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Risposta ai compagni colcosiani


E’ noto dai giornali che l'articolo di Stalin: “Vertigine dei successi” e la nota decisione del Comitato Centrale “Sulla lotta contro le deformazioni della linea del partito nel movimento colcosiano” hanno avuto una larga eco nelle file dei pratici del movimento colcosiano. A questo proposito ho ricevuto negli ultimi tempi una serie di lettere da compagni colcosiani, con la richiesta di rispondere alle domande che vi si pongono. Il mio dovere sarebbe stato di rispondere alle lettere in via privata. Ma questo non è stato possibile, perché più della metà delle lettere è stata ricevuta senza indicazione dell'indirizzo del mittente (s'erano dimenticati di mettere l'indirizzo). D’altra parte, le questioni toccate nelle lettere hanno un interesse politico immenso per tutti i nostri compagni. Inoltre è evidente ch'io non potevo lasciare senza risposta quei compagni che hanno dimenticato di mettere il loro indirizzo. Perciò mi sono trovato nella necessità di rispondere pubblicamente, cioè nella stampa, alle lettere dei compagni colcosiani, estraendo da esse tutte le domande necessarie allo scopo. Mi sono indotto a ciò tanto più volentieri in quanto avevo, a questo proposito, una precisa disposizione del Comitato Centrale.
Prima domanda. In che cosa consiste la radice degli errori nella questione contadina?
Risposta. In un errato atteggiamento verso il contadino medio. Nell'ammettere la violenza nel campo dei rapporti economici col contadino medio. Nel dimenticare che l'alleanza economica con le masse dei contadini medi non deve fondarsi su misure di coercizione, ma sull'intesa col contadino medio, sull'alleanza con quest'ultimo. Nel dimenticare che la base del movimento colcosiano nel momento attuale è l'alleanza della classe operaia e dei contadini poveri col contadino medio, contro il capitalismo in generale, contro il kulak in particolare.
Finché l'offensiva contro il kulak era condotta in fronte unico col contadino medio, tutto procedeva bene. Ma quando alcuni nostri compagni, inebriati dai successi, incominciarono senza accorgersene a scivolare dalla strada dell'offensiva contro il kulak alla strada della lotta contro il contadino medio, quando essi, correndo dietro alle alte percentuali di collettivizzazione, incominciarono ad applicare la violenza contro il contadino medio, privandolo dei diritti elettorali, “spossessandolo come un kulak” ed espropriandolo, allora l'offensiva incominciò a degenerare, il fronte unico coi contadini medi incominciò a spezzarsi ed è chiaro che il kulak ottenne la possibilità di tentare di rimettersi in piedi.
Si è dimenticato che la violenza, necessaria e utile nella lotta contro i nostri nemici di classe, è inammissibile e nociva nei riguardi del contadino medio, che è nostro alleato.
Si è dimenticato che le cariche di cavalleria, necessarie e utili per risolvere mansioni di carattere militare, sono inutili e dannose quando si tratta di risolvere i compiti dell'edificazione colcosiana, che è organizzata essa pure in alleanza coi contadini medi.
Questa è la radice degli errori nella questione contadina.
Ecco che cosa dice Lenin sui rapporti economici coi contadini medi:
“Dobbiamo soprattutto fondarci sulla verità che qui non si può raggiungere nulla di sostanziale con metodi di violenza. Qui il compito economico si pone in modo completamente diverso. Qui non vi è una cima che possa essere tagliata lasciando intatte tutte le fondamenta, tutto l'edificio. Quella cima, che nella città era costituita dai capitalisti, qui non c'è. Agire in questo campo, con la violenza, significa rovinar tutto... Non c’è niente di più stupido dell’idea stessa dell’esercizio della violenza nel campo dei rapporti economici col contadino medio” (“Rapporto sul lavoro nella campagna all'Ottavo Congresso del P.C.(b)R.”, vol. XXIV, p. 168, ed. russa).
E ancora:
“La violenza nei riguardi dei contadini medi costituisce un danno grandissimo. I contadini medi sono uno strato numeroso, di molti milioni di uomini. Nemmeno in Europa, dove il contadino medio non raggiunge in nessun paese una tale forza, dove la tecnica e la cultura, la vita urbana, le ferrovie sono sviluppate in modo gigantesco, dove più che altrove sarebbe stato facile pensare a una cosa simile, nessuno, neanche uno dei socialisti più rivoluzionari, ha mai proposto delle misure di violenza contro il contadino medio”. (Ibidem, p. 167).
E’ chiaro, a quanto pare.
Seconda domanda. Quali sono i principali errori nel movimento colcosiano?
Risposta. Ve ne sono, di questi errori, per lo meno tre.
1) E’ stato violato il principio leninista della volontarietà nella costituzione dei colcos. Sono state violate le indicazioni principali del partito e lo statuto modello dell'artel agricolo circa il carattere volontario dell'edificazione colcosiana.
Il leninismo insegna che per mettere i contadini sul binario dell'economia collettiva bisogna attenersi al principio della volontarietà, convincendoli dei vantaggi dell'azienda socializzata, collettiva, sull'azienda individuale. Il leninismo insegna che si possono convincere i contadini dei vantaggi dell'azienda collettiva soltanto se si mostra e dimostra loro in pratica, con l'esperienza, che il colcos è migliore dell’azienda individuale, che esso è più vantaggioso dell’azienda individuale, che il colcos offre al contadino, al contadino povero e medio, la via per liberarsi dall’indigenza e dalla miseria. Il leninismo insegna che, se mancano queste condizioni, i colcos non possono essere solidi. Il leninismo insegna che ogni tentativo d'imporre con la forza l'azienda collettiva, ogni tentativo d’impiantare i colcos con la costrizione può dare soltanto dei risultati negativi, può soltanto allontanare i contadini dal movimento colcosiano.
E infatti finché questa regola fondamentale era osservata, il movimento colcosiano avanzava di successo in successo. Ma alcuni nostri compagni, inebriati dai successi, incominciarono a trascurare questa regola, incominciarono a manifestare una fretta eccessiva e, nella corsa alle alte percentuali di collettivizzazione, incominciarono a impiantare i colcos facendo uso della costrizione. Non c’è da meravigliarsi se i risultati negativi di questa “politica” non si sono fatti aspettare a lungo. I colcos sorti troppo in fretta incominciarono a sciogliersi altrettanto rapidamente quanto erano sorti, e una parte dei contadini, che ieri ancora mostrava una enorme fiducia nei colcos, incominciò ad allontanarsene.
Questo è il primo e principale errore commesso nel movimento colcosiano.
Ecco che cosa dice Lenin a proposito del principio della volontarietà nell'edificazione colcosiana:
“Oggi il nostro compito è di passare alla lavorazione in comune della terra, di passare alla grande azienda collettiva. Ma, da parte del potere sovietico, non si può esercitare nessuna costrizione; nessuna legge impone questo passaggio. La comune agricola si fonda volontariamente, il passaggio alla coltivazione in comune della terra può essere soltanto volontario; a questo riguardo da parte del governo operaio e contadino non vi può essere la più piccola costrizione e la legge non lo permette. Se qualcuno di voi notasse una costrizione di questo genere, sappiate che si tratta di un abuso, di una violazione della legge, che noi con tutte le forze ci sforziamo di correggere e correggeremo (Il corsivo è mio. G. St.). (“Primo Congresso degli operai agricoli della provincia di Pietrogrado: Risposta alle domande”, ibid., p. 43).
Più avanti:
“Soltanto se riusciremo a dimostrare coi fatti ai contadini i vantaggi della lavorazione della terra in comune, collettiva, associata, nell'artel, soltanto se riusciremo ad aiutare i contadini per mezzo delle aziende associate, dell’artel, soltanto allora la classe operaia, tenendo nelle sue mani il potere dello Stato, dimostrerà effettivamente ai contadini di aver ragione, attirerà veramente al suo fianco, in modo saldo ed effettivo, una massa di milioni e milioni di contadini. Perciò non sarà mai abbastanza apprezzata l’importanza delle misure di ogni genere destinate a favorire l'agricoltura associata, in forma di artel. Abbiamo milioni di aziende separate, spezzettate, disperse negli angoli più remoti delle campagne... Soltanto allorché sarà dimostrato praticamente, con un'esperienza accessibile al contadino, che il passaggio all’agricoltura associata, in forma di artel, è necessario e possibile, soltanto allora avremo il diritto di dire che in un paese contadino immenso come la Russia è stato fatto un passo serio sulla via dell'agricoltura socialista. (Il corsivo è mio. G. St.). (“Discorso al Primo Congresso delle comuni agricole, ecc.”. ibid, pp. 579-580).
Infine, ecco un altro passo delle opere di Lenin:
“Incoraggiando le associazioni di ogni genere e così pure le comuni agricole dei contadini medi, i rappresentanti del potere sovietico non devono permettere la benché minima costrizione nel momento della loro creazione. Hanno valore soltanto quelle associazioni che sono costituite dai contadini stessi, di loro propria, libera iniziativa, e i vantaggi delle quali sono stati da essi verificati all'atto pratico. Un'eccessiva fretta in questo campo è dannosa, perché può soltanto servire a rafforzare la prevenzione del contadino medio contro le innovazioni. Quei rappresentanti del potere sovietico che si permettono di esercitare una costrizione, non dico diretta, ma neppure indiretta, allo scopo di portare i contadini nelle comuni, devono subire le più severe sanzioni ed essere allontanati dal lavoro nella campagna. (Il corsivo è mio. G. St.).(“Risoluzione sui rapporti coi contadini medi, presentata all’Ottavo Congresso del P.C.(b)R.”, ibid, p. 174).
E’ chiaro, a quanto pare.
Non occorre dimostrare che il partito applicherà queste indicazioni di Lenin con la dovuta severità.
2) E’ stato violato il principio leninista che dice di tener conto nella formazione dei colcos della varietà di condizioni nelle diverse regioni dell'U.R.S.S. Si è dimenticato che esistono nell'U.R.S.S. le regioni più svariate, con una struttura economica e un livello di cultura differenti. Si è dimenticato che fra queste regioni ve ne sono di avanzate, medie e arretrate. Si è dimenticato che i ritmi del movimento colcosiano e i metodi di costruzione dei colcos non possono essere identici per tutte queste regioni, che sono lungi dall'essere identiche.
“Sarebbe un errore - dice Lenin - se ci mettessimo a copiare semplicemente, secondo un solo schema, gli stessi decreti per tutti i luoghi della Russia, se i comunisti bolscevichi, gli organizzatori sovietici dell’Ucraina e del Don, si mettessero senza discernimento ad applicare in blocco questi decreti nelle altre regioni... ” poiché “noi non ci leghiamo in nessun modo a uno schema uniforme, non decidiamo una volta per sempre che la nostra esperienza, l'esperienza della Russia centrale, può essere trasferita interamente a tutte le regioni periferiche”. (“Rapporto del CC., all'Ottavo Congresso del P.C.(b)R.”, ibid., pp 125-126).
Più oltre Lenin dice che:
“Sarebbe la più grande stupidità standardizzare, assoggettare a uno stesso schema la Russia centrale, l’Ucraina, la Siberia”. (“Discorso sull’imposta in natura al Decimo Congresso del P.C.(b)R.”, vol. XXVI, p. 243 ed. russa).
Infine, Lenin fa un dovere ai comunisti del Caucaso:
“di comprendere le particolarità della loro situazione, della situazione delle loro repubbliche, differenti dalla situazione e dalle condizioni della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, di comprendere la necessità di non copiare la nostra tattica, ma di modificarla in modo ragionato, tenendo conto della diversità delle condizioni concrete”. (“Direttive ai comunisti del Caucaso, ecc.”, ibid., p. 191).
E’ chiaro, a quanto pare.
Sulla base di queste indicazioni di Lenin, il Comitato Centrale del nostro partito, nella sua decisione: “Sul ritmo della collettivizzazione (“Pravda” del 6 gennaio 1930) ha diviso le regioni dell'U.R.S.S., dal punto di vista dei ritmi della collettivizzazione, in tre gruppi, dei quali il Caucaso del Nord, il Medio Volga e il Basso Volga possono terminare la collettivizzazione, nell'essenziale, nella primavera del 1931; le altre regioni granarie (Ucraina, Regione centrale delle Terre nere, Siberia, Ural, Kasakstan e così via) possano terminarla, nell'essenziale, nella primavera del 1932; mentre le altre regioni possono scaglionare la collettivizzazione sino alla fine del piano quinquennale, cioè sino al 1933.
E’ comprensibile, a quanto pare.
Ma che cos'è avvenuto, in pratica? Si è visto che alcuni nostri compagni, inebriati dai primi successi del movimento colcosiano, hanno bellamente dimenticato e le indicazioni di Lenin e le decisioni del Comitato Centrale. La regione di Mosca, nella corsa febbrile alle cifre di collettivizzazione esagerate, ha incominciato a orientare i suoi militanti nel senso che si dovesse finire la collettivizzazione nella primavera del 1930, sebbene avesse a sua disposizione non meno di tre anni (fine del 1932). La Regione centrale delle Terre nere non volendo “restare indietro agli altri”, ha incominciato a orientare i suoi militanti nel senso che si dovesse finire la collettivizzazione nella prima metà del 1930, sebbene avesse a sua disposizione non meno di due anni (fine del 1931). E i compagni della Transcaucasia e del Turkestan, nel loro ardore di “raggiungere e sorpassare” le regioni d'avanguardia, hanno incominciato a orientarsi nel senso che si dovesse finire la collettivizzazione nel “termine più breve", sebbene avessero a loro disposizione 4 anni interi (fine del 1933). Si capisce che con questo “ritmo” di collettivizzazione sfrenato le zone meno preparate al movimento colcosiano, nel loro ardore di “sorpassare” le zone più preparate, si son viste costrette ad applicare una forte pressione amministrativa, cercando di sostituire col loro proprio zelo amministrativo l’assenza di fattori giustificanti un rapido ritmo del movimento colcosiano. I risultati sono noti. A tutti è noto l'imbroglio che si è creato in queste zone e che si è poi dovuto sbrogliare con l'intervento del Comitato Centrale.
In ciò consiste il secondo errore commesso nel movimento colcosiano.
3) Si è violato il principio leninista che non permette, nella formazione dei colcos, di saltare al di là di una forma di movimento non ancora compiuta. Si è violato il principio leninista che non permette di precorrere lo sviluppo delle masse, di creare il movimento delle masse con dei decreti, di staccarsi dalle masse, ma impone di marciare insieme alle masse e di farle avanzare orientandole verso le nostre parole d'ordine e rendendo loro facile di convincersi, per loro esperienza, della giustezza di esse.
“Quando il proletariato di Pietrogrado e i soldati della guarnigione di Pietrogrado presero il potere - dice Lenin - essi sapevano perfettamente che per l’edificazione nella campagna si sarebbero incontrate grandi difficoltà, che in questo campo si sarebbe dovuto avanzare in modo più graduale, che tentare d'introdurre, per decreto, per legge, la lavorazione in comune della terra sarebbe stata la più grande assurdità, che avrebbe potuto consentirvi soltanto un numero insignificante di elementi coscienti, mentre l'enorme maggioranza dei contadini non si sarebbe posto questo obiettivo. Perciò ci limitammo a ciò che era assolutamente necessario nell’interesse dello sviluppo della rivoluzione: non precorrere, in nessun caso, l’evoluzione delle masse, ma aspettare sino a che dalla stessa esperienza delle masse, dalla loro lotta, fosse sorto un movimento in avanti” (il corsivo è mio. G. St.). (“Discorso per l'anniversario della Rivoluzione”, vol. XXIII, p. 252, ed. russa).
Partendo da queste indicazioni di Lenin il Comitato Centrale nella sua nota decisione: “Sul ritmo della collettivizzazione” (“Pravda” del 6 gennaio 1930), ha riconosciuto: a) che la forma principale del movimento colcosiano nel momento attuale è l'artel agricolo; b) che perciò è necessario elaborare uno statuto modello dell'artel agricolo, come forma principale del movimento colcosiano; c) che non si può permettere nel nostro lavoro pratico che venga “decretato” dall'alto il movimento colcosiano e che “si giochi alla collettivizzazione”.
Questo significa che oggi dobbiamo orientarci non verso la comune, ma verso l'artel agricolo, come forma principale dell'edificazione colcosiana, che non è ammissibile si salti alla comune passando sopra l’artel agricolo, che non si può sostituire il movimento di massa dei contadini verso i colcos “decretando” i colcos, “giocando ai colcos”.
E’ chiaro, a quanto pare.
Ma che cos'è avvenuto, in pratica? Si è visto che alcuni nostri compagni, inebriati dai primi successi del movimento colcosiano, hanno bellamente dimenticato e le indicazioni di Lenin e le decisioni del Comitato Centrale. Invece di organizzare un movimento di massa per l'artel agricolo, questi compagni si sono messi a “far passare” i contadini individuali direttamente allo statuto della comune. Invece di consolidare il movimento nella forma dell'artel, si sono messi a “socializzare” per forza il bestiame minuto, il pollame, il bestiame da latte non destinato al mercato, le case d'abitazione. I risultati di questa fretta inammissibile per un leninista, sono ora noti a tutti. Di regola, naturalmente, non hanno creato delle comuni solide. Ma in compenso hanno perduto una serie di artel agricoli. E’ vero, sono rimaste delle buone risoluzioni.
Ma a che cosa servono?
In ciò consiste il terzo errore commesso nel movimento colcosiano.
Terza domanda. Come si son potuti produrre questi errori e come il partito deve correggerli?
Risposta. Si sono prodotti sulla base dei nostri rapidi successi nel campo del movimento colcosiano. A volte i successi fanno girare la testa. Non di rado essi generano una presunzione e una boria smisurate. Questo può accadere con molta facilità ai rappresentanti di un partito che si trova al potere, particolarmente quando si tratta di un partito come il nostro, che ha una forza e una autorità pressoché incommensurabili. Qui sono perfettamente possibili delle manifestazioni di quella presunzione comunista, contro la quale Lenin ha lottato con accanimento. Qui è perfettamente possibile sorga la fede nell'onnipotenza del decreto, della risoluzione, della disposizione. Qui è del tutto reale il pericolo della trasformazione delle misure rivoluzionarie del partito in una vuota fabbrica di decreti burocratici da parte di singoli rappresentanti del partito in questo o quell'angolo del nostro immenso paese. E mi riferisco non soltanto agli organizzatori locali, ma anche a certi dirigenti di organizzazioni regionali, nonché a certi membri del Comitato Centrale. “La presunzione comunista - dice Lenin - significa che un individuo che si trova nel partito comunista e non ne è ancora stato espulso, immagina di poter assolvere tutti i suoi compiti a colpi di decreti comunisti”. (“La Nep e i compiti delle organizzazioni di educazione politica”, vol. XXVII, pp. 50-51, ed. russa).
Ecco su quale terreno sono sorti gli errori commessi nel movimento colcosiano, le deformazioni della linea del partito nell'opera di edificazione dei colcos.
In che cosa consiste il pericolo di questi errori e di queste deformazioni, se esse continueranno nell'avvenire, se non saranno liquidate rapidamente e senza residui?
Il pericolo, qui, è che essi, questi errori, ci conducano per via diretta al discredito del movimento colcosiano, al disaccordo col contadino medio, alla disorganizzazione dei contadini poveri, alla confusione nelle nostre file, all'indebolimento di tutta la nostra edificazione socialista, al ristabilimento dei kulak. Per dirla in breve, questi errori tendono a spingerci fuori della strada del consolidamento dell'alleanza con le masse fondamentali dei contadini, fuori della strada del consolidamento della dittatura proletaria, sulla strada della rottura con queste masse, sulla strada della disgregazione della dittatura proletaria.
Questo pericolo si era già delineato nella seconda metà di febbraio, nello stesso momento in cui una parte dei nostri compagni, accecata dai successi anteriori, si allontanava al galoppo dalla via leninista. Il Comitato Centrale del partito tenne conto di questo pericolo e non tardò a intervenire incaricando Stalin di dare ai compagni che passavano i limiti un avvertimento, in un articolo speciale sul movimento colcosiano. V'è chi pensa che l'articolo “Vertigine dei successi” sia il risultato dell'iniziativa personale di Stalin. Queste, naturalmente, sono sciocchezze. Non è per permettere l'iniziativa personale di chicchessia in un problema come questo che esiste da noi, il Comitato Centrale. Si trattava di una investigazione a fondo da parte del Comitato Centrale. E quando furono manifeste la profondità e l'estensione degli errori, il Comitato Centrale non tardò a colpire gli errori con tutta la forza della sua autorità, pubblicando la sua famosa decisione del 15 marzo 1930.
E’ difficile arrestare a tempo nella sua corsa sfrenata e riportare sulla giusta via gente che corre a testa bassa verso l'abisso. Ma il nostro Comitato Centrale si chiama Comitato Centrale del partito leninista appunto perché sa superare ben altre difficoltà. Ed esso ha già, in sostanza, superato queste difficoltà.
E’ difficile, in casi simili, che interi reparti del partito fermino la loro corsa, rientrino a tempo nel giusto cammino e riordinino le loro file in piena marcia. Ma il nostro partito si chiama partito di Lenin appunto perché possiede abbastanza elasticità per superare simili difficoltà. Ed esso ha già, in sostanza, superato queste difficoltà.
L'essenziale consiste qui nel dar prova di coraggio nel riconoscere i propri errori e nel trovare in se stessi la forza di liquidarli nel più breve tempo. La paura di riconoscere i propri errori dopo essersi inebriati dei recenti successi, la paura dell'autocritica, la riluttanza a correggere rapidamente e risolutamente gli errori; questa è la difficoltà principale. Basta superare questa difficoltà, basta buttar via le cifre esagerate dei piani, il massimalismo burocratico amministrativo, basta rivolgere la propria attenzione ai compiti dell'edificazione organizzativa ed economica dei colcos, affinché degli errori non resti nemmeno la traccia. Non vi è nessuna ragione di porre in dubbio che il partito non abbia già superato, in sostanza, questa difficoltà pericolosa.
“Tutti i partiti rivoluzionari - dice Lenin - che fino ad oggi sono periti, sono periti perché si abbandonavano alla presunzione, non sapevano vedere in che cosa consisteva la loro forza e avevano paura di parlare delle proprie debolezze. Ma noi non periremo, perché non abbiamo paura di parlare delle nostre debolezze, e impareremo a superarle ".(Il corsivo è mio. G. St.). (“Discorso di chiusura sul rapporto politico del C. C. all'Undicesimo Congresso del P.C.(b)R.”, vol. XXVII, pp. 260-261, ed. russa).
Queste parole di Lenin non è permesso dimenticarle.
Quarta domanda. La lotta contro le deformazioni della linea del partito, non è una marcia indietro, una ritirata?
Risposta. E' evidente che no! Possono parlare di ritirata solo delle persone che considerano la continuazione degli errori e delle deformazioni come un'offensiva e la lotta contro gli errori come una ritirata. Un’offensiva sotto forma di accumulazione di errori e di deformazioni, non c'è che dire, è una bella “offensiva”.
Abbiamo presentato l'artel agricolo come forma principale del movimento colcosiano nel momento attuale e abbiamo stabilito il corrispondente statuto-modello per servire di guida nel lavoro di formazione dei colcos. Ci ritiriamo su questo punto? E’ evidente che no!
Abbiamo presentato il consolidamento dell'alleanza della classe operaia e dei contadini poveri coi contadini medi nel campo della produzione come base del movimento colcosiano nel momento attuale. Ci ritiriamo su questo punto? E’ evidente che no!
Abbiamo presentato la parola d'ordine della liquidazione dei kulak come classe come parola d'ordine principale del nostro lavoro pratico nella campagna nel momento attuale. Ci ritiriamo su questo punto? E’ evidente che no!
Fin dal gennaio 1930 abbiamo fissato un determinato ritmo di collettivizzazione dell'agricoltura dell’U.R.S.S., dividendo le regioni dell’U.R.S.S. in gruppi determinati e stabilendo per ogni gruppo il suo ritmo particolare. Ci ritiriamo su questo punto? E’ evidente che no!
Dov'è, allora, la “ritirata” del partito?
Vogliamo che la gente che ha commesso errori e deformazioni rinunci ai suoi errori. Vogliamo che gli arruffoni smettano di far della confusione e ritornino alle posizioni del leninismo. Lo vogliamo, perché solo a questa condizione sarà possibile continuare un'offensiva reale contro i nostri nemici di classe. Ciò significa che in questo modo facciamo marcia indietro? E’ evidente che no! Questo significa soltanto che vogliamo condurre una giusta offensiva e non giocare all'offensiva in modo sconclusionato.
Non è chiaro forse che solo gli sciocchi e i corifei delle deviazioni di “sinistra” possono interpretare tale posizione del partito come una ritirata?
Coloro che cianciano di ritirata non capiscono per lo meno due cose:
1) Essi non conoscono le leggi dell’offensiva. Essi non comprendono che un’offensiva senza consolidamento delle posizioni conquistate è un’offensiva condannata al fallimento. Quand'è che un'offensiva può essere vittoriosa, diciamo, nel campo militare? Quando non ci si limita a una avanzata generale e inconsiderata, ma ci si sforza nello stesso tempo di consolidare le posizioni conquistate, di raggruppare le proprie forze tenendo conto della situazione cambiata, di mantenere salde le retrovie, di aver in mano le riserve. Perché è necessario tutto ciò? Per premunirsi dalle sorprese, liquidare singole falle, da cui nessuna offensiva è garantita, a preparare, in questo modo, la liquidazione completa del nemico. L’errore dell'esercito polacco nel 1920, se si considera soltanto il lato militare della cosa, consiste nell'aver trascurato queste regole. Così si spiega, tra l'altro, perché, dopo essere avanzato in massa fino a Kiev, questo esercito fu poi costretto a ritirarsi in massa fino a Varsavia. L’errore dell'esercito sovietico nel 1920, se si considera di nuovo soltanto il lato militare della cosa, consiste nell'avere, durante la sua offensiva su Varsavia, ripetuto l’errore dei polacchi.
Lo stesso si deve dire delle leggi dell'offensiva sul fronte della lotta di classe. Non si può condurre con successo un'offensiva per liquidare i nemici di classe, senza consolidare le posizioni conquistate, senza raggruppare le proprie forze, senza assicurare delle riserve per il fronte, senza mantenere salde le retrovie, e così via.
La verità è che gli arruffoni non capiscono le leggi dell'offensiva. La verità è che il partito le comprende e le applica.
2) Essi non comprendono la natura di classe dell'offensiva. Essi fanno schiamazzo attorno all'offensiva. Ma offensiva contro quale classe, in alleanza con quale classe? Noi conduciamo l'offensiva contro gli elementi capitalistici della campagna, in alleanza col contadino medio, perché solo una tale offensiva ci può dare la vittoria. Ma che fare, se singoli reparti del partito si lasciano prendere da una foga eccessiva, e l'offensiva incomincia scivolar fuori dalla strada giusta e a rivolgere la sua punta contro il nostro alleato, contro il contadino medio? Abbiamo forse bisogno di un’offensiva qualunque, e non invece di un’offensiva contro una classe determinata, in alleanza con una classe determinata? Anche Don Chisciotte si immaginava di attaccare dei nemici quando moveva all’assalto dei mulini a vento. Tuttavia è noto ch'egli si ruppe la testa in quell’offensiva, se così si può chiamarla.
Si vede che i lauri di Don Chisciotte non lasciano dormire i nostri corifei della deviazione di “sinistra”.
Quinta domanda. Qual è per noi il pericolo più grave, quello di destra, o quello di “sinistra”?
Risposta. Il pericolo principale per noi è quello di destra. Il pericolo di destra era e rimane per noi il pericolo principale.
Questa posizione contraddice forse la nota tesi della decisione del Comitato Centrale del 15 marzo 1930, secondo la quale gli errori e le deformazioni dei corifei della deviazione di “sinistra”, rappresentano ora il freno principale del movimento colcosiano? No, non la contraddice. La verità è che gli errori dei corifei della deviazione di “sinistra” nel movimento colcosiano sono errori tali che creano un ambiente favorevole al rafforzamento e al consolidamento della deviazione dl destra nel partito. Perché? Perché questi errori presentano la linea del partito sotto una luce falsa, cioè aiutano a gettare il discredito sul partito e, di conseguenza, facilitano la lotta degli elementi di destra contro la direzione del partito. Il discredito della direzione del partito è il solo terreno elementare sul quale può svilupparsi la lotta dei destri contro il partito. Questo terreno viene fornito agli assertori della deviazione di destra, dai corifei della deviazione di “sinistra”, dai loro errori e dalle loro deformazioni. Perciò, per lottare con successo contro l'opportunismo di destra, bisogna superare gli errori degli opportunisti di “sinistra”. I corifei della deviazione di “sinistra” sono oggettivamente gli alleati degli assertori della deviazione di destra.
Questo è il legame originale che passa fra l'opportunismo di “sinistra” e le deviazioni di destra.
E’ appunto con questo legame che si deve spiegare il fatto che alcuni “sinistri” parlano, abbastanza sovente, di un blocco coi destri. Con questo si deve pure spiegare il fenomeno originale che una parte dei “sinistreggianti”, la quale ancora ieri “conduceva” un'offensiva pazza e si sforzava di collettivizzare l'U.R.S.S. niente meno che in due o tre settimane, oggi cade nella passività, si lascia cadere le braccia, e cede bellamente il campo della lotta agli assertori della deviazione di destra, prendendo, in tal modo, la linea di una effettiva ritirata (senza virgolette!) di fronte ai kulak.
La particolarità del momento che stiamo attraversando è che la lotta contro gli errori dei corifei delle deviazioni di “sinistra” è per noi la condizione e la forma originale d'una lotta vittoriosa contro l'opportunismo di destra.
Sesta domanda. Come valutare il riflusso di una parte dei contadini dai colcos?
Risposta. Il riflusso di una parte dei contadini significa che da noi, in questi ultimi tempi, era nato un certo numero di colcos poco solidi, che adesso si epurano dagli elementi instabili. Questo significa che i colcos fittizi scompariranno, mentre quelli solidi resteranno e si consolideranno. Penso che questo è un fenomeno del tutto normale. Alcuni compagni si lasciano cader per questo nella disperazione, sono presi dal panico e si aggrappano in modo convulso alle percentuali esagerate. Altri si rallegrano malignamente e pronosticano il “fallimento” del movimento colcosiano. E gli uni e gli altri sbagliano di grosso. E gli uni e gli altri sono lontani da una comprensione marxistica dell'essenza del movimento di collettivizzazione agricola.
Escono dai colcos, prima di tutto, i finti colcosiani, le cosiddette anime morte. Questa non è nemmeno un’uscita, ma la constatazione di un vuoto. Abbiamo noi bisogno di anime morte? Certo che no. Penso che i caucasiani del Nord e gli ucraini hanno perfettamente ragione di sciogliere i colcos pieni di anime morte, e di organizzare dei colcos veramente solidi. Il movimento colcosiano non può che guadagnarci.
Escono, in secondo luogo, gli elementi estranei, francamente ostili alla nostra causa. E’ chiaro che quanto più presto saranno eliminati questi elementi, tanto meglio sarà per il movimento colcosiano.
Escono, infine, gli elementi esitanti, che non si possono qualificare come estranei, né come anime morte. Sono quei contadini che noi non abbiamo ancora saputo convincere, oggi della giustezza dell'opera nostra, ma che certamente convinceremo domani. L'uscita di questi contadini rappresenta una perdita seria, benché temporanea, per il movimento colcosiano. Perciò la lotta per gli elementi esitanti dei colcos è oggi uno dei compiti più urgenti del movimento di collettivizzazione.
Ne deriva che il riflusso di una parte dei contadini dai colcos non rappresenta soltanto un fenomeno negativo. Ne deriva che, in quanto questo riflusso libera i colcos dalle anime morte e dagli elementi nettamente estranei, esso è l'indizio di un processo salutare di risanamento e di rafforzamento dei colcos.
Un mese fa si riteneva che nelle regioni granarie avessimo più del 60% di aziende collettivizzate. Ora è chiaro che, se si vuol parlare dei colcos effettivi e più o meno solidi, questa cifra era manifestamente esagerata. Se il movimento colcosiano, dopo il riflusso di una parte dei contadini, si stabilizzasse sulla cifra del 40% di collettivizzazione nelle regioni granarie - e questo è senza dubbio realizzabile - sarà un grandissimo successo del movimento colcosiano nel momento attuale. Prendo la cifra media delle regioni granarie, sapendo benissimo che vi sono pure zone singole di collettivizzazione integrale, con una percentuale dall'80 al 90 per cento. Il 40 per cento di aziende collettivizzate nelle regioni granarie significa che nella primavera del 1930 siamo riusciti a realizzare due volte il piano quinquennale iniziale di collettivizzazione.
Chi oserà negare il carattere decisivo di questo storico successo nello sviluppo socialista dell'U.R.S.S.?
Settima domanda. Fanno bene i contadini esitanti a uscire dai colcos?
Risposta. No, fanno male. Uscendo dai colcos essi vanno contro i loro propri interessi, perché solo i colcos permettono ai contadini di salvarsi dalla miseria e dall’ignoranza. Uscendo dai colcos essi si mettono in una situazione peggiore, perché si privano di quelle facilitazioni e di quei vantaggi che il potere sovietico accorda ai colcos. Gli errori e le deformazioni verificatisi nei colcos non sono una ragione per uscirne. Gli errori bisogna correggerli con le forze comuni, rimanendo nel colcos. E sono tanto più facilmente correggibili, in quanto il potere sovietico lotterà contro essi con tutte le forze.
Lenin dice che:
“Il sistema della piccola azienda, in regime di produzione mercantile, non è in grado di liberare l’umanità dalla miseria delle masse e dalla loro oppressione”. (“Sui compiti del proletariato nella nostra rivoluzione”, vol. XX, p. 122. ed. russa).
Lenin dice che:
“Con la piccola azienda non ci si libera dalla miseria”. (“Discorso alla prima riunione per il lavoro nelle campagne”, vol. XXIV, p. 540, ed. russa).
Lenin dice che:
“Se continueremo a confinarci, come per il passato, nelle piccole aziende, anche se liberi cittadini su terra libera, saremo sempre minacciati di inevitabile rovina” (“Discorso sulla questione agraria al Primo Congresso dei deputati contadini”, vol. XX, p. 417 ed. russa).
Lenin dice che:
“Soltanto col lavoro comune, in artel, associato, potremo uscire dal vicolo cieco in cui ci ha cacciato la guerra imperialista. (“Discorso alla prima riunione per il lavoro nelle campagne, vol. XXIV. p. 537, ed. russa).
Lenin dice che:
“E’ necessario passare alla lavorazione in comune della terra nelle grandi aziende modello”, perché “senza di ciò non potremo uscire dalla rovina, della situazione davvero disperata in cui si trova la Russia”. (“Discorso sulla questione agraria al Primo Congresso dei deputati contadini”, vol. XX, p. 418, ed. russa).
Che cosa significa tutto ciò?
Ciò significa che i colcos sono l'unico mezzo che permette ai contadini di salvarsi dalla miseria e dall'ignoranza.
E’ chiaro che i contadini fanno male a uscire dai colcos.
Lenin dice che:
“Voi, sapete tutti, certamente, da tutta l'attività del potere sovietico, quale enorme importanza noi diamo alle comuni, agli artel e in generale a tutte le organizzazioni dirette a trasformare, a concorrere gradualmente a trasformare la piccola azienda contadina individuale in azienda comune associata o artel”. (Il corsivo è mio. G. St.). (“Discorso al Primo Congresso delle comuni agricole, ecc”, vol. XXIV p. 579, ed. russa).
Lenin dice che:
« Il potere sovietico ha dato nettamente la prevalenza alle comuni e alle associazioni che ha messo in prima linea” (il corsivo è mio. G. St.). (“La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky”, vol. XXIII, p. 399, ed. russa).
Che cosa significa ciò?
Ciò significa che il potere sovietico accorderà ai colcos delle facilitazioni e dei vantaggi rispetto alle aziende individuali. Ciò significa che esso accorderà ai colcos dei vantaggi sia per quanto riguarda l'assegnamento della terra, sia per quanto riguarda il rifornimento di macchine, trattori, grani da semina, e così via, sia per quanto riguarda l'alleggerimento delle imposte e la concessione di crediti.
Perché il potere sovietico accorda delle facilitazioni e dei vantaggi ai colcos?
Perché i colcos sono l’unico mezzo per salvare i contadini dalla miseria.
Perché l’aiuto preferenziale ai colcos rappresenta la forma più efficace di aiuto ai contadini poveri e medi.
Qualche giorno fa il potere sovietico ha deciso di esonerare per due anni dalle imposte tutto il bestiame da lavoro messo in comune nei colcos (cavalli, buoi, ecc.), tutte le vacche, i maiali, le pecore, il pollame, che si trovano tanto in possesso collettivo dei colcos quanto in possesso individuale dei colcosiani.
Il potere sovietico ha deciso, inoltre, di rimandare alla fine dell’anno la riscossione dei debiti dei colcosiani per crediti ricevuti e di condonare tutte le multe e pene giudiziarie inflitte fino al 1° aprile ai contadini entrati nei colcos.
Esso ha deciso, infine, di fornire assolutamente, nell'anno in corso, dei crediti ai colcosiani nella misura di 500 milioni di rubli.
Queste facilitazioni aiuteranno i contadini colcosiani. Queste facilitazioni aiuteranno quei contadini colcosiani che hanno saputo resistere al riflusso, che si sono temprati nella lotta contro i nemici dei colcos, che hanno difeso i colcos e hanno conservato nelle loro mani la grande bandiera del movimento colcosiano. Queste facilitazioni aiuteranno quei contadini colcosiani poveri e medi che costituiscono ora il nucleo fondamentale dei nostri colcos, che consolideranno e cristallizzeranno i nostri colcos e conquisteranno al socialismo milioni e milioni di contadini. Queste facilitazioni, aiuteranno quei contadini colcosiani che costituiscono ora i quadri fondamentali dei colcos e che meritano pienamente di essere chiamati gli eroi del movimento colcosiano.
I contadini che escono dai colcos non godranno di queste facilitazioni.
Non è dunque chiaro che i contadini commettono un errore uscendo dai colcos?
Non è dunque chiaro che soltanto ritornando nei colcos essi possono assicurarsi il beneficio di queste facilitazioni?
Ottava domanda. Che cosa fare delle comuni? Non conviene scioglierle?
Risposta. No, non conviene e non v’è motivo di scioglierle. Parlo delle comuni reali, non di quelle che esistono solo sulla carta. Nelle regioni granarie dell’U.R.S.S. esistono parecchie eccellenti comuni, che meritano di essere incoraggiate e sostenute. Mi riferisco alle vecchie comuni che hanno sostenuto anni di prove e si sono temprate nella lotta, giustificando interamente la loro esistenza. Per quanto riguarda le nuove comuni, costituitesi solo recentemente esse possono continuare a esistere solo nel caso che si siano organizzate volontariamente, con l'appoggio attivo dei contadini, senza socializzazione obbligatoria dell’avere personale.
La formazione e la gestione delle comuni è cosa complicata e difficile. Le comuni grandi e solide possono esistere e svilupparsi soltanto se dispongono di quadri sperimentati e di dirigenti provati. Il passaggio brusco dallo statuto dell'artel allo statuto della comune non può che respingere i contadini dal movimento colcosiano. Perciò bisogna trattare questo problema in modo particolarmente serio e senza nessuna precipitazione. L’artel è cosa più facile e più accessibile alla mentalità delle grandi masse contadine. Perciò l'artel nel momento attuale rappresenta la forma più diffusa del movimento colcosiano. Solo nella misura in cui si rafforzano e si consolidano gli artel agricoli si può creare il terreno per un movimento di massa dei contadini verso la comune. Perciò la comune, che rappresenta la forma più alta del movimento di collettivizzazione agricola, può diventare l'anello principale del movimento colcosiano soltanto nel futuro.
Nona domanda. Che cosa fare dei kulak?
Risposta. Fin ad ora abbiamo parlato del contadino medio. Il contadino medio è alleato della classe operaia, e la nostra politica verso di esso deve essere amichevole. Un'altra faccenda è il kulak. Il kulak è nemico del potere sovietico. Con esso non c’è e non può esserci pace. La nostra politica nei riguardi del kulak è la politica della sua liquidazione come classe. Ciò non significa naturalmente, che possiamo liquidarlo d'un sol colpo. Ma significa che agiremo in modo da circondarlo e liquidarlo.
Ecco che cosa dice Lenin del kulak:
“I kulak sono gli sfruttatori più feroci, più brutali, più selvaggi, che più d'una volta, come prova la storia degli altri paesi, hanno restaurato il potere dei grandi proprietari fondiari, degli zar, dei preti, dei capitalisti. I kulak sono più numerosi dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti. Tuttavia i kulak sono una minoranza del popolo… Questi dissanguatori si sono arricchiti sulla miseria del popolo durante la guerra, hanno accumulato del denaro a migliaia e a centinaia di migliaia, aumentando i prezzi del grano e degli altri prodotti. Questi ragni velenosi si sono ingrassati a spese dei contadini rovinati dalla guerra, a spese degli operai affamati. Queste sanguisughe hanno bevuto il sangue dei lavoratori, arricchendosi tanto più, quanto più l'operaio soffriva la fame nelle città e nelle fabbriche. Questi vampiri hanno accaparrato e continuano ad accaparrare le terre dei grandi proprietari fondiari, continuano ad asservire i contadini poveri. (“Compagni operai! Alla lotta finale, decisiva”, vol XXIII, pp. 206-207, ed. russa).
Abbiamo tollerato queste sanguisughe, questi ragni velenosi, questi vampiri, praticando una politica di limitazione delle loro tendenze sfruttatrici. Li abbiamo tollerati, perché non avevamo nulla da sostituire all'azienda dei kulak, alla produzione dei kulak. Ora abbiamo la possibilità di sostituire ad usura la loro azienda con l'azienda dei nostri colcos e sovcos. Non vale più la pena di tollerare ulteriormente questi ragni velenosi, questi dissanguatori. Tollerare ulteriormente questi ragni velenosi, questi dissanguatori che incendiano i colcos, assassinano i militanti colcosiani e cercano di sabotare la semina, significa andare contro gli interessi degli operai e dei contadini.
Perciò la politica di liquidazione dei kulak come classe deve essere condotta con tutta quella fermezza e quella coerenza di cui sono capaci i bolscevichi.
Decima domanda. Qual è il compito pratico immediato dei colcos?
Risposta. Il compito pratico immediato dei colcos consiste nella lotta per la semina, nella lotta per la massima estensione delle aree seminate, nella lotta per una buona organizzazione della semina.
Al compito della semina devono essere adeguati oggi tutti gli altri compiti dei colcos.
Al lavoro per l'organizzazione della semina devono essere subordinati oggi tutti gli altri lavori nei colcos.
Questo significa che la solidità dei colcos e del loro quadro di militanti senza partito, la capacità dei dirigenti dei colcos e del loro nucleo bolscevico, non saranno verificate sulla base di risoluzioni altisonanti e di grandiloquenti saluti, ma sulla base dei fatti concreti della buona organizzazione della semina.
Ma per adempiere con onore questo compito pratico bisogna richiamare l'attenzione dei militanti colcosiani verso le questioni economiche dell’edificazione colcosiana, verso le questioni della struttura interiore dei colcos.
Fino a poco tempo fa la preoccupazione principale dei militanti colcosiani era la caccia alle alte percentuali di collettivizzazione, e la gente non voleva vedere la differenza che passa fra la collettivizzazione reale e quella fittizia. Ora bisogna farla finita con questa mania delle percentuali. Ora l'attenzione dei militanti deve essere concentrata sul consolidamento dei colcos, sulla formazione organica dei colcos, sull'organizzazione del lavoro pratico nei colcos.
Fino a poco tempo fa la preoccupazione principale dei militanti colcosiani era l’organizzazione di grandi unità colcosiane, l’organizzazione dei cosiddetti “giganti”, e i “giganti”, non di rado, degeneravano in ingombranti uffici burocratici, privi di radici economiche nelle borgate e nei villaggi. Il lavoro di facciata assorbiva, quindi, il lavoro pratico. Ora bisogna farla finita con questa mania del lavoro di facciata. Ora l’attenzione dei militanti deve essere diretta verso il lavoro organizzativo economico dei colcos nelle borgate e nei villaggi. Quando questo lavoro avrà dato i suoi frutti, i “giganti” appariranno da sé.
Fino a poco tempo fa ci si preoccupava poco di attirare i contadini medi al lavoro di direzione dei colcos. Orbene, tra i contadini medi vi sono degli eccellenti agricoltori che potrebbero diventare dei magnifici dirigenti economici dell'edificazione colcosiana. Ora questa lacuna nel nostro lavoro dev’essere colmata. Il nostro compito consiste ora nell'attirare a un lavoro di direzione dei colcos i migliori tra i contadini medi e nel dare loro il modo di sviluppare le loro facoltà in questo campo.
Fino a poco tempo fa non si era prestata sufficiente attenzione al lavoro tra le contadine. Il periodo trascorso ha mostrato che il lavoro tra le contadine è il punto più debole della nostra attività. Ora questa lacuna deve essere colmata risolutamente e irrevocabilmente.
Fino a poco tempo fa i comunisti di parecchie zone pensavano di poter adempiere con le loro proprie forze tutti i compiti dell’edificazione colcosiana. Partendo da questo punto di vista essi non prestavano sufficiente attenzione alla necessità di attirare gli elementi senza partito a un lavoro di responsabilità nei colcos, alla necessità di chiamare gli elementi senza partito a un lavoro di direzione dei colcos, alla necessità di organizzare nei colcos un largo strato di elementi attivi senza partito. La storia del nostro partito ha dimostrato, e il recente periodo di edificazione colcosiana ha mostrato ancora una volta, che questa posizione è radicalmente sbagliata. Se i comunisti si chiudessero nel loro guscio, separandosi con un muro dagli elementi senza partito, essi rovinerebbero tutto. Se i comunisti sono riusciti a coprirsi di gloria nelle lotte per il socialismo, e i nemici del comunismo sono stati battuti, ciò è avvenuto, tra l'altro, perché i comunisti hanno saputo attrarre all’azione i migliori elementi senza partito, hanno saputo attingere delle forze tra larghi strati di elementi senza partito, hanno saputo circondare il loro partito di un largo strato di elementi attivi senza partito. Ora questa lacuna nel nostro lavoro tra gli elementi senza partito deve essere colmata risolutamente e irrevocabilmente.
Correggere queste insufficienze del nostro lavoro, distruggerle dalle radici; questo precisamente vuol dire mettere sulla buona strada il lavoro economico dei colcos.
Quindi:
1) Organizzare bene la semina, tale è il compito.
2) Concentrare l'attenzione sulle questioni economiche del movimento colcosiano, tale è il mezzo, necessario per l'adempimento di questo compito.

“Pravda”, N. 92.
3 aprile 1930.