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RISPOSTA AL COLONNELLO RAZIN

 



(febbraio 1947)

Egregio compagno Razin,

ho ricevuto la Vostra lettera del 30 gennaio riguardante Clausewitz e le Vostre brevi tesi sulla guerra e l'arte militare.
1. - Voi domandate: non sono invecchiate le tesi di Lenin in cui si dà un giudizio su Clausewitz?
Secondo me, la questione non è impostata in modo giusto.
Impostando così la questione, si potrebbe credere che Lenin abbia analizzato la dottrina militare e le opere militari di Clausewitz, ne abbia dato un apprezzamento militare e ci abbia lasciato in eredità una serie di tesi direttive sulle questioni militari, tesi che noi dovremmo prendere come guida. Una tale impostazione del problema è sbagliata, poiché non c'è, in realtà, nessuna “tesi” di Lenin del genere sulla dottrina militare di Clausewitz e sulle sue opere.
A differenza di Engels, Lenin non si riteneva un esperto di questioni militari. Non si riteneva esperto di questioni militari non soltanto nel passato, prima della Rivoluzione d'Ottobre, ma anche in seguito dopo la Rivoluzione d'Ottobre e fino al termine della guerra civile. Durante la guerra civile, Lenin ci impegnava, noi che allora eravamo ancora giovani compagni del Comitato Centrale, a “studiare a fondo l'arte militare”. Quanto a se stesso, egli ci diceva apertamente che per lui era ormai troppo tardi per studiare l’arte militare. Così si spiega appunto perché Lenin, nei suoi riferimenti a Clausewitz e nelle sue osservazioni sul libro di Clausewitz, non tratta questioni puramente militari, come le questioni della strategia e della tattica militare e dei loro rapporti reciproci, dei rapporti tra offensiva e ritirata, tra difesa e controffensiva, ecc.
Che cosa dunque interessava Lenin in Clausewitz e per che cosa lo elogiava?
Egli elogiava Clausewitz prima di tutto perché il non marxista Clausewitz, che godeva ai suoi tempi fama di esperto in cose militari, confermava nelle sue opere la nota tesi marxista che tra guerra e politica esiste un legame diretto, che la politica genera la guerra, che la guerra è la continuazione, con mezzi violenti, della politica. Il riferimento a Clausewitz occorreva in questo caso a Lenin per denunciare ancora una volta il socialsciovinismo, il socialimperialismo di Plekhanov, Kautsky e altri.
Egli elogiava Clausewitz, inoltre, perché Clausewitz confermava nelle sue opere la tesi, giusta dal punto di vista marxista, che la ritirata, in certe condizioni sfavorevoli, è una forma di lotta tanto legittima quanto l'avanzata. Il riferimento a Clausewitz occorreva in questo caso a Lenin per denunciare ancora una volta i comunisti “di sinistra” che non riconoscevano la ritirata come forma legittima di lotta.
Per conseguenza, Lenin esaminava le opere di Clausewitz non da militare, ma da politico e si interessava, nelle opere di Clausewitz, a quelle questioni che dimostrano il legame tra guerra e politica.
Cosicché nella critica della dottrina militare di Clausewitz, noi, eredi di Lenin, non siamo vincolati a nessuna indicazione di Lenin che limiti la nostra libertà di critica.
Ne consegue che il Vostro apprezzamento dell'articolo del compagno Mestceriakov (v. Il Pensiero Militare n. 6-7 del 1945) in cui si critica la dottrina di Clausewitz e che Voi considerate come “una tirata antileninista” e come “una revisione” del giudizio di Lenin, non coglie nel segno.

2. - Dobbiamo noi criticare in sostanza la dottrina militare di Clausewitz? Si, dobbiamo farlo. Abbiamo l'obbligo, dal punto di vista dell'interesse della nostra causa e della scienza militare contemporanea, di criticare non solo Clausewitz, ma anche Moltke, Schlieffen, Ludendorff, Keitel altri esponenti dell’ideologia militare della Germania. Negli ultimi trent'anni la Germania ha imposto per due volte al mondo una guerra sanguinosissima, e ambedue le volte è stata battuta. E’ stato un caso? No di certo. Non significa questo che non solo la Germania nel suo complesso, ma anche la sua ideologia militare non ha resistito alla prova? Senza dubbio. Tutti sanno quale rispetto i militari di tutto il mondo, compresi anche i nostri militari russi, nutrissero per gli autorevoli esponenti militari della Germania. Non bisogna finirla con questo rispetto immeritato? Bisogna finirla. E allora la critica è necessaria, particolarmente da parte nostra, da parte dei vincitori della Germania.
Per quanto riguarda Clausewitz in particolare, egli è certo invecchiato come autorità militare. Clausewitz era propriamente il rappresentante del periodo manifatturiero della guerra. Ora abbiamo il periodo meccanizzato della guerra. Non c'è dubbio che il periodo meccanizzato richiede nuovi ideologi militari. E’ ridicolo prendere ora lezioni da Clausewitz.
Non si può progredire e far progredire la scienza senza sottoporre a un esame critico le tesi e le opinioni invecchiate di autorità famose. Ciò vale non soltanto per le autorità nell'arte militare, ma anche per i classici del marxismo. Engels disse una volta che fra i capi militari russi del periodo 1812 Barclay de Tolly era l'unico che meritasse attenzione. Engels, certo, sbagliava, perché Kutuzov, come condottiero, superava indiscutibilmente Barclay de Tolly di due teste. Eppure si possono trovare ai nostri giorni persone pronte a difendere con la schiuma alla bocca questo giudizio sbagliato di Engels.
Nella nostra critica non dobbiamo lasciarci guidare da singole tesi e sentenze dei classici, ma da quella celebre indicazione che a suo tempo ci ha dato Lenin:
“Non consideriamo affatto la teoria di Marx come una cosa compiuta e intangibile; siamo convinti, al contrario, che essa ha posto solo le pietre angolari di quella scienza che i socialisti devono spingere avanti in tutte le direzioni, se non vogliono lasciarsi distanziare dalla vita. Riteniamo che per i socialisti russi sia particolarmente necessaria una elaborazione indipendente della dottrina di Marx, poiché questa dottrina fornisce soltanto principi direttivi generali, che si applicano in particolare all'Inghilterra diversamente che alla Francia, alla Francia diversamente che alla Germania, alla Germania diversamente che alla Russia”.
Questo modo di procedere è ancor più obbligatorio per noi nei confronti delle autorità nel campo militare.

3. - Quanto alle Vostre brevi tesi sulla guerra e l'arte della guerra, dato il loro carattere schematico, posso fare soltanto delle osservazioni generali. In queste tesi ci sono troppa filosofia e troppe affermazioni astratte. Urta l’orecchio la terminologia di Clausewitz circa la grammatica e la logica militare. E’ posta in modo troppo primitivo la questione di una scienza militare di partito. Urtano l'orecchio i ditirambi in onore di Stalin: addirittura fastidioso leggerli. Manca la parte concernente la controffensiva (da non confondere con il contrattacco). Io parlo di controffensiva dopo una offensiva vittoriosa del nemico, la quale non abbia dato tuttavia risultati decisivi e durante la quale la parte che si difende raccoglie le forze, passa alla controffensiva e infligge al nemico la disfatta decisiva. Ritengo che una controffensiva ben organizzata sia una forma assai interessante di offensiva. Voi, in qualità di storico, dovreste interessarvi di questo problema. Gli antichi Parti conoscevano già tale forma di controffensiva quando attirarono il condottiero romano Crasso e le sue truppe molto all'interno del loro paese, e poi scatenarono la controffensiva e li distrussero. Molto bene conosceva questo anche il nostro geniale condottiero Kutuzov che rovinò Napoleone e il suo esercito con una controffensiva ben organizzata.

Tratto da "Stalin - Problemi della pace" prefazione di Pietro Secchia. Edizioni di Cultura Sociale 1953