socialista.
Per questo non hanno affatto ragione quei compagni i quali affermano che, siccome la società socialista non liquida le forme mercantili di produzione, dovrebbero da noi ripristinarsi tutte le categorie economiche proprie del capitalismo: la forza lavoro come merce, il plusvalore, il capitale, il profitto del capitale, il tasso medio del profitto e così via. Questi compagni confondono la produzione mercantile con la produzione capitalistica e suppongono che, poiché esiste la produzione mercantile, deve esistere anche la produzione capitalistica. Essi non comprendono che la nostra produzione mercantile differisce in modo radicale dalla produzione mercantile nel capitalismo.
Non solo, ma io penso che sia necessario respingere anche alcuni altri concetti, desunti dal Capitale di Marx, dove Marx si è occupato dell'analisi del capitalismo, e artificiosamente applicati alle nostre relazioni socialiste.
Alludo fra l'altro a concetti come quelli di lavoro "necessa-rio'' e "supplementare'', di prodotto "necessario'' e "supplementare'', di tempo "necessario'' e "supplementare''. Marx analizzava il capitalismo per mettere in luce la fonte dello sfruttamento della classe operaia, il plusvalore, e dare alla classe operaia, priva dei mezzi di produzione, l'arme spirituale per l'abbattimento del capitalismo. Si capisce che Marx si serve nel far ciò di concetti (categorie) che rispondono perfettamente ai rapporti capitalistici. Ma sarebbe più che strano servirsi di tali concetti oggi che la classe operaia non solo non è priva del potere e dei mezzi di produzione, ma, al contrario, ha nelle sue mani il potere e possiede i mezzi di produzione. E' abbastanza assurdo, oggi, nel nostro sistema, parlare di forza lavoro come merce e di "ingaggio'' degli operai, come se la classe operaia, padrona degli strumenti di produzione, si ingaggiasse da sé o vendesse a se stessa la sua forza lavoro. Altrettanto strano è parlare oggi di lavoro "necessario'' e "supplementare'', come se il lavoro degli operai, nelle nostre condizioni, dato alla società per estendere la produzione, sviluppare l'istruzione, la sanità pubblica, per organizzare la difesa e così via, non fosse altrettanto necessario per la classe operaia che è oggi al potere, del lavoro impiegato per coprire i bisogni personali dell'operaio e della sua famiglia.
Bisogna notare che Marx nella sua Critica del Programma di Gotha, là dove non tratta più del capitalismo, ma, fra l'altro, della prima fase della società comunista, riconosce che il lavoro dato alla società per estendere la produzione, per l'istruzione, la sanità pubblica, le spese amministrative, la formazione delle riserve e così via, è altrettanto necessario del lavoro impiegato per coprire i bisogni di consumo della classe operaia.
Penso che i nostri economisti debbano porre fine a questa discrepanza fra i vecchi concetti e la nuova condizione delle cose nel nostro paese socialista, sostituendo ai vecchi concetti, concetti nuovi, corrispondenti alla nuova situazione.
Abbiamo potuto tollerare questa discrepanza per un certo tempo, ma è giunto il momento in cui finalmente dobbiamo liquidarla.

3. - Questione della legge del valore nel socialismo
Talvolta si domanda: esiste e ha vigore da noi, nel nostro regime socialista, la legge del valore?
Sì, esiste e ha vigore. Là dove esistono merci e produzione mercantile, non può non esistere anche la legge del valore.
Il campo d'azione della legge del valore si estende da noi innanzitutto alla circolazione delle merci, allo scambio delle merci attraverso la compra-vendita, principalmente allo scambio delle merci di consumo individuale. Qui, in questo campo, la legge del valore conserva, naturalmente entro certi limiti, una funzione regolatrice.
Ma l'efficacia della legge del valore non si limita al campo della circolazione delle merci. Essa si estende anche alla produzione. In verità, la legge del valore non ha un'importanza regolatrice nella nostra produzione socialista, ma influisce tuttavia sulla produzione, e di questo non si può non tener conto nel dirigere la produzione stessa. Il fatto è che i prodotti di consumo, indispensabili per reintegrare l'impiego di forza lavoro nel processo produttivo, si producono da noi e si realizzano come merci, soggette all'influenza della legge del valore. Qui appunto si rivela l'influenza della legge del valore sulla produzione. In relazione a ciò, nelle nostre aziende hanno un'importanza attuale questioni come quella del rendimento commerciale e della gestione redditizia, del costo di produzione, dei prezzi, ecc. Perciò le nostre aziende non possono e non devono trascurare di tenere in considerazione la legge del valore.
E' bene ciò? Non è male. Nelle nostre condizioni attuali effettivamente ciò non è male, perché questa circostanza educa i dirigenti della nostra economia nello spirito di una direzione razionale della produzione e li disciplina. Non è male, perché insegna ai nostri dirigenti dell'industria a calcolare le entità produttive, a calcolarle con esattezza, a tener conto con altrettanta esattezza delle cose reali della produzione e a non perdersi in chiacchiere su "dati orientativi'', campati in aria. Non è male perché insegna ai nostri dirigenti dell'industria a cercare, trovare e sfruttare le riserve nascoste, che si celano in seno alla produzione, e a non mettersele sotto i piedi. Non è male, perché insegna ai nostri dirigenti dell'industria a migliorare sistematicamente i metodi della produzione, a diminuire il costo di produzione, ad attuare un rendimento commerciale e a ottenere che le aziende siano in attivo. E' questa una buona scuola pratica, che accelera lo sviluppo dei nostri quadri economici e la loro trasformazione in veri dirigenti della produzione socialista nella fase attuale di sviluppo.
Il male non è che da noi la legge del valore influisca sulla produzione. Il male è che i nostri dirigenti dell'industria e i dirigenti della pianificazione, salvo rare eccezioni, non conoscono bene l'azione della legge del valore, non la studiano e non sanno tenerne conto nei loro calcoli. Così appunto si spiega la confusione che ancora regna da noi nella questione della politica dei prezzi. Ecco uno dei tanti esempi. Qualche tempo fa si decise di regolare nell'interesse della coltivazione del cotone il rapporto tra i prezzi del cotone e del grano, di precisare i prezzi del grano venduto ai raccoglitori di cotone e di aumentare i prezzi del cotone consegnato allo Stato. A questo proposito i nostri dirigenti d'azienda e dirigenti della pianificazione avanzarono una proposta, che non poté non riempire di stupore i membri del Comitato centrale perché, secondo questa proposta, il prezzo di una tonnellata di grano doveva essere quasi uguale a quello di una tonnellata di cotone, e il prezzo di una tonnellata di grano veniva uguagliato a quello di una tonnellata di pane. Alle osservazioni dei membri del Comitato centrale che il prezzo di una tonnellata di pane deve essere superiore al prezzo di una tonnellata di grano, in considerazione delle spese supplementari relative alla macinazione e alla cottura, che il cotone costa in generale molto più caro del grano, come testimoniano anche i prezzi mondiali del cotone e del grano, gli autori della proposta non seppero rispondere nulla di sensato. Il Comitato centrale dovette quindi interessarsi direttamente della questione, diminuire i prezzi del grano e aumentare i prezzi del cotone. Che cosa sarebbe accaduto se la proposta di questi compagni fosse stata tradotta in legge? Avremmo rovinato i raccoglitori di cotone e saremmo rimasti senza cotone.
Ma significa tutto questo che l'influenza della legge del valore si eserciti da noi con la medesima ampiezza che nel capitalismo e che la legge del valore sia da noi la regolatrice della produzione? No, in nessun modo. In realtà il campo d'azione della legge del valore nel nostro regime economico è rigorosamente limitato e circoscritto. Si è già detto che il campo d'azione della produzione mercantile nel nostro regime è limitato e circoscritto. Lo stesso si deve dire del campo d'azione della legge del valore. Non vi è dubbio che l'assenza della proprietà privata dei mezzi di produzione e la socializzazione dei mezzi di produzione, sia nella città, che nella campagna, non possono non limitare il campo d'azione della legge del valore e il grado della sua influenza sulla produzione.
Nella stessa direzione agisce la legge dello sviluppo pianificato (proporzionale) dell'economia nazionale, che ha sostituito la legge della concorrenza e dell'anarchia dela produzione.
Nella stessa direzione agiscono i nostri piani annuali e quinquennali e in generale tutta la nostra politica economica, che si basa sulle esigenze della legge dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale.
Tutto questo insieme di elementi fa sì che da noi il campo d'azione della legge del valore sia rigorosamente limitato e che la legge del valore non possa nel nostro regime assolvere la funzione di regolatrice della produzione.
Così appunto si spiega il fatto "sorprendente'' che, nonostante lo sviluppo ininterrotto e impetuoso della nostra produzione socialista, la legge del valore non provoca da noi crisi di sovraproduzione, mentre la stessa legge del valore, che ha nel capitalismo un vasto campo d'azione, nonostante i bassi ritmi di sviluppo della produzione nei paesi capitalistici, provoca in essi crisi periodiche di sovraproduzione.
Si dice che la legge del valore è una legge permanente, obbligatoria per tutti i periodi dello sviluppo storico, che anche se la legge del valore perde la sua efficacia come regolatrice dei rapporti di scambio nella seconda fase della società comunista, essa, in questa fase di sviluppo, conserverà la sua efficacia, come regolatrice dei rapporti fra le diverse branche della produzione, come regolatrice della ripartizione del lavoro fra le branche della produzione.
Ciò è falso del tutto. Il valore, come anche la legge del valore, è una categoria storica, legata all'esistenza della produzione mercantile. Con la scomparsa della produzione mercantile spariranno sia il valore con le sue forme, che la legge del valore.
Nella seconda fase della società comunista la quantità di lavoro impiegata per la produzione dei prodotti, non si misurerà per vie traverse, non tramite il valore e le sue forme, come accade nella produzione mercantile, ma direttamente e immediatamente con la quantità di tempo, con il numero delle ore impiegate nella produzione dei prodotti. Per quanto riguarda la ripartizione del lavoro fra le branche della produzione, essa non sarà regolata dalla legge del valore, che in questo periodo perde la sua efficacia, ma dall'incremento del fabbisogno di prodotti da parte della società. Sarà una società in cui la produzione verrà regolata dal fabbisogno sociale e il calcolo del fabbisogno sociale acquisterà un'importanza primordiale per gli organi pianificatori.
E' completamente errata anche l'affermazione secondo cui nel nostro attuale regime economico, nella prima fase di sviluppo della società comunista, la legge del valore regolerebbe "le proporzioni'' della ripartizione del lavoro tra le diverse branche della produzione.
Se questo fosse vero, non si capirebbe perché da noi non si sviluppa a pieno ritmo l'industria leggera, essendo più redditizia, soprattutto nei confronti dell'industria pesante, che spesso è meno redditizia, e talvolta addirittura completamente passiva.
Se questo fosse vero, non si capirebbe perché da noi non vengano chiuse le aziende dell'industria pesante per il momento ancora passive, dove il lavoro degli operai non ha la "dovuta efficacia'', e non si aprano nuove aziende dell'industria leggera incontestabilmente redditizia, dove il lavoro degli operai potrebbe avere una "maggiore efficacia''.
Se questo fosse vero, non si capirebbe perché da noi non si trasferiscano gli operai dalle aziende poco redditizie, anche se indispensabili all'economia nazionale, alle aziende più redditizie, secondo la legge del valore che regolerebbe le "proporzioni'' della ripartizione del lavoro fra le branche della produzione.
E' evidente che, se si seguissero le orme di questi compagni, dovremmo desistere dal dare la precedenza alla produzione dei mezzi di produzione a favore della produzione dei mezzi di consumo. Ma che cosa significa desistere dal dare la precedenza alla produzione dei mezzi di produzione? Significa eliminare la possibilità di sviluppo ininterrotto della nostra economia nazionale, perché è impossibile attuare uno sviluppo ininterrotto dell'economia nazionale senza dare, al tempo stesso, la precedenza alla produzione dei mezzi di produzione.
Questi compagni dimenticano che la legge del valore può regolare la produzione solo nel capitalismo, quando esiste la proprietà privata dei mezzi di produzione, quando esistono la concorrenza, l'anarchia della produzine e le crisi di sovraproduzione. Essi dimenticano che da noi il campo d'azione della legge del valore è limitato dall'esistenza della proprietà sociale dei mezzi di produzione, dal fatto che vige la legge dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale e, per conseguenza, questo campo è anche limitato dai nostri piani annuali e quinquennali, che rispecchiano per approssimazione le esigenze di questa legge.
Alcuni compagni traggono di qui la conclusione che la legge dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale e la pianificazione dell'economia nazionale sopprimono il principio del rendimento della produzione. Ciò è falso del tutto. Le cose stanno esattamente al contrario. Se si considera il rendimento non per aziende o branche della produzione singole e non in riferimento a un solo anno, ma per tutta l'economia nazionale e in riferimento, poniamo, a un periodo di 10-15 anni - e questo sarebbe l'unico modo giusto di affrontare la questione - il rendimento momentaneo e instabile di aziende o branche della produzione singole non può in nessun modo stare a confronto con quella forma superiore di rendimento stabile e permanente che ci viene assicurato dall'azione della legge dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale e dalla pianificazione dell'economia nazionale, liberandoci dalle crisi economiche periodiche, le quali distruggono l'economia nazionale e infliggono alla società un immenso danno materiale, e assicurandoci una ascesa ininterrotta dell'economia nazionale con i suoi ritmi elevati.
In breve: non vi è dubbio che nelle nostre attuali condizioni socialiste della produzione la legge del valore non può essere la "regolatrice delle proporzioni'' nella ripartizione del lavoro fra le diverse branche della produzione.

4. - Questione della eliminazione del contrasto fra città e campagna, fra lavoro fisico e intellettuale e questione della liquidazione delle differenze tra di essi.
Questo titolo concerne numerosi problemi che si differenziano sostanzialmente l'uno dall'altro, ma che unisco in un solo capitolo non per confonderli, ma esclusivamente per brevità di esposizione.
Il problema della eliminazione del contrasto fra la città e la campagna, fra l'industria e l'agricoltura è un problema noto, posto già da tempo da Marx ed Engels. La base economica di questo contrasto è lo sfruttamento della campagna da parte della città, l'espropriazione dei contadini e la rovina della maggior parte della popolazione rurale in seguito a tutto il corso dello sviluppo dell'industria, del commercio e del sistema creditizio nel capitalismo. Perciò il contrasto fra la città e la campagna nel capitalismo deve considerarsi come un contrasto di interessi. Su questo terreno è sorto un atteggiamento ostile della campagna verso la città e in generale verso la "gente di città''.
Non vi è dubbio che con la distruzione del capitalismo e del sistema dello sfruttamento, con il consolidamento del regime socialista, nel nostro paese doveva sparire anche il contrasto di interessi tra la città e la campagna, tra l'industria e l'agricoltura. E così è accaduto. L'immenso aiuto dato ai nostri contadini dalla città socialista e dalla nostra classe operaia per liquidare i proprietari fondiari e i kulak, ha consolidato la base dell'alleanza fra la classe operaia e i contadini, mentre la fornitura sistematica di trattori di prima qualità e di altre macchine ai contadini e ai loro colcos ha trasformato in amicizia l'alleanza fra la classe operaia e i contadini. Certo, gli operai e i contadini colcosiani sono tuttora due classi, che differiscono l'una dall'altra per la loro posizione. Ma questa differenza non indebolisce in nessuna misura la loro amicizia. Al contrario, i loro interessi corrono su un'unica linea comune, sulla linea del consolidamento del regime socialista e della vittoria del comunismo. Perciò non deve far meraviglia che non sia rimasta neppure una traccia della vecchia sfiducia e, a maggior ragione, del vecchio odio della campagna per la città.
Tutto questo significa che la base su cui sorge il contrasto fra la città e la campagna, fra l'industria e l'agricoltura è già stata liquidata dal nostro attuale regime socialista.
Questo, naturalmente, non significa che la eliminazione del contrasto fra la città e la campagna debba portare alla "rovina delle grandi città'' (vedi l'Anti-dühring di Engels). Le grandi città non solo non andranno in rovina, ma sorgeranno altre nuove grandi città, quali centri di un maggiore sviluppo culturale, centri non solo della grande industria, ma anche della lavorazione dei prodotti agricoli e di un poderoso sviluppo di tutte le branche dell'industria alimentare. Questa circostanza favorirà la fioritura culturale del paese e determinerà un livellamento delle condizioni di vita nelle città e nella campagna.
Una situazione analoga vi è nel problema della eliminazione del contrasto fra lavoro fisico e intellettuale. Anche questo è un problema noto, posto già da tempo da Marx ed Engels. La base economica del contrasto fra lavoro fisico e intellettuale è costituita dallo sfruttamento degli uomini che compiono il lavoro fisico da parte di coloro che rappresentano il lavoro intellettuale. Tutti conoscono il distacco che esisteva nel capitalismo fra gli uomini che compiono il lavoro fisico nelle aziende e il personale direttivo. E' noto che sulla base di questo distacco sorse un atteggiamento ostile degli operai verso il direttore, il capo-reparto, l'ingegnere e gli altri rappresentanti del personale tecnico, considerati come nemici. Naturalmente, con la distruzione del capitalismo e del sistema dello sfruttamento, doveva scomparire anche il contrasto di interessi fra il lavoro fisico e il lavoro intellettuale. Ed esso effettivamente è scomparso nel nostro odierno regime socialista. Oggi gli uomini che compiono il lavoro fisico e il personale direttivo non sono nemici, ma compagni e amici, membri di un unico collettivo della produzione, vitalmente interessati al progresso e al miglioramento della produzione. Della vecchia ostilità fra loro non è rimasta traccia.
Un carattere completamente diverso ha il problema della scomparsa delle differenze fra la città (l'industria) e la campagna (l'agricoltura), fra il lavoro fisico e intellettuale. Questo problema non è stato posto dai classici del marxismo. E' un problema nuovo, posto dalla pratica della nostra edificazione socialista.
Ma non è questo un problema immaginario; ha esso per noi una qualche importanza pratica o teorica? No, questo problema non si può considerare immaginario. Al contrario, esso è per noi della più alta importanza.
Se esaminiamo, per esempio, la differenza fra l'agricoltura e l'industria, essa, da noi, non consiste solo nel fatto che le condizioni di lavoro nell'agricoltura differiscono dalle condizioni di lavoro nell'industria, ma innanzitutto e principalmente nel fatto che nell'industria abbiamo una proprietà di tutto il popolo sui mezzi di produzione e sul prodotto dell'attività produttiva, mentre nell'agricolutra non abbiamo una prorietà di tutto il popolo, ma di gruppo, colcosiana. E' già stato detto che questa circostanza porta al mantenimento della circolazione delle merci, che solo con la scomparsa di questa differenza fra l'industria e l'agricoltura può scomparire la produzione mercantile, con tutte le conseguenze che ne derivano. Per conseguenza, non si può negare che la scomparsa di questa sostanziale differenza tra l'agricoltura e l'industria deve avere per noi un'importanza di prim'ordine.
Lo stesso si deve dire del problema della eliminazione della differenza sostanziale fra il lavoro fisico e il lavoro intellettuale. Anche questo problema ha per noi un'importanza di prim'ordine. Prima che avesse inizio lo sviluppo dell'emulazione socialista di massa, l'ascesa dell'industria procedeva da noi a stento e molti compagni posero persino la questione di rallentare i ritmi di sviluppo dell'industria. La cosa si spiega principalmente col fatto che il livello tecnico-culturale degli operai era troppo basso e molto arretrato rispetto al livello del personale tenico. Ma le cose sono radicalmente cambiate dopo che l'emulazione socialista ebbe assunto da noi un carattere di massa. Fu appunto dopo di allora che l'industria progredì a ritmo accelerato. Perché l'emulazione socialista assunse un carattere di massa? Perché fra gli operai si formarono intieri gruppi di compagni, che non solo assimilarono un minimo di preparazione tecnica, ma andarono oltre, salirono al livello del personale tecnico, cominciarono a correggere i tecnici e gli ingegneri, a infrangere le norme esistenti come superate, a introdurre nuove norme, più moderne, ecc. Che cosa sarebbe accaduto se non singoli gruppi di operai, ma la maggioranza degli operai avesse elevato il suo livello tecnico-culturale portandolo al livello del personale tecnico e degli ingegneri? La nostra industria avrebbe raggiunto un'altezza inaccessibile all'industria degli altri paesi. Per conseguenza, non si può negare che l'eliminazione della differenza sostanziale fra il lavoro fisico e il lavoro intellettuale, ottenuta portando il livello tecnico-culturale degli operai al livello del personale tecnico, non può non avere per noi un'importanza di prim'ordine.
Alcuni compagni affermano che col tempo sparirà non solo la differenza sostanziale fra l'industria e l'agricoltura, fra il lavoro fisico e intellettuale, ma sparirà anche qualsiasi differenza fra di essi. Questo non è vero. L'eliminazione della differenza sostanziale fra l'industria e l'agricoltura non può portare all'eliminazione di qualsiasi differenza fra di esse. Una certa differenza, anche se non sostanziale, incontestabilmente rimarrà, a causa delle differenze esistenti nelle condizioni di lavoro nell'industria e nell'agricoltura. Anche nell'industria, se si considerano le sue differenti branche, le condizioni di lavoro non sono dappertutto identiche: le condizioni di lavoro, per esempio, dei minatori addetti all'estrazione del carbone differiscono dalle condizioni di lavoro degli operai di un calzaturificio meccanizzato, le condizioni di lavoro dei minatori addetti alla estrazione dei metalli differiscono dalle condizioni di lavoro degli operai addetti alle costruzioni meccaniche. Se questo è vero, a maggior ragione si dovrà conservare una certa differenza fra l'industria e l'agricoltura.
Lo stesso si deve dire della differenza fra il lavoro fisico e il lavoro intellettuale. La differenza sostanziale che esiste fra di essi, intesa come differenza di livello tecnico-culturale, sparirà incontestabilmente. Ma una certa differenza, anche se non sostanziale, continuerà a sussistere, se non altro perché le condizioni di lavoro del personale dirigente delle aziende non sono identiche alle condizioni di lavoro degli operai.
I compagni che affermano il contrario si basano, probabilmente, sulla nota formula contenuta in alcuni miei scritti, nei quali si parla della eliminazione della differenza fra l'industria e l'agricoltura, fra il lavoro fisico e intellettuale, senza precisare che si tratta di eliminare la differenza sostanziale e non qualsiasi differenza. I compagni hanno inteso in questo senso la mia formula, supponendo che comportasse l'eliminazione di qualsiasi differenza. Ma questo significa che la formula non era precisa, non era soddisfacente. Essa deve essere respinta e sostituita con un'altra formula, che parli della eliminazione delle differenze sostanziali e del persistere di differenze non sostanziali fra l'industria e l'agricoltura, fra il lavoro fisico e intellettuale.

5. -Questione della disgregazione del mercato unico mondiale e dell'approfondirsi della crisi del sistema capitalistico mondiale.
La disgregazione del mercato mondiale unico e universale deve considerarsi il risultato economico più importante della seconda guerra mondiale e delle sue conseguenze economiche. Questa circostanza ha determinato l'ulteriore approfondimento della crisi generale del sistema capitalistico mondiale.
La seconda guerra mondiale stessa fu generata da questa crisi. Ciascuna delle due coalizioni capitalistiche, scagliatesi l'una contro l'altra durante la geurra, contava di schiacciare l'avversario e di conquistare il dominio mondiale. In questo esse cercavano una via di uscita dalla crisi. Gli Stati Uniti d'America contavano di eliminare la Germania e il Giappone dalla schiera dei loro concorrenti più pericolosi, di impadronirsi dei mercati esteri, delle risorse mondiali di materie prime e conquistare il dominio mondiale.
Ma la guerra non soddisfece queste speranze. E' vero, la Germania e il Giappone furono messi fuori combattimento come concorrenti dei tre principali paesi capitalistici: gli Stati Uniti d'America, l'Inghilterra e la Francia. Ma in pari tempo la Cina e gli altri paesi di democrazia popolare in Europa si staccarono dal sistema capitalistico, formando insieme all'Unione Sovietica un unico e potente campo socialista, opposto al campo del capitalismo. Il risultato economico dell'esistenza di due campi opposti è stato che il mercato mondiale unico e universale si è spezzato, per cui abbiamo oggi due mercati mondiali paralleli, anch'essi opposti l'uno all'altro.
E' necessario osservare che gli Stati Uniti d'America e l'Inghilterra con la Francia hanno favorito essi stessi, naturalmente contro la loro volontà, la formazione e il consolidamento del nuovo mercato mondiale parallelo. Essi hanno sottoposto a un blocco economico l'Urss, la Cina e i paesi europei di democrazia popolare, che non erano entrati nel sistema del "piano Marshall'', pensando con ciò di soffocarli. Ma di fatto si è avuto non un soffocamento, bensì un consolidamento del nuovo mercato
Certo, l'elemento essenziale è dato qui non dal blocco economico, ma dal fatto che nel periodo dopo la guerra questi paesi si sono avvicinati economicamente e hanno avviato fra loro una collaborazione economica e una mutua assistenza. L'esperienza di questa collaborazione dimostra che nessun paese capitalistico avrebbe potuto prestare un aiuto così efficace e tecnicamente qualificato ai paesi di democrazia popolare, come quello che presta loro l'Unione Sovietica. Non si tratta solo del fatto che questo aiuto ha un costo minimo per questi paesi ed è tecnicamente di prim'ordine. Si tratta, innanzi tutto, del fatto che questa collaborazione si basa sul desiderio più sincero di aiutarsi a vicenda e di realizzare uno sviluppo economico comune. Come risultato, abbiamo ritmi elevati di sviluppo dell'industria in questi paesi. Si può affermare con sicurezza che, grazie a questi ritmi di sviluppo dell'industria, si arriverà rapidamente a ottenere che questi paesi non solo non abbiano bisogno di importare merci dai paesi capitalistici, ma sentano essi stessi la necessità di esportare le merci eccedenti della loro produzione.
Ma da questo deriva che la sfera d'applicazione delle forze dei principali paesi capitalistici (Stati Uniti d'America, Inghilterra, Francia) alle risorse mondiali non si estenderà, ma si ridurrà; che le condizioni del mercato mondiale di sbocco per questi paesi peggioreranno e si accentuerà la contrazione della produzione per le aziende di questi paesi. In questo consiste, propriamente, l'approfondirsi della crisi generale del sistema capitalistico mondiale per quanto riguarda la disgregazione del mercato mondiale.
Di questo si accorgono anche i capitalisti, perché è difficile non accorgersi della perdita di mercati come l'Urss e la Cina. Essi si sforzano di superare queste difficoltà con il "piano Marshall'', con la guerra in Corea, con la corsa degli armamenti, con la militarizzazione dell'industria. Ma questo ricorda gli annegati che si afferrano a un fuscello.
In riferimento a questa situazione sono sorte per gli economisti due questioni.
a) Si può affermare che sia tuttora valida la nota tesi di Stalin sulla relativa stabilità dei mercati nel periodo della crisi generale del capitalismo, enunciata prima della seconda guerra mondiale?
b) Si può affermare che sia tuttora valida la nota tesi di Lenin, da lui enunciata nella primavera del 1916, che, nonostante la putrefazione del capitalismo, "nel suo insieme il capitalismo cresce con un ritmo incomparabilmente più rapido di prima''?
Penso che non lo si possa affermare. Le nuove condizioni sorte in legame con la seconda guerra mondiale han fatto sì che entrambe queste tesi debbano considerarsi superate.

6. - Questione della inevitabilità delle guerre fra i paesi capitalistici.
Alcuni compagni affermano che in seguito allo sviluppo delle nuove condizioni internazionali dopo la seconda guerra mondiale, le guerre fra i paesi capitalistici hanno cessato di essere inevitabili. Essi ritengono che i contrasti fra il campo del socialismo e il campo del capitalismo siano più forti dei contrasti fra i paesi capitalistici; che gli Stati Uniti d'America abbiano sufficientemente soggiogato gli altri paesi capitalistici per impedire che essi combattano fra loro e si indeboliscano a vicenda; che gli uomini più intelligenti del capitalismo siano stati abbastanza istruiti dall'esperienza delle due guerre mondiali, che hanno inflitto sì gravi danni a tutto il mondo capitalistico, per permettersi di trascinare nuovamente i paesi capitalistici in una guerra fra loro, - che, in considerazione di tutto questo, le guerre tra i paesi capitalistici abbiano cessato di essere inevitabili.
Questi compagni sbagliano. Essi vedono i fenomeni esteriori, che affiorano alla superficie, ma non vedono le forze profonde, le quali, anche se per un momento agiscono senza farsi notare, determineranno tuttavia il corso degli avvenimenti.
Esteriormente tutto sembrerebbe andare "ottimamente'': gli Stati Uniti d'America hanno messo al passo la Europa occidentale, il Giappone e gli altri paesi capitalistici; la Germania (occidentale), l'Inghilterra, la Francia, l'Italia, il Giappone, caduti tra gli artigli degli Stati Uniti di America, eseguono docilmente gli ordini degli Stati Uniti. Ma sarebbe errato pensare che questo andare "ottimamente'' possa mantenersi "nei secoli dei secoli'', che questi paesi sopporteranno senza fine il dominio e l'oppressione degli Stati Uniti d'America, che essi non tenteranno di sottrarsi alla schiavitù americana e di porsi sulla strada di uno sviluppo autonomo.
Prendiamo prima di tutto l'Inghilterra e la Francia. Non vi è dubbio che le materie prime a buon mercato e i mercati di sbocco assicurati hanno per essi un'importanza di prim'ordine. Si può ammettere che essi sopporteranno senza fine la situazione attuale, in cui gli americani, con il pretesto di "aiutarli'' mediante il "piano Marshall'', si istallano nell'economia dell'Inghilterra e della Francia, cercando di trasformarla in una appendice dell'economia degli Stati Uniti d'America; in cui il capitale americano si impadronisce delle materie prime e dei mercati di sbocco delle colonie anglo-francesi, preparando così una catastrofe per gli alti profitti dei capitalisti anglo-francesi? Non sarebbe più giusto dire che l'Inghilterra capitalistica, e dopo di essa anche la Francia capitalistica, saranno costrette in fin dei conti a svincolarsi dalla stretta degli Stati Uniti d'America e a entrare in conflitto con essi per assicurarsi una situazione autonoma e, naturalmente, alti profitti?
Passiamo ai principali paesi vinti, alla Germania (occidentale), al Giappone. Questi paesi trascinano oggi una misera esistenza sotto lo stivale dell'imperialismo americano. La loro industria e l'agricoltura, il loro commercio, la loro politica interna ed esterna, tutta la loro esistenza è avvinta dalle catene del "regime'' americano di occupazione. Ma questi paesi erano ancora ieri grandi potenze imperialistiche, che scossero le basi del dominio dell'Inghilterra, degli Stati Uniti d'America e della Francia in Europa e in Asia. Pensare che questi paesi non tenteranno nuovamente di rimettersi in piedi, di infrangere il "regime'' degli Stati Uniti d'America e porsi sulla strada dello sviluppo autonomo significa credere nei miracoli.
Si dice che i contrasti tra il capitalismo e il socialismo sono più forti che i contrasti fra i paesi capitalistici. Teoricamente, certo, questo è vero. è vero non solo oggi, ai nostri giorni, ma era vero anche alla vigilia della seconda guerra mondiale. E lo capivano, in maggiore o minore misura, anche i dirigenti dei paesi capitalistici. Eppure la seconda guerra mondiale non incominciò con la guerra contro l'Urss, ma con la guerra fra i paesi capitalistici. Perché? Perché, in primo luogo, la guerra contro la Urss, in quanto guerra contro il paese del socialismo, è più pericolosa per il capitalismo della guerra fra i paesi capitalistici, giacché mentre la guerra fra i paesi capitalistici pone solo la questione del predominio di determinati paesi capitalistici su altri paesi capitalistici, la guera contro l'Urss deve invece necessariamente porre la questione dell'esistenza del capitalismo stesso. In secondo luogo, perché i capitalisti, sebbene a scopo di "propaganda'' facciano chiasso circa la aggressività dell'Unione Sovietica, non credono essi stessi a questa aggressività, poiché tengono conto della politica pacifica dell'Unione Sovietica e sanno che l'Unione Sovietica non attaccherà, dal canto suo, i paesi capitalistici.
Anche dopo la prima guerra mondiale si riteneva che la Germania fosse stata definitivamente messa fuori combattimento, così come alcuni compagni pensano oggi che siano stati messi definitivamente fuori combattimento il Giappone e la Germania. Anche allora sulla stampa si parlava e faceva chiasso circa il fatto che gli Stati Uniti d'America avevano messo al passo l'Europa, che la Germania non avrebbe più potuto rimettersi in piedi, che non ci dovevano più essere guerre fra i paesi capitalistici. Ma cionondimeno la Germania, a distanza di circa 15-20 anni dalla sua sconfitta, si risollevò e si rimise in piedi come grande potenza, sottraendosi alla schiavitù e prendendo il cammino di uno sviluppo autonomo. è significativo inoltre che nessu altro se non l'Inghilterra e gli Stati Uniti d'America avevano aiutato la Germania a risollevarsi economicamente e ad accrescere il proprio potenziale economico e militare. Naturalmente, gli Stati Uniti d'America e l'Inghilterra, aiutando la Germania a risollevarsi economicamente, miravano a rivolgere contro l'Unione Sovietica la Germania risollevata, a servirsene contro il paese del socialismo. Ma la Germania diresse le sue forze innanzi tutto contro il blocco anglo-franco-americano, e quando la Germania hitleriana dichiarò guerra all'Unione Sovietica, il blocco anglo-franco-americano non solo non si associò alla Germania hitleriana, ma, al contrario, fu costretto a entrare in coalizione con l'Urss contro la Germania hitleriana.
Per conseguenza, la lotta dei paesi capitalistici per i mercati e il desiderio di sommergere i propri concorrenti si rivelarono praticamente più forti che i contrasti fra il campo dei capitalisti e il campo del socialismo.
Si domanda: quale garanzia esiste che la Germania e il Giappone non si rimettano nuovamente in piedi e non tentino di sottrarsi dalla schiavitù americana e di vivere una propria vita autonoma? Penso che non esistano garanzie di questo genere.
Ma da ciò deriva che l'inevitabilità delle guerre fra i paesi capitalistici continua a sussistere.
Si dice che la tesi di Lenin secondo cui l'imperialismo genera inevitabilmente le guerre deve considerarsi superata, perché attualmente si sono sviluppate potenti forze popolari che agiscono in difesa della pace, contro una nuova guerra mondiale. Questo non è vero.
L'attuale movimento per la pace ha lo scopo di sollevare le masse popolari alla lotta per mantenere la pace, per scongiurare una nuova gerra mondiale. Per conseguenza, esso non persegue lo scopo di rovesciare il capitalismo e di istaurare il socialismo, - esso si limita a perseguire i fini democratici della lotta per mantenere la pace. Sotto questo aspetto l'auttuale movimento per mantenere la pace si distingue dal movimento svoltosi durante la prima guerra mondiale per trasformare la guerra imperialistica in guerra civile, giacché questo ultimo movimento andava oltre e perseguiva fini socialisti.
Può darsi che, per un concorso di circostanze, la lotta per la pace si sviluppi in certe zone trasformandosi in lotta per il socialismo, ma questo non sarebbe più l'attuale movimento per la pace, bensì un movimento per rovesciare il capitalismo.
La cosa più probabile è che l'attuale movimento per la pace, inteso come movimento per mantenere la pace, in caso di successo porterà a scongiurare una guerra determinata, a rinviarla per un certo tempo, a mantenere per un certo tempo una pace determinata, a costringere alle dimissioni un governo guerrafondaio sostituendolo con un altro governo, disposto a salvaguardare per un certo tempo la pace. Questa, naturalmente, è una cosa buona. Anzi, è una cosa ottima. Tuttavia questo non basta per eliminare l'inevitabilità delle guerre fra i paesi capitalistici. Non basta, perché, nonostante tutti questi successi del movimento per la difesa della pace, l'imperialismo continua a sussistere, conserva le sue forze, - e per conseguenza, continua a sussistere l'inevitabilità delle guerre.
Per eliminare l'inevitabilità delle guerre, è necessario distruggere l'imperialismo.

7. - Questione delle leggi economiche fondamentali del capitalismo contemporaneo e del socialismo.
Come è noto, la questione delle leggi economiche fondamentali del capitalismo e del socialismo ha formato ripetutamente oggetto di discussione. Sono state espresse diverse opinioni in proposito, comprese le più fantastiche. In verità, la maggioranza di coloro che hanno preso parte alla discussione ha dato uno scarso contributo alla questione e nessuna soluzione è stata indicata in proposito. Però, nessuno degli intervenuti nella discussione ha negato l'esistenza di queste leggi.
Esiste una legge economica fondamentale del capitalismo? Sì, esiste. Qual è questa legge, quali sono i suoi tratti caratteristici? La legge economica fondamentale del capitalismo è la legge che determina non un qualsiasi aspetto singolo o singoli processi di sviluppo della produzione capitalistica, ma tutti gli aspetti principali e tutti i processi principali di questo sviluppo, - per conseguenza, determina la sostanza della produzione capitalistica, la sua essenza.
Non è la legge del valore la legge economica fondamentale del capitalismo? No. La legge del valore è innanzi tutto la legge della produzione mercantile. Essa esiste prima del capitalismo e continua a sussistere, così come continua a sussistere la produzione mercantile, dopo il rovesciamento del capitalismo, per esempio nel nostro paese, pur avendo in verità un limitato campo d'azione. Naturalmente, la legge del valore, che ha un vasto campo d'azione nelle condizioni del capitalismo, assolve una grande funzione nello sviluppo della produzione capitalistica, ma non solo non determina la sostanza della produzione capitalistica e delle basi del profitto capitalistico, ma non pone neppure questi problemi. Perciò essa non può essere la legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo.
Per le stesse considerazioni non possono essere legge economica fondamentale del capitalismo la legge della concorrenza e dell'anarchia della produzione, o la legge dello sviluppo ineguale del capitalismo nei diversi paesi.
Si dice che la legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo è la legge del tasso medio del profitto. Questo non è vero. Il capitalismo contemporaneo, il capitalismo monopolistico, non può accontentarsi del profitto medio, che inoltre ha la tendenza a diminuire in seguito all'aumento della composizione organica del capitale. Il capitalismo monopolistico contemporaneo non cerca il profitto medio ma il massimo profitto, indispensabile per attuare una riproduzione allargata più o meno regolare.
Più di tutto si avvicina al concetto di legge economica fondamentale del capitalismo la legge del plusvalore, la legge della formazione e della crescita del profitto capitalistico. Essa predetermina effettivamente i tratti fondamentali della produzione capitalistica. Ma la legge del plusvalore è una legge troppo generale, che non tocca i problemi del più alto tasso del profitto, il cui conseguimento è condizione dello sviluppo del capitalismo monopolistico. Per colmare questa lacuna è necessario concretizzare la legge del plusvalore e svilupparla ulteriormente applicandola alle condizioni del capitalismo monpolistico, tenendo conto inoltre che il capitalismo monopolistico non cerca un qualsiasi profitto, ma precisamente il profitto massimo. Sarebbe appunto questa la legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo.
I tratti principali e le esigenze della legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo potrebbero formularsi all'incirca in questo modo: realizzazione del massimo profitto capitalistico mediante lo sfruttamento, la rovina, e l'impoverimento della maggioranza della popolazione di un determinato paese, mediante l'asservimento e la spoliazione sistematica dei popoli degli altri paesi, particolarmente dei paesi arretrati, e infine, mediante le guerre e la militarizzazione dell'economia nazionale, utilizzate per realizzare i profitti massimi.
Si dice che il profitto medio potrebbe considerarsi tuttavia come del tutto sufficiente allo sviluppo capitalistico nelle condizioni attuali. Non è vero. Il profitto medio è il limite più basso del rendimento, oltre il quale la produzione capitalistica diventa impossibile; ma sarebbe ridicolo pensare che i cavalieri d'industria del capitalismo monopolistico contemporaneo si impadroniscano delle colonie, soggioghino i popoli e tramino le guerre solo per cercare di assicurarsi il profitto medio. No, non il profitto medio, e nemmeno il sovraprofitto, che di regola rappresenta solo una certa maggiorazione del profitto medio, ma precisamente il profitto massimo è il motore del capitalismo monopolistico. Precisamente la necessità di realizzare i profitti massimi spinge il capitalismo monopolistico a compiere passi arrischiati quali sono l'asservimento e la spoliazione sistematica delle colonie e degli altri paesi arretrati, la trasformazione di numerosi paesi indipendenti in paesi dipendenti, l'organizzazione di nuove guerre che costituiscono per i cavalieri d'industria del capitalismo contemporaneo il migliore "affare", che permette di ricavare i profitti massimi, e infine, i tentativi di conquistare il dominio economico mondiale.
L'importanza della legge economica fondamentale del capitalismo consiste, fra l'altro, nel fatto che essa, determinando tutti i più importanti fenomeni nel campo dello sviluppo del modo capitalistico di produzione, le sue ascese e le sue crisi, le sue vittorie e le sue sconfitte, i suoi pregi e i suoi difetti - tutto il processo del suo contraddittorio sviluppo -, dà la possibilità di capirli e spiegarli.
Ecco uno fra numerosi esempi "sorprendenti".
A tutti sono noti i fatti della storia e della pratica del capitalismo, che dimostrano l'impetuoso sviluppo della tecnica nel capitalismo, quando i capitalisti agiscono come alfieri della tecnica d'avanguardia, come rivoluzionari nel campo dello sviluppo della tecnica produttiva. Ma sono noti anche fatti d'altro genere, che dimostrano l'arresto dello sviluppo tecnico nel capitalismo, quando i capitalisti agiscono come reazionari nel campo dello sviluppo della nuova tecnica e passano non di rado al lavoro a mano.
Come spiegare questa contraddizione stridente? La si può spiegare soltanto con la legge economica fondamenta del capitalismo contemporaneo, cioè con la necessità di ottenere profitti massimi. Il capitalismo è per la nuova tecnica quando essa gli promette i maggiori profitti. Il capitalismo è contro la nuova tecnica e per il passaggio al lavoro a mano, quando la nuova tecnica non gli promette più i maggiori profitti.
Così stanno le cose per quanto riguarda la legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo.
Esiste una legge economica fondamentale del socialismo? Sì, esiste. In che cosa consistono i tratti essenziali e le esigenze di questa legge? I tratti essenziali e le esigenze della legge economica fondamentale del socialismo potrebbero formularsi all'incirca in questo modo: assicurazione del massimo soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la società, mediante l'aumento ininterrotto e il perfezionamento della produzione socialista sulla base di una tecnica superiore.
Quindi: non assicurazione dei profitti massimi, ma assicurazione del massimo soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali della società; non sviluppo della produzione con fratture tra l'avanzata e la crisi e tra la crisi e l'avanzata, ma sviluppo ininterrotto della produzione; non interruzioni periodiche nello sviluppo della tecnica, accompagnate dalla distruzione delle forze produttive della società, ma perfezionamento continuo della produzione sulla base di una tecnica più elevata.
Si dice che la legge economica fondamentale del socialismo è la legge dello sviluppo pianificato, proporzionale dell'economia nazionale. Questo non è vero. Lo sviluppo pianificato dell'economia nazionale, e quindi anche la pianificazione dell'economia nazionale, che rispecchiano più o meno fedelmente questa legge, di per sé non possono esprimere nulla, se non si conosce verso quale meta procede lo sviluppo pianificato dell'economia nazionale, oppure se la meta non è chiara. La legge dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale può avere la dovuta efficacia solo nel caso che esista una meta verso la cui attuazione procede lo sviluppo pianificato della economia nazionale. Di per sé, la legge dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale non può indicare questa meta. A maggior ragione la meta non può essere indicata dalla pianificazione dell'economia nazionale. Questa meta è contenuta nella legge economica fondamentale del socialismo e consiste nelle esigenze esposte sopra. Quindi, la legge dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale può operare in tutta la sua estensione solo nel caso che poggi sulla legge economica fondamentale del socialismo.
Per quanto riguarda la pianificazione dell'economia nazionale, essa può ottenere risultati positivi solo se si osservano due condizioni: a) deve rispecchiare esattamente le esigenze della legge dello sviluppo pianificato della economia nazionale; b) deve uniformarsi interamente alle esigenze della legge economica fondamentale del socialismo.


8. - Altre questioni.

1. - Questione della coercizione extraeconomica nel regime feudale.
Naturalmente, la coercizione extraeconomica ha avuto la sua funzione nel consolidamento del potere economico dei grandi proprietari feudali, ma non fu essa la base del feudalesimo, bensì la proprietà feudale della terra.
2. - Questione della proprietà personale della famiglia colcosiana.
Sarebbe errato dire nel progetto di manuale che "ogni famiglia colcosiana ha in godimento personale una mucca, il bestiame minuto e gli animali da cortile". In realtà, come è noto, la mucca, il bestiame minuto, gli animali da cortile, ecc. non si trovano in godimento personale, ma in proprietà personale della famiglia colcosiana. L'espressione "in godimento personale" è presa evidentemente dallo statuto modello dell'artel agricolo. Ma nello statuto modello dell'artel agricolo è stato commesso un errore. La Costituzione dell'Urss, che è stata elaborata con maggior cura, dice in modo diverso e precisamente:
"Ogni famiglia appartenente a un colcos... ha in proprietà personale l'impresa ausiliaria esistente sul suo appezzamento, la casa d'abitazione, il bestiame produttivo, gli animali da cortile e l'attrezzamento agricolo minuto".
Questo, naturalmente, è giusto.
Inoltre, bisognerebbe dire in modo più particolareggiato che ogni colcosiano ha in proprietà personale da una a più mucche, secondo le condizioni locali, un certo numero di pecore, di capre, di maiali (anch'essi da uno a più secondo le condizioni locali) e un numero non limitato di volatili domestici (anatre, oche, galline, tacchini).
Questi particolari hanno una grande importanza per i nostri compagni stranieri, i quali vogliono sapere con precisione che cosa è rimasto propriamente alla famiglia colcosiana in proprietà personale, dopo che da noi è stata attuata la collettivazione dell'agricoltura.
3. - Questione dell'ammontare del fitto pagato dai contadini ai proprietari fondiari, e anche dell'ammontare delle spese necessarie per acquistare la terra.
Il progetto di manuale dice che, in seguito alla nazionalizzazione della terra, "i contadini sono stati esonerati dal pagare il fitto ai proprietari fondiari per una somma che si aggira attorno ai 500 milioni di rubli annui" (si deve dire rubli "oro"). Questa cifra dovrebbe essere precisata, perché, a mio avviso, essa tiene conto dei fitti pagati non in tutta la Russia, ma solo nella maggioranza delle province della Russia. Inoltre bisogna tenere presente che in numerose regioni periferiche della Russia il fitto si pagava in natura, il che probabilmente non è stato tenuto in considerazione dagli autori del progetto di manuale. Infine bisogna tener presente che contadini non sono stati esonerati solo dal pagamento del fitto, ma anche dalle spese annue per l'acquisto della terra. Tiene conto di questo il progetto di manuale? Mi pare che non ne tiene conto, mentre lo si dovrebbe fare.
4. - Questione dell'integrazione dei monopoli nell'apparato statale.
L'espressione "integrazione" non va bene. Questa espressione rileva in modo superficiale e descrittivo l'avvicinamento fra i monopoli e lo Stato, ma non pone in luce il significato economico di questo avvicinamento. Il fatto è che, nel processo di questo avvicinamento, non si verifica solo un'integrazione, ma una subordinazione dell'apparato statale ai monopoli. Per questo bisognerebbe togliere il termine "integrazione" e sostituirlo con l'espressione "subordinazione dell'apparato statale ai monopoli".
5. - Questione dell'impiego delle macchine nella Urss.
Nel progetto di manuale è detto che "nell'Urss le macchine vengono impiegate in tutti i casi in cui assicurano alla società un risparmio di lavoro". Non è affatto questo che si doveva dire. In primo luogo, le macchine nell'Urss assicurano sempre alla società un risparmio di lavoro, per cui non conosciamo casi in cui esse, nelle condizioni dell'Urss, non assicurino alla società un risparmio di lavoro. In secondo luogo, le macchine non solo assicurano un risparmio di lavoro ma in pari tempo facilitano il lavoro dei lavoratori, per cui, nelle nostre condizioni, a differenza di quanto accade nelle condizioni del capitalismo, gli operai utlizzano con grande entusiasmo le macchine nel processo lavorativo.
Si dovrebbe dire perciò che in nessun paese le macchine vengono impiegate così volentieri come nell'Urss, poiché le macchine assicurano alla società un risparmio di lavoro e facilitano il lavoro degli operai, e siccome nell'Urss non esiste disoccupazione, gli operai utilizzano con grande entusiasmo le macchine nell'economia nazionale.
6. - Questione della situazione materiale della classe operaia nei paesi capitalistici.
Quando si parla della situazione materiale della classe operaia, si allude comunemente agli operai occupati nella produzione e non si tiene conto della situazione materiale del cosiddetto esercito di riserva dei disoccupati. è giusto questo modo di considerare la questione della situazione materiale della classe operaia? Ritengo che non è giusto. Se esiste un esercito di riserva dei disoccupati, i cui componenti non possono vivere che vendendo la loro forza di lavoro, i disoccupati non possono non far parte della classe operaia; ma se essi fanno parte della classe operaia, la loro situazione di miseria non può non influire sulla situazione materiale degli operai occupati nella produzione. Ritengo perciò che nel caratterizzare la situazione materiale della classe operaia nei paesi capitalistici si dovrebbe anche tener conto della situazione dell'esercito di riserva degli operai disoccupati.
7. - Questione del reddito nazionale.
Ritengo che si dovrebbe assolutamente inserire nel progetto di manuale un nuovo capitolo sul reddito nazionale.
8. - Questione del capitolo speciale del manuale su Lenin e Stalin, come fondatori dell'economia politica del socialismo.
Ritengo che il capitolo La dottrina marxista del socialismo. V. I. Lenin e G. V. Stalin fondatori dell'economia politica del socialismo debba essere tolto dal manuale. Esso è del tutto superfluo nel manuale, perché non dice nulla di nuovo e non fa che ripetere superficialmente quanto è detto più particolareggiatamente nei capitoli precedenti del manuale.
Per quanto riguarda le rimanenti questioni non ho alcuna osservazione da fare alle "proposte' dei compagni Ostrovitianov, Leontiev, Scepilov, Gatovski, ecc.
9. - Importanza internazionale di un manuale marxista di economia economica.
Ritengo che i compagni non apprezzino tutto l'importanza di un manuale marxista di economia politica. Il manuale non è solo necessario alla nostra gioventù sovietica. Esso è particolarmente necessario ai comunisti di tutti i paesi e a coloro che simpatizzano per i comunisti. I nostri compagni stranieri vogliono sapere in che modo ci siamo liberati dalla schiavitù capitalistica, in che modo abbiamo trasformato l'economia del paese nello spirito del socialismo, come abbiamo conquistato l'amicizia dei contadini; come siamo riusciti a trasformare il nostro paese ancora sino dai tempi recenti misero e debole in un paese ricco, potente, che cosa rappresentano i colcos; perché noi, nonostante la socializzazione dei mezzi di produzione, non aboliamo la produzione mercantile, la valuta, il commercio, ecc. Essi vogliono sapere tutte queste cose e molte altre non per semplice curiosità, ma per imparare da noi e mettere a profitto la nostra esperienza per il loro paese. Per questo la pubblicazione di un buon manuale marxista di economia politica ha non solo un'importanza politica interna, ma anche una grande importanza internazionale.
è necessario, per conseguenza, un manuale che possa servire da libro di consultazione quotdiana della gioventù rivoluzionaria, non solo all'interno del paese, ma anche all'estero. Non deve essere troppo voluminoso, poiché un manuale troppo voluminoso non può diventare un libro di consultazione quotidiana e sarebbe difficile assimiliarlo, venirne a capo. Deve però contenere tutto l'esenziale che si riferisce sia all'economia del nostro paese, che all'economia del capitalismo e del sistema coloniale.
Alcuni compagni hanno proposto durante la discussione di inserire nel manuale tutta una serie di nuovi capitoli: gli storici, capitoli di storia; i politici di politica, i filosofi di filosfia, gli economisti di ecoomia. Ma ciò porterebbe ad accrescere a dismisura le proporzioni del manuale. Questo, naturalmente, non si può accettarlo. Il manuale si serve del metodo storico per illustrare i problemi dell'economia politica, ma questo non significa ancora che dobbiamo trasformare un manuale di economia politica in una storia dei rapporti economici.
Ci serve un manuale di 500, al massimo 600 pagine - non di più. Il manuale sarà un volume di consultazione quotidiana per l'economia politica marxista e un buon regalo ai giovani comunisti di tutti i paesi.
Del resto, dato l'insufficiente livello di sviluppo marxista della maggior parte dei partiti comunisti dei paesi esteri, questo manuale potrebbe anche essere di grande aiuto ai quadri comunisti anziani di questi paesi.
10. - Metodi per migliorare il progetto di manuale di economia politica.
Alcuni compagni, durante la discussione, "si sono scagliati" con eccessivo accanimento contro il progetto di manuale, hanno rimproverato ai suoi autori errori e omissioni, hanno affermato che il progetto non è riuscito. Questo non è giusto. Naturalmente il manuale ha errori e omissioni - essi vi sono quasi sempre in un grande lavoro. Ma comunque stiano queste cose, la stragrande maggioranza di coloro che hanno preso parte alla discussione ha riconosciuto tuttavia che il progetto di manuale può servire di base per un futuro manuale e ha solo bisogno di alcune correzioni e aggiunte. In realtà, basta solo paragonare il progetto di manuale ai manuali di economia politica che sono in circolazione, per giungere alla conclusione che il progetto di manuale è di tutta una testa superiore ai manuali esistenti. In questo è il grande merito dei suoi autori.
Ritengo che per migliorare il progetto di manuale si dovrebbe nominare una commissione poco numerosa, includendovi non solo gli autori del manuale e non solo coloro che condividono l'opinione della maggioranza degli intervenuti nella discussione, ma anche degli avversari della maggioranza, critici accesi del progetto di manuale.
Sarebbe bene includere nella commissione anche un esperto studioso di statistica per controllare i dati e arricchire il progetto di nuovi materiali statistici, e anche un esperto di diritto per verificare l'esattezza di certe formulazioni.
I membri della commissione dovrebbero essere per un certo tempo esonerati da qualsiasi altro lavoro e liberati completamente da qualsiasi preoccupazione materiale, affinché possano dedicarsi interamente al lavoro del manuale.
Inoltre si dovrebbe nominare una commissione di redazione formata, poniamo, da tre membri, incaricata di dare al manuale la redazione definitiva. Questo è indispensabile anche per ottenere quella uniformità di stile che, purtroppo, manca al progetto di manuale.
Il termine entro cui presentare il manuale al Comitato centrale dovrebbe essere un anno.

1° febbraio 1952
G. Stalin

Risposta al comp. Alessandro Ilic Notkin
Compagno Notkin!
Non mi sono affrettato a rispondere perché le questioni da Voi poste, a mio avviso, non sono urgenti, tanto più che esistono altre questioni aventi carattere d'urgenza che, naturalmente, distolgono la mia attenzione dalla vostra lettera.
Rispondo secondo i vari punti.

Sul primo punto.
Nelle Osservazioni si trova la nota affermazione che la società non è importante di fronte alle leggi della scienza, che gli uomini, conosciute le leggi economiche, possono utilizzarle nell'interesse della società. Voi dite che questa affermazione non può essere estesa alle altre formazioni sociali, che può avere vigore solo nel socialismo e nel comunismo, che il carattere spontaneo dei processi economici, per esempio nel capitalismo, non permette alla società di utilizzare le leggi economiche a proprio vantaggio.
Questo non è vero. Nell'epoca della rivoluzione borghese, per esempio, in Francia la borghesia utilizzò contro il feudalesimo la nota legge della necessaria corrispondenza dei rapporti di produzione al carattere delle forze produttive, rovesciò i rapporti di produzione feudali, creò i nuovi rapporti di produzione borghesi e fece sì che questi rapporti di produzione corrispondessero al carattere delle forze produttive, cresciute in seno al regime feudale. La borghesia fece questo non grazie a sue particolari capacità, ma perché vi era interessata in modo vitale. I feudatari resistettero non per loro ottusità, ma perché erano in modo vitale interessati a impedire la attuazione di questa legge.
Lo stesso si deve dire della rivoluzione socialista nel nostro paese. La classe operaia ha utilizzato la legge della necessaria corrispondenza dei rapporti di produzione al carattere delle forze produttive, ha rovesciato i rapporti di produzione borghesi, ha creato nuovi rapporti di produzione, socialisti, e ha fatto sì che corrispondessero al carattere delle forze produttive. Essa ha potuto fare questo non grazie a sue particolari capacità, ma perché vi era interessata in modo vitale. La borghesia, che da forza di avanguardia quale era all'alba della rivoluzione borghese si era già trasformata in forza controrivoluzionaria, resistette con ogni mezzo all'attuazione di questa legge, - resistette non perché fosse male organizzata e neanche perché il carattere spontaneo dei processi economici la spingesse a resistere, ma principalmente perché essa era in modo vitale interessata a opporsi all'attuazione di questa legge.
Per conseguenza:
1) l'utilizzazione dei processi economici, delle leggi economiche nell'interesse della società si compie in una determinata misura non solo nel socialismo e nel comunismo, ma anche nelle altre formazioni;
2) l'utilizzazione delle leggi economiche ha sempre e dappertutto, in una società divisa in classi, un substrato di classe, e l'alfiere dell'utilizzazione delle leggi economiche nell'interesse della società è sempre e dappertutto la classe d'avanguardia, mentre le classi superate si oppongono.
In questo la differenza tra il proletariato, da una parte, e le altre classi dall'altra, che nel corso della storia hanno nel passato compiuto dei rivolgimenti nei rapporti di produzione, consiste nel fatto che gli interessi di classe del proletariato si fondono con gli interessi della stragrande maggioranza della società, perché la rivoluzione del proletariato non significa la soppressione di questa o quella forma di sfruttamento, ma la soppressione di qualsiasi sfruttamento, mentre le rivoluzioni delle altre classi, distruggendo solo questa o quella forma di sfruttamento, sono rimaste circoscritte nell'ambito dei loro ristretti interessi di classe, in contrasto con gli interessi della maggioranza della società.
Nelle Osservazioni si parla del substrato di classe della utilizzazione delle leggi economiche nell'interesse della società. In essi si dice che "a differenza delle leggi delle scienze naturali, dove la scoperta e l'applicazione di una nuova legge hanno luogo in modo più o meno pacifico, nel campo economico la scoperta e l'applicazione di una nuova legge la quale urti gli interessi delle forze della società che hanno fatto il loro tempo, incontrano una fortissima resistenza da parte di queste forze". Però voi non avete fatto attenzione a questo.

Sul secondo punto.
Voi affermate che una piena corrispondenza dei rapporti di produzione al carattere delle forze produttive può essere raggiunta soltanto nel socialismo e nel comunismo, mentre nelle altre formazioni può essere attuata solo una corrispondenza incompleta.
Ciò non è vero. Nell'epoca successiva alla rivoluzione borghese, quando la borghesia distrusse i rapporti di produzione feudali e creò i rapporti di produzione borghesi, vi sono stati certamente dei periodi in cui i rapporti di produzione borghesi erano pienamente conformi al carattere delle forze produttive. Se così non fosse stato, il capitalismo non avrebbe potuto svilupparsi con la rapidità con cui si è sviluppato dopo la rivoluzione borghese.
Inoltre, non si possono intendere in senso assoluto le parole "piena corrispondenza". Non si possono intendere nel senso che nel socialismo non esista nessun ritardo dei rapporti di produzione rispetto allo sviluppo delle forze produttive. Le forze produttive sono le forze più mobili e rivoluzionarie della produzione. Esse precedono indiscutibilmente i rapporti di produzione anche nel socialismo. I rapporti di produzione, sia pure soltanto per un certo periodo di tempo, si modificano in conformità con il carattere delle forze produttive.
Come bisogna quindi intendere le parole "piena corrispondenza"? Bisogna intenderle nel senso che nel socialismo di solito non si giunge sino a un conflitto tra i rapporti di produzione e le forze produttive, nel senso che la società ha la possibilità di rendere tempestivamente conformi al carattere delle forze produttive i rapporti di produzione in ritardo. La società socialista ha la possibilità di fare questo, perché non ha nel suo seno classi sorpassate, capaci di organizzare una resistenza. Naturalmente, anche nel socialismo vi saranno forze inerti e arretrate, che non comprenderanno la necessità di modificare i rapporti di produzione ma, naturalmente, non sarà difficile superarle, senza giungere sino a un conflitto.

Sul terzo punto.
Dalle vostre osservazioni risulta che voi considerate i mezzi di produzione, e prima di tutto gli strumenti di produzione, prodotti dalle nostre aziende nazionalizzate, come merce.
E' possibile considerare i mezzi di produzione, nel nostro regime socialista, come merce? Secondo me, non è assolutamente possibile.
La merce è un prodotto della produzione, che viene venduto a qualsiasi acquirente, e quando la merce viene venduta il proprietario della merce perde il diritto di proprietà su di essa e l'acquirente diventa proprietario della merce, che può rivendere, impegnare e far marcire. Rientrano anche i mezzi di produzione in questa definizione? E' chiaro che non vi rientrano. In primo luogo, i mezzi di produzione non "sono venduti" a qualsiasi acquirente; non "sono venduti" neppure ai colcos, ma vengono soltanto distribuiti dallo Stato tra le sue aziende. In secondo luogo, il proprietario dei mezzi di produzione, lo Stato, nel consegnarli all'una o all'altra azienda non perde in alcun modo il diritto di proprietà sui mezzi di produzione, ma al contrario lo conserva interamente. In terzo luogo, i direttori delle aziende, che hanno ricevuto dallo Stato i mezzi di produzione, non solo non ne divengono proprietari, ma al contrario sono considerati come incaricati dallo Stato sovietico di utilizzare i mezzi di produzione, in conformità con i piani stabiliti dallo Stato.
E' quindi evidente che i mezzi di produzione non possono nel nostro regime rientrare in alcun modo nella categoria delle merci.
Perché dunque in questo caso si parla di valore dei mezzi di produzione, del loro costo, del loro prezzo, ecc.?
Per due ragioni.
In primo luogo ciò è necessario per calcolare, per fare i conti, per definire la redditività e la passività delle aziende, per verificare e controllare le aziende. Ma questo è soltanto un lato formale della questione.
In secondo luogo ciò è necessario per realizzare la vendita dei mezzi di produzione a Stati stranieri, nell'interesse del commercio estero. Qui nel campo del commercio estero, ma solo in questo campo, i nostri mezzi di produzione sono effettivamente merci e vengono effettivamente venduti (senza virgolette).
Ne consegue dunque che nel campo del commercio estero i mezzi di produzione prodotti dalle nostre aziende conservano le caratteristiche delle merci sia per la sostanza che per la forma, mentre nel campo della circolazione economica all'interno del paese i mezzi di produzione perdono le caratteristiche delle merci, cessano di essere merci ed escono dai limiti della sfera d'azione della legge del valore, conservando solo la forma esteriore delle merci (calcolo, ecc.).
Come si spiega questa particolarità?
Il fatto è che nelle nostre condizioni socialiste lo sviluppo economico non si attua mediante rivoluzioni, ma attraverso modificazioni graduali; il vecchio non viene semplicemente liquidato, ma modifica la sua natura, in relazione al nuovo, conservando soltanto la sua forma, mentre il nuovo non distrugge semplicemente il vecchio, ma penetra in esso, modifica la sua natura, le sue funzioni, senza distruggerne la forma, ma impiegandola per lo sviluppo del nuovo. Così stanno le cose non solo riguardo alle merci, ma anche riguardo al denaro nella nostra circolazione economica, così stanno le cose riguardo alle banche, le quali perdendo le loro vecchie funzioni e assumendone nuove, conservano la vecchia forma, che viene utilizzata dal regime socialista.
Se esaminiamo la questione guardando alla forma, ai processi che si compiono alla superficie dei fenomeni, si può giungere alla conclusione errata che le categorie del capitalismo conservino vigore nella nostra economia. Se invece esaminiamo la cosa attraverso un'analisi marxista, che stabilisce una rigorosa differenza tra il contenuto del processo economico e la sua forma, tra i processi di fondo dello sviluppo e i fenomeni superficiali, allora si può giungere all'unica conclusione giusta che delle vecchie categorie del capitalismo si è conservata da noi principalmente la forma, l'immagine esterna, mentre esse sono state radicalmente modificate nella sostanza in connessione con le esigenze di sviluppo dell'economia nazionale socialista.

Sul quarto punto.
Voi affermate che la legge del valore esercita una influenza regolatrice sui prezzi dei "mezzi di produzione" prodotti dall'agricoltura e consegnati allo Stato a prezzi di ammasso. Dicendo questo vi riferite a "mezzi di produzione", quali sono le materie prime, ad esempio il cotone. Potreste aggiungere anche il lino, la lana e altre materie prime prodotte dall'agricoltura.
Bisogna anzitutto osservare che in questo caso l'agricoltura non produce "mezzi di produzione" ma uno dei mezzi di produzione, le materie prime. Non si deve giocare con le parole "mezzi di produzione". Quando i marxisti parlano di produzione dei mezzi di produzione, essi si riferiscono anzitutto alla produzione degli strumenti della produzione, a ciò che Marx chiama "i mezzi meccanici di lavoro, il cui insieme può essere detto sistema osseo e muscolare della produzione", che costituiscono "gli elementi caratteristici e distintivi di una determinata epoca della produzione sociale". Porre sullo stesso piano una parte dei mezzi di produzione (le materie prime) e i mezzi di produzione, quindi anche gli strumenti della produzione, significa peccare contro il marxismo, poiché il marxismo muove dalla funzione determinante degli strumenti della produzione rispetto a tutti gli altri mezzi di produzione. E' a tutti noto che le materie prime di per sé non possono produrre strumenti della produzione, anche se alcuni tipi di materie prime sono necessari come materiali per la produzione degli strumenti della produzione, mentre nessuna materia prima può essere prodotta senza strumenti di produzione.
Procediamo. Vi è un'influenza della legge del valore sul prezzo delle materie prime prodotte nell'agricoltura, un influenza regolatrice, come affermate voi, compagno Notkin? Essa sarebbe regolatrice se da noi esistesse il "libero" gioco dei prezzi delle materie prime agricole, se da noi agisse la legge della concorrenza e dell'anarchia della produzione, se da noi non vi fosse un'economia pianificata, se la produzione delle materie prime non fosse regolata da un piano. Ma poiché tutti questi "se" mancano nel sistema della nostra economia nazionale, l'influenza della legge del valore sul prezzo delle materie prime agricole non può essere in nessun modo regolatrice. In primo luogo, da noi i prezzi delle materie prime agricole sono fissi, stabiliti dal piano, e non "liberi". In secondo luogo, le dimensioni della produzione delle materie prime agricole non sono determinate da fattori naturali o da qualsiasi altro elemento casuale, ma dal piano. In terzo luogo, gli strumenti di produzione, necessari per la produzione delle materie prime agricole non sono concentrati nelle mani di singole persone o di gruppi di persone, ma nelle mani dello Stato. Che cosa rimane dopo ciò della funzione regolatrice della legge del valore? Risulta che la legge stessa del valore è regolata dai fatti sopra indicati, propri della produzione socialista.
Non è quindi possibile negare che la legge del valore agisce sulla formazione dei prezzi delle materie prime agricole, che essa ne sia uno dei fattori. Ma a maggior ragione è innegabile che questa influenza non è e non può essere determinante.

Sul quinto punto.
Parlando del rendimento dell'economia nazionale socialista ho sollevato obiezioni nelle mie Osservazioni ad alcuni compagni, i quali affermano che, poiché la nostra economia nazionale pianificata non dà una grande preferenza alle aziende redditizie e tollera l'esistenza, accanto a queste aziende, anche di aziende non redditizie, essa ucciderebbe il principio stesso del rendimento nell'economia. Nelle Osservazioni è detto che il rendimento per le aziende e i settori di produzione singoli non è in alcun modo paragonabile a quel tipo superiore di rendimento che ci offre la produzione socialista, liberandoci dalle crisi di sovraproduzione e garantendoci un aumento continuo della produzione.
Ma sarebbe errato trarre da ciò la conclusione che il rendimento di aziende e settori di produzione singoli non abbia un particolare valore e non meriti che gli si presti seria attenzione. Questo, naturalmente, non è vero. La redditività di aziende e settori di produzione singoli ha una enorme importanza per lo sviluppo della nostra produzione. Essa deve essere presa in considerazione sia nella pianificazione delle costruzioni, che nella pianificazione della produzione. Essa è l'abicì della nostra attività economica nell'attuale tappa di sviluppo.

Sul sesto punto.
Non è chiaro come si debbano intendere le vostre parole relative al capitalismo; "Produzione allargata in forma molto deformata". E' necessario dire che simili produzioni, e per di più allargate, non esistono nel mondo.
E' evidente che, dopo che il mercato mondiale si è diviso e la sfera di applicazione delle forze dei principali paesi capitalistici (Stati Uniti di America, Inghilterra, Francia) alle risorse mondiali ha cominciato a ridursi, il carattere ciclico di sviluppo del capitalismo - aumento e contrazione della produzione - deve tuttavia conservarsi. Ma l'aumento della produzione in questi paesi si verificherà su una base ristretta, poiché il volume della produzione di questi paesi si ridurrà.

Sul settimo punto.
La crisi generale del sistema capitalistico mondiale è cominciata nel periodo della prima guerra mondiale, particolarmente in seguito al distacco dell'Unione Sovietica dal sistema capitalistico. Questa è stata la prima tappa della crisi generale. Nel periodo della seconda guerra mondiale si è svolta la seconda tappa della crisi generale, particolarmente dopo il distacco dal sistema capitalistico dei paesi di democrazia popolare in Europa e in Asia. La prima crisi nel periodo della prima guerra mondiale e la seconda crisi nel periodo della seconda guerra mondiale non debbono essere considerate come crisi isolate, staccate l'una dall'altra, autonome, ma come tappe di sviluppo della crisi generale del sistema capitalistico mondiale.
E' la crisi generale del capitalismo mondiale soltanto una crisi politica o soltanto una crisi economica? Né l'una cosa né l'altra. Essa è una crisi generale, ossia multilaterale, del sistema mondiale del capitalismo, e abbraccia tanto l'economia quanto la politica. Si capisce quindi che alla base di essa sta la disgregazione sempre più accentuata del sistema economico mondiale del capitalismo da una parte e la potenza economica crescente dei paesi staccatisi dal capitalismo, l'Urss, la Cina, e gli altri paesi di democrazia popolare, dall'altra parte.
21 aprile 1952
G. Stalin

Sugli errori del comp. L. D. Iaroscenko

Il compagno Iaroscenko ha recentemente distribuito ai membri dell'Ufficio politico del Comitato centrale del PC(b) dell'Urss una lettera in data 20 marzo di quest'anno, concernente numerose questioni economiche dibattute durante la nota discussione di novembre. Nella lettera ci si duole che i principali documenti nei quali si traggono le conclusioni generali della discussione, come anche le Osservazioni del compagno Stalin, "non hanno tenuto in minimo conto l'opinione" del compagno Iaroscenko. La lettera contiene inoltre la proposta del compagno Iaroscenko di autorizzarlo a redigere una Economia politica del socialismo entro il termine di un anno o di un anno e mezzo, dandogli due collaboratori per tale lavoro.
Penso che si debbano esaminare nella sostanza sia le lagnanze del compagno Iaroscenko, che la sua proposta.
Cominciamo dalle lagnanze.
In che consiste dunque "il punto di vista" del compagno Iaroscenko che non è stato tenuto in minimo conto dai documenti suddetti?

1. - L'errore principale del compagno Iaroscenko.
Se si vuole caratterizzare in due parole l'opinione del compagno Iaroscenko, bisogna dire che essa non è marxista e, per conseguenza, è profondamente erronea.
L'errore principale del compagno Iaroscenko è di allontanarsi dal marxismo nella questione della funzione delle forze produttive e dei rapporti di produzione nello sviluppo della società, di sopravvalutare in modo eccessivo la funzione delle forze produttive, di sottovalutare in modo altrettanto eccessivo la funzione dei rapporti di produzione e di finire per dichiarare che i rapporti di produzione nel socialismo sono una parte delle forze produttive.
Il compagno Iaroscenko è d'accordo nel riconoscere ai rapporti di produzione una certa funzione nelle condizioni "di contrasti antagonistici di classe", poiché in questo caso i rapporti di produzione "sono in contrasto con lo sviluppo delle forze produttive". Ma egli limita questa funzione a un'azione negativa, di fattore che ostacola lo sviluppo delle forze produttive, ne incatena lo sviluppo. Altre funzioni, funzioni in qualche modo positive dei rapporti di produzione, il compagno Iaroscenko non ne vede.
Per quanto riguarda il regime socialista, nel quale non esistono più "contrasti antagonistici di classe" e nel quale i rapporti di produzione "non sono più in contrasto con lo sviluppo delle forze produttive", il compagno Iaroscenko ritiene che qui scompare qualsiasi funzione autonoma dei rapporti di produzione, i rapporti di produzione cessano di essere un serio fattore di sviluppo e vengono assorbiti dalle forze produttive come una parte dal tutto. Nel socialismo "i rapporti di produzione degli uomini - dice il compagno Iaroscenko - fanno parte dell'organizzazione delle forze produttive, come un mezzo, come un elemento di questa organizzazione" (vedi lettera del compagno Iaroscenko all'Ufficio politico del Comitato centrale).
Qual è in tal caso il compito principale dell'economia politica del socialismo? Il compagno Iaroscenko risponde: "Il problema principale dell'economia politica del socialismo non è perciò di studiare i rapporti di produzione degli uomini della società socialista, ma di elaborare e sviluppare una teoria scientifica dell'organizzazione delle forze produttive nella produzione sociale, una teoria della pianificazione dello sviluppo dell'economia" (vedi discorso del compagno Iaroscenko alla riunione dell'assemblea plenaria per la discussione).
Così appunto si spiega che il compagno Iaroscenko non si occupi di questioni economiche del regime socialista quali l'esistenza di forme diverse di proprietà nelal nostra economia, la circolazione mercantile, la legge del valore, ecc., considerandole questioni di second'ordine, che provocano soltanto discussioni scolastiche. Egli dichiara apertamente che nella sua Economia politica del socialismo "la discussioni sulla funzione di questa o quella categoria dell'economia politica del socialismo - quali il valore, la merce, il denaro, il credito, ecc. - che spesso assumono da noi un carattere scolastico, vengono sostituite da sani ragionamenti sull'organizzazione razionale delle forze produttive nella produzione sociale, dalla giustificazione scientifica di questa organizzazione" (vedi discorso del compagno Iaroscenko alla riunione dell'assemblea plenaria per la discussione).
Quindi, economia politica senza problemi economici.
Il compagno Iaroscenko pensa che basti istaurare "un'organizzazione razionale delle forze produttive", perché il passaggio dal socialismo al comunismo avvenga senza particolari difficoltà. Egli ritiene che questo sia del tutto sufficiente per passare al comunismo. Egli dichiara apertamente che "nel socialismo la lotta essenziale per edificare la società comunista si riduce alla lotta per organizzare giustamente le forze produttive e utilizzarle razionalmente nella produzione sociale" (vedi discorso alla riunione dell'assemblea plenaria per la discussione). Il compagno Iaroscenko proclama solennemente che "il comunismo è la più alta organizzazione scientifica delle forze produttive nella produzione sociale".
Ne deriva, a quanto pare, che l'essenza del regime comunista si esaurisce nell'"organizzazione razionale delle forze produttive".
Da tutto questo il compagno Iaroscenko trae la conclusione che non può esistere un'unica economia politica per tutte le formazioni sociali, che vi devono essere due economie politiche: una per le formazioni sociali presocialistiche, che ha per oggetto lo studio dei rapporti di produzione degli uomini, l'altra per il regime socialista, che non deve avere come oggetto lo studio dei rapporti di produzione, vale a dire economici, ma lo studio delle questioni dell'organizzazione razionale delle forze produttive.
Questa è l'opinione del compagno Iaroscenko.
Che cosa si può dire di questa opinione?
Non è vero, prima di tutto, che la funzione dei rapporti di produzione nella storia della società sia soltanto una funzione di freno, che incateni lo sviluppo delle forze produttive. Quando i marxisti parlano della funzione di freno dei rapporti di produzione, essi non pensano a qualsiasi genere di rapporti di produzione, ma solo ai vecchi rapporti di produzione che non corrispondono più alla crescita delle forze produttive, e quindi ne frenano lo sviluppo. Ma oltre ai vecchi rapporti di produzione esistono, come è noto, nuovi rapporti di produzione che sostituiscono i vecchi. Si può dire che la funzione dei nuovi rapporti di produzione si riduca a essere una funzione di freno delle forze produttive? No, non lo si può dire. Al contrario, i nuovi rapporti di produzione sono la forza principale e decisiva, che determina appunto l'ulteriore e anche poderoso sviluppo delle forze produttive; senza questi nuovi rapporti di produzione le forze produttive sarebbero condannate alla stagnazione, come accade attualmente nei paesi capitalistici.
Nessuno può negare lo sviluppo colossale delle forze produttive della nostra industria sovietica durante i piani quinquennali. Ma questo sviluppo non si sarebbe avuto se nell'ottobre 1917 non avessimo sostituito ai vecchi rapporti di produzione capitalistici nuovi rapporti di produzione socialisti. Senza questo rivolgimento nei rapporti di produzione, economici, del nostro paese, le forze produttive avrebbero da noi stagnato così come stagnano attualmente nei paesi capitalistici.
Nessuno può negare lo sviluppo colossale delle forze produttive della nostra agricoltura negli ultimi 20-25 anni. Ma questo sviluppo non si sarebbe verificato se nel decennio 1930-1940 non avessimo sostituito ai vecchi rapporti di produzione capitalistici nelle campagne nuovi rapporti di produzione collettivistici. Senza questo rivolgimento nel campo della produzione le forze produttive della nostra agricoltura avrebbero stagnato, così come stagnano attualmente nei paesi capitalistici.
Naturalmente, i nuovi rapporti di produzione non possono restare e non restano eternamente nuovi; essi cominciano a invecchiare e a entrare in contraddizione con l'ulteriore sviluppo delle forze produttive, cominciano a perdere la funzione di propulsore principale delle forze produttive e si trasformano in freno di queste ultime. Allora, al posto di questi rapporti di produzione diventati oramai vecchi, compaiono nuovi rapporti di produzione, la funzione dei quali è di essere il propulsore principale dell'ulteriore sviluppo delle forze produttive.
Questo sviluppo originale dei rapporti di produzione dalla funzione di freno delle forze produttive alla funzione di loro propulsore principale e dalla funzione di principale propulsore a quella di freno delle forze produttive, costituisce uno degli elementi principali della dialettica materialistica marxista. Lo sanno oggi tutti coloro che hanno una preparazione marxista. Non lo sa, a quanto pare, il compagno Iaroscenko.
Non è vero, in secondo luogo, che nel socialismo la funzione autonoma dei rapporti di produzione, vale a dire economici, scompaia; che i rapporti di produzione vengano assorbiti dalle forze produttive; che nel socialismo la produzione sociale si riduca alla organizzazione delle forze produttive. Il marxismo considera la produzione sociale come un tutto, che ha due aspetti inseparabili: le forze produttive della società (rapporti della società con le forze naturali, lottando contro le quali essa si procura i beni materiali indispensabili) e i rapporti di produzione (rapporti degli uomini fra di loro nel processo produttivo). Si tratta di due diversi aspetti della produzione sociale, sebbene indissolubilmente legati fra loro. E appunto perché essi sono aspetti diversi della produzione sociale possono influenzarsi reciprocamente. Affermare che uno di questi aspetti può essere assorbito dall'altro e trasformato in sua parte integrante, significa peccare nel modo più grave contro il marxismo.
Marx dice: "Nella produzione gli uomini non influiscono solo sulla natura, ma reciprocamente fra loro. Essi non possono produrre senza associarsi in qualche modo per svolgere un'attività comune e per scambiare reciprocamente la loro attività. Per produrre, gli uomini entrano in determinati legami e rapporti e solo per il tramite di questi legami e rapporti sociali esiste il loro rapporto con la natura, ha luogo la produzione" (vedi K. Marx e F. Engels, vol. V, pag. 429, ed. russa).
Per conseguenza, la produzione sociale ha due aspetti che, pur essendo indissolubilmente legati tra loro, rispecchiano tuttavia due diversi gruppi di rapporti: i rapporti degli uomini con la natura (forze produttive) e i rapporti degli uomini tra di loro nel processo produttivo (rapporti di produzione). Soltanto la presenza di entrambi questi aspetti della produzione ci dà la produzione sociale, sia che si tratti del regime socialista o di altre formazioni sociali.
Il compagno Iaroscenko, evidentemente, non è del tutto d'accordo con Marx. Egli ritiene che questa affermazione di Marx non sia applicabile al regime socialista. Appunto perciò egli restringe il problema dell'economia politica del socialismo al compito di organizzare razionalmente le forze produttive, scartando i rapporti di produzione, i rapporti economici, e staccando da essi le forze produttive.
Per conseguenza, invece di una Economia politica marxista, il compagno Iaroscenko ci da qualcosa sul tipo della Scienza generale dell'organizzazione di Bogdanov.
In questo modo, partendo dal giusto concetto che le forze produttive sono le forze più mobili e rivoluzionarie della produzione, il compagno Iaroscenko porta questo concetto sino all'assurdo, sino a negare la funzione dei rapporti di produzione, economici, nel socialismo, per cui, al posto di una produzione sociale in tutta la sua concretezza, ci dà una tecnologia della produzione unilaterale e scheletrica, qualcosa sul tipo della "tecnica dell'organizzazione sociale" di Bukharin.
Marx dice:
"Nella produzione sociale della loro esistenza (vale a dire nella produzione dei beni materiali indispensabili all'esistenza degli uomini - G. St.) gli uomini entrano in rappporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, la base reale sulla quale si eleva una soprastruttura giuridica e poltica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale"3.
Ciò significa che ogni formazione sociale, ivi compresa anche la società socialista, ha una propria base economica, costituita dall'insieme dei rapporti di produzione degli uomini. Sorge la questione della base economica del regime socialista per il compagno Iaroscenko. Come è noto, il compagno Iaroscenko ha già liquidato nel socialismo i rapporti di produzione come campo più o meno autonomo, includendo quel poco che è rimasto di essi nell'organizzazione delle forze produttive. Si domanda se il regime socialista ha una sua propria base economica. Evidentemente, posto che nel socialismo i rapporti di produzione sono scomparsi come forze più o meno autonoma, il regime socialista resta privo di una propria base economica.
Dunque, un regime socialista senza una propria base economica. Una cosa abbastanza allegra...
è possibile in generale un regime sociale che non abbia una propria base economica? Il compagno Iaroscenko ritiene, evidentemente, che sia possibile. Il marxismo invece ritiene che al mondo non esistono simili regimi sociali.
Non è vero, infine, che il comunismo sia l'organizzazione razionale delle forze produttive, che nell'organizzazione razionale delle forze produttive si esaurisce la sostanza del regime comunista, che basti organizzare razionalmente le forze produttive per passare al comunismo senza particolari difficoltà. I nostri testi contengono un'altra definizione, un'altra formula del comunismo e precisamente la formula di Lenin: "Il comunismo è il potere sovietico più l'elettrificazione di tutto il paese". Al compagno Iaroscenko, evidentemente, non piace la formula di Lenin ed egli la sostituisce con una propria formula, di sua propria fabbricazione: "Il comunismo è la più alta organizzazione scientifica delle forze produttive nella produzione sociale".
In primo luogo, nessuno sa che cosa sia questa organizzazione "scientifica più alta" o "razionale" delle forze produttive, propagandata dal compagno Iaroscenko e quale sia il suo contenuto concreto. Il compagno Iaroscenko ripete decine di volte questa formula mitica nei suoi discorsi alla riunione plenaria e nelle riunioni di commissione, nella sua lettera ai membri dell'Ufficio politico, ma non spende mai una sola parola per cercare di spiegare come si deve intendere con precisione "l'organizzazione razionale" delle forze produttive, nelle quali si esaurirebbe la sostanza del regime comunista.
In secondo luogo, se si dovesse scegliere fra le due formule, bisognerebbe respingere non la formula di Lenin, che è l'unica giusta, ma la cosiddetta formula del compagno Iaroscenko, palesemente cervellotica e non marxista, presa dall'arsenale di Bogdanov e cioè dalla Scienza generale dell'organizzazione.
Il compagno Iaroscenko pensa che basta arrivare a un'organizzazione razionale delle forze produttive per ottenere abbondanza di prodotti e passare al comunismo, passare dalla formula: "a ognuno secondo il suo lavoro" alla formula: "a ognuno secondo i suoi bisogni". Questo è un grave errore, che denuncia una totale incomprensione delle leggi dello sviluppo economico del socialismo. Il compagno Iaroscenko concepisce le condizioni del passaggio dal socialismo al comunismo con un semplicismo eccessivo, infantile. Il compagno Iaroscenko non capisce che non si può ottenere né un'abbondanza di prodotti capace di soddisfare tutto il fabbisogno della società, né il passaggio alla formula "a ognuno secondo i suoi bisogni", sino a che continuano a sussistere fatti economici come la proprietà dei gruppi colcosiani, la circolazione mercantile, ecc. Il compagno Iaroscenko non capisce che prima di passare alla formula "a ognuno secondo i suoi bisogni", bisogna percorrere numerose tappe di rieducazione economica e culturale della società, durante le quali il lavoro, da mezzo che provvede esclusivamente al mantenimento in vita, verrà trasformato, agli occhi della società, nella prima esigenza vitale e la proprietà sociale in base incrollabile e intangibile di esistenza della società.
Per preparare il passaggio effettivo al comunismo, e non soltanto proclamarlo, bisogna realizzare almeno tre condizioni preliminari fondamentali.
1. - è necessario, in primo luogo, assicurare saldamente non una mitica "organizzazione razionale" delle forze produttive, ma uno sviluppo ininterrotto di tutta la produzione sociale e uno sviluppo prevalente della produzione dei mezzi di produzione. Lo sviluppo prevalente della produzione dei mezzi di produzione è necessario non solo perché deve assicurare l'attrezzatura sia delle proprie aziende che delle aziende di tutte le altre branche dell'economia nazionale, ma anche perché senza di esso non è possibile in genere realizzare la riproduzione allargata.
2. - è necessario, in secondo luogo, mediante passaggi graduali, attuati a vantaggio dei colcos e quindi di tutta la società, elevare la proprietà colcosiana fino al livello di proprietà di tutto il popolo e sostituire alla circolazione mercantile, anche qui mediante passaggi graduali, un sistema di scambio dei prodotti in modo tale che il potere centrale o qualsiasi altro centro economico-sociale possa abbracciare tutto il prodotto della produzione sociale nell'interesse della società.
Il compagno Iaroscenko sbaglia affermando che nel socialismo non esiste nessuna contraddizione tra i rapporti di produzione e le forze produttive della società. Naturalmente, i nostri attuali rapporti di produzione attraversano un periodo in cui, corrispondendo appieno alla crescita delle forze produttive, le fanno procedere in avanti a passi da giganti. Ma non sarebbe giusto accontentarsi di questo e ritenere che non esista nessuna contraddizione tra le nostre forze produttive e i rapporti di produzione. Contraddizioni esistono senz'altro ed esisteranno, in quanto lo sviluppo dei rapporti di produzione ritarda e ritarderà rispetto allo sviluppo delle forze produttive. Con una giusta politica degli organismi dirigenti queste contraddizioni non possono trasformarsi in contrasto, e non si può giungere a un conflitto tra i rapporti di produzione e le forze produttive della società. Ma non sarebbe così se facessimo una politica sbagliata, del genere di quella raccomandata dal compagno Iaroscenko. In tal caso il conflitto sarebbe inevitabile, e i nostri rapporti di produzione potrebbero trasformarsi in un freno molto serio dell'ulteriore sviluppo delle forze produttive.
Per questo il compito degli organismi dirigenti consiste nell'individuare tempestivamente le contraddizioni che sorgono e nel prendere tempestivamente le misure per superarle mediante l'adeguamento dei rapporti di produzione allo sviluppo delle forze produttive. Questo si riferisce prima di tutto a fenomeni economici come la proprietà di gruppo colcosiana e la circolazione mercantile. Naturalmente, nel momento attuale questi fenomeni vengono da noi utilizzati con successo per sviluppare la economia socialista ed essi recano alla nostra società un utile indubbio. Non v'è dubbio che recheranno qusta utilità anche nel prossimo futuro; ma sarebbe una cecità imperdonabile non vedere che in pari tempo questi fenomeni cominciano già adesso a frenare il potente sviluppo delle nostre forze produttive, in quanto creano ostacoli alla completa estensione a tutta l'economia nazionale, in modo particolare all'agricoltura, della pianificazione statale. Non vi può essere dubbio che più si andrà avanti e più questi fenomeni freneranno l'ulteriore sviluppo delle forze produttive del nostro paese. Di conseguenza, il compito consiste nel liquidare queste contraddizioni mediante la trasformazione graduale della proprietà colcosiana in proprietà di tutto il popolo e mediante l'introduzione - anch'essa graduale - dello scambio dei prodotti invece della circolazione mercantile.
3. - è necessario, in terzo luogo, raggiungere un tale sviluppo culturale della società che assicuri a tutti i membri della società uno sviluppo completo delle loro capacità fisiche e intellettuali, affinché i membri della società possano ricevere un'istruzione sufficiente per diventare attivi fattori dello sviluppo sociale, abbiano la possibilità di scegliere liberamente una professione, non siano inchiodati per tutta la vita, in seguito alla sussistente divisione del lavoro, a una professione qualsiasi.
Che cosa occorre per questo?
Non sarebbe giusto pensare che si possa conseguire un tale importante sviluppo culturale dei membri della società senza seri cambiamenti nell'attuale situazione del lavoro. Per questo occorre prima di tutto diminuire la giornata lavorativa per lo meno sino a sei e poi a cinque ore. Ciò è necessario affinché i membri della società abbiano abbastanza tempo libero per ricevere un'istruzione completa. Per questo occorre, poi, rendere obbligatoria l'istruzione politecnica necessaria perché i membri della società abbiano la possibilità di scegliere liberamente una professione e di non essere inchiodati per tutta la vita a una professione qualsiasi. Per questo occorre, inoltre, migliorare in modo radicale le abitazioni ed aumentare il salario reale degli operai e degli impiegati di almeno due volte, se non più, sia mediante l'aumento diretto del salario, sia, in modo particolare, mediante l'ulteriore sistematica diminuzione dei prezzi degli articoli di largo consumo.
Tali sono le condizioni fondamentali della preparazione del passaggio al comunismo.
Soltanto dopo l'attuazione di tutte queste condizioni preliminari prese assieme si potrà sperare che il lavoro, agli occhi dei membri della società, non sarà più un peso ma la "prima necessità dell'esistenza" (Marx), che "il lavoro da pesante fardello si trasformerà in una gioia" (Engels), che la proprietà sociale sarà considerata da tutti i membri della società come base incrollabile e inviolabile dell'esistenza della società stessa.
Soltanto dopo l'attuazione di tutte queste condizioni preliminari prese assieme si potrà passare dalla formula socialista: "Da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro" alla formula comunista: "Da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni".
Questo sarà il passaggio radicale da una economia, dall'economia del socialismo, a un'altra economia, più alta, all'economia del comunismo.
Come si vede, il passaggio dal socialismo al comunismo non è tanto semplice, come se lo immagina il compagno Iaroscenko.
Tentare di ridurre tutta questa questione complessa e multiforme, che esige seri cambiamenti economici, "all'organizzazione razionale delle forze produttive" come fa il compagno Iaroscenko, significa sostituire al marxismo una pensata degna di un Bogdanov.
2. - Altri errori del compagno Iaroscenko.
1. - Il compagno Iaroscenko trae dalla sua opinione sbagliata conclusioni sbagliate circa il carattere e l'oggetto dell'economia politica.
Il compagno Iaroscenko nega la necessità di una economia politica unica per tutte le formazioni sociali, partendo dal fatto che ogni formazione sociale ha le sue leggi economiche specifiche. Ma non ha affatto ragione, e dissente in questo da marxisti come Engels e Lenin.
Engels dice che l'economia politica è "la scienza delle condizioni e delle forme nelle quali hanno luogo la produzione e lo scambio nelle diverse società umane e nelle quali, in relazione con questo, in ogni caso avviene la distribuzione dei prodotti" (Antidühring). Di conseguenza, l'economia politica studia le leggi dello sviluppo economico non solo di una formazione sociale, ma delle varie formazioni sociali.
In questo, come è noto, è pienamente d'accordo Lenin, il quale, nelle sue osservazioni critiche al libro di Bukharin L'economia del periodo di transizione, ha detto che Bukharin ha torto di restringere la sfera d'azione dell'economia politica alla produzione mercantile e particolarmente alla produzione capitalistica, rilevando in pari tempo che Bukharin compie qui "un passo indietro rispetto a Engels".
A ciò corrisponde pienamente la definizione dell'economia politica data nel progetto del manuale di economia politica, dove è detto che l'economia politica è la scienza che studia "le leggi della produzione sociale e della distribuzione dei beni materiali nelle varie fasi di sviluppo della società umana".
E ciò è comprensibile. Le varie formazioni sociali nel loro sviluppo economico sono soggette non solo alle loro leggi economiche specifiche, ma anche a quelle leggi economiche che sono comuni a tutte le formazioni, ad esempio, a leggi come quella dell'unità delle forze produttive e dei rapporti di produzione in una produzione sociale unica, come la legge sui rapporti tra le forze produttive e i rapporti di produzione nel processo di sviluppo di tutte le formazioni sociali.
Le formazioni sociali non sono dunque soltanto divise l'una dall'altra dalle proprie leggi specifiche, ma sono anche legate l'una all'altra da leggi economiche comuni a tutte le formazioni.
Engels aveva ragione quando diceva:
"Per effettuare compiutamente questa critica della economia borghese, non era sufficiente la conoscenza della forma capitalistica della produzione, dello scambio e della distribuzione. Si dovevano del pari indagare e raffrontare, almeno nelle loro grandi linee, le forme che l'hanno preceduta o che accanto ad essa sussistono ancora in paesi meno sviluppati".4
è evidente che qui, in questa questione, il compagno Iaroscenko riecheggia Bukharin.
Proseguiamo. Il compagno Iaroscenko afferma che nella sua Economia politica del socialismo "le categorie dell'economia politica - il valore, la merce, il denaro, il credito, ecc. - sono sostituite da sensati ragionamenti sull'organizzazione razionale delle forze produttive nella produzione sociale", che di conseguenza oggetto di questa economia politica non sono i rapporti di produzione del socialismo, ma "la elaborazione e lo sviluppo della teoria scientifica dell'organizzazione delle forze produttive, della teoria della pianificazione dell'economia nazionale ecc.", che i rapporti di produzione nel socialismo perdono la loro funzione autonoma e vengono assorbiti dalle forze produttive, come loro parte integrante.
Bisogna dire che da noi un tale miscuglio di assurdità non era stato ancora messo alla luce da nessun "marxista" fuori senno. Infatti che cosa significa una economia politica del socialismo senza problemi economici, senza problemi della produzione? Esiste al mondo siffatta economia politica? Cosa significa sostituire nell'economia politica del socialismo ai problemi economici i problemi di organizzazione delle forze produttive? Significa liquidare l'economia politica del socialismo. Il compagno Iaroscenko procede proprio in questo modo: - egli liquida l'economia politica del socialismo. Qui egli fa tutt'uno con Bukharin. Bukharin diceva che, con la distruzione del capitalismo, deve andare distrutta l'economia politica. Il compagno Iaroscenko non dice questo, ma lo fa, liquidando l'economia politica del socialismo. E' vero che, ciò facendo, egli finge di non essere pienamente d'accordo con Bukharin, ma è un'astuzia, è un'astuzia che non vale un soldo. In realtà, egli fa ciò che predicava Bukharin e contro cui prese posizione Lenin. Il compagno Iaroscenko calca le orme di Bukharin.
Proseguiamo. Il compagno Iaroscenko riduce i problemi dell'economia politica del socialismo ai problemi dell'organizzazione razionale delle forze produttive, ai problemi della pianificazione dell'economia nazionale, ecc. Ma egli sbaglia di grosso. I problemi dell'organizzazione razionale delle forze produttive, della pianificazione dell'economia nazionale ecc., non sono oggetto dell'economia politica, ma oggetto della politica economica degli organismi dirigenti. Si tratta di due campi diversi, che non si devono confondere. Il compagno Iaroscenko ha confuso queste due cose diverse ed è caduto in un pasticcio. L'economia politica studia le leggi di sviluppo dei rapporti di produzione tra gli uomini. La politica economica trae da questo studio conclusioni pratiche, le concretizza e imposta su questo il proprio lavoro quotidiano. Far gravare sull'economia politica le questioni della politica economica significa rovinarla come scienza.
Oggetto dell'economia politica sono i rapporti economici, i rapporti di produzione tra gli uomini. Questo comprende: a) le forme della proprietà sui mezzi di produzione; b) la conseguente situazione dei vari gruppi sociali nella produzione e i rapporti reciproci tra di essi, oppure, come dice Marx, "il reciproco scambio della loro attività"; c) le forme della distribuzione dei prodotti, che ne dipendono interamente. Tutto ciò è, nel suo insieme, oggetto dell'economia politica.
In questa definizione manca la parola "scambio", che vi è nella definizione di Engels. Essa manca, perché "scambio" viene di solito inteso da molti come scambio di merci, proprio non di tutte, ma soltanto di alcune formazioni sociali, il che a volte genera malintesi, benché Engels con la parola "scambio" non intendesse soltanto lo scambio delle merci. Però, come è evidente, ciò che Engels intendeva con la parola "scambio" ha trovato il suo posto nella definizione citata sopra, ne fa parte integrante. Di conseguenza, per il suo contenuto questa definizione dell'oggetto dell'economia politica corrisponde pienamente alla definizione di Engels.
2. - Quando si parla della legge economica fondamentale di questa o di quella formazione sociale, di solito si parte dal fatto che questa formazione non può avere più leggi economiche fondamentali, che può avere soltanto una determinata legge economica fondamentale unica, appunto perché essa è fondamentale. In caso contrario avremmo alcune leggi economiche fondamentali per ciascuna formazione sociale, il che contrasta con lo stesso concetto di legge fondamentale. Ma il compagno Iaroscenko non è d'accordo con questo. Egli ritiene che si possano avere non una, ma parecchie leggi economiche fondamentali del socialismo. E' inverosimile, ma è così. Nel suo discorso alla riunione plenaria della assemblea convocata per la discussione, ha detto:
"L'entità e il rapporto reciproco dei fondi materiali della produzione e riproduzione sociale sono determinati dall'esistenza e dalla prospettiva di accrescimento della forza lavoro che partecipa alla produzione sociale. Questa è la legge economica fondamentale della società socialista, che determina la struttura della produzione e riproduzione sociale socialista".
Questa sarebbe la prima legge economica fondamentale del socialismo.
Nello stesso discorso il compagno Iaroscenko afferma:
"I rapporti tra la I e la II sezione sono condizionati, nella società socialista, dalle esigenze della produzione dei mezzi di produzione nella misura necessaria per far partecipare alla produzione sociale tutta la popolazione capace di lavorare. Questa è la legge economica fondamentale del socialismo ed è in pari tempo un'esigenza della nostra Costituzione, che deriva dal diritto al lavoro dei cittadini sovietici".
Questa, dunque, sarebbe una seconda legge economica fondamentale del socialismo.
Infine, nella sua lettera ai membri dell'Ufficio politico il compagno Iaroscenko afferma:
"Partendo da ciò i tratti e le esigenze sostanziali della legge economica fondamentale del socialismo possono essere formulati, mi sembra, press'a poco così: produzione in continuo aumento e perfezionamento delle condizioni materiali e culturali di vita della società".
Questa è già la terza legge economica fondamentale del socialismo.
Sono tutte queste leggi, leggi economiche fondamentali del socialismo, oppure, se una sola di esse lo è, di quale precisamente si tratta? A questa domanda il compagno Iaroscenko non dà risposta nella sua ultima lettera ai membri dell'Ufficio politico. Nel formulare la legge economica fondamentale del socialismo, nella sua lettera ai membri dell'Ufficio politico, si deve supporre che egli "ha dimenticato" che nel suo discorso alla riunione plenaria dell'assemblea convocata per la discussione, tre mesi prima, già aveva formulato altre due leggi economiche fondamentali del socialismo, contando probabilmente che non si sarebbe prestata attenzione a questo equivoco pasticcio. Ma, come si vede, il suo calcolo è fallito.
Ammettiamo che le prime due leggi economiche fondamentali del socialismo, formulate dal compagno Iaroscenko, non esistano più, che il compagno Iaroscenko consideri oramai legge economica fondamentale del socialismo la sua terza formula, esposta nella lettera indirizzata ai membri dell'Ufficio politico. Vediamo la lettera del compagno Iaroscenko.
Il compagno Iaroscenko dice in questa lettera di non essere d'accordo con la definizione della legge economica fondamentale del socialismo, data nelle Osservazioni del compagno Stalin. Egli dice:
"La cosa principale in questa definizione è `la garanzia del massimo soddisfacimento... delle esigenze di tutta la società'. La produzione è indicata qui come un mezzo per raggiungere questo scopo principale, il soddisfacimento delle esigenze. Questa definizione giustifica la supposizione che la legge economica fondamentale del socialismo da voi formulata non parte dal primato della produzione, ma dal primato del consumo".
E' evidente che il compagno Iaroscenko non ha compreso affatto la sostanza del problema e non vede che le chiacchiere sul primato del consumo o della produzione non hanno assolutamente alcun rapporto con la questione. Quando si parla del primato di questi o quei processi sociali rispetto ad altri processi, si parte di solito dal fatto che entrambi questi processi siano più o meno della stessa natura. Si può e si deve parlare del primato della produzione dei mezzi di produzione rispetto alla produzione dei beni di consumo, poiché nell'un caso e nell'altro si parla di produzione e quindi di cose più o meno della stessa natura. Ma non si può parlare, non sarebbe giusto parlare del primato del consumo sulla produzione o della produzione sul consumo, poiché la produzione e il consumo sono due campi completamente diversi, legati, è vero, tra di loro, ma tuttavia diversi. Il comp. Iaroscenko evidentemente non comprende che qui non si tratta del primato del consumo o della produzione, ma dello scopo che la società pone alla produzione sociale, del compito a cui essa subordina la produzione sociale, per esempio, in regime socialista. Per questo nulla hanno a che vedere con la questione nemmeno le chiacchiere del compagno Iaroscenko, secondo cui "la base della vita della società socialista, come di ogni altra società, è la produzione". Il compagno Iaroscenko dimentica che gli uomini non producono per la produzione, ma per soddisfare le proprie esigenze. Egli dimentica che la produzione, staccata dal soddisfacimento dei bisogni della società, langue e perisce.
E' possibile parlare in generale dello scopo della produzione capitalistica o socialista, dei compiti a cui è subordinata la produzione capitalistica o socialista? Ritengo che è possibile e che si deve farlo.
Marx dice:
"Scopo immediato della produzione capitalistica non è la produzione di merci, ma di plusvalore, o di profitto nella sua forma evoluta; non del prodotto, ma del prodotto supplementare. Lo stesso lavoro è quindi produttivo solo nella misura in cui crea profitto o prodotto supplementare per il capitale. Se l'operaio non lo crea, il suo lavoro è improduttivo. La massa del lavoro produttivo impiegato, dunque, presenta un interesse per il capitale solo nella misura in cui grazie ad essa, o in relazione con essa, aumenta la quantità di lavoro supplementare; solo inquesta misura è necessario ciò che noi chiamiamo tempo di lavoro necessario. Se il lavoro non dà questo risultato, è superfluo e deve essere interrotto.
"Lo scopo della produzione capitalistica consiste sempre nella creazione di un massimo di plusvalore o di un massimo di prodotto supplementare con un minimo di capitale anticipato; nella misura in cui questo risultato non è raggiunto con l'eccesso di lavoro degli operai, sorge la tendenza del capitale, che consiste nello sforzo per ottenere un determinato prodotto con la minima spesa possibile, nello sforzo per risparmiare forza lavoro e spese...
"Gli stessi operai sono rappresentati in questa concezione come realmente sono nella produzione capitalistica, solo mezzi di produzione, e non fini a se stessi, e non scopo della produzione" (vedi Teorie del plusvalore, vol. II, parte 2).
Queste parole di Marx non sono importanti soltanto perché definiscono brevemente e con esattezza lo scopo della produzione capitalistica, ma anche perché indicano lo scopo fondamentale, il compito principale, che deve essere posto alla produzione socialista.
Lo scopo della produzione capitalistica è, dunque, di ottenere del profitto. Per quanto riguarda il consumo, esso è necessario al capitalismo solo in quanto garantisce che il profitto sia ottenuto. All'infuori di questo, la questione del consumo perde ogni significato per il capitalismo. L'uomo con i suoi bisogni scompare dal campo visivo.
Quale è invece lo scopo della produzione socialista, quale il compito principale, alla cui attuazione deve essere subordinata la produzione sociale nel socialismo?
Scopo della produzione socialista non è il profitto, ma l'uomo con i suoi bisogni, cioè il soddisfacimento delle sue esigenze materiali e culturali. Scopo della produzione socialista, come è detto nelle Osservazioni del compagno Stalin E' "l'assicurazione del massimo soddisfacimento delle sempre crescenti esigenze materiali e culturali di tutta la società".
Il compagno Iaroscenko ritiene che qui si tratti del "primato" del consumo sulla produzione. Questa, naturalmente, è una sciocchezza. In effetti si tratta qui non di un primato del consumo, ma della subordinazione della produzione socialista al suo fondamentale scopo di garantire il massimo soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali, in costante aumento, di tutta la società.
Quindi la garanzia del massimo soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali, in costante aumento, di tutta la società, è lo scopo della produzione socialista; l'aumento ininterrotto e il perfezionamento della produzione socialista sulla base di una tecnica superiore è il mezzo per raggiungere questo scopo.
Questa è la legge economica fondamentale del socialismo.
Volendo conservare il cosiddetto "primato" della produzione sul consumo, il compagno Iaroscenko afferma che la "legge economica fondamentale del socialismo" consiste "nell'aumento ininterrotto e nel perfezionamento della produzione delle condizioni materiali e culturali della società". Questo non è affatto vero. Il compagno Iaroscenko deforma in modo grossolano e snatura la formula esposta nelle Osservazioni del compagno Stalin. Per lui la produzione da mezzo si trasforma in scopo, e la garanzia del massimo soddisfacimento delle esigenze materiali e culturali, in costante aumento, della società, viene esclusa. Si ha un aumento della produzione per l'aumento della produzione, la produzione come fine a se stessa, mentre l'uomo con i suoi bisogni scompare dal campo visivo del compagno Iaroscenko.
Non vi è quindi da stupire se insieme alla scomparsa dell'uomo, come scopo della produzione socialista, scompaiono dalla "concezione" del compagno Iaroscenko gli ultimi resti di marxismo.
In questo modo si giunge nel compagno Iaroscenko non al "primato" della produzione sul consumo, ma ad una specie di "primato" dell'ideologia borghese sull'ideologia marxista.
3. - Un posto a parte merita la questione della teoria marxista della riproduzione. Il compagno Iaroscenko afferma che la teoria marxista della riproduzione è soltanto teoria della riproduzione capitalistica, che essa non contiene nulla che possa valere per altre formazioni sociali, e quindi per la formazione sociale socialista. Egli dice:
"L'applicazione dello schema della riproduzione di Marx, da lui elaborato per l'economia capitalistica, alla produzione sociale socialista è il frutto di un'interpretazione dogmatica della dottrina di Marx e contraddice la sostanza della sua dottrina" (vedi il discorso del compagno Iaroscenko alla seduta plenaria dell'assemblea per la discussione).
Egli sostiene, più avanti, che "lo schema della riproduzione di Marx non corrisponde alle leggi economiche della società socialista e non può servire di base per lo studio della riproduzione socialista" (ivi).
Riferendosi alla teoria marxista della riproduzione semplice, dove si stabilisce una determinata correlazione tra la produzione dei mezzi di produzione (I sezione) e la produzione dei mezzi di consumo (II sezione), il compagno Iaroscenko dice:
"La correlazione tra la prima e la seconda sezione non è condizionata nella società socialista dalla formula di Marx V + M della prima sezione e C della seconda sezione. Nelle condizioni del socialismo l'indicato nesso reciproco nello sviluppo tra la prima e la seconda sezione non deve verificarsi" (ivi).
Egli afferma che "la teoria della correlazione tra la prima e la seconda sezione, elaborata da Marx, è inapplicabile nelle nostre condizioni socialiste, poiché alla base della teoria di Marx vi è l'economia capitalistica con le sue leggi" (si veda la lettera del comp. Iaroscenko ai membri dell'Ufficio politico).
Così il comp. Iaroscenko distrugge la teoria marxista della riproduzione.
Certamente, la teoria marxista della riproduzione, elaborata in seguito allo studio delle leggi della produzione capitalistica, riflette il carattere specifico della produzione capitalistica e, naturalmente, è espressa nella forma dei rapporti di valore mercantili-capitalistici. Non poteva essere altrimenti. Ma vedere nella teoria marxista della riproduzione soltanto questa forma, e non scorgerne le basi, non scorgere il suo contenuto fondamentale, che non ha valore soltanto per la formazione sociale capitalistica, significa non capire nulla di questa teoria. Se il comp. Iaroscenko avesse compreso qualche cosa della questione, avrebbe capito anche la palese verità che gli schemi marxisti della riproduzione non si esauriscono affatto nel riflesso del carattere specifico della produzione capitalistica, ma contengono in pari tempo tutta una serie di tesi fondamentali della riproduzione, le quali hanno valore per tutte le formazioni sociali, quindi anche in particolare per la formazione sociale socialista. Queste tesi fondamentali della teoria marxista della riproduzione, come la tesi della divisione della produzione sociale in produzione dei mezzi di produzione e produzione dei beni di consumo; la tesi dell'aumento prevalente della produzione dei mezzi di produzione nella riproduzione allargata; la tesi della correlazione tra la I e la II sezione; la tesi del prodotto supplementare, come unica fonte dell'accumulazione; la tesi della formazione e destinazione dei fondi sociali; la tesi dell'accumulazione come unica fonte della riproduzione allargata: - tutte queste tesi fondamentali della teoria marxita della riproduzione sono le stesse che hanno valore non soltanto per la formazione capitalistica e la cui applicazione non può essere elusa da nessuna società socialista nella pianificazione dell'economia nazionale. è caratteristico il fatto che lo stesso comp. Iaroscenko, il quale arriccia altezzosamente il naso sugli "schemi della riproduzione" di Marx, è costretto di regola a ricorrere all'usilio di questi "schemi" nella discussione delle questioni della riproduzione socialista.
Ma come considerarono questa questione Lenin e Marx?
A tutti sono note le osservazioni critiche di Lenin al libro di Bukharin L'economia del periodo di transizione. In queste osservazioni Lenin ha riconosciuto, com'è noto, che la formula marxista della correlazione tra la I e la II sezione, contro cui insorge il comp. Iaroscenko, rimane valida tanto per il socialismo quanto per il "comunismo puro", cioè per la fase del comunismo.
Per ciò che riguarda Marx, egli, com'è noto, non amava astrarsi dallo studio delle leggi della produzione capitalistica e non si occupò nel suo Capitale della questione della applicabilità dei suoi schemi della riproduzione al socialismo. Tuttavia nel 20° capitolo del II volume del Capitale, nel paragrafo intitolato Il capitale costante della I sezione, in cui si tratta dello scambio dei prodotti della I sezione all'interno di questa, Marx osserva quasi di sfuggita che lo scambio dei prodotti in questa sezione avverrebbe in regime socialista con la stessa continuità, con cui avviene nella produzione capitalistica. Marx dice:
"Se la produzione fosse sociale, e non capitalistica, è chiaro che i prodotti nella I sezione ai fini della riproduzione sarebbero distribuiti con non minore continuità dei mezzi di produzione tra le branche di produzione di questa sezione: una parte rimarrebbe immediatamente in quella sfera della produzione, da cui essa è uscita come prodotto; l'altra parte invece passerebbe in altri luoghi di produzione, e si creerebbe così tra i diversi luoghi della produzione di questa sezione un movimento costante in direzioni opposte" (vedi Marx, Capitale, vol. II, pag. 307, VIII ediz. russa).
Di conseguenza, Marx non riteneva affatto che la sua teoria della riproduzione fosse valida soltanto per la produzione capitalistica, sebbene egli si sia occupato dell'indagine delle leggi della produzione capitalistica. Al contrario egli, come si vede, si basava sul fatto che la sua teoria della riproduzione può essere valida anche per la produzione socialista.
Bisogna notare che Marx nella Critica del Programma di Gotha, nell'analisi dell'economia del socialismo e del periodo di transizione al comunismo muove dalle tesi fondamentali della sua teoria della riproduzione, considerandole evidentemente obbligatorie per un regime comunista.
Bisogna inoltre notare che Engels nel suo Antidühring, criticando il "sistema socialitario" di Dühring e caratterizzando l'economia del regime socialista, muove pure dalle tesi fondamentali della teoria della riproduzione di Marx, considerandole obbligatorie per il regime comunista.
Questi sono i fatti.
Ne consegue che anche nella questione della riproduzione, il comp. Iaroscenko, nonostante il suo tono disinvolto riguardo agli "schemi" di Marx, ha dato di nuovo nelle secche.
4. - Il comp. Iaroscenko conclude la sua lettera ai membri dell'Ufficio politico con la proposta di affidargli la compilazione di una Economia politica del socialismo. Egli scrive:
"Partendo dalla definizione dell'oggetto della scienza dell'economia politica del socialismo, da me esposta nella seduta plenaria, nelle commissioni e nella presente lettera, usando il metodo dialettico marxista, posso nel corso di un anno, o al massimo di un anno e mezzo, con l'aiuto di due collaboratori, elaborare le soluzioni teoriche dei problemi fondamentali dell'economia politica del socialismo; esporre la teoria marxista, leninista-staliniana dell'economia politica del socialismo, la teoria che trasforma questa scienza in una effettiva arme di lotta del popolo per il comunismo".
Non si può non riconoscere che il comp. Iaroscenko non pecca di modestia. Anzi, usando lo stile di alcuni letterati, si può dire che "è proprio tutto il contrario".
Si è già detto sopra che il comp. Iaroscenko confonde l'economia politica del socialismo con la politica economica degli organi dirigenti. Ciò che egli ritiene essere oggetto dell'economia politica del socialismo - l'organizzazione razionale delle forze produttive, la pianificazione dell'economia nazionale, la formazione dei fondi sociali, ecc. - non è oggetto dell'economia politica del socialismo, ma della politica economica degli organi dirigenti.
Non parlo poi del fatto che i gravi errori che il comp. Iaroscenko commette e il suo "punto di vista" non marxista non inducono ad affidare questo incarico al compagno Iaroscenko.

Conclusioni:
1) la lagnanza del compagno Iaroscenko verso i dirigenti della discussione è priva di senso, poiché i dirigenti della discussione, essendo marxisti, non potevano riflettere nei loro documenti conclusivi il "punto di vista" non marxista del comp. Iaroscenko;
2) la richiesta del comp. Iaroscenko di affidargli l'incarico di scrivere una Economia politica del socialismo non può essere considerata seria, anche perché sa di Khlestakhov5.

22 maggio 1952

G. Stalin

Risposta ai compagni A. V. Sanina e V. C. Vensger
Ho ricevuto le vostre lettere. Com'è evidente, gli autori di queste lettere studiano in modo approfondito e serio i problemi dell'economia del nostro paese. Nelle lettere vi sono non poche formulazioni giuste e considerazioni interessanti. Tuttavia, accanto ad esse vi sono anche alcuni gravi errori teorici. Nella presente risposta penso di soffermarmi proprio su questi errori.
1. - Questione del carattere delle leggi economiche del socialismo.
I compagni Sanina e Vensger affermano che "solo grazie all'azione cosciente dei cittadini sovietici, occupati nella produzione materiale, nascono le leggi economiche del socialismo".
Questa tesi è completamente sbagliata.
Esistono leggi dello sviluppo economico obiettivamente, fuori di noi, indipendentemente dalla volontà e dalla coscienza degli uomini? Il marxismo risponde a questa domanda in modo affermativo. Il marxismo ritiene che le leggi dell'economia politica del socialismo sono il riflesso nella testa degli uomini di leggi obiettive esistenti fuori di noi. La formula dei compagni Sanina e Vensger invece risponde negativamente a questa domanda. Ciò vuol dire che questi compagni sono sulle posizioni di una teoria sbagliata, la quale afferma che le leggi dello sviluppo economico nel socialismo "sono create", "sono trasformate" dagli organi dirigenti della società. In altri termini, essi si distaccano dal marxismo e si pongono sulla via dell'idealismo soggettivo.
Naturalmente, gli uomini possono scoprire queste leggi obiettive, conoscerle e, poggiando su di esse, utilizzarle nell'interesse della società. Ma essi non possono né "crearle", né "trasformarle".
Supponiamo di accogliere per un momento la posizione della teoria sbagliata, che nega l'esistenza di leggi obiettive nella vita economica del socialismo e proclama la possibilità di "creare" le leggi economiche, di "trasformare" le leggi economiche. A che cosa questo condurrebbe? Condurrebbe a farci cadere nel regno del caos e della casualità, a farci trovare in uno stato di servile dipendenza da questa casualità, a privarci della possibilità, nonché di comprendere, ma nemmeno di orientarci in questo caos di cose casuali.
Questo ci condurrebbe a liquidare l'economia politica come scienza, perché la scienza non può vivere e svilupparsi senza il riconoscimento di leggi obiettive, senza lo studio di queste leggi. Liquidata la scienza, ci priveremmo della possibilità di prevedere il corso degli avvenimenti nella vita economica del paese, cioè ci priveremmo della possibilità di esercitare la direzione economica anche più elementare.
In ultima analisi cadremmo in potere dell'arbitrio di avventurieri "economici", pronti a "distruggere" le leggi dello sviluppo economico e a "creare" nuove leggi senza comprendere e tener conto delle leggi obiettive.
è a tutti nota la classica formulazione della posizione marxista su questo problema, data da Engels nel suo Antidühring:
"Le forze socialmente attive agiscono in modo assolutamente eguale alle forze naturali: in maniera cieca, violenta, distruttiva, sino a quando non le riconosciamo e non facciamo i conti con esse. Ma una volta che le abbiamo riconosciute, che ne abbiamo compreso il modo d'agire, la direzione e gli effetti, dipende solo da noi il sottometterle sempre più al nostro volere e per mezzo di esse raggiungere i nostri fini. E questo vale in modo tutto particolare per le odierne potenti forze produttive. Sino a quando ostinatamente ci rifiuteremo di intenderne la natura e il carattere, e a questa intelligenza si oppongono il modo di produzione capitalistico e i suoi sostenitori, queste forze agiranno malgrado noi e contro di noi, e, come abbiamo diffusamente esposto, ci domineranno. Ma una volta che siano comprese nella loro natura, esse, nelle mani dei produttori associati, possono essere trasformate da demoniache dominatrici in docili serve. è questa la differenza tra la forza distruttiva dell'elettricità nel lampo della tempesta e l'elettricità domata del telegrafo e della lampada ad arco; la differenza tra l'incendio e il fuoco che agisce a servizio dell'uomo. Quando le odierne forze produttive saranno considerate in questo modo, conformemente alla loro natura finalmente conosciuta, all'anarchia sociale della produzione subentrerà una regolamentazione socialmente pianificata della produzione, conforme ai bisogni sia della comunità che di ogni singolo. Così il modo di appropriazione capitalistico, in cui il prodotto asservisce anzitutto chi lo produce, ma poi anche colui che se lo appropria, viene sostituito dal modo di appropriazione dei prodotti, fondato sulla natura stessa dei moderni mezzi di produzione: da una parte da un'appropriazione direttamente sociale come mezzo per mantenere ed allargare la produzione, dall'altra da un'appropriazione direttamente individuale come mezzo di sussistenza e di godimento"6.
2. - Questione delle misure dirette a elevare la proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo.
Quali misure sono necessarie per elevare la proprietà colcosiana che, naturalmente, non è proprietà di tutto il popolo, al livello di proprietà di tutto il popolo ("nazionale")?
Alcuni compagni ritengono che è necessario semplicemente nazionalizzare la proprietà colcosiana, dichiarandola proprietà di tutto il popolo, sull'esempio di ciò che è stato fatto a suo tempo con la proprietà capitalistica. Questa proposta è assolutamente sbagliata e indiscutibilmente inaccettabile. La proprietà colcosiana è una proprietà socialista e noi non possiamo in nessun modo procedere nei suoi confronti come con la proprietà capitalistica. Dal fatto che la proprietà colcosiana non è proprietà di tutto il popolo non deriva in nessun modo che la proprietà colcosiana non sia proprietà socialista.
Questi compagni suppongono che il passaggio della proprietà di singoli gruppi e di singole persone in proprietà dello Stato sia l'unica o, in ogni caso, la migliore forma di nazionalizzazione. Questo non è vero. In realtà il passaggio in proprietà dello Stato non è l'unica e neppure la migliore forma di nazionalizzazione, ma è la forma iniziale della nazionalizzazione, come dice giustamente Engels nell'Antidühring. è incontestabile che, finché esiste lo Stato, il passaggio in proprietà dello Stato è la forma iniziale più comprensibile di nazionalizzazione. Ma lo Stato non esisterà in eterno. Con l'estendersi del campo d'azione del socialismo nella maggior parte dei paesi del mondo lo Stato si estinguerà e, naturalmente, in legame con ciò cadrà la questione del passaggio del patrimonio di singole persone e di singoli gruppi in proprietà dello Stato. Lo Stato si sarà estinto, ma la società continuerà a esistere. Di conseguenza, erede della proprietà di tutto il popolo non sarà lo Stato, che si sarà estinto, ma sarà la società stessa, rappresentata dal suo organo economico dirigente, centrale.
Stando così le cose, che cosa si deve fare per elevare la proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo?
Come misura principale per elevare a questo livello la proprietà colcosiana, i compagni Sanina e Vensger propongono di vendere in proprietà ai colcos i principali strumenti di produzione concentrati nelle stazioni di macchine e trattori, sgravare così lo Stato dagli investimenti di capitali nell'agricoltura e ottenere che i colcos stessi si assumano la responsabilità di provvedere al mantenimento e allo sviluppo delle stazioni di macchine e trattori. Essi dicono.
"Sarebbe errato pensare che gli investimenti dei colcos dovranno essere principalmente diretti a soddisfare i bisogni culturali della campagna colcosiana, e che lo Stato dovrà continuare a effettuare la massa principale degli investimenti per soddisfare i bisogni della produzione agricola. Non sarebbe più giusto liberare lo Stato da questo carico, dato che i colcos sono pienamente in grado di prenderlo interamente su di sè? Lo Stato avrà non poco da fare per investire i propri fondi allo scopo di crare nel paese abbondanza di beni di consumo".
Per giustificare questa proposta, i suoi autori ricorrono ad alcuni argomenti.
In primo luogo. Citando le parole di Stalin, secondo cui i mezzi di produzione non vengono venduti neppure ai colcos, gli autori della proposta mettono in dubbio questa tesi di Stalin, dichiarando che lo Stato vende tuttavia ai colcos mezzi di produzione, quali l'attrezzamento agricolo minuto che comprende i vari tipi di falci, i piccoli motori, ecc. Essi ritengono che se lo Stato vende ai colcos questi mezzi di produzione, esso potrebbe vendere loro anche tutti gli altri mezzi di produzione, come le macchine delle stazioni di macchine e trattori.
Questo argomento è inconsistente. Naturalmente, lo Stato vende ai colcos l'attrezzamento agricolo minuto, come si desume dallo statuto dell'artel agricolo e dalla Costituzione. Ma si può mettere su uno stesso piano l'attrezzamento agricolo minuto e mezzi essenziali della produzione in agricoltura quali sono le macchine delle stazioni di macchine e trattori o, poniamo, la terra che indubbiamente è anch'essa uno dei principali mezzi di produzione nell'agricoltura? è chiaro che è impossibile. è impossibile perché l'attrezzamento agricolo minuto non decide in nessuna misura le sorti della produzione colcosiana, mentre mezzi di produzione come le macchine delle stazioni di macchine e trattori e la terra decidono interamente le sorti dell'agricoltura nelle nostre attuali condizioni.
Non è difficile capire che quando Stalin diceva che i mezzi di produzione non vengono venduti ai colcos, non intendeva l'attrezzamento agricolo minuto, ma i mezzi principali della produzione agricola: le macchine delle stazioni di macchine e trattori e la terra. Gli autori della proposta giuocano con l'espressione "mezzi di produzione" e confondono due cose diverse, senza accorgersi che si mettono su una falsa strada.
In secondo luogo, i compagni Sanina e Vensger citano poi il fatto che nel periodo in cui ebbe inizio il movimento colcosiano di massa, tra la fine del 1929 e l'inizio del 1930, lo stesso Comitato centrale del Partito comunista (b) dell'Urss sosteneva la necessità di trasferire le stazioni di macchine e trattori in proprietà ai colcos, chiedendo ai colcos di compensare il valore delle stazioni di macchine e trattori entro un termine di tre anni. Essi ritengono che, sebbene allora questa operazione non fosse riuscita "data la povertà" dei colcos, oggi, che i colcos sono diventati ricchi, si possa ritornare a questa politica, a vendere ai colcos le stazioni di macchine e trattori.
Anche questo argomento è inconsistente. Il Comitato centrale del Partito comunista (b) dell'Urss decise effettivamente all'inizio del 1930 di vendere ai colcos le stazioni di macchine e trattori. Questa decisione fu approvata su proposta di un gruppo di lavoratori d'assalto colcosiani a titolo d'esperimento, come prova, con la riserva di ritornare entro breve tempo sulla questione e riesaminarla. Ma, sin dal primo controllo dei risultati, si vide che questa decisione non era opportuna, e dopo alcuni mesi e precisamente alla fine del 1930 fu abrogata.
L'ulteriore ascesa del moviento colcosiano e lo sviluppo dell'edificazione colcosiana convinsero definitivamente sia i colcosiani, sia i dirigenti che la concentrazione dei principali strumenti della produzione agricola nelle mani dello Stato, nelle mani delle stazioni di macchine e trattori, era l'unico mezzo per assicurare ritmi elevati di sviluppo alla produzione colcosiana.
Tutti noi siamo lieti della gigantesca ascesa della produzione agricola del nostro paese, dell'aumento della produzione cerealicola, della produzione del cotone, del lino, della barbabietola, ecc. Qual è la fonte di questa ascesa? La fonte di questa ascesa sta nella tecnica moderna, nelle numerose macchine moderne poste al servizio di tutte queste branche produttive. Qui non si tratta solo della tecnica in generale, ma del fatto che la tecnica non può restar ferma allo stesso punto, deve continuamente perfezionarsi, che la vecchia tecnica deve essere messa da parte e sostituita da quella moderna e la tecnica moderna deve essere sostituita da quella modernissima. Senza questo è inconcepibile il progresso della nostra agricoltura socialista, sono inconcepibili sia i grandi raccolti, che l'abbondanza dei prodotti agricoli. Ma che cosa significa togliere dalla circolazione centinaia di migliaia di trattori a ruote e sostituirli con trattori a cingoli, sostituire decine di migliaia di mietotrebbiatrici invecchiate con mietotrebbiatrici nuove, creare nuove macchine, poniamo, per le culture tecniche? Significa sopportare spese di miliardi, che possono essere recuperati solo entro 6-8 anni. Possono sopportare queste spese i nostri colcos, anche se sono milionari? No, non possono, perché non sono in grado di addossarsi spese di miliardi che possono essere recuperate solo entro 6-8 anni. Solo lo Stato può prendere su di sé queste spese, perché esso e soltanto esso è in grado di addossarsi le perdite dovute all'accantonamento delle vecchie macchine e alla loro sostituzione con macchine nuove, perché esso e soltanto esso è in grado di coprire queste perdite in un periodo di 6-8 anni, compensando entro questo termine le spese sostenute.
Che cosa significa, dopo tutte queste considerazioni, chiedere la vendita delle stazioni di macchine e trattori trasferendone la proprietà ai colcos? Significa causare gravi perdite ai colcos e rovinarli, scalzare la meccanizzazione dell'agricoltura, diminuire i ritmi della produzione colcosiana.
Di qui la conclusione: proponendo di vendere le stazioni di macchine e trattori e di trasferirne la proprietà ai colcos, i compagni Sanina e Vensger fanno un passo indietro verso l'arretratezza, cercano di far girare all'indietro la ruota della storia.
Ammettiamo per un istante di aver accettato la proposta dei compagni Sanina e Vensger e di aver cominciato a vendere e passare in proprietà ai colcos i principali strumenti di produzione, le stazioni di macchine e trattori. Quale sarebbe la conseguenza?
La prima conseguenza sarebbe che i colcos diventerebbero proprietari dei principali strumenti di produzione, cioè verrebbero a trovarsi in una situazione di eccezione, quale non ha nessuna azienda del nostro paese, perché, come è noto, da noi neppure le aziende nazionalizzate sono proprietarie degli strumenti di produzione. Come si può giustificare questa situazione di eccezione dei colcos, con quali considerazioni di progresso, di movimento in avanti? Si può dire che questa situazione favorirebbe l'elevamento della proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo, che essa affretterebbe il passaggio della nostra società dal socialismo al comunismo? Non sarebbe più giusto dire che questa situazione potrebbe solo rendere più lontana la proprietà colcosiana dall'essere proprietà di tutto il popolo e determinerebbe non un avvicinamento al comunismo, ma un allontanamento da esso?
La seconda conseguenza sarebbe l'estendersi del campo d'azione della circolazione mercantile, perché un numero colossale di strumenti della produzione agricola cadrebbe nell'orbita della circolazione mercantile. Che ne pensano i compagni Sanina e Vensger: l'estendersi della sfera della circolazione mercantile può favorire la nostra avanzata verso il comunismo? Non sarebbe più giusto dire che tale estensione può solo frenare la nostra avanzata verso il comunismo?
L'errore fondamentale dei compagni Sanina e Vensger è di non capire la funzione e l'importanza della circolazione mercantile nel socialismo, di non capire che la circolazione mercantile è incompatibile con la prospettiva del passaggio dal socialismo al comunismo. Essi, evidentemente, ritengono che si possa passare dal socialismo al comunismo pur permanendo la circolazione mercantile, che la circolazione mercantile non possa impedire questo passaggio. Questo è un profondo errore, che nasce sulla base di una incomprensione del marxismo.
Engels, nel suo Antidühring, criticando la "comune economia" di Dühring operante nelle condizioni della cirolazione mercantile, ha dimostrato in modo convincente che l'esistenza della circolazione mercantile deve inevitabilmente portare le cosiddette "comuni economiche" di Dühring alla rinascita del capitalismo. I compagni Sanina e Vensger, evidentemente, non sono d'accordo con questo. Peggio per loro. Ma noi, marxisti, partiamo dalla nota tesi marxista secondo cui il passaggio dal socialismo al comunismo e il principio comunista della ripartizione dei prodotti secondo i bisogni escludono qualsiasi scambio mercantile, quindi anche la trasformazione dei prodotti in merci e al tempo stesso la loro trasformazione in valore.
Così stanno le cose per quanto riguarda la proposta e gli argomenti dei compagni Sanina e Vensger.
Che cosa si deve fare, in fin dei conti, per elevare la proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo?
Il colcos non è un'azienda di tipo ordinario. Il colcos lavora sulla terra e coltiva la terra, che da tempo non è più proprietà colcosiana, ma proprietà di tutto il popolo. Di conseguenza, il colcos non è proprietario della terra che lavora.
Proseguiamo. Il colcos lavora servendosi dei principali strumenti di produzione, che non sono proprietà colcosiana, ma di tutto il popolo. Di conseguenza, il colcos non è proprietario dei principali strumenti di produzione.
Ancora. Il colcos è un'azienda cooperativa; esso impiega il lavoro dei suoi membri e ripartisce fra loro le entrate in ragione delle giornate lavorative; inoltre il colcos ha sementi proprie, che annualmente si rinnovano e vengono immesse nella produzione.
Si domanda: che cosa possiede propriamente il colcos, dov'è la proprietà colcosiana di cui può disporre in piena libertà, a suo piacimento? Tale proprietà è la produzione del colcos, il prodotto dell'attività produttiva colcosiana: il grano, la carne, il burro, i legumi, il cotone, la barbaietola, il lino, ecc., senza contare gli edifici e l'azienda personale dei colcosiani sul loro appezzamento. Il fatto è che una parte considerevole di questa produzione, le eccedenze della produzione colcosiana si riversano sul mercato ed entrano in questo modo nel sistema della circolazione mercantile. Appunto questa circostanza impedisce oggi di elevare la proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo. Perciò è precisamente da questo punto che si deve sviluppare il lavoro per elevare la proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo.
Per elevare la proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo è necessario escludere le eccedenze della produzione colcosiana dal sistema della circolazione mercantile e inserirle nel sistema dello scambio dei prodotti fra l'industria statale e i colcos. Questa è la misura essenziale.
Non abbiamo ancora un sistema sviluppato di scambio dei prodotti, abbiamo però embrioni di scambio dei prodotti nella forma di "smercantilizzazione" dei prodotti agricoli. Come è noto, la produzione dei colcos produttori di cotone, lino, barbabietole, ecc. già da tempo viene "smercantilizzata" non per intiero, in verità, ma ad ogni modo "viene smercantilizzata". Osserviamo tra parentesi che il termine "smercantilizzazione" è infelice e dovrebbe essere sostituito con il termine "scambio di prodotti". Il compito è di organizzare questi embrioni di scambio dei prodotti in tutte le branche dell'agricoltura e svilupparli in un vasto sistema di scambio dei prodotti, in modo che i colcos, in cambio della loro produzione non ricevano solo danaro ma, principalmente, gli oggetti loro indispensabili. Questo sistema richiederà un gigantesco aumento della produzione fornita dalla città alla campagna; perciò dovrà essere introdotto senza una fretta particolare, nella misura che si accumulano i prodotti della città. Ma questo sistema deve essere introdotto fermamente, senza esitazioni, restringendo gradualmente il campo d'azione della cirolazione mercantile ed estendendo il campo d'azione dello scambio dei prodotti.
Questo sistema, restringendo il campo d'azione della circolazione mercantile, favorirà il passaggio dal socialismo al comunismo. Inoltre, esso permetterà di inserire la proprietà fondamentale dei colcos, il prodotto dell'attività produttiva colcosiana nel sistema generale della pianificazione nazionale.
Questo sarà appunto un mezzo concreto e decisivo per elevare la proprietà colcosiana al livello di proprietà di tutto il popolo nelle nostre attuali condizioni.
è vantaggiso questo sistema per i contadini colcosiani? è incontestabilmente vantaggioso. è vantaggioso perché i contadini colcosiani riceveranno dallo Stato una quantità molto superiore di prodotti e a prezzi più bassi di quelli della circolazione mercantile. Tutti sanno che i colcos i quali hanno col governo un contratto per lo scambio di prodotti ("smercantilizzazione") ricavano vantaggi incomparabilmente maggiori a quelli dei colcos che non hanno questi contratti. Se il sistema dello scambio dei prodotti verrà esteso nel paese a tutti i colcos, questi vantaggi saranno goduti da tutti i nostri contadini colcosiani.

28 settembre 1952

G. Stalin

NOTE
1 F. Engels, Antidühring, Edizioni Rinascita, Roma 1950, p. 308.
2F. Engels, Antidühring, cit. p. 308.
3 Cfr. K. Marx, Per la critica dell'economia politica, prefazione, in K. Marx - F. Engels, Sul materialismo storico, Edizioni Rinascita, Roma, 1949, pp. 43 - 44.
4 F. Engels, Antidühring cit., p. 167
5 Khlestakhov è lo spaccone della famosa commedia di Gogol, Il revisore.
6 F. Engels, Antidüring cit., p. 304.